L'Hypnerotomachia Poliphili, fin dalla sua pubblicazione, ha suscitato un enorme interesse, stimolando la stesura di traduzioni, riduzioni, ristampe, libere interpretazioni in programmi iconografici più ampi e, fino al presente, studi e dibattiti che hanno contribuito a chiarire molti lati oscuri, sebbene molto resti ancora aperto agli approndimenti.
Pubblicata a Venezia, in contrada Sant'Agostino, presso la tipografia di Aldo Manuzio il vecchio, l'editio princeps dell'HP, ovvero Battaglia d'amore in sogno di Polifilo, reca due date diverse, sia topiche che cronologiche. La prima, nel colophon, lo colloca a Treviso il 1º Maggio 1467, nei seguenti termini: «Taruisii [...] MCCCCLXVII Kalendis Maii»; la seconda, al termine delle Errata, corregge la precedente: in Venetiis mense Decembri MID e cioè, in Venezia nel 1499.
L'incunabolo, anonimo e impreziosito da centosettantuno xilografie che accompagnano il testo, è suddiviso in trentotto capitoli, le cui iniziali svelano il nome del vero autore, POLIAM FRATER FRANCISCUS COLUMNA PERAMAVIT, Frate Francesco Colonna Molto amò Polia.
Il
testo, non è di facile lettura ed è redatto in una lingua
artefatta, composta dal greco e dal latino ed è accompagnata da
epigrafi in lingua ebraica ed araba. La costruzione delle frasi
sembra avvicinarsi maggiormente al periodo latino.
L'incunabolo utilizzato per la presente esposizione (disponibile in rete presso il sito della Bayerische Staatsbibliothek) è composto da quaderni distinti dalle lettere dell'alfabeto latino, minuscole, dalla a alla z, e, una volta esaurite, maiuscole, dalla A alla F. Sottoposto ad una nuova legatura che ha condotto il quaderno iniziale alla fine, l'esemplare è stato dotato, in un secondo momento, di una nuova cartulazione, da 1 a 233, indicata, a matita, in alto e in basso a destra.
Trama
La
trama del libro è in sé abbastanza semplice e può riassumersi in
breve.
Il
protagonista, Polifilo,
colui che ama molte cose,
affronta un viaggio allegorico-iniziatico durante un sogno, o
meglio, durante un sogno che sogna di fare, alla ricerca della amata
Polia, ovvero le molte
cose che, non appena
trovata, lo accompagnerà fino alla conclusione. L’impostazione è
subito molto complessa, oltre per i nomi usati, proprio per
l’ideazione di questo meta-sogno, narrato in prima persona al
passato e che riporta l’esperienza profonda che ha spiritualmente
tramutato Polifilo, da quell’inesperto e incauto esploratore, in
quell’io narrante dell’opera, indirettamente, ammonitore, che a
sua volta accompagnerà il lettore lungo le stesse vicende.
Dopo
la prima dedica, composta dal protagonista-autore per la bella amata,
inizia la narrazione.
L’ambientazione
iniziale è la stanza di Polifilo, nella quale passa una notte
agitata da pensieri amorosi che, alle prime luci del giorno, lo
sprofonderanno in un sogno. Polifilo è in cammino e, non appena
giunge in una landa serena, decide di riposarsi, cadendo in un sogno dal quale sognerà, poco dopo, di risvegliarsi per vivere ulteriori esperienze mirabolanti e terrorifiche al tempo stesso, alla ricerca della donna amata. Durante questo secondo viaggio, affronterà pericoli, quasi mortali,
scoverà i segni criptici di scritture occulte che nascondono le
verità cui, di volta in volta, verrà edotto, dalle ninfe che
incontrerà nel suo cammino che lo condurranno dalla loro regina
Eleuterillyde e, poi, davanti a tre grandi porte, dove egli dovrà
compiere la sua scelta di vita, si sottrarrà dai consigli delle
donne e incontrerà Polia. Il punto di vista si sposta, momentaneamente, dalla parte di Polia che, dopo aver respinto l'amante, tornerà sui suoi passi, convinta da Cupido, apparsole in sogno. Polifilo raggiunge il suo obiettivo, ovvero
l’amore di Polia e le vette della conoscenza spirituale, secondo i
principi della filosofia greca espressa più volte, anche con
richiami al tempio di Apollo a Delphi, Γνῶθι
σεαυτόν e μηδὲν
ἄγαν,
conosci te stesso e niente di troppo.
I
sogni, però, non durano in eterno e così, quello di Polifilo.
Congedatesi le Ninfe, dopo tante peripezie, Polifilo rimane solo con
Polia e, mentre ella, nell’intimità, amorosamente lo ricambia e ne
decanta le salde virtù, “Tu
sei quella solida columna et colume della vita mia”
(tu sei quella solida colonna e sostegno della vita mia), nell’attimo
struggente del risveglio, con l’ultima parola di lei, vale,
addio, il sogno si dissolve e con esso Polia e le gioie mondane. A
Polifilo resterà la ricchezza interiore acquisita durante il viaggio
nell’universo della propria coscienza.
Finito
il racconto, seguono il primo colophon o colofone, l’epitaffio in nome
dell’estinta Polia, le Errata,
le dediche di Leonardo Crasso a Guidobaldo duca di Montefeltro, di
Giovanni Battista Scita a Leonardo Crasso. Concludono i versi di
Andrea Marone di Brescia.
Prosa dei testi
La xilografia 037=PDF-BFB-132 (quaderno h, carta 8, foglio 1; cartulazione moderna 69), da qui in avanti xilo-037, si riferisce all'arrivo di Polifilo davanti alle tre porte, ivi condotto dalle ninfe Logistica e Thelemia. L'episodio è citato in tre versi della lettera dedicatoria a Leonardo Crasso, persona di cui si sa solo che finanziò la pubblicazione dell'opera e che era un giureconsulto pontificio . Nella dedica, che è una anticipazione dei contenuti che non svela la trama, si parla al futuro come se il
romanzo dovesse ancora seguire quando invece è già terminato.
Lettera
dedicatoria a Leonardo Crasso
|
Figura
1. Quaderno iniziale, carta 4, foglio 2, righe 37-39
|
Qui lezerai de triplici e non vani
gesti, et la maiestà del gran Tonante
in le tre porte e sui co[n]sigli sani |
Qui leggerai dei triplici e utili
gesti, e la maestà del gran Tonante
nelle tre porte e sui savi consigli.
|
Consigli
che, come già accennato, Polifilo non seguirà, preferendo la strada
dei sensi e della voluttà, piuttosto che quella della
Ragione-Logistica, reclamando, così, il diritto al libero
arbitrio.
Capitolo
X. La strada che conduce alle tre porte
Come
tutti i capitoli, anche questo è preceduto da un’anticipazione dei
contenuti che seguiranno. Si riportano il testo originale e
larelativa parafrasi.
POLIPHILO
SEQUITA NARRANDO OLTRA TANTO CONVIVIO UNA ELEGANTISSIMA COREA CHE FUE
UNO GIOCO. ET COME LA REGINA AD DUE PRAESTANTE PUERE SUE IL COMMISSE.
LE QUALE EL CONDUSERON AD MIRARE DELITIOSE ET MAGNE COSE, ET
CONFABULANDO ENUCLEATAMENTE LA MAESTRORONO COMMITANTE D’ALCUNE
DUBIETATE. FINALITER PERVENERON AD LE TRE PORTE. ET COME ELLO
RIMANETE NELLA MEDIANA PORTA, TRA LE AMOROSE NYMPHE.
Polifilo
seguita a narrare dopo tanto convivio di una elegantissima danza che
era un gioco. E come la regina lo affidò a due sue belle fanciulle.
Le quali lo condussero ad ammirare deliziose e magnifiche cose, e
parlando approfonditamente gli chiarirono d’alcuni dubbi.
Finalmente pervennero ad altre tre porte. E come egli rimase al di là
della porta centrale, tre le amorevoli Ninfe.
Nel
presente brano, Polifilo ha incontato la Regina delle Ninfe che gli
ha preannunciato il suo destino. Accompagnato dalle Ninfe Logistica e
Thelemia si imbatte in uno dei tanti adagia
di cui è disseminato il suo cammino, ovvero quel festina
tarde, agire
velocemente con calma, che egli non capirà e che, invece è
l’ammonimento a riflettere sulla scelta che, tra breve, dovrà
compiere.
|
Figura
2. Quaderno h, carta 7, foglio 2; cartulazione moderna 63
|
Logistica etiam quivi me dixe. Poliphile, questi hieraglyphi io
so che tu non l’intendi. Ma fano molto al proposito, a cui tende
alle tre porte. Et però in monumento delli transeunti opportunissime
sono collocati. El circulo dice. Medium tenuere beati.
L’altro. Velocitatem sedendo, tarditatem tempera surgendo. Hora nella mente
tua discussamente rumina.
El
quale ponte poscia era cum moderato prono, dimostrante la solerte
disquisitione, et l’arte et lo ingegno del perspicacissimo artifice
et inventore, collaudava in esso la aeterna soliditate, la quale non è cognita dagli
caecucienti moderni, et pseudoarchitecti, sencia litteratura, mensura
et arte, fucando, et di picture, et di liniamenti operiendo exta per omni modo il fabricato inconcinno
et difforme. Il quale era tuto di marmoro Hymetio venustissimo.
Havendo nui el ponte transacto, ambulavamo sotto per le fresche umbre, di
vario garrito di avicule suavemente celebrate. Ad uno saxoso et
cotico loco, ove gli excelsi et ardui monti se attollevano,
pervenissimo. Et d’indi poscia contiguo ad una abruptaet invia, et
salebrosa montagna, tuta derosa et piena di hernia scabricie. Alta
fino nel aere, a ppendice fina delumbata, et nuda de omni virentia,
et monti adryi circunquaque. Et quivi erano interscalpte le tre
randuscule porte, rudemente excavate nel vivo saxo, opera antiquaria,
et oltra il credere veterrima in magna asperugine di sito .
|
Logistica infatti qui mi disse: Polifilo, io so che tu non capisci questi
geroglifici. Ma sono relativi alle tre porte. E però a monito dei
mortali sono opportunamente collocati. Il cerchio dice: essere nel
medio rende beati.
L'altro: Sedersi velocemente, con lenti movimenti alzarsi. Ora rifletti attentamente
nella tua mente. Il detto ponte formava una lieve curva discendente,
come dimostrava l’ingegnosa disquisizione, e la maestria e
l’ingegno dell’attento artefice e inventore faceva grande lode in
esso dell’eterna solidità, la quale è sconosciuta agli accecati
moderni, e pseudoarchitetti, senza letteratura, misura e arte,
colorando con dipinti e ricoprendo i lineamenti delle parti migliori
con ogni mezzo l’edificio sproporzionato e deforme. Che era di
graziosissimo marmo proveniente da Imetto
.
Avendo
attraversato il ponte, procedevamo sotto le fresche ombre, tra il
vario cinguettio degli uccellini che soavemente le celebravano.
Arrivammo ad una roccia muschiosa, dove gli elevati e ripidi monti si
innalzavano. E da lì, dopo proseguimmo verso una erta, impraticabile
e scabrosa montagna, tutta corrosa e piena di asperità. Elevata fino
in cielo, con la sommità concava, era spoglia di ogni vegetazione, e
circondata da monti. E qui erano intagliate le tre porte bronzee
(randuscule) , , , ,
(sic.
Ariani-Gabriele...
vi
erano scolpite tre porte disadorne),
rudemente sbozzate nella nuda pietra, opera di antica fattura, e
oltre il credere antichissima in un luogo selvaggio.
|
Inoltre,
per la parola randuscule,
l’editore accetta la variante di Varrone(v.n. 8 ),
infatti non è presente nelle errata
(PDF-BSB-464, quaderno F, carta 4, foglio 1).
L’HP,
anche da una lettura parziale, risulta essere ricca di metonomie,
probabilmente usate con lo scopo di dire senza mostrare apertamente
contenuti che avrebbero potuto rivelarsi scomodi per l’autore. Le
tre porte, definite randuscule,
sembrano far riferimento, mediante figura retorica, oltre al
materiale con cui sono state fabbricate, anche ad un luogo ben
preciso sito in Roma, ovvero alla Porta Raudusculana che, con la
Nævia e la Lavernalis, figurava tra le porte meridionali della cinta
muraria serviana .
Rintracciabile sul piccolo Aventino o San Saba, la porta in questione
è legata, non solo al prodigioso episodio accaduto, secondo una
leggenda, intorno al V sec. a.C., al romano Genucio Cipo e narrato da
Valerio Massimo nel suo libro di racconti morali nel I sec. a.C. ,
ma anche alla chiesa di Santa Balbina, la quale, edificata, forse,
sul Titulus Tigridae ,
venne restaurata nel 1489
per volere del cardinale Marco Barbo, nipote del papa Paolo II, prima
nemico e poi sostenitore dell’Accademia Romana nella quale sembra
nascere l’incunabolo.
Nella
pagina PDF-BSB-135, quaderno i, carta 1, foglio 2, linea 1, le stesse porte sono definite ænee.
L’aggettivo latino ,
che significa bronzeo, richiama alla memoria, per assonanza, Enea
che, secondo la tradizione genealogica cara alla famiglia Colonna, in
qualità di figlio di Venere e Anchise, ha iniziato, attraverso la
Gens Romilia e la Gens Julia, quella colonnese .
Il
testo commentato da Ariani-Gabriele ignora le metonimie e i
riferimenti contingenti posti dall’autore .
Le
tre porte
Polifilo, giunto alle tre porte, riferisce che ognuna di esse è sovrastata da intestazioni riportate in quattro lingue: dal basso, latino, greco, ebraico ed arabo ma legge solo i titoli greci e, forse, per questa ragione è lecito persare che le fonti cui pensasse l'autore, come riferimenti culturali e letterari, fossero, appunto, principalmente greche, sebbene anche in latino possano rintracciarsi relazioni con gli autori classici.
Riguardo alle intestazioni redatte nelle lingue orientali, è probabile che siano traduzioni letterali dal greco o dal latino, un po' per la lontananza dai riferimenti pagani, un po' perchè le parole usate, almeno in ebraico, nonostante le frasi siano corrette e il senso arrivi al lettore, non sono del tutto appropriate.
|
Figura
4. Xilo-037=PDF-BSB-132; quaderno h, carta 8, foglio 1; cartulazione moderna 64 r
|
Sopra qualunque delle quale, di charactere Ionico, Romano, Hebraeo, et
Arabo, vidi el titulo che la Diva Regina Eleuterilyda haveami
praedicto et pronosticato, che io ritroverei. La porta dextra havea
sculpta questa parola. THEODOXIA. Sopra della sinistra questo dicto.
COSMODOXIA. Et la tertia havea notato cusì. EROTOTROPHOS.
Da
poscia che nui quivi applicassimo immediate, le Damigelle comite
incominciorono ad interpretare disertamente, et elucidare gli notandi
tituli, et pulsando alle resonante valve dextere occluse, di metallo,
di verdaceo rubigine infecte, sencia dimorare furon aperte .
|
Sopra ognuna di esse, in caratteri greci, latini, ebraici e arabi, vidi il
titolo che la Divina Regina Eleutherilyda mi aveva predetto e
pronosticato che io avrei trovato. Sulla porta destra vi era scolpita
questa parola ΘΕΟΔΟΧΙΑ.
Sopra a quella sinistra questo detto ΚΟΣΜΟΔΟΧΙΑ. e la terza
aveva questa nota. ΕΡΩΤΟΤΡΟΦΟΣ.
Subito dopo esserci avvicinati, le Damigelle riunite iniziarono ad
interpretare eloquentemente e a spiegare i titoli da scegliere, e
spingendo le risonanti ante destre chiuse, infette di metallo e di
verdacea ruggine, senza indugiare furono aperte.
|
Esegesi
delle scritte
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Figura
5. : Xilo-037=PDF-BSB-132; quaderno h, carta 8, foglio 1; cartulazione moderna 64r (particolare delle scritte)
|
Intestazioni
in Latino
Per
quel che riguarda le scritte latine, si nota la mancanza della
lettera A in GLORI DEI e nelle Errata
non è presente la correzione.
MATER
AMORIS è definita Venere Citerea nelle Epistolae
ex Ponto
di Ovidio, precisamente nella VII lettera scritta da Didone ad Enea.
Intestazioni
in Greco
Θεοδοξία,
ας,
¹
[δόξα]
gloria divina, Clem. 54 e
Ερωτοτρόφος,
ον, [τρέφω]
che nutre l’amore, Orf
e
Κοσμοδοξία,
voce assente. κοσµικοδοξία
è la parola più affine trovata, ma fa parte del vocabolario
moderno.
Intestazioni
in Ebraico
(copia diplomatica, trascrizione fonetica, traduzione)
L’artefice
dei caratteri ebraici era Francesco Griffo, tipografo, si pensa
bolognese, che ha praticato l’apprendistato a Padova prima di
trasferirsi, nel 1494, presso la tipografia di Aldo Manuzio. Suoi
sono anche i tipi greci e latini, comparsi nella forma tonda, proprio
in occasione dell’edizione dell’Hypnerotomachia Poliphili, nel
1499 .
La
scrittura della lingua ebraica si svolge da destra verso sinistra
così, per facilitare la distinzione delle singole parole, le ho
evidenziate con i colori. Per una più ampia accezione delle parole
ebraiche ho usato il vocabolario del Fontanella.
Riguardo
la lingua ebraica, è possibile trarre da essa significati occulti ed
esoterici. Riporto, di seguito, quanto mi ha, generosamente, riferito
un israeliano.
«Sopra
la prima porta da destra c'è scritto in ebraico "tiferet
ha olam ",
"gloria del mondo" anche se la parola con cui è scritta in
ebraico non significa propriamente 'gloria' ma è uno dei 10 valori
della kabala, più precisamente è 'tiferet'- prima parola da destra
sulla porta - che nella kabala rappresenta non proprio gloria ma
una via di mezzo tra "potere" e " benevolenza".
Sulla
porta centrale c'è scritto "ghidul ha ahava" che alla
lettera vuol dire "far crescere l'amore" dove 'ahava' è
amore; mentre sulla porta a sinistra c'è scritto "tiferet ha
el" che alla lettera vuol dire 'gloria di dio' ma ricorda sempre
che tiferet è l'elemento della kabala di cui abbiamo parlato
prima! Comunque nell'ebraico moderno 'tiferet' vuol dire bellezza
o grazia.»
Voci
dal dizionario :
Gloria, Dio, Madre, Amore, Mondo
|
Figura
6. Vocabolario Italiano-Ebraico, Gloria
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Figura
7. Vocabolario Italiano-Ebraico, Dio
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Figura
8. Vocabolario Italiano-Ebraico, Madre
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Figura
9. Vocabolario Italiano-Ebraico, Amore
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Figura
10. Vocabolario Italiano-Ebraico, Mondo
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ALFABETO
EBRAICO (porzione relativa alla scheda)
TAV
"Sigillo
del santo, Benedetto Egli Sia"
Forma:
un marchio o sigillo. Segreto dei fossili: impressione del mondo del
Tohu rimasta in questo mondo. Ciò che è rimasto della caduta di
quel mondo pur spirituale e sviluppato. Una Dalet e una Nun:
svuotamento di sé e umiltà. Il marchio rimasto nell'anima da
precedenti reincarnazioni.
Nome:
lettera, sigillo, impressione. Caino ricevette un segno sulla fronte,
simbolo della sua caduta ma anche origine di protezione. Marchio
posto sulle anime destinate alla vita eterna. In aramaico significa
'più, ancora'. Apertura verso l'infinito. Ultima lettera della
parola 'emet' (verità), ultima lettera dell'alfabeto, sigillo
dell'opera di Dio.
Numero:
400. Anni dell'esilio in Egitto, fase ultima della discesa e della
creazione dei mondi inferiori. 400 miglia persiane: la lunghezza e la
larghezza ideale della Terra d'Israele. 400 mondi di gioia e di
beatitudine nel mondo a venire, il compimento di ogni desiderio
dell'anima. 400 è il numero del compimento.
PHE’
"Le
parole della bocca del saggio sono armonia"
(Qoelet 10,12)
Forma:
Una bocca aperta, con un dente in alto. Pericolo del pettegolezzo o
della menzogna (Pharo , faraone, = PE RA =t bocca cattiva). Al
positivo : la capacità di dire cose buone sul conto di tutti. I
denti sono simbolo di sapienza (32 sono i cammini della sapienza),
capacità di rettificare la realtà.
Nome:
bocca. La bocca di Mosè, che parlava con Dio " bocca a bocca".
Organo di rivelazione del pensiero, dello spirito (ruach). Nel bacio
d'amore vero e realizzato tra amante e amata c'è l'unione di 2+2 = 4
spiriti (Zohar sul Cantico dei Cantici), e l'esperienza diretta del
livello del messia, su cui aliteranno quattro spiriti (Isaia 11).
Numero:
Ottanta. Età di Mosè quando ricevette la Torà. Età in qui il
processo di rettificazione e di purificazione della Sefirà di Yesod
(80) è completato.
ALEF
"
unione degli
opposti"
Forma:
Acque superiori e acque inferiori, con il firmamento `
nel mezzo. Il firmamento separa ma anche unisce i diversi campi di
energia nel cosmo. Le acque superiori sono l'amore divino (Chesed),
quelle inferiori sono le emozioni umane. Il firmamento è il canale
che le unifica, costituito dal 'servizio divino'. Acque superiori:
'Luce che circonda i mondi'; acque inferiori: 'Luce che riempie i
mondi'; firmamento: segreto della "Restrizione" e dell'
"impressione" (reshimo)
Nome:
"Alefkhà Hokmà" (Giobbe 33,33) "Ti insegnerò la
sapienza". La potenza di Dio di insegnarci la sua sapienza
infinita. "Alufò shel olam" = "Il capo
dell'universo": l'assoluta sovranità di Dio, controllore e re
supremo del cosmo.
Numero:
Uno = l'unità, base e chiave di ogni numero, di ogni conto. L'unità
del popolo di Dio. L'unità, del popolo di Dio. L'unità di Dio
("Shemà Israel YHVH nostro Dio YHVH è UNO").
RESH
"La
testa del Benedetto in verità "
.
Forma:
Una testa piegata. Il cervello, La potenza del pensiero. Una curva,
simbolo del cambiamento di direzione. Teshuvà (conversione del
cuore), ritorno a Dio dopo un lungo periodo di lontananza.
Nome:
Un uomo povero. La povertà del pensiero umano se non è connesso con
la sua radice trascendente. Oppure: Resh significa 'rosh' = testa. Le
tre 'estremità di Keter.
Numero:
Duecento. 200 'zuzim' era l'ammontare di denaro che differenziava un
povero da un ricco. 200 è la ghematria di 'etzem' (essenza). La
testa contiene l'essenza della personalità, il segreto della sua
unicità.
HEY
"Rivestimenti
dell'anima"
Forma:
le tre dimensioni dello spazio, simbolo della rivelazione di ogni
idea nascosta. I tre rivestimenti della potenza dell'anima: Pensiero,
Parola, Azione. Immanenza di Dio nella creazione.
Nome:
'Nihieti'= espressione di dolore. Hey è la lettera della
manifestazione della realtà separata, della nascita. Il pianto del
neonato. Hey è anche il grido di sorpresa alla rivelazione della
Divinità insita nella creazione.
Numero:
Cinque. I cinque pianeti visibili. I cinque livelli dell'anima
(Nefesh, Ruach, Neshamà, Chayà Yechidà). I cinque libri della Torà
(Pentateuco). Numero dell'auto-espressione.
'AIN
"La
luce degli occhi"
Forma:
Radici che entrano in profondità. La radice comune di tutte le anime
e di tutti i popoli.
Nome:
Occhio. Simbolo della sapienza. Vedere è una funzione di Chokhmà,
sentire è una funzione di Binà. L'occhio dell'anima che cerca la
visione pristina di Dio. L'occhio di Dio, sempre aperto a proteggere
la creazione. 'Ain' significa anche 'sorgente'. Simbolo della
capacità di entrare nel profondo della realtà, alla ricerca delle
acque di vita.
Numero:
Settanta. Numero della collettività. Settanta nazioni, settanta
lingue. Settanta discendenti di Giacobbe scesero in Egitto. Settanta
membri del Sinedrio, suprema autorità giudiziaria. Settanta volti
della Torà. Età della vera sapienza.
VAV
"Estensione
ed unificazione"
Forma:
un pilastro. Una persona eretta. Il 'pilastro centrale' (amuda de
emtzaita ), la linea della verità che attraversa l'intera
realtà. La colonna vertebrale, lungo la quale il seme discende dal
cervello all'organo sessuale.
Nome:
'uncino'= ogni parte della realtà possiede degli 'uncini', dei
'ganci', che sono la sua connessione potenziale con ogni altra parte
o dettaglio. Capacità dell'anima di connettersi con altre anime.
Numero:
Sei. I sei giorni della creazione. Le sei direzioni dello spazio.
Numero dell'attività lavorativa. Le sei emozioni del cuore (Amore,
Timore, Misericordia, Sicurezza, Semplicità, Verità).
LAMED
"La
torre che vola nell'aria"
Forma:
la lettera più alta dell'alfabeto, una nave spaziale.
l
Potenza dell'anima di ascendere. Aspirazione ed inspirazione. Scala
di Giacobbe (Sullam), la potenza di ascendere e di discendere,
quadratura del cerchio).
Nome:
insegnare e imparare. L'atto più importante nella vita dell'ebreo
religioso. Iniziale della parola 'lev' (cuore), la vera sapienza è
quella del cuore.
Numero:
Trenta. Numero della forza. Entrata nel futuro. Numero di Yehudà, il
re d'Israele.
MEM
"Acque
di vita"
Forma:
Può essere aperta (sorgente d'acqua in superficie), oppure chiusa (acque nascoste nel profondo della terra). Simboleggia la parte
dell'anima che si incarna e quella che rimane sempre connessa coi
mondi superni. Con la venuta del Messia anche questa parte dell'anima
sarà rivelata, insieme col suo potenziale di vino. Mem quadrata:
potenza creativa dell'anima: creare altre anime tramite la vera
unione.
Nome:
Acqua, simbolo d'amore. Lettera della semplicità, capacità di
essere se stessi sino in fondo.
Numero:
Quaranta. Numero della purificazione (il Diluvio durò quaranta
giorni). Numero della comprensione (Binà).
GIMEL
"Ratzo
va-shov"
("correvano e ritornavano" Ezechiele 1,14)
Forma:
una persona nell'atto di correre. Potenza del movimento. Ogni anima è
in costante movimento; corre al di fuori di se stessa fino a Dio, e
ritorna in sé per servirlo meglio. Potenza di progredire, di lasciare
l'insoddisfacente per cercare il divino.
Nome:
'gmilut hasadim' = elargire carità e beneficenza. Oppure:
'cammello', simbolo di un lungo viaggio al sud, in cerca di sapienza.
Numero:
Tre. Numero di stabilità e di equilibrio. Tre elementi, Fuoco, Aria,
Acqua, che riposano su di un quarto, la Terra. Il popolo di Israele è
tripartito: Cohanim, Leviim, Israelim; vi sono tre patriarchi:
Abramo, Isacco, Giacobbe. La Torà ha tre parti. Le tre 'estremità
di Keter': la triripartizione all' interno della Luce Infinita.
Numero di forza e di durata: "ha chut ha-meshulas lo bi-maherà
inatek" (Qohelet 4,12) = 'la corda triplice non verrà spezzata
con facilità'.
DALET
"Nullificazione
di se stessi"
Forma:
una persona umilmente inchinata, la potenza di annullare se stessi e
il proprio ego.
Nome:
'delet' = porta. Il farsi piccoli e il piegarsi di fronte alla
volontà di Dio sono la porta della crescita dell' anima. 'Dalut' =
povertà (Dalet è il povero al quale il ricco, Ghimel, dona con
abbondanza). Capacità dell'anima di riconoscere la propria povertà.
BEIT
"La
casa dalla scelta"
Forma:
Un recipiente chiuso da tre lati (Est, Sud, Ovest) e aperto da un lato
(Nord), per dare la possibilità al male di esistere, onde vi sia
'libera scelta'. Due stati di conoscenza di Dio: essoterica (aperta)
ed esoterica (chiusa).
Nome:
'Casa', la casa dell'universo. Beit è la prima lettera della Torà,
la lettera della creazione. Il lato femminile dell'anima, il concetto
di 'ricezione', di disponibilità. Rettificazione finale di tutta la
realtà, che deve divenire la "casa di Dio" (Beit è
l'iniziale di 'berakhà' = benedizione).
Numero:
Due. Inizio della pluralità, della creazione. Segreto dell'anima che
ama Dio ('neshamà' = 'mishne'); l'anima è seconda solo a Dio. Dio è:
'il paradosso di ogni paradosso, in quanto appare duplice, ma la sua
essenza ultima è al di là di ogni dualità' .
Intestazioni
in Arabo
Per
quanto riguarda le iscrizioni arabe, chi ha inciso la matrice
dell’illustrazione conosceva la lingua o, forse, la conosceva
qualcuno che ha suggerito le scritte. In entrambi i casi i titoli
sono stati pensati per qualcuno che aveva dimestichezza con l’Arabo,
non tanto per la mancanza degli accenti, ma perché le lettere sono
articolate e disposte secondo il criterio della scrittura cufica
e, perciò, di difficile interpretazione e se, come in una Stele di
Rosetta, non fossero stati presenti gli stessi contenuti in idiomi
maggiormente noti, anche un madrelingua avrebbe incontrato delle difficoltà a sciogliere le lettere
Come
già rilevato da Piemontesi ,
sono presenti delle imprecisioni. Degno di nota è lo scambio delle
iscrizioni delle porte destra e sinistra.
Le
parole arabe, come è stato per le scritture ebraiche, saranno
distinte con i colori e abbinate alle rispettive traduzioni .
Nella tabella è stata ripristinata la posizione corretta delle
intestazioni. Altre inesattezze di trascrizione si riscontrano nella
parola amore
della titolazione della porta centrale: anziché
m’hàbbat, è
scritto m’giàbbah .
Alle
lettere arabe, come nell’alfabeto ebraico, corrisponde un numero.
Questo criterio, chiamato Basmala (la comune formula scritta
in lingua araba, con la quale iniziano tutte le sure del Corano,
eccetto la IX), e cioè بسم
الله الرحمن الرحيم (Bi-smi
'llāhi al-Rahmāni al-Rahīmi, In nome di Dio, il Clemente, il
Misericordioso) avrebbe un valore di 786 (2+60+40 + 1+30+30+5 +
1+30+200+8+40+50 + 1+30+200+8+10+40), mentre la sola parola Allah
(Dio) ha valore 66. La cifra fa riferimento al cosiddeto quadrato
magico di Allah.
(copia diplomatica, trascrizione fonetica, traduzione)
Voci
dal dizionario :
Gloria, Dio, Madre, Amore, Mondo
|
Figura
11. Dictionnaire Francaise-Arabe, Gloria
|
|
Figura
12. Dictionnaire Francaise-Arabe, Dio
|
|
Figura
13. Dictionnaire Francaise-Arabe, Madre
|
|
Figura
14. Dictionnaire Francaise-Arabe, Amore
|
|
Figura
15. Dictionnaire Francaise-Arabe, Mondo
|
ALFABETO
ARABO (porzione relativa alla scheda)
La
alif (ا)
è la prima lettera dell'alfabeto arabo.
Assieme
alla lettera ebraica aleph
(א),
alla lettera greca alfa
(A,α) e alla lettera latina a
(A,a), deriva dal fenicio 'āleph
,
a sua volta derivante dal proto-cananeo 'alp
("bue").
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﻡ
|
…ﻣ
|
…ﻤ…
|
ﻢ…
|
Mīm
è la ventiquattresima lettera dell'alfabeto arabo. Nella numerazione
abjad essa assume il valore 40. Questa lettera deriva secondo alcuni
da
dell'alfabeto
nabateo, secondo altri da ܡܡ
dell'alfabeto siriaco. In ogni caso deriva da mem
dell'alfabeto aramaico (),
che nacque dalla mem dell'alfabeto fenicio (),
generata dalla mem
dell'alfabeto proto-cananeo ().
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﺝ
|
…ﺟ
|
…ﺠ…
|
ﺞ…
|
Ǧīm
è la quinta lettera dell'alfabeto arabo. Nella numerazione abjad
assumeva il valore di 3. Nella traslitterazione dall'arabo è
comunemente associata a j.
Questa lettera deriva secondo alcuni da
dell'alfabeto
nabateo, secondo altri da ܓ
dell'alfabeto
siriaco. In ogni caso deriva da gimel
dell'alfabeto aramaico (),
che nacque dalla gimel
dell'alfabeto fenicio (),
generata dalla gaml
dell'alfabeto proto-cananeo ().
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ح
|
…ﺣ
|
…ﺤ…
|
ﺢ…
|
Ḥāʾ
è la sesta lettera dell'alfabeto arabo. Secondo la numerazione abjad
questa lettera corrisponde al numero 8.
Graficamente è
molto simile alla lettera ǧīm,
da cui differisce esclusivamente per la mancanza del punto al di
sotto del grafema. Questa lettera deriva secondo alcuni da
dell'alfabeto
nabateo, secondo altri da ܚ
dell'alfabeto
siriaco. In ogni caso deriva da heht
dell'alfabeto aramaico (),
che nacque dalla heth
dell'alfabeto fenicio (),
generata dalla het
dell'alfabeto proto-cananeo ().
Foneticamente corrisponde alla fricativa faringale sorda ([ħ]). Per
la sua particolarità e relativa difficoltà di pronuncia è uno
shibboleth. Ḥāʾ
viene scritta in varie forme in funzione della sua posizione
all'interno di una parola. Nella traslitterazione dall'arabo è
comunemente associata a ḩ.
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﺩ
|
… ﺩ
|
…
ﺪ…
|
ﺪ…
|
Dāl
è l'ottava lettera dell'alfabeto arabo. Secondo la numerazione abjad
essa valeva 4. Nella traslitterazione dall'arabo è comunemente
associata a d. Questa lettera deriva secondo alcuni da
dell'alfabeto
nabateo, secondo altri da ܕ
dell'alfabeto
siriaco. In ogni caso deriva da daleth dell'alfabeto aramaico
(),
che nacque dalla daleth dell'alfabeto fenicio (),
generata dalla digg dell'alfabeto proto-cananeo ().
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﻝ
|
…ﻟ
|
…ﻠ…
|
ﻞ…
|
Lām
è la ventitreesima lettera dell'alfabeto arabo. Nella numerazione
abjad essa assume il valore 30. Nella traslitterazione dall'arabo è
comunemente associata a l. Questa lettera deriva secondo
alcuni da
dell'alfabeto
nabateo, secondo altri da ܠ
dell'alfabeto
siriaco. In ogni caso deriva da lamed dell'alfabeto aramaico
(),
che nacque dalla lamedh dell'alfabeto fenicio (),
generata dalla lamd dell'alfabeto proto-cananeo ().
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﻩ
|
…ﻫ
|
…ﻬ…
|
ﻪ…
|
Hāʼ
è la ventiseiesima lettera dell'alfabeto arabo. Nella numerazione
abjad essa assume il valore 5 (questa numerazione si basa infatti
sull'antico ordine delle lettere nell'alfabeto semitico
nordoccidentale, dove per l'appunto hē
era la quinta lettera). Foneticamente corrisponde alla fricativa
glottidale sorda ([h]). Questa lettera deriva secondo alcuni da
dell'alfabeto
nabateo, secondo altri da ܗ
dell'alfabeto
siriaco. In ogni caso deriva da he
dell'alfabeto aramaico (),
che nacque dalla he
dell'alfabeto fenicio (),
generata dalla haw
dell'alfabeto proto-cananeo ().
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﺏ
|
…ﺑ
|
…ﺒـ…
|
ﺐ…
|
Bāʼ
è la seconda lettera dell'alfabeto arabo. Nella numerazione abjad il
suo valore è pari a 2. Nella traslitterazione dall'arabo è
comunemente associata a b.
Questa lettera deriva secondo alcuni da
dell'alfabeto
nabateo, secondo altri da
dell'alfabeto
siriaco. In ogni caso deriva da Beth
dell'alfabeto aramaico (),
che nacque dalla bēth
dell'alfabeto fenicio (),
generata dalla bet
dell'alfabeto proto-cananeo ().
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﻥ
|
…ﻧ
|
…ﻨ…
|
ﻦ…
|
Nūn
è la venticinquesima lettera dell'alfabeto arabo. Nella numerazione
abjad essa assume il valore 50. Nella traslitterazione dall'arabo è
comunemente associata a n. Questa lettera deriva secondo
alcuni da
dell'alfabeto
nabateo, secondo altri da ܢܢ
dell'alfabeto
siriaco. In ogni caso deriva da nun dell'alfabeto aramaico
(),
che nacque dalla nun dell'alfabeto fenicio (),
generata dalla nahs dell'alfabeto proto-cananeo ().
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ة
|
—
|
—
|
ﺔ…
|
Tāʼ
marbūṭa
("Ta
legata") è una variante della lettera dell'alfabeto arabo tā’,
utilizzata unicamente alla fine di una parola. La tāʼ
normale, per distinguerla dalla tāʼ
marbūṭa,
è spesso chiamata ta
maftūḥa
("ta
aperta"). Nella traslitterazione dall'arabo è comunemente
associata a h
o t,
a seconda dei casi.
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﻩ
|
…ﻫ
|
…ﻬ…
|
ﻪ…
|
Hāʼ
viene scritta in
varie forme in funzione della sua posizione all'interno di una
parola. Nella traslitterazione dall'arabo è comunemente associata a
h.
Forma
isolata
|
Forma
iniziale
|
Forma
intermedia
|
Forma
finale
|
ﻱ
|
…ﻳ
|
…ﻴ…
|
ﻲ…
|
Yāʼ
viene scritta in varie forme in funzione della sua posizione
all'interno di una parola:
Nella
traslitterazione dall'arabo è comunemente associata a y.
Solitamente
ha valore di consonante ([j])
quando è posta all'inizio della parola, ha valore di vocale lunga
([u:])
quando è in mezzo o alla fine della parola.
Essa,
inoltre, può fungere da base per la hamza: ئ.
|
Figura
16. Xilo-11=PDF-BSB-034, quaderno b, carta 8, foglio 1; cartulazione moderna 15r
|
Figura
16:
Nella
xilografia in esame, sono presenti altre due scritte definite
dall’autore Ionice,
& Arabe, poste
sullo stendardo affisso sulla fronte dell’Elefante Obeliscoforo e
recita così: “FATICA E OPEROSITA’ ”.
In
riferimento alla traduzione dal Greco, tramite riscontro effettuato
con il vocabolario ,
il testo riporta le parole: “ΓΟΝΟΣ”
ovvero origine, stirpe, nascita; “ΚΑΙ”
ovvero e; “ΕΥΦΥΙΑ”
ovvero favorevole posizione (si rammenta che il prefisso ευ-
esprime la bontà del concetto che ad esso segue). La versione, qui
indicata, è maggiormente in accordo con quanto esprime Enea Silvio
Piccolomini. Infatti, la sua lettera, redatta in forma
onirico-dialogica e inviata a Procopio di Rabenstain nel 1444 per
consolare l’umanista della mancata promozione e del relativo
riconoscimento di merito, è una invettiva contro la Fortuna e fu
pubblicata a Roma nel 1475-76 come Somnium
de Fortuna. Nel
dettaglio, a p. 74 r.17 e segg., del testo Hypnerotomachia
Poliphili di
Stefano Colonna ,
il futuro Pio II dichiara per bocca di Maffeo Vegio Lodigiano che “Se
[Fortuna] avesse voluto ... , avremmo ottenuto la gloria non per la
nostra virtù, ma per sorte di nascita”. Tale riferimento,
applicato all’illustrazione dell’Elefante Obeliscoforo, si
inserisce a pieno titolo in quella dialettica degli opposti fatta per
ossimori, non solo testuali, ma anche, visivi: il massimo della
pesantezza e il massimo della leggerezza fisiche e intellettuali
convivono nel perpetuo equilibrio.
L'iscrizione, qui presentata e redatta nel registro inferiore in caratteri arabo-cufici,
è stata ampiamente affrontata dall’arabista Piemontese .
|
Figura
17. Tratta da Collezione di tutte le antichità, pag. 222 tav. 396
|
|
Figura
18. Tratta da Collezione di tutte le antichità, pag. 222 tav. 396, partic.
|
Fig.19
|
Figura 19.
Xilo-13=PDF-BSB-036
|
Per
la quale cosa di curiosa aviditate grandemente incitato,
introgresso montai. Ove cavo tutto et vacuo il maximo et
prodigioso monstro, et cavernato il trovai. Excepto, che il
medesimo sodo era relicto ancora intestino, quale extimo stava
subiecto. Et havea tanta itione, et verso il capo, et verso la
parte postrema, quanto che l’homo naturale facea transito. Et
quivi nel convexo del dorso suspensa, cum laquei erei ardea una
lampada inextinguibile. Cum illuminatione carceraria. Per la quale
in questa posterga parte, mirai uno antiquario sepulchro concesso
alla propria petra, cum una perfecta imagine virile et nuda,
quanto il naturale commune,
incoronata,
dil Saxo, nigerrima. Cum gli denti, ochii, et ungue di lucente
argento intecti. Sopra stante al sepulchrale coperto inarcuato, et
di squammea operatura investito, et di altri exquisiti liniamenti.
Monstrava cum uno inaurato sceptro di ramo extenso il bracio, la
parte anteriore. Et nella sinistra teniva uno carinato scuto,
exacta la forma dal osso capitale equino, inscripto di tri idiomi,
cum picole notule. Hebraeo, Attico, et Latino, di tale sententia.
[Immagine]
[Immagine]
ΓΥΜΝΟΣ
ΗΝ,
ΕΙ
ΜΗ
ΑΝ
ΘΗΡΙΟΝ
ΕΜΕ
ΚΑΛΥΨΕΝ.
ΖΗΤΕΙ, ΕΥΡΗΣΗ
ΔΕ. ΕΑΣΟΝ ΜΕ.
NUDUS
ESSEM, BESTIA NI ME TEXISSET.
QUAERE,
ET INVENIES. ME SINITO.
Per
la quale inusitata cosa i' stetti non mediocremente stupido cum
alquanto horrore. Diqué non troppo differendo converso ad lo
ritorno, vidi il simigliante ardere et lucere un’altra lucerna,
come dinanti è dicto. Et facendo transito sopra lo hiato dil
salire,
ivi verso il capo dill’animale. Et in questo lato ancora una
medesima factura di veterrima sepultura trovai. Et la
statua
supra stante di tutto, quale l’altra, se non che era regina, la
quale sublevato il
dextro
bracio cum l’indice signava la parte retro le sue spalle, et cum
l’altro teniva una
tabella
ritinuta cum il coperto et cum la mano sua indivisa. Nella quale
etiam inscripto
era
tale epigramma in tri idiomi.
[Immagine]
[Immagine]
ΟΣΤΙΣ
ΕΙ, ΛΑΒΕ ΕΚ ΤΟΥΔΕ ΤΟΥ ΘΗΣΑΥΡΟΥ, ΟΣΟΝ ΑΝ
ΑΡΕΣΚΟΙ. ΠΑΡΑΙΝΩ ΔΕ ΩΣ ΛΑΒΗιΣ ΤΗΝ ΚΕΦΑΛΗΝ.
ΜΗ ΑΠΤΟΥ ΣΩΜΑΤΟΣ.
QUISQUIS
ES,
QUANTUNCUNQUE
LIBUERIT
HUIUS
THESAURI
SUME.
AT MONEO.
AUFER CAPUT. CORPUS NE TANGITO.
Di
tanta novitate digna di relato mirabondo, et degli aenigmati
praelegendoli saepicule, dil tutto io restai ignaro, et dilla
interpretatione et sophismo significato molto ambiguo. Non era
auso perciò alcuna cosa pertentare. Ma quasi incusso da timore in
questo loco tetro et illumino, quantunque gli fusse il lucernale
lume, niente di manco il solicito desiderio di contemplare la
triumphante porta stimulante, più legitima causa fue che quivi
non dimorasse, che altro. Diqué sencia altro fare, cum pensiero
et proposito per omni modo dapò la contemplatione di essa porta
mirabile, un’altra fiata quivi ritornare, et più
tranquillamente speculare tale magnificentia de invento dagli
humani ingegni, citissimo all’apertura perveni. Et descendando
uscivi fora dil exviscerato monstro. Inventione inexcogitabile, et
sencia existimatione, excesso di faticha, et temerario auso
humano, quale Trepano terebrare tanta durecia et contumacia di
petra, et evacuare tanta duritudine di materia, overo altre
fabrile machine poteron? Concordemente conveniendo il cavato
introrso cum la forma exteriore. Finalmente sopra la piacia
ritornato, vidi in questo porphyretico
basamento
in circuito inscalpto dignissimamente tali hieraglyphi.
|
Perciò, grandemente mosso da
una curiosa avidità, montai all’interno. Trovai tutto scavato e
assolutamente vuoto e cavo il prodigioso mostro. Excepto, che lo
stesso corpo era abbandonato all’interno, che credo stava
subiecto. E si poteva andare, e verso la testa, e verso la parte
posteriore, quanto l’uomo naturalmente può camminare. E qui dal
dorso arcuato, ardeva senza mai esaurirsi una lampada sospesa con
lacci al soffitto. Con un’illuminazione fievole. Grazie alla
quale in questa parte posteriore, notai un antico sepolcro
scolpito nella stessa pietra, con una perfetta immagine virile e
nuda, a grandezza naturale, incoronata, da un masso, nerissima.
Aveva i denti, gli occhi e le unghie di lucente argento
incastonati. Sopra al coperchio arcuato del sepolcro, e di
decorazione a squame ricoperto, e di altri squisiti tratti.
Mostrava con uno scettro di legno dorato che gli estendeva il
braccio, la parte anteriore. E nella sinistra teneva uno scudo
carenato/convesso , che aveva la forma esatta dell’osso frontale
del cavallo, iscritto da tre idomi,con piccole note, Ebreo, Attico
e Latino, di tale sentenza.
[Immagine]
[Immagine]
ΓΥΜΝΟΣ
ΗΝ, ΕΙ ΜΗ ΑΝ ΘΗΡΙΟΝ ΕΜΕ ΚΑΛΥΨΕΝ. ΖΗΤΕΙ,
ΕΥΡΗΣΗ ΔΕ. ΕΑΣΟΝ ΜΕ.
NUDUS
ESSEM, BESTIA NI ME TEXISSET.
QUAERE,
ET INVENIES. ME SINITO.
Per
la cosa insolita me ne stetti enormemente istipidito e con molto
spavento. Dopo di che similmente giratomi intorno, vidi il simile
ardere e illuminare di un’altra lanterna, come è detto di
seguito. E così facendo. vado sopra all’apertura per salire, lì
verso la testa dell’animale. E da questo lato trovai ancora una
medesima opera di un’antichissima sepoltura. E la
statua
soprastante, come l’altra se non per il fatto che era una
regina. la quale sollevato il braccio destro con l’indice
segnava la parte posteriore alle sue spalle e con l’altro teneva
una tabella tutt’uno con il coperchio e unitac alla sua mano.
Anche nella quale era iscritto un epigramma in tre lingue.
[Immagine]
[Immagine]
ΟΣΤΙΣ
ΕΙ, ΛΑΒΕ ΕΚ ΤΟΥΔΕ ΤΟΥ ΘΗΣΑΥΡΟΥ, ΟΣΟΝ ΑΝ
ΑΡΕΣΚΟΙ. ΠΑΡΑΙΝΩ ΔΕ ΩΣ ΛΑΒΗιΣ ΤΗΝ ΚΕΦΑΛΗΝ.
ΜΗ ΑΠΤΟΥ ΣΩΜΑΤΟΣ.
QUISQUIS
ES,
QUANTUNCUNQUE
LIBUERIT
HUIUS
THESAURI
SUME.
AT MONEO.
AUFER CAPUT. CORPUS NE TANGITO.
Di
tanta novità degna di una relazione ammirata, e degli enigmatici
testamenti divulgati, io restai ignaro, sia dell’
interpretazione che del misterioso dignificato molto ambiguo. Non
era il caso di intraprendere alcuna iniziativa. Ma quasi spinto da
paura in questo luogo tetro e illumino, per quanto ci fosse la
luce della lanterna, niente meno che il sollecito desiderio di
contemplare la trionfante porta invitante, fu la legittima causa
che qui no dimorasse e non altro. Quindi senza fare altro, con
pensiero e proposito ad ogni modo per un po’ la contemplazione
di questa porta mirabile, ancora una volta ritornare qui, e più
tranquillamente ammirare tale magnificenza dell’invenzione degli
umini ingegni, rapidissimo all’apertura arrivai. E scendendo
uscivo fuori dall’incavato mostro. Invenzione impensabile, e
senza progettazione, eccesso di fatica, e temerario uso umano,
quale trapano perforare tanta durezza e inflessibilità della
pietra, e estirpare tante durezza di materia, ovvero poterono
altre instancabili macchine? Concordemente convenendo l’interno
scavato con la forma esteriore. Finalmente tornato alla spiaggia,
vidi in questo marmoreo
basamento in circolo
scolpito in maniera degnissima tali geroglifici.
|
|
Figura
19. Xilo-13=PDF-BSB-036; quaderno b, carta 8, foglio 1; cartulazione moderna 16r
|
|
(copia diplomatica, trascrizione fonetica, traduzione)
L’immagine
potrebbe collegarsi al mito di Giasone che, dopo aver sedotto la principessa di Lemno, Isifile e poi Medea, figlia del re colchide Oeta, la abbandona. Lo stesso Dante lo ricorda
nel XVIII canto, 86 della Commedia, collocandolo tra gli ingannatori
di donne, a correre nudo sferzato dai demoni.
Così
il Giasone nel libro dei Maccabei, il quale Dante assimilò al papa
Clemente V, posto nel XIX canto tra i simoniaci, che, nel 1313, aveva
spostato la sede papale nella Guascogna e indipendente dall’egida
di Filippo il Bello.
Similmente,
il Giasone argonauta che la mitologia greca ricorda per la sua
impresa alle ricerca del vello d’oro.
Xilo-14=PDF-BSB-037
|
Figura
20. Xilo-14=PDF-BSB-037; quaderno b, carta 8, foglio 2; cartulazione moderna 16v
|
Eyè mi shetiyè, |
chiunque tu sia |
Kah min aotzàr azè |
prendi da questo tesoro |
keavàt
nafshehà |
quanto brama la tua anima |
aval
azhìr othà,
|
ma ti avverto,
|
assèr
aròsh
|
togli la testa
|
Vèal
tigà bègufò |
e non toccare il suo corpo
|
L’immagine
ricorda la Gorgone e il mito di Perseo il quale, per estirpare la
testa della sfortunata donna, fa uso dello scudo e della spada. La
raffigurazione è maggiormente esplicita nella xilo-61=PDF-BFB-165; quaderno k, carta 8, foglio 2; cartulazione moderna 80 v;
“SECUNDA SINISTRA”, nella quale ritorna lo scudo cui si sostiene
la nigerrima statua.
(copia diplomatica, trascrizione fonetica, traduzione)
In
Ebraico la parola Eyè ,
usata per identificare Dio, corrisponde ai tre tempi del verbo
essere, o meglio, ai modi finiti del verbo usati (fu, avvenne ) per
esprimere un’azione compiuta, indifferentemente se questa sia
pertinente al passato, al presente o, piuttosto al futuro. Nella
mentalità ebraica, il tempo è assoluto. “E’ STATO, E’ e
SARA’” sono contemporaneamente verificate .
In
questa accezione, si può approdare all’Allegoria della Prudenza, o
più precisamente, della trinità tricefala antropomorfa o zoomorfa,
la quale ha origini antiche, risalenti all’antico Egitto (zoomorfa)
e all’India (antropomorfa) .
Da
quest’ultima, proviene la trinità Trimurti (fig. 26) che riunisce
in sé la triade Brahma
(creatore), Vishnu (conservatore) e Shiva (distruttore).
Dall’Egitto,
proviene Serapide
(fig. 21, a sua volta derivato da Api –Toro, di origine assira:
Sar-Apsi o Signore degli abissi – e Osiride), rappresentato come un
uomo barbuto che sostiene sulla testa il moggio (contenitore e unità
di misura del grano) che simboleggia la fertilità e l’abbodanza.
Al suο
fianco, c’è un animale tricefalo riconducibile ad Anubi (fig. 23) ,
che ha la testa di sciacallo; Upuaut(fig. 25)
o Upnaut ,
il dio della morte dalla testa di lupo; Sekhmet
(fig. 24, sekhem significa scettro ed -et è il suffisso femminile) o
Sakhmet ,
divintà solare con testa leonina. Su quest’ultima, occorre una
precisazione. Figlia di Ra, dio del sole, era raffigurata con un
disco a contorno della testa che, nella lettura occidentale ,
poteva confondersi con una criniera, presente solo nel maschio, e con
l’acconciatura tipica dei faraoni, contornata da un serpente. Da
qui, forse, l’equivoco e la conseguente adozione della testa di
leone, piuttosto che di leonessa.
|
Figura 21. Statua di Serapide. Copia romana del II sec. d.C., restaurata, da originale di Bryaxis. Il dio, rappresentato in trono come giudice dei defunti, è accompagnato dal tricefalo Cerbero
|
|
Figura
22. Xilo-145=PDF-BFB-342; quaderno y, carta1, foglio 1; cartulazione moderna 167r
|
|
Figura
23. Anubi
|
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Figura
24. Sekhmet
|
|
Figura
25. Upuaut
|
|
Figura
26. Trimurti
|
|
Figura
27. Sigillo vallindo
|
|
Figura
28. Xilo-144=PDF-BSB-341; quaderno x, carta8, foglio 2; cartulazione moderna 166v
|
|
Figura
29. Tiziano, Allegoria della Prudenza, 1565-70. British Museum
|
Il
simbolo fallico rappresentato sul sostegno del signum
triceps
della xilo-145=PDF-BSB-341 è presente nel sigillo vallindo,
raffigurante Trimurti assiso (fig. 27), quale simbolo di fecondità.
Nell’HP,
il trinomio Tempo-Dio-Prudenza trova la sua manifestazione nelle
xilo-145=PDF-BSB-341.
Il
tutto sarà coniugato nell’Allegoria
della Prudenza
di Tiziano (fig. 29) .
Edizioni
a confronto
Stendardo
Elefante Obeliscoforo. Xilo-011=PDF-BSB-034, xilo-023=PDF-TEE-164 e
xilo-012=PDF-ELibCh-065
In riferimento alla fortuna editoriale dell'Hypnerotomachia Poliphili, è interessante il confronto tra le xilografie poliglotte delle edizioni francese e inglese. La prima, pubblicata a Parigi da Verville, come terza edizione nel 1600 con un frontespizio originale alchemico; la seconda, a Londra nel 1592 presso la stamperia di Simon Waterson.
|
|
|
Edizione aldina 1499; quaderno h, carta 8, foglio 1; cartulazione moderna 64r
|
Edizione Waterson 1592; quaderno E, carta 3; cartulazione moderna 15 r
|
Edizione Verville 1600; quaderno M, carta i foglio j
|
ΓΟΝΟΣ:
Origine, stirpe, nascita
PΟΝΟΣ:
Fatica,
lavoro, opera
faticosa,
travaglio
L’edizione
inglese rispetta l’illustrazione campione, riproponendo fedelmente
le frange laterali e inferiore e il motivo geometrico floreale che
incornicia i motti greco e arabo.
L'edizione francese, dopo aver colmato la lacuna (GLORI - GLORIA xilo-037=PDF-BFB-132; quaderno h, carta 8, foglio 1; cartulazione moderna 64r e xilo-038=PDF-ELibCh-137; quaderno M, carta i, foglio j v), apporta delle modifiche:
PΟΝΟΣ
al posto di ΓΟΝΟΣ
che, come indicato nella legenda soprastante, ha tutt’altro
significato. La somiglianza del γ£μμα
con il π‹
maiuscoli (evidenziati in rosso, nelle figure) sembra aver provocato un ipercorrettismo, quasi a voler perfezionare una lettera incompleta.
La
presente immagine, nell’edizione francese, è postposta a quella
dell’Elefante Obeliscoforo, in quella inglese è rispettata la
sequenza dell'esemplare originale.
Le statue nigerrime. Xilo-013 e 014=PDF-BSB-036 e 037; quaderno b, carta 8, foglio 1 e 2; xilo-038=PDF-ELibCh-066; quaderno C, carta ii, foglioj r.; e Xilo-010 e 011=PDF-TEE-048 e 049; quaderno E, carta 4, foglio 2; cartulazione moderna 16 v. e quaderno F, carta 1, foglio 1; cartulazione modena 27r
La
traduzione in francese risale al 1546 a cura di Jean Martin,
traduttore di opere italiane e latine, in francese e che, per primo,
tradusse i X
libri di architettura
di Vitruvio. Con lui, collaborò negli anni ’40, Sebastiano Serlio
del quale inserì, nelle sue traduzioni, i principi dell’architettura
serliana. Terza versione della traduzione, quella stampata nel 1600,
assume anche un titolo più complesso perché non è una traduzione
in senso stretto, quanto la rivelazione del suo significato
nascosto .
Questa traduzione si inserisce nella più vasta serie di lavori
dedicati all’architettura (Vitruvio, Alberti, Serlio) e ai
giardini. Arricchendo le descrizioni secondo il gusto del tempo,
riconduce il testo ad una lettura alchemica
e già dalla prefazione, il Polifilo
è presentato come una “tavola” dai contenuti ben nascosti nelle
pieghe steganografiche (tecnica riscoperta nel 1499 dall’occultista
e umanista tedesco Giovanni Tritemio ).
Il frontespizio, che anticipa quanto esporrà la prefazione, fu
voluto da François Béroalde de Verville
e realizzato da Mathieu Guillemot.
La
prima edizione del 1546, eseguita da J.Martin, fu ripulita per
renderne ancor più fluida la lettura.
«La
Tableau
des riches inventions
di Béroalde se, evidentemente, non è del tutto estranea alla
Hypnerotomachia
Poliphili
di Francesco Colonna, è, quindi, più un nuovo avatar
che un’immagine precisa: a cominciare dalla costruzione alchimista
del frontespizio, si apre una nuova carriera per il libro, quella del
"discorso segreto" che non potrà che migliorare la sua più
bella reputazione dell’occulto e dell’inaccessibile, e generare
nuovi studi che a volte sfiorano la stravaganza. Alla moderna critica
l’obbligo di ricollocare in prospettiva della storia del testo
queste interpretazioni non tanto sbagliate quanto costruite, a
partire dai gusti e dai modi del loro tempo. »
I
testi ebraici, greci e latini differiscono un po’ dall’originale
del 1499 così da compromettere la qualità culturale dell’edizione.
Le differenze sono segnalate in rosso e in verde, in modo da non
confondere le parole tra loro.
In particolare, il confronto tra le tre versioni italiana, inglese e francese, del testo in lingua ebraica inciso sul sarcofago della statua nigerrima, ha fatto emergere un dato interessante dell'edizione inglese del 1592, qui riprodotta in copia anastatica del 1969. Dall'accostamento dei testimoni, è emerso che il testo dell'edizione Waterson, quest'ultima di scarsa qualità, è stato letto a rovescio, cioè da sinistra a destra, com'è nell'uso della scrittura occidentale. Pur distinguendo le parole che sono separate dagli spazi, nel riportare le frasi nella xilografia, le prime due parole "eyé mi" sono scese all'inizio della riga successiva e, a seguire, le ultime tre parole del secondo enunciato, costituiscono il terzo capoverso, causando lo stravolgimento delle frasi, ormai incomprensibili.
Purtroppo, chi ha copiato, anche se
guidato dalle migliori intenzioni, vista la popolarità del testo,
che si può considerare la summa delle conoscenze fino a quell’epoca
acquisite, non ha saputo riportare e sostenere il confronto con l’HP.
Le frasi vengono, quindi, a perdere di significato, determinando un
depauperamento dei contenuti:
Tabella comparativa. Copia diplomatica
Tabella comparativa. Copia diplomatica
Figura
4 Xilo-038=PDF-ELibCh-066
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Figura
33.
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Figura
34.
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Figura
35.
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Figura
36.
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Figura
37. xilo-037=PDF-BFB-132, edizione aldina 1499, part.
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Le
tre porte. Edizioni a confronto:
xilo-037=PDF-BSB-132; quaderno h, carta 8, foglio 1; cartulazione moderna 64 r
xilo-038=PDF-ELibCh-137; quaderno M, carta i, foglio j v
xilo-023=PDF-TEE-164; quaderno V, carta 3, foglio 1 r
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Figura
38. xilo-=PDF-23-164, edizione Waterson 1592, part.
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Figura
39. xilo-038=PDF-ELibCh-137, edizione Verville 1600, part.
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La
xilografia inglese
rispetta il suo prototipo mantenendo i refusi dell’intagliatore,
dimostrando che non si è conoscenza degli idiomi ebraico e arabo, e
si cerca di rimediare alla propria cattiva gestione dello spazio
dedicato ai titoli con l’abbreviazione di MVNDI in MVDI elidendo la
N.
Le
parole ebraiche sono rimaste invariate, mentre, per le arabe, la sola
m’habbath
(amore), perde uno dei due punti ad essa sottostanti, senza tuttavia,
recuperare significato nella parola, già inesatta nel modello
aldino.
La
xilografia francese imita le iscrizioni orientali, senza capirle e
commettendo errori significativi: cominciando dalla seconda riga,
contando dal basso, nella parola ΕΡΩΤΟΤΡΟΦΟΣ,
posta come titolo della porta centrale, sono state scambiate la ð
μικρÒν
e la ð μšγα
generando, in questo modo, l’inesistente parola ΕΡΟΤΩΤΡΟΦΟΣ.
Salendo sulla riga successiva, relativa alle iscrizioni ebraiche e
rimanendo sulla porta centrale, la lettera ה
(Hej,
terza da sinistra) ha acquisito
il punto inferiore di quella che dovrebbe essere una ح
(ḥā’[che
in realtà è scritta come una ج
ǧīm])
e lo ha trasformato in un apostrofo, mentre l’ultima ה
(Hej),
posta, a partire da sinistra, in prima posizione,
si è trascinata quello sottostante la lettera araba ب
(bā’)
causando una perdita di significato per entrambi i vocaboli.
Proseguendo con le iscrizioni ebraiche, le lettere estreme
corrispondenti al titolo latino GLORIA DEI, similmente alla parola
ebraica centrale, si appropriano del punto inferiore della
ح
ḥā’
(ovvero ǧīm nella xilografia), posta a destra dal punto di vista di
chi legge, e di uno dei due pertinenti la ي
yā’.
Permane lo scambio tra le scritte arabe Gloria Dei e Gloria Mvndi.
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Figura
40. Vocabolario ebraico-italiano, pp. 125 e 126
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Tabella comparaiva. Copia diplomatica
La
parola שלם
(shalam),
corrispondente al GLORIA MVNDI, come riportato nella porzione di
vocabolario (fig. 40) ha tutt’altro significato, in base anche agli
accenti di cui può essere corredata.
NOTE
Vedi nel BTA:
LE XILOGRAFIE DELL'HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI
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