Con
il titolo allettante I
bassifondi del Barocco
si presenta così la mostra in corso a Villa Medici
fino al prossimo 18 gennaio. Il sottotitolo è ancora più
eloquente: La
Roma del vizio e della miseria,
in chiara antitesi con l’immagine della città monumentale, cuore
della cristianità e principale crocevia artistico italiano (ma non
solo) nel XVII secolo. Curata da Francesca Cappelletti e Annick
Lemoine, la mostra è ideata e organizzata grazie ad una
collaborazione tra l’Accademia di Francia a Roma (che ha sede
proprio a Villa Medici) e il Petit Palais – Musée des Beaux-Arts
di Parigi, prossima tappa della rassegna dal 24 febbraio 2015 .
Il
“lato oscuro” della capitale del barocco viene adesso analizzato
in una mostra dal taglio (apparentemente) innovativo: lo sfondo è
quello dei luoghi malfamati, come taverne e bettole, angoli di strada
teatri di risse e rapine, ma anche la campagna fuori porta dove bande
di briganti assalivano i malcapitati. Gli autori sono invece quei
tanti artisti “irregolari” che decisero di rappresentare questi
luoghi, scegliendo come protagonisti i vari giocatori, malfattori,
gente di strada, cortigiane, zingare; l’altra faccia, insomma,
dell’Urbe “ufficiale” che fa da sfondo ai tanti ritratti di
porporati, cavalieri o membri di famiglie aristocratiche. Un tema –
anzi, più temi – che trovano finalmente spazio dopo tante rassegne
dedicate ai protagonisti maggiori del 1600; non dimentichiamo che a
cavallo del 2000, in occasione dell’ultimo Giubileo, Roma aveva
ospitato numerose mostre sui principali artisti dell’epoca grazie
anche ad una fortunata coincidenza di anniversari (perlopiù
quattrocentenari delle nascite): Bernini, Borromini, Pietro da
Cortona e ancora, Domenichino e Giovanni Lanfranco, Orazio e
Artemisia Gentileschi, per non parlare del più inflazionato di
tutti: Michelangelo Merisi da Caravaggio, la cui presenza incombe
anche su questa mostra .
Sarebbe
stata infatti un’ottima occasione poter esporre una delle sue opere
emblematiche: La
buona ventura
con l’indovina che circuisce e deruba il viandante, un tòpos che
ritorna in tante altre opere del periodo, e che qui in mostra è
presente con la celebre versione di Simon Vouet (1617) da Palazzo
Barberini. Questo perché il Merisi fu in effetti uno dei primi a ad
ambientare le sue scene nelle osterie o in luoghi chiusi (come nei
celebri Bari)
seguito ben presto da numerosi artisti, per lo più stranieri, che
disdegnarono l’Accademia di San Luca preferendo altri posti meno
ufficiali, che ritrassero poi nelle loro opere. Il percorso parte
proprio da loro: i Bentvogels, la “banda degli uccellacci”, una
sorta di associazione di artisti nordeuropei che si rimettevano alla
protezione del dio Bacco, fondata nel 1623 da Cornelis Poelenburgh e
Bartholomeus Breenbegh, a cui si affiancheranno i Bamboccianti
capitanati da Pieter van Laer .
Attenzione
però: non si tratta di una mostra esclusiva su di loro. Il percorso
si sviluppa per aree tematiche, creando a volte non poca confusione
nello spettatore per via della presenza di numerosi artisti diversi
tra loro, con soggetti a volte molto diversi. È il caso delle prime
sale dedicate a Bacco,
tabacco e Venere:
quasi tutte le opere rappresentano ubriaconi intenti a tracannare
vino (fig. 1), amorini insolenti che orinano dall’alto, più alcune
interessanti incisioni con i riti di iniziazione dei Bentvueghels.
Meno chiara la presenza di un quadro che resta un unicum
nella produzione di Giovanni Lanfranco (ammesso che sia davvero lui
l’autore, come suggerito anni fa da Erich Schleier ):
il Nudo
maschile
sdraiato a letto (fig. 2) è una versione ironica di una Venere? O ci
sono altri significati sottintesi? Nella sezione dei ritratti degli
“uccellacci”, sono poi particolarmente interessanti i disegni
attribuiti a Leonaert Bramer, che affianca artisti assai diversi tra
loro: Claude Gellée meglio noto come Lorrain, Dirck Van Baburen,
persino un’insolita Artemisia Gentilischi…con i baffi. Peccato
che le spiegazioni sui pannelli, in questo caso, siano un po’
carenti. La sezione dedicata alla “taverna dissoluta” presenta
poche opere ma assai interessanti, come I
bari
del lucchese Pietro Paolini o lo Scherzo
di Carnevale
con protagonista una maschera alla Pulcinella (fig. 3), del francese
Nicolas Régnier: uno dei tanti caravaggeschi francesi che, tornato
in patria, cambiò stile diventando più blandamente classicista.
Sempre di quest’ultimo, tra i più presenti in mostra, è un’altra
opera interessante: la Taverna
con giocatori di dadi e un’indovina.
Di “Anonimo caravaggesco nordico” – si ipotizza Vouet – è
invece il Bravo
che fa il gesto della fica
(fig. 4), con l’occhio malandrino rivolto verso lo spettatore che
si trova così ad essere il diretto destinatario del gestaccio.
Quest’ultimo piccolo quadro fa da pendant al Giovane
con i fichi,
probabilmente un travestito, mentre in mezzo è stata collocata la
già citata Buona
ventura
di Vouet, uno degli artisti francesi di più stretta “osservanza”
caravaggesca .
In
cima alla parete che costeggia lo scalone, dopo alcune splendide
opere come il Mendicante
di Jusepe de Ribera, qui accostato ad un altro Mendicante
con la cetra
di anonimo di squisita fattura (da Palazzo Barberini), si possono
ammirare tre quadretti di piccole dimensioni del fiammingo Michael
Sweerts: Pellegrino
in sosta,
Anziana
che fila
e Vecchio
e ragazzo.
Anche qui non sarebbe guastata qualche riga in più sulle didascalie
per capire quali altri dipinti fanno, o potrebbero far parte, di
questa serie di “pitocchi” risalente alla metà esatta del 1600.
Splendida la sezione dedicata ai Concerti,
un soggetto molto in voga all’epoca e già al centro di una mostra
tenutasi a Palazzo Barberini anni fa :
tra i dipinti esposti in questa sezione, suggestivamente intitolata
La
taverna melanconica,
troviamo un Concerto
con bassorilievo
di Valentin de Boulogne, un altro Concerto
di Nicolas Tournier – il cui modello del musicista a destra
ritorna, identico, nel Giovane
con fiasco
esposto accanto – e una Riunione
di bevitori
di Bartolomeo Manfredi (fig. 5). Divertente l’ultima saletta con
opere di piccolo formato, che compongono la sezione Roma
insolentita:
scene di rapimenti o di prostituzione, uomini che orinano contro le
rovine, mendicanti ai piedi del Campidoglio. Immagini di povertà,
se non di criminalità, messe a contrasto con la magnificenza dei
ruderi dell’Urbe; come dimenticare d’altronde, che lo stesso Foro
Romano era chiamato Campo Vaccino perché adibito a mercato delle
vacche? In chiusura, una delle opere più suggestive della mostra: Lo
scherzo
di Nicolas Régnier, con una giovane donna che avvicina un cerino
sotto il naso del compagno assopito, di grande originalità per il
particolare dell’occhiolino che la protagonista rivolge
all’osservatore (lo stesso stratagemma escogitato nel Bravo
che fa il gesto della fica),
come se chi guarda il quadro si trovasse realmente la scena davanti.
In
definitiva, la rassegna è un divertente excursus nel barocco meno
noto senza grandi pretese di completezza; avendo più spazio, si
sarebbe potuto allargare il discorso anche ai temi stregoneschi,
ovvero al lato più oscuro e “demoniaco” dei bassifondi. Ma nel
percorso ci si deve accontentare di una Vanitas/Prudenza
di Angelo Caroselli, la cui produzione più interessante e
maggiormente studiata negli ultimi anni è proprio quella delle scene
negromantiche .
Per non parlare di un altro eccentrico come Salvator Rosa, uno dei
tanti artisti non presenti in mostra (è anche vero, d’altronde,
che sarebbe stato impossibile radunare tutti i caravaggeschi; degli
italiani “della prima ora” è presente qui solo Manfredi).
Oltretutto,
come è stato già notato, oggi è impossibile rendersi conto della
povertà e del degrado dell’epoca
attraverso opere d’arte di personaggi comunque complici di quegli
ambienti sordidi, come gli uccellacci o Bamboccianti. E come
scordare, d’altronde, le celebri esecuzioni capitali di personaggi
quali Beatrice Cenci o Giordano Bruno proprio allo scoccare del
Seicento, che impressionarono gli spettatori dell’epoca, artisti
compresi?
(a tal proposito si è fatto il nome di Caravaggio, come a voler
trovare un pretesto iconografico per l’efferatezza di Giuditta
e Oloferne ).
Di tutta questa violenza, però, non c’è traccia in mostra. Anzi,
scenette come quelle della Roma insolentita ci fanno sorridere
(com’era sicuramente nell’intento degli artisti: la presenza dei
banditi dà, anzi, più colore al tocco pittoresco). A tutto questo
contribuisce un allestimento decisamente poco consono, con alcuni
quadri illuminati male – è il caso del Concerto
di Valentin – e pareti bianche che smorzano l’impatto delle
opere; l’utilizzo di fondali scuri e di luci più appropriate
avrebbero sicuramente contribuito ad aumentare la drammaticità dei
vari soggetti, facendo “immergere” maggiormente il visitatore
nell’atmosfera torbida dei bassifondi del titolo. Così come una
mappa del centro storico dell’Urbe, con i luoghi frequentati dai
Bamboccianti (via Margutta e strade limitrofe), o con le zone più
malfamate opportunamente segnalate – come l’area dietro al porto
di Ripetta, l’odierna piazza Augusto Imperatore, o la poco distante
piazza Firenze nel cuore di Campo Marzio, dove il 28 maggio 1606
Caravaggio uccise Ranuccio Tomassoni – avrebbe potuto dare un
ulteriore tocco di curiosità ad una mostra dagli intenti comunque
lodevoli.
NOTE
LA MOSTRA
I bassifondi del barocco. La Roma del vizio e della miseria
Roma, Villa Medici
Fino al 18 gennaio 2015 www.villamedici.it
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