All'alba
del ventesimo secolo tutto è in fermento, tutto è in continuo
mutamento: il desiderio di sentirsi rappresentati da nuovi valori,
che si dissociassero dalle ormai superate certezze assolutistiche del
vecchio sistema borghese, nonchè la ricerca di nuovi punti di
riferimento che fossero espressione fedele di una società rinnovata,
consapevole del cambiamento in corso, portano alla formazione di
forze innovatrici inedite, che gettano le basi per quella che sarà
una delle più grandi rivoluzioni culturali degli ultimi secoli.
Il punto di interesse del
panorama culturale europeo del primo '900, infatti, sta proprio nel
particolare fermento che viene ad instaurarsi come reazione attiva e
come fonte di rinnovamento dei pilastri di un background culturale
che non poteva di certo essere considerato rappresentativo: troppi
dogmatismi e accademismi stavano logorando l'orientamento generale.
Quello a cui si assiste è un vero e proprio terremoto,
un'"ubriacatura del sistema", per così dire, in cui
l’urgenza di sovvertire le basi della cultura ufficiale porta a
un'esaltazione, talvolta esasperata, dei sentimenti
anticonformistici, che agiscono non soltanto a livello culturale in
senso lato, nelle istituzioni e nella politica, ma anche, nello
specifico, in tutte le arti figurative e non.
In
letteratura, ad esempio, la consapevolezza dell'avvenuto mutamento,
il ripudio di tutto ciò che risultava obsoleto, consuetudinario,
basato sul concetto di historia magistra vitae, portano al
trionfo del romanzo modernista: Proust, Kafka, Pirandello (per
citarne solo alcuni) danno voce all'eroe moderno, un uomo certamente
libero dai dogmatismi del passato, ma costantemente inquieto, privo
di punti di riferimento, alla continua ricerca di certezze, o meglio,
del proprio io.
Può
essere utile fare un breve excursus letterario, allo scopo di
illustrare in maniera più esaustiva quanto la percezione della
modernità abbia modificato radicalmente il quadro culturale europeo
in senso lato: in Italia, è Pirandello uno dei primi a contrapporre
la fermezza dei valori classici greco-romani alla coscienza della
nuova condizione dell'uomo come "vermuccio abbrustolito",
"atomo infinitesimale", smarrito e disperso nel mondo
("un'invisibile trottolina"):
«Ormai noi tutti ci siamo
a poco a poco adattati alla nuova concezione dell'infinita nostra
piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell'Universo, con
tutte le nostre belle scoperte e invenzioni [...].»
Se
nell'arte pirandelliana la rottura e la ribellione alla tradizione
prendono la forma dell'umorismo e della maschera, (le sue figure
"sconciate" e deformate non sono altro che una
drammatizzazione dell'uomo borghese medio, esasperato in maniera
caricaturale nei suoi tratti caratteristici), di natura diversa è
invece il ritratto kafkiano della nuova società industrializzata
americana, «un'America
cubista, costruttivista, o, se si vuole spettralmente espressionista,
nella quale a un estremo grado di geometricità e di perfezione
meccanica corrisponde un grado altrettanto estremo di caoticità e di
confusione.» L'America
rappresenterebbe la terra della libertà, «il paese incantato di
illimitate possibilità», a dispetto di un'Europa «che diventa
sempre più la terra dell'insopportabile limitatezza».
L'arte
diventa quindi viaggio verso l'inconscio, soggettivismo,
sperimentazione di nuove tecniche, propensione verso il futuro e
perfino strumento di rivolta sociale, come nel caso dei movimenti di
avanguardia, ad esempio, del Futurismo italiano.
La
nuova concezione del mondo, della società e dell'arte affermata dai
futuristi si configura come attenzione straordinaria verso il
progresso tecnologico, la velocità, e le macchine: estrapolando
alcune parti particolarmente significative del Manifesto del
Futurismo (pubblicato nel 1909 sotto forma di elenco numerato),
infatti, si leggono i tratti essenziali non solo della poetica
futurista in senso stretto, ma, su più larga scala, dello spirito
innovatore che dalla società si trasfigurò nell'arte, rendendo
un'automobile, agli occhi dell'uomo moderno, addirittura più bella
della Nike di Samotracia: «2)Les
éléments essentiels de notre poésie seront le courage, l'audace et
la révolte. [...] 4) Nous déclarons que la splendeur du monde s'est
enrichie d'une bauté nouvelle: la bauté de la vitesse. Une
automobile de course avec son coffre orné de gros tuyaux, tels des
serpents à l'haleine explosive...une automobile rougissante, qui a
l'air de courir sur de la mitraille, est plus belle que la Victoire
de Samotrace. [...] 8) Nous sommes sur le promontoire extrême des
siècles!...À quoi bon regarder derrière nous, du moment qu'il nous
faut défoncer les vantaux mystérieux de l'impossible?
Le Temps et l'Espace
sont morts hier. Nous vivons déjà dans l'absolu, puisque nous avons
déjà créé l'eternelle vitesse omniprésente.»
Se
in un primo momento le operazioni avanguardistiche trovarono sviluppi
soltanto nella pittura e nella letteratura, queste non tardarono ad
affermarsi anche in architettura, svecchiando l'intero sistema a
livello europeo.
Basti
pensare alla corrente olandese del De Stijl,
e inevitabilmente alla neoplastica Casa Rietveld Schroder, o al
Protorazionalismo, come risposta più concreta e pragmatica all'Art
Nouveau e come soluzione alle nuove problematiche scaturite dal
dopoguerra (quali l'esigenza di ricostruzione in seguito al boom
demografico, la produzione in grande serie e la riproducibilità
industriale, nonchè, evidentemente, la competitività sul mercato).
Secondo
Bruno Zevi il De Stijl ha rappresentato «l'unico
tentativo di elaborare un codice per l'architettura moderna. [...]
Alla staticità del classicismo subentra una visione dinamica,
temporalizzata o, se si vuole, quadridimensionale.»
In
Germania la rottura dei canoni e la spinta avanguardistica furono
intraprese dal Bauhaus di Walter Gropius, una scuola di intellettuali
che intendeva unire la qualità dell'artigianato alla produzione
seriale. Nonostante il sostegno di grandi personalità dell'epoca,
quali Paul Klee e Vasilij Kandinskij, lo spirito avveniristico fu
subito soffocato e interdetto dall'avvento del nazismo, che portò
allo scioglimento del Bauhaus nel 1933.
Questo
non spense l'interesse e la propulsione verso una nuova
sperimentazione artistica, anzi, in architettura, di fatto, segnò il
passaggio al Razionalismo.
Non
è un caso che proprio in questo contesto di cambiamenti rapidi ma
indelebili, di rottura dei canoni, di ricerca quasi ossessiva di
originalità, si inserisca la figura di un artista poliedrico, il cui
nome risuona ancora oggi come un'icona in architettura e urbanistica:
si tratta di Charles-Édouard Jeanneret (1887-1965), meglio noto come
Le Corbusier.
Le
Corbusier si inserisce a pieno titolo in quel filone "anticlassico",
che intende rinnovare, ripulire, svecchiare la cultura classica dai
dogmatismi e dai precetti che non rappresentavano più la modernità,
anzi la intrappolavano. Nella sua opera più celebre egli scrive:
«Siamo in un periodo di
costruzione e di riadattamento a nuove condizioni sociali e
economiche. Passiamo un promontorio e i nuovi orizzonti non ritrovano
la grande linea delle tradizioni che attraverso una revisione
completa dei mezzi correnti, che attraverso la determinazione di
nuove basi costruttive stabilite sulla logica.»
E ancora: «L'architettura
soffoca nelle consuetudini.»
Ma
non basta: egli fa il salto, va oltre, sfida il moderno e si apre al
contemporaneo: non è difficile pensare che abbia gettato le basi per
la formazione dell'attualissima architettura liquida.
L'operazione
di ricerca di questo architetto, pittore, scultore, urbanista,
pensatore è volta fin dai primi anni a un'indagine continua e
insaziabile, fatta di viaggi, osservazioni meticolose, appunti
preziosi, circoli intellettuali stimolanti. Le Corbusier arricchisce
giorno dopo giorno il suo bagaglio, ponendosi nei confronti dell'arte
con spirito critico e prontezza d'ingegno, con un atteggiamento di
scoperta e riscoperta quasi naïf:
proprio come fa una spugna a contatto con i liquidi, allo stesso modo
egli assorbe, filtra, trattiene e poi rielabora.
Si
dedica allo studio approfondito, alle sperimentazioni, ai viaggi,
alla "formazione autodidatta", comincia a sviluppare una
coscienza intellettuale che lo avvicina volta per volta a diverse
espressioni artistiche.
«Au-delà
des notes, des photos et des croquis qui, au fil de ses découvertes
ou redécouvertes, le confortent dans la certitude que l'émergence
de la modernité est inévitable, le voyage entraîne Le Corbusier
dans une réflexion sur le sens du monde, et plus précisément sur
le rôle majeur de l'architecture dans le devenir des sociétés:
'L'architecture
est la première manifestation de l'homme créant son univers'.»
Ama
definirsi homme de lettres, alla luce della completezza dei
suoi studi, non distante dalla concezione rinascimentale di homo
universalis.
Dopo
un iniziale legame con il Decorativismo dell'Art Nouveau, decide di
dedicarsi all'architettura: nei primi anni del '900 si sposta nelle
principali capitali europee, dove entra in contatto con numerosi
intellettuali e architetti. Una delle tappe fondamentali per la sua
formazione culturale è l'Italia (1907), dove, dall'iniziale intento
di analizzare le architetture fiorentine bizantine e gotiche, si
sposta in diversi luoghi in cui si circonda di cartoline, immagini,
appunti, che lo arricchiscono in una misura inestimabile e preziosa.
Il
giovanissimo artista svizzero fa ciò che ama, viaggia e studia, si
nutre dell'equilibrio con l'ambiente circostante e con la natura.
Durante il soggiorno nelle campagne fiorentine, appena diciannovenne,
scrive: «L'infinito del
paesaggio, la compagnia di se stessi. Mi sento pervaso da una
sensazione di armonia straordinaria. Mi rendo conto che si è colmata
un'aspirazione umana autentica: il silenzio, la solitudine; ma anche
il contatto quotidiano con i mortali; e ancora, l'accesso alle
effusioni verso l'inafferrabile.»
Si evince già un ingegno sottilissimo, non molto lontano, in un
certo senso, dalla sensibilità dell'Idillio leopardiano.
Se
in Italia Le Corbusier si addentra nell'architettura del passato, è
a Vienna, subito dopo, e a Berlino poi, che si apre verso
l'architettura moderna attraverso lo studio delle opere di Joseph
Hoffman, Otto Wagner e la frequentazione con Peter Behrens.
Nel
1917 raggiunge Parigi, una tappa fondamentale per la sua formazione
artistica tout court: sono determinanti a questo punto la
collaborazione con Auguste Perret e l'incontro con Amédée Ozenfant
e Paul Dermée: si apre in questo momento una fase di purismo,
caratterizzata dalla pubblicazione delle riviste Avant-guarde
e L'Esprit Nouveau.
Ma
sono gli anni '20 i più propizi per lo sviluppo di una maturità
artistica decisamente autonoma e consapevole: nel 1923 pubblica Vers
une architecture, l'opera in cui si trovano i fondamenti della
sua filosofia, e che lo consacra padre del Razionalismo,
conferendogli finalmente la fama a livello internazionale.
É
un manifesto figlio del suo tempo, che non vuole incancrenirsi nel
passato, da cui pure prende vita: di certo non più un elenco di
norme manualistiche, canoni e precetti, ma un'opera nuova, completa,
dove l'attrazione per la teoria, la ricerca stilistica e la filosofia
creano una mixture perfetta tra poesia, architettura e urbanistica,
provocando sensazioni ed emozioni sorprendenti.
Da
un parte l'architettura, l'empirismo, la funzionalità
dell'abitazione, dall'altra il piacere estetico, la plasticità delle
forme, la sobrietà, lo stimolo dei sensi intellettivi:
«L'architettura, essendo
emozione plastica, deve, nel suo regno, COMINCIARE DALL'INIZIO, E
IMPIEGARE GLI ELEMENTI SUSCETTIBILI DI COLPIRE I NOSTRI SENSI, DI
ESAUDIRE I NOSTRI DESIDERI VISUALI, E DISPORLI IN MANIERA CHE LA LORO
VISTA CI COLPISCA CHIARAMENTE, per delicatezza, brutalità, tumulto o
serenità, indifferenza o interesse; [...].»
Si
legge ancora: «L'ARCHITETTURA
è per eccellenza l'arte che raggiunge uno stato di grandezza
platonica, ordine matematico, speculazione, percezione dell'armonia,
mediante rapporti che sollecitano l'emozione. Ecco il FINE
dell'architettura.»
Nell'amalgama
di tanti ingredienti, sono tangibili le tracce della vita d'infanzia:
non è un caso, infatti, che il padre sia un orologiaio svizzero, e
la madre una pianista: un matrimonio perfetto tra la ragione della
tecnica e l'impulso dello stimolo creativo.
Tutto
ciò si traduce in Charles-Édouard nella ricerca architettonica di
forme semplici, essenziali, che va di pari passo con l'attività
contemplativa, in cui sperimenta continuamente l'armonia con
l'elemento naturale: «L'architettura
è la prima manifestazione dell'uomo che crea il suo universo, e lo
crea a immagine della natura, aderente alle leggi della natura, alle
leggi che reggono la nostra natura, il nostro universo. [...] Un
supremo determinismo illumina le creazioni naturali e ci dà la
sicurezza di una cosa equilibrata e ragionevolmente fatta, di una
cosa infinitamente modulata, evolutiva, varia e unitaria. Le leggi
fisiche primordiali sono poche e semplici. Le leggi morali sono poche
e semplici».
Nel
trattato, inoltre, sono esposti i 5 capisaldi dell'architettura
moderna, con cui il maestro apporta un contributo essenziale alle
pratiche architettoniche del '900 (inaugurando il Razionalismo),
senza tralasciarne però la considerevole portata teorica.
Pochi
anni dopo, sulla base dei 5 punti, Le Corbusier e il cugino Pierre
Jeanneret progettano un'abitazione privata su commissione di Pierre
Savoye, un broker assicurativo la cui richiesta è una residenza di
campagna, dove trascorrere le vacanze con la famiglia.
A
questo momento storico risale la costruzione di una delle ville più
osservate degli ultimi cent'anni, oggi considerata patrimonio del XX
secolo dal CMN (Centre des Monuments Nationaux). Si tratta della
celebre Villa Savoye, costruita nel 1929, che rappresenta il punto di
partenza e la massima espressione del Razionalismo lecorbusieriano:
il progetto si può considerare non soltanto l'applicazione della
nuova filosofia moderna esposta nel trattato appena pubblicato, ma
anche l'aderenza fedele ai 5 punti, che non si limitano così ad
un'enumeratio utopica e lontana da fini pratici.
La
villa è situata a Poissy, un piccolo sobborgo a 30 km da Parigi,
non lontano dalla dinamicità della vita cittadina, ma distante
quanto basta per trovare ristoro nella valle della Senna. La
residenza si trova in una posizione appartata, immersa nel verde,
circondata da una vegetazione rigogliosa che la isola completamente:
è impossibile anche solo intravederla dall'esterno del cancello.
Una
volta entrati nella tenuta, che inizialmente si estendeva su ben 8
ettari di terreno, ci si sente catapultati all'interno di un quadro
impressionista, in una passeggiata lungo sentieri erbosi circondati
da prati e frutteti.
Fin
da subito il visitatore sperimenta la quiete derivante dal contatto
con la natura: la vegetazione è rigogliosa e maestosa, ma lo
accompagna dolcemente nella gradevole camminata verso l'abitazione.
La stimolazione dei sensi è immediata e costante: i colori caldi
dell'ambiente naturale in autunno o vivaci e gioiosi in primavera, il
rumore dei passi sul fogliame, l'odore dei frutteti, tutto sembra
favorire la quiete.
La
villa non sovrasta la collina con superbia, e non disturba l'armonia
dell'ambiente circostante, ma, al contrario, si inserisce
perfettamente nel contesto, come in un dipinto.
Il
sentiero che conduce alla villa ha lo scopo di lasciarla scoprire
pian piano, al termine della passeggiata agréable nel
verde, o, come preferisce chiamarla il maestro, promenade
architecturale (passeggiata architettonica): in questo modo,
infatti, Le Corbusier mette in atto fin dal cancello d'ingresso
l'idea di un annullamento dei confini tra esterno ed interno.
Ad
un'analisi dall'esterno, la nuova casa dell'uomo europeo del
Novecento presenta forme e volumi semplici, è completamente bianca,
priva di decorazioni e perfettamente simmetrica.
Con
la simmetria delle facciate identiche sui 4 lati l'architetto
ripropone l'ordine perfetto e deterministico presente in natura, ma è
ben lontano da quei principi dell'architettura classica basati sui
parallelismi e fortemente criticati da Zevi.
Nella
struttura, infatti, lo "spirito anticlassico", nonostante
la staticità resa dalla simmetria della pianta e della facciata, è
subito riconoscibile dal diverso uso delle finestre: le ampie vetrate
a nastro alleggeriscono l'ordine superiore, e contribuiscono a creare
movimento tramite l'alternanza di pieni e di vuoti.
Dall'interno
pertanto, le pareti risultano quasi completamente aperte, e
permettono di godere del panorama mozzafiato della valle della Senna,
come un dipinto incorniciato in una tela orizzontale, dove nessun
dettaglio è lasciato al caso: l'uomo vede esattamente ciò che
l'architetto vuole che veda. La sensazione derivante dal dialogo con
la natura, sia dall'interno che dall'esterno, è di massimo
benessere.
Un
modello contemporaneo che adotta, se vogliamo, il medesimo principio
di base, seppur con ispirazioni nordeuropee e perfino
orientaleggianti, si può osservare nel Museo della Fondazione
Beyeler a Basilea, progettato da Renzo Piano nel 1997. L'architettura
finestrata, che elimina la separazione tra l'interno e l'esterno, e
l'elemento aggettante (citazione olandese del De Stjil),
contribuiscono ad incastrare perfettamente la struttura nell'ambiente
circostante, senza distinzioni tra il naturale e l'artificiale,
secondo quel principio della città-giardino, tipica
dell'architettura di paesaggio. A questo scopo sono finalizzate anche
le pareti arboree e la presenza dell'acqua riflettente. Anche in
questo caso, dunque, le aperture totali, il perfetto bilanciamento
tra le leggi della natura e la mano dell'uomo, l'effetto rilassante
che stimola i sensi, fanno pensare al maestro svizzero dei lontani
anni '30, che curò meticolosamente la valorizzazione della natura e
delle sue caratteristiche.
Nel
progetto per i Savoye è fondamentale che l'interno si apra
all'ambiente esterno, che le pareti si annullino per garantire sia la
piena immersione nel verde sia il grado di illuminazione massimo.
Come aveva esposto Le Corbusier in L'Esprit Nouveau,
l'emozione dell'architettura deriverebbe proprio dal «gioco
sapiente rigoroso e magnifico dei volumi nella luce.»
Tutto
ciò è possibile grazie alla cosiddetta Fenêtre en longueur
(finestra a nastro), uno dei 5 punti dell'architettura moderna, una
grande innovazione sul piano architettonico.
A
questo proposito l'architetto svizzero, esponendo uno dei progetti
utopistici, quello delle "strade a redents"
nel trattato del '23, concepisce nuovi «appartamenti
che si aprono, in ogni facciata, all'aria e alla luce, e che guardano
non sui fragili alberi dei viali attuali, ma su prati, su campi di
gioco e ricche praterie.»
Anche
in questo caso egli è consapevole del cambiamento radicale che sta
proponendo, e non biasima coloro che non lo capiscono ancora. Ma con
lucidità afferma: «In
architettura le vecchie basi costruttive sono morte.»
Bisogna riscoprire i principi fondando nuove basi. «Si
preannunciano vent'anni da impegnare nella creazione di queste nuove
basi. Periodo di grandi problemi, periodo di analisi, di
sperimentazione, periodo anche di grandi rivolgimenti estetici,
periodo di elaborazione di una nuova estetica.»
L'apertura
totale delle pareti a favore del dialogo con l'ambiente esterno è
possibile grazie alla sostituzione dei muri portanti con uno
scheletro in calcestruzzo armato: anche in questo caso la villa di
Poissy rappresenta un'icona nella sperimentazione architettonica di
materiali innovativi.
Le
aperture di una tale ampiezza, inoltre, fanno sì che la casa sia
sempre illuminata dalla luce solare. Pertanto, l'elemento naturale
sarà sempre protagonista: non solo natura come elemento vegetale, ma
anche come fonte di luce.
La
presenza preponderante della luce accomuna la villa a molte
architetture dei nostri giorni, in cui la ricerca e lo studio
dell'illuminazione sfociano in soluzioni talvolta simili a quelle
scelte da Le Corbusier, talvolta molto più avveniristiche: ad
esempio, nel Walker Art Center di Herzog e De Meuron (Minnesota,
2005) si può parlare di vera e propria "architettura della
luce": oltre all'adozione dell'aggetto come strumento di
alleggerimento del piano basso, che pure li accomuna a Le Corbusier,
gli architetti liquidi annullano completamente le pareti, ma solo
durante la notte. Tramite l'uso di pannelli particolari, queste sono
riflettenti durante il giorno, e trasparenti nelle ore notturne.
L'effetto ottenuto è estremamente interessante: da una parte si
abbattono le pareti tra l'esterno e l'interno, dall'altra si
ottengono effetti pittoricistici molto originali grazie all'uso
sapiente dell'illuminazione artificiale.
Nel
Guggenheim Museum di Frank O. Gehry invece, l'effetto luminescente è
reso non dalle finestre, ma dall'utilizzo del titanio, il materiale
riflettente che conferisce alla struttura un fascino particolare, con
effetti chiaroscurali dall'aspetto dinamico e vivace.
Per
comprendere la portata dello spirito innovativo di Le Corbusier, che
osa uscire fuori dalla sua epoca e fare un salto di almeno 50 anni,
fino ai nostri giorni, è sufficiente osservare la famosa cappella di
Notre Dame du Haut, a Ronchamp (anni '50), un chiaro esempio di
approccio originalissimo allo studio della luce. Anche in questo
caso, infatti, Le Corbusier è talmente innovativo che definirlo
anticlassico può sembrare quasi riduttivo: la cappella è una
struttura degna di essere definita liquida.
É
importante rilevare come essa mostri i segni di un cambiamento
radicale nella società: è significativo dunque, da una parte il
nuovo uso della luce e delle aperture, d'altra parte le linee curve,
le pareti tutte differenti, bianche, con il grande tetto in cemento
armato, che dominano il paesaggio.
Dall'esterno
la fluidità e la plasticità delle forme realizzano a pieno il
contatto con la natura, da sempre desiderato, ma generano qualcosa in
più: fanno sembrare la struttura quasi sospesa, come in una
dimensione di massimo benessere, quasi a voler fermare il tempo.
Dall'interno
invece, gli effetti pittoricistici creati dalle aperture tutte
diverse tra loro e disposte in maniera asimmetrica, creano una
sensazione del tutto nuova: la luce, con i suoi chiaroscuri soffusi,
è protagonista e genera emozioni inaspettate.
Un
cenno particolare merita l'uso del cemento armato già a Villa Savoye
nel '29, una grande novità nell'architettura degli anni '30, che
conferisce all'architetto una libertà di espressione mai conosciuta
prima. La sperimentazione del béton armé da
parte di Le Corbusier inizia con la collaborazione con Peter Behrens,
quando si reca in Germania nel 1910. Qui studia l'impiego del
calcestruzzo nella realizzazione di silos ed edifici industriali, e
ne considera le potenzialità come incredibile strumento di
progresso.
Come
ribadisce nel suo testo teorico, «La
costruzione di cemento armato ha determinato una rivoluzione
nell'estetica del costruire».
Se
in Villa Savoye non fosse stato utilizzato il cemento armato, non
sarebbe stato possibile applicare nessuno dei 5 capisaldi del
modernismo.
A
questo proposito, per la loro importanza in architettura e
urbanistica a livello internazionale, è necessario soffermarsi
proprio sui 5 punti lecorbuseriani, e studiare, nello specifico, che
tipo di applicazione questi hanno trovato nella villa di Poissy.
Essi
sono: i pilotis (pilastri), le toit-terrasse
(tetto-giardino), le plan libre (pianta libera), la
façade libre (facciata libera) e le fenêtres en longueur
(finestre a nastro).
Come
scrive lo stesso architetto: «Je
vous rappelle ce 'plan paralyse' de la maison de pierre et ceci à
quoi nous sommes arrivés avec la maison de fer ou de ciment armé.
Plan libre, façade libre, ossature indépendante, fenêtres
en longueur ou pan de verre, pilotis, toit-jardin et l'intérieur
muni de "casiers" et débarrassé de l'encombrement des
meubles.»
I
pilotis sono pilastri molto esili in cemento armato che sostengono i
solai, anch'essi in calcestruzzo armato. Utilizzandoli, Le Corbusier
eleva la costruzione separandola dal suolo e dall'umidità,
rendendola quasi una "scatola sospesa", garantendo inoltre
la fruibilità dello spazio sottostante.
L'area
infatti è concepita sia come passaggio pedonale, sia come accesso
carraio alla rimessa, dietro una parete vetrata curva che simula e
facilita il percorso con la vettura.
L'idea
dei pilotis in cemento armato risale, in realtà a molto tempo prima:
nel 1914, infatti, Le Corbusier progetta la Maison Dom-ino,
una struttura in calcestruzzo armato in cui la pianta e i prospetti
sono indipendenti dall'edificio. Il sistema è ideato per essere
estensibile come le tessere del domino, così da creare molteplici
combinazioni possibili di assemblaggio: in questo modo si sarebbe
facilitata la produzione in serie di quartieri popolari a basso
costo.
Le Corbusier pone il cemento
armato al centro della ricerca che conduce sull'estetica purista; nel
progetto della Maison Dom-ino sono contenute tutte le
caratteristiche del movimento: il rigore geometrico, l'essenzialità
delle forme, la spinta per la produzione in serie, elementi di cui
parla insieme all'amico Ozenfant nell'articolo Après le cubisme,
comparso sull'Esprit Nouveau nel 1920, molto prima quindi
della casa a Poissy.
Inoltre,
nel trattato del '23 Le Corbusier dichiara di aver già esposto
l'argomento a Auguste Perret con il progetto delle cosiddette
città-pilotis, estremamente funzionali in quanto finalizzate
ad eliminare tutti i problemi derivanti dalle fondamenta delle case,
dai condotti dell'acqua e del gas, dalle metropolitane, da tutto ciò
che si trovava nel sottosuolo. L'idea avrebbe triplicato la
superficie circolabile: «corrispondeva
a un bisogno, costava meno caro, ed era più sana dell'attuale modo
di procedere».
La
soluzione, che veniva appunto dai pilotis, consisteva nel costruire
nuovi quartieri (e Le Corbusier prende in esame proprio la città di
Parigi) a partire dal livello del suolo. I pilastri in cemento armato
avrebbero sostenuto il pianoterra degli immobili, fungendo da
fondamenta, elevandoli di cinque o sei metri rispetto al suolo, in
modo tale da impiegare lo spazio sottostante come area di transito
per i camion pesanti pittosto che per le metropolitane. Ne sarebbe
derivata una nuova rete di circolazione indipendente da quella delle
vetture e dei pedoni. Inoltre, bar, locali e ristoranti non sarebbero
più stati quella «specie
di muffa che invade i marciapiedi»,
ma spostati sulle terrazze, sarebbero stati «consacrati
al riposo tra le distese di verde e di fiori».
Sebbene
non trovò mai una realizzazione pratica, il progetto risulta fin
troppo avveniristico se si considera la dimensione cronologica, al
punto da sfiorare l'utopia.
Tornando
alla villa, la realizzazione del tetto-giardino, il secondo punto, è
un altro tentativo ben riuscito di aumentare la superficie degli
spazi fruibili, e di creare continuità tra l'ambiente esterno e
quello interno. Il tetto diventa un'area utilizzabile, dove non è
escluso che si possa addirittura inserire una piscina: presentando
un giardino rilassante, esso unisce la dimensione estetica a quella
funzionale strettamente architettonica: l'erba che cresce tra le
lastre in cemento, infatti, fa da coibente nei confronti dei piani
inferiori, e l'utilizzo del cemento armato garantisce solai molto più
resistenti.
Inoltre,
dal tetto, l'azzurro del cielo è incorniciato dal verde della
vegetazione lussureggiante: l'impressione è quella di contemplare un
quadro all'aria aperta: l'architettura non smette di creare emozioni.
«L'ARCHITETTURA è un
fatto d'arte, un fenomeno che suscita emozione, [...] l'Architettura
È PER COMMUOVERE.»
Anche
il terzo punto, quello del cosiddetto plan libre, o pianta
libera, è un'ulteriore conseguenza diretta dello scheletro portante
en béton armé: i piani risultano indipendenti tra loro,
pertanto, sono sufficienti leggeri tramezzi separatori posti a
piacimento dall'architetto.
Con
il quarto punto Le Corbusier teorizza il principio della facciata
libera, o façade libre, secondo cui le facciate, indipendenti
dalla struttura portante, possono essere concepite dall'architetto
con estrema libertà.
Il
quinto e ultimo principio è quello delle finestre a nastro, di cui
sopra.
I
cinque costrutti teorici, alla base della teoria funzionalista,
trovano realizzazione in diverse altre abitazioni lecorbusieriane. In
Villa La Roche-Jeanneret, ad esempio, è possibile riscontrare tutte
le strategie teorizzate ed adottate a Poissy: le vetrate a nastro che
alleggeriscono la struttura, i pilotis e lo scheletro in cemento
armato, il tetto-giardino, il minimalismo, gli ambienti costruiti e
razionalizzati a seconda della loro funzionalità.
La
villa di Poissy non solo rappresenta presto un'icona per la vasta
gamma di innovazioni che contiene, ma esercita ancora oggi una forte
influenza per architetti, intellettuali e progettisti, grazie ad
assonanze sia dal punto di vista concettuale, che della formazione
dello spazio dell'abitazione.
Potrebbe
essere immediato infatti il parallelo con la celebre Villa Dall'Ava
di Rem Koolhas, completata nel 1991.
Come
Villa Savoye, essa si trova in una posizione strategica rispetto al
centro di Parigi e alla valle della Senna. Anche Koolhas utilizza i
pilotis, o meglio una "foresta" di pilotis, per
contrassegnare l'ingresso pedonale all'abitazione. Tuttavia, mentre
in Le Corbusier la promenade architecturale esterna è una
vera e propria immersione nella natura che conduce alla scoperta
delle forme essenziali e geometriche della villa, in questo caso il
percorso verso l'interno è costituito da un piccolo sentiero a
zig-zag scandagliato da pilastri molto esili, posizionati anche in
obliquo: la sensazione derivante è del tutto diversa: i pilotis, non
più bianchi ma colorati in diverse sfumature di grigio, rendono
movimento, disordine, la casa sembra un corpo galleggiante più che
una scatola sospesa ed elevata nella sua perfezione.
L'architetto
olandese, pertanto, sembra sì prendere spunto dall'estetica di Le
Corbusier, per poi decostruire e rivisitare i suoi punti chiave in
un'ottica del tutto nuova: il piccolo sentiero zigzagante che
permette l'accesso alla casa è una ricostruzione rovesciata del
principio con cui Le Corbusier progetta l'elegante passaggio
curvilineo per le vetture al pianoterra.
Come
è stato affermato, la sagoma della villa di Saint Cloud, dal punto
di vista volumetrico, sembra «una
Villa Savoye aggressiva e malandata».
Sul
tetto-giardino, ad esempio, altro elemento comune in entrambe le case
come luogo di svago, Koolhaas inserisce una piscina priva di
parapetto di sicurezza, quasi a non voler disturbare la purezza dei
volumi. Di notte, inoltre, l'illuminotecnica conferisce
all'abitazione un aspetto scenografico, cinematografico.
All'interno,
la villa di Poissy favorisce la continuazione di quel processo
iniziatico, quasi catartico, che coincide con la passeggiata
architettonica: ad esempio, la pavimentazione della rampa che conduce
da un piano all'altro, dagli spazi comuni a quelli privati, è
posizionata in diagonale per rafforzare il senso dinamico: il
movimento dell'uomo nello spazio è controllato in maniera meticolosa
dall'architetto, che mette in equilibrio le distinzioni tra gli
ambienti di vita privata e comune, gli scorci e le vedute
dall'interno (che non sono casuali, ma incorniciate appositamente),
le proporzioni tra i volumi studiate in maniera maniacale.
Egli
controlla e dirige continuamente il movimento dell'uomo all'esterno e
all'interno della villa, nulla è lasciato al caso. La scelta si può
far risalire a quei viaggi giovanili che lo arricchirono
immensamente: «L'architettura
araba ci fornisce una preziosa lezione. La si apprezza in movimento,
a piedi: è camminando, muovendosi attorno che si vedono svilupparsi
gli strumenti ordinativi dell'architettura.»
Ma
un'ispirazione ancor più preponderante risale a tempi non sospetti,
al primo viaggio in Italia. Siamo nel 1907, quando Le Corbusier si
trova a Firenze, e visita il monastero di Ema. Egli rimane
impressionato dalla concezione della divisione degli spazi, da come
questa favorisca così bene la separazione della dimensione
individuale da quella collettiva. Per la rampa in diagonale perciò,
si ispira a una salita del monastero che conduce al piano superiore e
delicatamente apre la vista verso l'esterno tramite aperture ad arco.
In
Koolhaas, le citazioni dei maestri dell'architettura che lo hanno
preceduto sono molteplici, ma non sistematiche. Si tratta per lo più
di squarci, frammenti, che rappresentano un mondo attuale
metropolitano, eterogeneo, una neo-società liquida, in cui
catalogare un codice organizzato e sistematico potrebbe risultare
utopistico. Egli non è sofisticato e meticoloso come il maestro
svizzero, ma è grazie ai rapporti tra lo spazio e alle
interrelazioni tra l'interno e l'esterno che il suo oggetto funziona,
e raggiunge la fama internazionale.
Ma
c'è qualcosa che accomuna Le Corbusier ad un grande maestro del
passato, che pure si è distinto nel rifiuto di soggiacere ad un
codice classico antico e Rinascimentale fiorentino, in cui si può
individuare la compresenza, o meglio, la dialettica tra un codice
classico e spinte anticlassiche che anticipano il '900: si tratta di
Palladio, un architetto «nettamente
anti-architettonico»,
come è stato definito, che «stupisce
per bizzarria», e fonda
la sua ricerca sull'opposizione tra l'estetica del precetto
(dei "filosofi", degli architetti greci e romani), e quella
dell'arbitrio, per cui si sceglie di contravvenire agli schemi
dominanti, ritenuti incapaci di esprimere in toto le proprie
capacità.
«Nell'arbitrio
era ormai trovato il diritto miracoloso del genio, nella 'bizzarria'
una intima e pur prepotente necessità di poesia».
La
spinta anticlassica palladiana, favorita dall'ambiente veneziano, e
razionalmente inserita nel contesto classico della ricerca di una
bellezza pura, dell'imitazione degli antichi, del manierismo,
consiste in slanci di rottura, anticlassici per l'appunto, in cui
però non si avverte una dicotomia antinomica tra i due sistemi,
bensì un connubio ben riuscito: proprio su questo concetto si fonda
la teoria di Giulio Carlo Argan, il quale, non fermandosi
all'interpretazione purovisibilista dell'oggetto, riconosce in
Palladio quel tentativo ben riuscito di dialogo e convivenza tra due
codici opposti, l'uno volto al raggiungimento della perfezione
michelangiolesca, l'altro teso alla ricerca di un assurdo, un
inspiegabile, una bizzarria. Si potrebbe affermare che lo stato
embrionale di quel progetto anticlassico, coraggioso, bizzarro, che
darà poi vita alla liquidità dei nostri giorni, passando
obbligatoriamente per Le Corbusier, è racchiuso proprio in Palladio.
Un
ulteriore elemento accomuna i due maestri, e lo si può constatare
comparando la villa di Poissy con la sontuosa Villa La Rotonda.
Da
una descrizione di quest'ultima si legge: «The
site is pleasant and delightful as can be found, because it is on a
small hill of very easy access, and it is watered on one site by the
Bacchiglione, a navigable river; and on the other it is encompassed
about with most pleasant risings which look alike a very great
theatre and are all cultivated about with most excellent fruits and
most exquisite vines; and therefore as it enjoys from every part most
beautiful views, some of which are limited, some more extended, and
others which terminate with the horizon, there are loggias made in
all four fronts».
Questa
visione della villa palladiana non è lontana da quella proposta
dallo stesso Le Corbusier della casa a Poissy: «La
maison est une boîte en l'air au milieu des prairies dominant le
verger...Le plan est pur...Il est à sa juste place dans l'agreste
paysage de Poissy. Les habitants, venus ici parce que cette campagne
agreste était belle avec sa vie de campagne, ils la contempleront,
maintenue intacte, du haut de leur jardin suspendu ou des quatre
faces de leurs fenêtres en longueur. Leur vie domestique sera
inserée dans un rêve virgilien.»
L'idea
del mito virgiliano, di un paesaggio bucolico incontaminato, in cui
la bellezza naturale si sposa con la mano colta dell'uomo, ricorre in
entrambe le concezioni architettoniche.
Nel
caso specifico dell'abitazione dei Savoye, la scelta della
collocazione a Poissy risale proprio alla volontà di ricreare quel
locus amoenus in cui vivere
le vacanze appartati seguendo la linea epicurea; come è stato
osservato: «From the
hygenically equipped boudoirs, pausing while ascending the ramps, the
memory of the Georgics no doubt interposes itself; and, perhaps, the
historical reference may even add a stimulus as the car pulls out for
Paris».
Il
connubio tra la perfezione di una dimensione classicheggiante e un
linguaggio che, sorprendentemente, ne rifiuta i codici, si trova in
particolar modo nella Cappella di Ronchamp, dove la disposizione
asimmetrica delle finestre (che rimangono pur sempre figure
geometriche pure ed essenziali), rimanda subito ad una facciata di
tipo anticlassico, per il superamento dei principi di parallelismi e
simmetria che avevano dominato fino ad allora.
Ma
Le Corbusier, come sostiene anche Zevi, attua un superamento, apre le
porte al liquido degli anni '90: proponendosi di rendere il movimento
e l'energia cinetica tramite l'asimmetria e la distribuzione delle
finestre (solo apparentemente casuale), egli si rifà contestualmente
alla visione futuristica di Boccioni e Duchamp per la ricerca di
fluidi dinamici, e all'astrattismo geometrico di Mondrian, nell'uso
delle linee rette che delineano le aperture: fin dal primo impatto è
immediato, in effetti, il rimando alla Composizione con giallo, blu e
rosso, e agli esiti di rigore geometrico molto severo in cui sfocia
la loro ricerca.
«Le
Corbusier is, in some ways, the most catholic and ingenious of
ecletics. [...] there is always an element of wit suggesting that the
historical (or contemporary) reference has remained a quotation
between inverted commas, possessing always the double value of the
quotation, the association of both old and new context.»
La
Cappella di Ronchamp, dunque, si può considerare il vero esempio di
anticlassico già proteso verso il liquido: è stupefacente, in
questo senso, la modernità del maestro svizzero, che anticipa di
circa 40 anni un fenomeno tutt'ora in fieri.
Non
c'è traccia dei 5 punti, del razionalismo, della pianta e dei
tracciati: l'operazione messa in atto è una vera e propria tabula
rasa del sostrato precedente, una scelta coraggiosa: comunicare
attraverso un linguaggio non ancora codificato, o meglio, comunicare
con un codice di grado zero.
Le
Corbusier ha il coraggio di manifestare la crisi postbellica, di
dichiarare la consapevolezza del cambiamento totale di un'epoca, di
cui non si è ancora preso coscienza.
La
cappella di Ronchamp è un concentrato di tutti gli elementi di
rottura con il passato: non solo dunque il rifiuto dei parallelismi e
delle simmetrie, ma anche l'analisi dei fasci di luce solare, la
ricerca dell'energia cinetica, le forme plastiche e fluide che
dinamizzano la visione complessiva, senza sottovalutare la
riflessione sul tempo, o meglio sullo "spazio temporalizzato".
Tutto
sembra predisporre al liquido, dare inizio alla ricerca di un nuovo e
complesso codice architettonico, «un'architettura
d'azione, in un espressionismo astratto, un linguaggio di grado
zero.»
Già
osservando la villa di Poissy, un elemento inaspettato, che risulta
quasi bizzarro rispetto alla simmetria ineccepibile e alla geometria
pura dei volumi, è rappresentato dall'ultimo ordine, curvilineo e
asimmetrico, un elemento di rottura, quasi "di disturbo" al
cospetto di tanta perfezione.
Quell'elemento
"disturbatore", in realtà, insieme all'alteranza di pieni
e di vuoti, dinamizza e alterna slanci di energia cinetica a momenti
di massima staticità: la villa, così appartata e indisturbata,
vuole essere funzionale alle nuove esigenze dell'uomo moderno,
proteso verso il futuro, e, al contempo sembra collocata in un
microcosmo fuori città, bucolico, senza tempo.
La
riflessione sul tempo, che Le Corbusier sembra non aver trascurato
fin dal primo Razionalismo, è un elemento portante alla base della
ricerca filosofica dell'architettura liquida dei nostri giorni e
trova, come si è detto, nel futurismo di Boccioni e Duchamp, alcune
delle migliori rappresentanze.
La
destrutturazione futurista delle forme nello spazio, ispirata alla
ricerca cubista, inizia a considerare la dimensione temporale come
elemento imprescindibile del prodotto artistico: la propensione verso
il futuro, l'ansia del progresso, la velocità dei flussi dinamici,
danno una lettura di certo non pacifica dell'opera d'arte.
Inconfondibile in questa fase l'approccio multidimensionale dello
spazio-tempo, che di lì a breve avrebbe approfondito in altri ambiti
Albert Einstein.
Non
più dunque la prospettiva rinascimentale e l'eternità dell'opera,
ma una visione della realtà rinnovata, multiforme, nervosa e
frenetica: la guerra, le nuove costruzioni, i troppi eventi che
mutano radicalmente la storia dell'Europa, portano, nel corso dei
decenni, a quella società liquida, così complessa e labile, sui cui
meandri si indaga da alcuni anni con una certa laboriosità.
Il
concetto di liquido, infatti, è oggetto di diverse discipline. Una
delle definizioni ad oggi più esaustive si trova nel noto sociologo
Zygmunt Bauman: la modernità liquida sarebbe caratterizzata dalla
«convinzione sempre più
forte che l'unica costante sia il cambiamento e l'unica certezza sia
l'incertezza».
É
chiara dunque la posizione dei sociologi rispetto alla condizione
dell'uomo contemporaeo: in questa società liquida, in cui tutto è
istantaneo, fluido, instabile, l'individuo sperimenta la drammaticità
della solitudine e dell'incertezza.
Dal
punto di vista strettamente architettonico, la liquidità delle
costruzioni è evidente nell'evoluzione della destrutturazione
cubo-futurista delle forme, che trova maggiore applicazione nella
gestione dei volumi di Gehry e Mendini, ad esempio, i cui volumi
scomposti comunicano tra loro freneticamente, in una lotta di monadi,
che nell'insieme rende la visione estremamente dinamica ed energica.
La società rappresentata è quindi un network di singoli in continua
espansione, i quali, nonostante la globalizzazione e la rapidità
delle comunicazioni, vivono una condizione di profonda solitudine.
Possiamo
considerare, se vogliamo, quel terzo ordine curvilineo e scomposto di
Poissy, quell'elemento "disturbatore" della quiete
virgiliana, come la rappresentazione anticlassica di un sentimento
liquido che Le Corbusier aveva già interiorizzato.
Certamente
siamo ben lontani dal raffinatissimo Jean Nouvel (sebbene la scelta
del bianco sia un elemento da valutare), per citarne soltanto uno, ma
prendendo in esame la Cappella di Ronchamp, senza dubbio risulta
sorprendente il superamento dell'anticlassico già proteso verso un
atteggiamento liquido.
Inoltre,
mentre è concentrato sulla cappella a Ronchamp, negli anni '50, Le
Corbusier torna ad occuparsi delle abitazioni dell'uomo moderno,
elaborando quella che sarà una delle sue teorie principali, il
Modulor. L'abitazione è concepita prima di tutto come una maison
à habiter: la casa è uno spazio che deve rispondere a tutte le
esigenze funzionali e pratiche dell'uomo: egli diventa l'unità di
misura, il modello a cui tutto deve essere ispirato. Le linee guida
di questa nuova architettura sono le proporzioni fisiche dell'uomo
stesso, simbolicamente stilizzato, con il braccio alzato e la mano
aperta.
Il
singolo è al centro dell'indagine artistico-architettonica: torna
l'antropocentrismo umanistico-rinascimentale, e se vogliamo, molto
più indietro nel tempo, la formula protagorea: l'uomo è misura di
tutte le cose.
Il
sistema di proporzioni del Modulor è applicato nell'Unité
d'habitation di Marsiglia (1947-1952), un imponente monolite di
diciotto piani e trecentotrentasette appartamenti duplex, edificato e
pensato per soddisfare la carenza di abitazioni in seguito al boom
demografico del dopoguerra.
Anche
in questo caso, il tetto non è escluso dalla ricerca funzionale:
viene adibito infatti come area di gioco per i bambini.
La
funzionalità degli interni a misura d'uomo in realtà è ricercata
fin dal progetto di Villa Savoye, sebbene non abbia ancora trovato
una concezione teorica ben precisa.
La
casa è lo spazio dove l'uomo vive ed esprime se stesso, una piccola
parte del mondo in cui ritorna con una finestra sempre aperta verso
l'ambiente esterno.
Non
è casuale negli anni '60 la collaborazione di Le Corbusier con
l'ingegnere Adriano Olivetti, che tuttavia non andò in porto a causa
della morte prematura di quest'ultimo. Si tratta della progettazione
della cosiddetta Usine Verte (Fabbrica verde), un centro di
calcolo elettronico che avrebbe ospitato i progenitori dei computer.
La matrice del progetto intendeva sostituire al modello della tipica
Usine noire uno stabilimento avanguardistico, frutto della ben
nota indole utopica di entrambi i maestri. Il progetto era ambizioso:
umanizzare la fatica delle estenuanti e alienanti ore di lavoro
tramite il contatto e il dialogo con l'ambiente agrario circostante,
ristabilendo così «intorno
al lavoro le 'condizioni di natura'».
Il concetto di umanizzazione dello stabilimento è espresso
chiaramente nel ritorno alla predilizione delle aperture vetrate, che
regalano uno squarcio di paesaggio di montagna, cristallizzato di
nuovo in una sorta di dipinto impressionistico, la cui chiave di
lettura sarebbe stata il trinomio sole, spazio, verde.
Il
posto di lavoro si traduce in uno spazio dove l'uomo può
sperimentare l'emozione proveniente dall'osmosi con il cosmo. Anche
in questo caso Le Corbusier non delude le aspettative dei sostenitori
più fedeli del suo spirito innovativo: egli infatti, non solo
rievoca l'interesse antropologico verso la dignità dell'uomo in
quanto lavoratore, ma promuove una riflessione attiva sul problema
dell'integrazione tra fabbrica e ambiente, anticipando ampiamente le
discussioni attualissime circa l'impatto ambientale.
La
ratio alla base del progetto consiste nel creare un feedback nuovo
tra il committente e lo spazio che lo accoglie, secondo
un'architettura che possa emozionare il cliente-tipo della moderna
società macchinista. La forte carica evocativa delle sue strutture,
pur essendo già espressa già nel manifesto razionalista del '23,
viene rinvigorita due anni dopo con l'Appel aux industriels,
rivolto, tra tanti altri, allo stesso Olivetti. Nel '23 scrive
chiaramente: «Nella
pianta è già compreso il principio della sensazione».
Sulla
stessa lunghezza d'onda, ma in maniera differente, si colloca il
movimento cosiddetto "organico" dell'americano Frank Lloyd
Wright,
per cui l'osmosi tra la struttura e l'ambiente circostante diventa
una vera e propria simbiosi. Ai geometrismi e alle forme pure vengono
sostituite linee fluide che intendono penetrare e confondersi
nell'ambiente naturale che le genera. «Del
resto, non si pone una casa sopra la cascata se non si è acquistata
coscienza del fluire.»
Risulta
sempre interessante osservare, ricercare, andare a ritroso nel tempo
e studiare le opere e la filosofia di grandi personalità come quella
di Le Corbusier, ma uno spunto di riflessione ancora più stimolante
potrebbe essere rappresentato dal tentativo di immaginare cosa
avrebbe pensato il maestro svizzero di questo nostro terzo millennio,
così pieno di opportunità, ma anche così spaventoso, turbolento,
vacillante; come si sarebbe comportato, fino a dove lo avrebbe
portato quel suo spirito avveniristico troppo precoce per un'epoca
non ancora pronta. Forse questa liquidità avrebbe dato realizzazione
alle sue utopie, o forse lo avrebbe proiettato ancora più avanti nel
tempo. Quello che conosciamo per certo intanto, è l'eredità dal
valore inestimabile lasciata all'architettura e all'urbanistica,
documentatata, tra l'altro, in opere scritte egregiamente, da un uomo
di cui non si finisce mai di scoprire ed apprezzare la ricchezza
intellettuale.
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Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA
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