«Zio
Domenico era esigente, pignolo e fantasioso, un illustratore
tridimensionale, un vero virtuoso, un grande lavoratore». Era per
Umberto Mastroianni l'artista di famiglia .
In
queste parole ritroviamo tutta l'ammirazione per il talento e la
grande abilità dello zio presso il cui studio, a via Margutta 51a,
dal 1923 al 1926, Umberto Mastroianni ebbe le sue origini di artista.
Quelle di carne, come amava definirle, erano a Fontana Liri,
cittadina in provincia di Frosinone, poco distante da Arpino, che
diede i natali a Domenico, «scultore dalla personalità regolare e
costante»
sul
cui ruolo fondamentale nella formazione del giovane Umberto si è
spesso sorvolato, se si escludono le notizie riportate dallo stesso
Umberto e i rarissimi cenni in studi monografici.
Autodidatta,
dotato di una straordinaria maestria e padronanza tecnica unite a una
solida cultura figurativa e letteraria, che è ancora in gran parte
da indagare, Domenico Mastroianni, scultore, pittore e scultografo,
personalità certamente eclettica e vivace, nasce ad Arpino
(Frosinone) nel 1876 da Pietro, artigiano, e da Angela Redivivo.
Impara a lavorare il legno nella bottega del padre rivelando fin da
giovanissimo grandi abilità artistiche. In seguito apprende i primi
insegnamenti della lavorazione della terracotta e della ceramica
presso i laboratori attivi ad Arpino. Apprezzato dal collezionista
Carlo Quadrini, nel 1894 Domenico si trasferisce a Roma in via del
Babuino ospitato da Quadrini.
Domenico
soggiorna nelle maggiori città europee, a Vienna, Budapest, Berlino,
Londra e Bruxelles e soprattutto a Parigi, dove risiede per diversi
anni e dove ammira sicuramente le opere degli artisti impressionisti
e post-impressionisti, e dove subisce il fascino dell’Art Nouveau e
in certa misura anche di A. Rodin e H. Daumier. Della Vienna di G.
Klimt e A. M. Mucha, Domenico ricorderà la sensualità e la grazia
femminile.
Nel
1903 sposa a Roma Adele Durante dalla quale ha due figli, Adriana
(Parigi 1906), e Alberto (Montrouge 1903 - Roma 1974) anche lui
pittore, scultore, noto soprattutto come disegnatore di animali,
vignettista (famoso lo Zoo
di Mastrojanni
ospitato sulle pagine de L'Europeo) e illustratore .
Nel
primo decennio del XX secolo il mutato clima culturale e politico
francese costringe Domenico a tornare in Italia e nel 1913 è a
Castello Ladislao di Arpino, dove apre uno studio e ospita la
numerosa famiglia del fratello Vincenzo con Umberto nato nel 1910.
A
causa del terremoto del 1915, Domenico torna di nuovo a Roma a via
Margutta, e dal 1923 al 1926 accoglie suo nipote Umberto, studente ai
corsi serali all’Accademia di San Marcello, e proprio da Umberto,
il quale rivela di aver «respirato la serena classicità e la
splendida solennità dei suoi tesori d'arte»
apprendiamo alcuni dettagli sull'attività dello zio e su come era
organizzato il suo studio: «Impastavo creta, abbozzavo figurine e
statuette di santi, per ceramica. Le prime dedicate a Santa Rita, poi
a Don Bosco, Domenico Savio. Arrivai anche a modellare l'elmetto per
il monumento ai caduti di Arpino».
Le
opere di Domenico «si avvicinano ad una eleganza stilistica
classicista e di buona marca ottocentesca. Illustratore ed esecutore
pressoché scevro da problematiche contenutistiche particolari, porta
con sé un bagaglio di esperienze iconografiche capaci di renderlo
attuale per tutto il corso degli anni Trenta. Committenze pubbliche
ed “auto-promozione” - propagandata spesso attraverso
l'illustrazione della propria opera – fanno dello scultore più
anziano un capace ricettacolo e diffusore di nozioni preziose e
fondamentali per il più giovane Mastroianni» .
Da
Umberto apprendiamo anche che lo zio Domenico si dedicava alla pittura, contrariamente a quanto si riteneva in passato, fin dagli anni Venti, in particolare di sera dopo le sette, quando dal
suo studio usciva il giovane allievo allontanato con un pretesto
dallo zio un'ora prima dell'inizio dei corsi serali ed entrava
Margherita, «un modellone ciociaro, barocca», secondo la descrizione di Umberto.
Le
opere di Domenico riconducibili a questo periodo sono il Monumento
ai caduti di
Casalvieri (distrutto) e della Vittoria di
Carnello vicino Arpino (bozzetto in gesso presso la Fondazione U.
Mastroianni, Arpino). Nel 1934 Domenico restaura il presepe
(disperso) dell’Istituto Massimo alle Terme con il
Mistero
attribuito
a G.L. Bernini e, nel 1937, il presepio per la chiesa del Gesù
(distrutto) .
Nel
1947 Domenico è tra i soci fondatori della fabbrica di ceramiche
CASA (Ceramica Artistica Società Aquesiana), ad Acquapendente (VT)
dove da qualche anno aveva trovato ospitalità e un ambiente
culturale attento, vivace e fertile che apprezza le sue eleganti
realizzazioni scultoree e pittoriche.
A
Viterbo nel 1960 viene allestita
una sua personale e per la chiesa di Santa Maria Nuova di Viterbo nel
1961 Domenico realizza la Via
crucis
in terracotta e qualche anno prima i bassorilievi in bronzo della Via
crucis
per la chiesa di Sant'Ippolito a Roma. Negli anni Cinquanta si dedica
ai bronzi ispirati ai protagonisti e agli episodi de I
promessi sposi
(un busto si conserva presso la Fondazione U. Mastroianni e i
bozzetti in terracotta presso l'Istituto A. Manzoni di Latina).
La
Fondazione Umberto Mastroianni a Castello Ladislao di Arpino
custodisce la più grande raccolta pubblica di opere di Domenico
Mastroianni. La collezione è composta da alcuni dipinti in prevalenza su
carta o cartoncino raffiguranti scene sacre e di battaglie, altri
rappresentano cavalli lanciati in corsa, un tema legato alla lezione
dei Macchiaioli, che Domenico affronta più volte in particolare
negli anni Cinquanta. Nella scelta della tavolozza, i colori di
Domenico richiamano le parole di Umberto: «Sono aspri e
contrastanti: neri densi, rossi squillanti, blu cupi, ocra, verdi,
viola, e gli ori degli altari e tutti gli arcobaleni sui colli dopo
le tempeste.» .
Sedimentati nella memoria, quei colori provengono dalla terra di
origine dove «non c'è transizione tra i colori medievali e quelli
barocchi» .
Fanno
parte della collezione della Fondazione Umberto Mastroianni anche una
scultura in bronzo della serie dedicata a I
Promessi sposi
e sculture in terracotta, ceramiche e soprattutto fotosculture, che
l'artista realizzava spesso per auto-promozione.
Originale
forma di produzione artistica,
le fotosculture o scultografie sono immagini realizzate attraverso i
mezzi della scultura modellando creta o plastilina in bassorilievi
successivamente fotografati. L'argilla è riutilizzata per altre
scene o più spesso distrutta e le fotografie stampate in cartoline e
vendute in eleganti cofanetti di carta. Dei bassorilievi in argilla
realizzate da Domenico Mastroianni durante tutta la sua carriera non
rimangono altro che le cartoline.
Gli
esempi più antichi - le cartoline di auguri per le festività e
immagini a soggetto militare - risalgono al 1909. Il fondo comprende
inoltre Quo
vadis?,
Vita
di Cristo,
allegorie e immagini sacre (1911-20, editore A. Noyer di Parigi);
il Vecchio
e Nuovo Testamento,
le vite di personaggi (Napoleone) e santi (realizzate nel periodo che
va dal 1929 al 36 circa) per l’editore A. Traldi di Milano.
Tra
le più interessanti fotosculture di Domenico Mastroianni custodite a
Castello Ladislao ad Arpino ed esposte interamente nella recente
sistemazione, vi è la serie della Divina
Commedia
dantesca, composta da 42 cartoline a monocromo (18 cartoline per
l’Inferno; 14 del Purgatorio e 10 del Paradiso), edite da A. Traldi
di Milano, e 12 della serie a colori. Sul retro una elegante
decorazione in stile liberty con motivi vegetali separa gli spazî
destinati al testo e all'indirizzo. In basso sono riportati i versi
del canto dantesco. Le diverse dimensioni delle cartoline a colori
lasciano intuire che siano state pubblicate almeno tre versioni.
Le
cartoline dantesche costituiscono una piccola parte del fondo di
fotosculture, il cui studio è stato avviato da poco più di un anno
e in questa sede presentiamo alcuni risultati che hanno consentito di
riscoprire la personalità di un artista, ben diversa da
quell'immagine bohémien tramandata da certi studi forse troppo
affrettati: un artista che ha saputo guidare il giovane irrequieto e
per sua stessa ammissione, poco disciplinato Umberto Mastroianni
verso la padronanza tecnica del mestiere dello scultore
e verso un approccio alla materia vitale e innovativo, convogliando
il ribollire energico della sua giovane fantasia. Quella creta
recuperata sul greto del fiume Liri, con la sua femminea docilità e
sensuale grazia era stata per Umberto come per Domenico il primo
materiale, il più amato.
Riteniamo
che, alla genesi della serie dantesca di Domenico Mastroianni, possa
esserci un legame con la pubblicazione da parte di Vittorio Alinari
del primo volume della Divina
Commedia
avvenuta nel 1902 (e l’anno successivo con i volumi sul Purgatorio
e Paradiso), con le opere dei 31 artisti che avevano partecipato al
concorso del 1900, tra i quali ricordiamo Alberto Martini, Duilio
Cambellotti, Galileo Chini, Adolfo De Carolis, Giovanni Fattori.
Queste opere, esposte nel 1901, erano state valutate dalla
commissione del concorso anche in base alla resa finale che era
affidata alla fotografia. Proprio per la sicurezza della forma
particolarmente adatta alla riproduzione fotomeccanica vinse il primo
premio Alberto Zardi, illustratore di Pinocchio. A Duilio Cambellotti
andò il terzo premio. La pubblicazione Alinari maturò anche in
rapporto alle celebrazioni dantesche volute dalla Società Dantesca
Italiana già dal 1899 per celebrare il VI centenario dall’elezione
di Dante a Priore delle Arti nel governo della Repubblica fiorentina,
un interesse per Dante e per la Divina
Commedia
rinnovato dopo l’oblio del sei-settecento, alla fine del ‘700 e
inizio ‘800 grazie ad artisti come Füssli
e Flaxmann .
Domenico
Mastroianni attinge al repertorio delle incisioni di Gustave Doré.
In molti casi sono rintracciabili citazioni e precisi rimandi a più
di una incisione, fatto che dimostra attenzione, apprezzamento e
sensibilità dell’artista arpinate per le scelte figurative del
maestro francese.
In
taluni casi Mastroianni si discosta dal suo modello per elaborare una
soluzione personale.
Nella
rappresentazione dell'incontro di Virgilio e Beatrice, (Inf. II, v.
70), infatti, le differenze con l'incisione di Doré sono totali e
dimostrano al contempo una profonda conoscenza del testo letterario.
Ed infatti il Virgilio della fotoscultura di Domenico Mastroianni
rappresenta quella straordinaria similitudine dantesca del fiore che
solleva la corolla verso il sole che lo ha riscaldato e ha sciolto il
gelo notturno. Virgilio recupera il suo vigore e rivolge la sua
attenzione a Beatrice (vv. 127 e ss), giovane e sensuale donna, a
metà tra il cielo e la terra, colta nel momento in cui sta per
atterrare avvolta da vesti leggere mosse dal vento. Beatrice è come
sospesa nel desiderio di voler tornare e riprendere il suo posto tra
le anime beate, ben diversa dalla Beatrice di Doré, donna in carne ed ossa con i piedi ben
saldi sulla terra.
In
alcune fotosculture, Domenico Mastroianni sembra indugiare su un aspetto, una espressione, un
elemento naturalistico o paesaggistico. Sicuramente aggiunge la
componente dinamica estranea a Doré, le cui incisioni sono tutte
centrate su un unico elemento, quello maggiormente illuminato attorno
al quale trovano spazio gli altri elementi figurativi che
arricchiscono e completano la composizione. Domenico varia la scala,
aumenta le proporzioni e varia i rapporti tra le figure e lo spazio;
porta le figure su un piano più ravvicinato; studia gli sfondi con
cura meticolosa; aggiunge dinamismo e aggiunge una componente di
sensualità che si unisce a una rilettura attenta del testo dantesco,
al quale attinge per il suo repertorio descrittivo delle emozioni.
Una funzione fondamentale è assegnata alla luce, studiata con grande
cura durante la posa fotografica.
Confrontando,
ad esempio, le scene del primo canto dell’Inferno appaiono evidenti
le differenze delle scelte poetiche dei due artisti e un’attenzione
rivolta a diversi stati d’animo: in Doré prevalgono i sentimenti
di angoscia e di paura, la consapevolezza della propria condizione
che nel volto di Dante si traduce in timore. Mastroianni preferisce
affrontare il tema dello smarrimento, dell’incredulità e dello
stupore.
Doré,
vale la pena ricordarlo, non aveva una approfondita formazione
umanista tale da apportare variazioni e integrazioni successive alla
sua personale riflessione su un testo letterario di grande
complessità e cerca quindi di attenersi al senso letterario anche
per il grande rispetto e la profonda ammirazione nei riguardi di
Dante. L’artista francese ha quindi scelto i temi principali delle
cantiche elaborando una iconografia con l'obiettivo di rendere Dante
comprensibile anche al pubblico medio.
Mastroianni
sceglie un formato sempre verticale, indugia sulla resa del paesaggio
e organizza gli spazî e la profondità in modo tale da rivelare un
trattamento della materia, sensuale e poetico, con alcune affinità
ad esempio con Rodin, al quale Mastroianni non a torto è stato
accostato.
NOTE
BIBLIOGRAFIA
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