bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Il Riverside Museum di Glasgow  

Damiana Enea
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 6 Marzo 2015, n. 760
http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00760.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Musei

Gli ultimi vent’anni hanno visto una vasta fioritura di nuove fondazioni museali. Istituzioni nate per rispondere ai numerosi ed eclettici bisogni che il pubblico, e quindi la società, aveva richiesto per avvalorare ulteriormente il patrimonio artistico e culturale di cui ogni nazione dispone.

Perciò si è ricorso spesso alla costruzione di nuovi edifici affidandosi ai progetti di quei grandi artisti che oramai vengono definiti dalla critica come archistar1, che con mezzi del tutto innovativi si sono ispirati a forme, a tratti, non convenzionali. Infatti, il pensiero contemporaneo sembra percepire ed elaborare l’estensione dello spazio e la contrazione del tempo, esplorando concetti quali interattività, immaterialità ed evento. Spostando così sempre oltre la soglia del reale il limite dell’esperienza materiale.

La sostanza dell’architettura contemporanea emerge anche in riferimento al rinnovato valore del concetto di durata dell’opera. La vita di un edificio e dei suoi materiali può essere meglio precisata, essendo sempre più determinata da una consapevole scelta progettuale che può anche prevedere processi di sostituzione parziale e totale2. Si pensi anche al tipo di materiali scelti per alcune opere recenti, e alla loro mutevolezza, come nel caso della vasta gamma di opportunità formali e tecnologiche offerte dalle plastiche, dai pannelli di facciata, dalle membrane e dai cuscini pneumatici.

Elementi ravvisabili anche nell’organizzazione di un museo, poiché è necessario avere idee molto chiare sulle ragioni della sua costruzione, dei compiti a cui deve attendere, come la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali, del ruolo singolare che riveste nella promozione della dignità dell’uomo e del progresso della società.

Ed è in questo scenario che è possibile inserire la volontà di dar corpo a quello che verrà premiato nel 2013 dal Consiglio Europeo, con l’European Museum Forum, con il titolo di Miglior Museo dell’anno : il Riverside Museum of Transport di Glasgow.
Museo che si pone
in primis l’obiettivo di comunicare l’apparato meta-storico e sociale, come corridoio culturale per trasmettere ai posteri i valori fondamentali insiti nella propria tradizione.
Per questo è importante soffermarsi attraverso un breve
excursus sulla lunga catena di eventi che ha portato alla sua realizzazione, che è da ricercare più di mezzo secolo fa.

È il 1962, il cantiere A & Pointhouse di J. Inglis situato alla confluenza dei fiumi Clyde e Kelvin viene chiuso; dopo quasi 101 anni di attività che avevano visto il cantiere produrre più di 500 navi, da piroscafi agli yacht di lusso, navi da pesca e da guerra e che fino ad allora era stato il pilastro industriale della cittadina scozzese cessa la sua attività.

Nello stesso anno anche la North British Locomotive di Springburn, che al suo apice era stata in grado di costruire un quarto dei motori ferroviari presenti nel mondo fino a quel momento, frenò drasticamente il suo lavoro.
L’ossatura economica, di quella che era stata la seconda città della Gran Bretagna, si stava erodendo con una velocità allarmante.
Inoltre, altri due fattori furono scatenanti in quell’anno ad evidenziare la caduta del fino ad allora colosso industriale scozzese.

La demolizione delle vecchie “case a ringhiera” in pietra arenaria, che un tempo avevano caratterizzato la città, per lasciare spazio ai nuovi edifici. I lavori di riqualificazione e rinnovamento dell’area (AREA C) del distretto di Hutchesontown3 vennero affidati a Basil Spancer, presidente del Royal Institut of British Architects, ma nessuno poteva immaginare che si stava progettando quella che sarebbe divenuta il fulcro della delinquenza e della fatiscenza che di lì a poco si sarebbe diramata a macchia d’olio nello strato urbano.

Il Riverside Museum, costruito sul sito una volta occupato dai cantieri di Pointhouse, è un riflesso della reinvenzione di Glasgow come città pioniera post-industriale. Infatti si presenta come una struttura fondamentale per la riqualificazione sociale della città e sta pienamente rispettando la volontà della Scottish Exhibition e Conference Centre di rendere il fiume Clyde una parte fondamentale della comunità.

Anche dal punto di vista architettonico, vi fu per molti anni una sorta di rifiuto per il lungofiume. I cantieri stessi avevano poco in termini di costruzioni permanenti: erano per lo più depositi all’aperto, schermati dal resto della città da possenti mura.
Nella sua nuova incarnazione, il lungofiume di Glasgow è inteso come una risorsa urbana piuttosto che come un sito di infrastrutture industriali, anche se la maggior parte è al momento tutt’altro che curata.

Se Glasgow fu una delle prime città della Gran Bretagna ad essere trasformata dalla rivoluzione industriale, è stata anche uno dei primi centri urbani ad affrontare il “futuro” post-industriale, tema che portò ad una messa in gioco totale delle istituzioni scozzesi, ad essa infatti possiamo attribuire la pretesa di aver inventato quello che prenderà il nome di effetto Bilbao4.

Nel 1983, quasi vent’anni prima della spettacolare costruzione del Guggenheim Museum di Frank Ghery nella cittadina portoghese di Bilbao, Glasgow riuscì con il solo supporto della critica economia locale a completare la collezione Burrel5, permettendo così attraverso l’arte un processo di rinascita.

A questa linea appartiene la scelta della costruzione del Riverside che è legata ad una volontà di riqualificazione, in quanto una nuova architettura cambia l’aspetto di una città, riempiendo le lacune nel suo tessuto urbano e sociale, per dargli nuova vita e per mantenere dinamica la memoria storica della cittadina nelle sue più ampie sfaccettature. Il museo, infatti, è stato utilizzato per raccontare la storia sociale di Glasgow, così come i trionfi delle sue produzioni, dei suoi ingegneri e dei suoi progettisti.

Glasgow si presenta da un punto di vista architettonico, come una cittadina che vanta una prestigiosa e ambiziosa predisposizione all’avanguardia artistica. Basti ricordare Mackintosh e la sua Scuola di Glasgow6: una significativa reazione oltremanica all’Art Nouveau continentale che influenzò anche il nascente movimento secessionista austriaco, aprendo, così, il capitolo di uno stile tutto diverso dalle linee flessuose e curve della variante francese e belga: uno stile fatto, piuttosto, di forme verticali, leggere e sottili.
Superfici lisce ed interrotte, forme snelle che crescono dritte ed eleganti, l’opposto del decorativismo e dell’irregolarità, conosciute nell’esperienza architettonica dell’Europa continentale.

Non stupisce, quindi, la decisione di affidare al neoproduttivista Norman Foster la costruzione del Clyde Auditorium, delegando la fase esecutiva al Foster & Partners7, iniziato nel 1995 per essere inaugurato nel 1997. L’interesse acquisito ed elaborato negli anni per la sperimentazione verso costruzioni ingegneristiche sempre più ardite che lo ha reso uno dei rappresentativi esponenti dell’architettura high tech, è ravvisabile anche, in quello che viene rinominato l’Armadillo8.

La costruzione si concentra sugli aspetti tecnologici dei materiali con la quale il Baronetto è riuscito a fondere l’esaltazione socio-culturale propria della cittadina scozzese: la struttura infatti è formata da linee ricordanti gli scheletri degli scafi prodotti in passato dai cantieri di Glasgow.
Ed è in questo contesto che nasce la volontà di affidare all’anglo-irachena Zaha M. Hadid la realizzazione del Riverside Museum.
Fra le peculiarità che caratterizzano edifici e progetti della Hadid è prioritario il senso di leggerezza che essi trasmettono: svincolate dalle leggi gravitazionali, contaminate dalle valenze del costruttivismo e liberate nell’onirico. Risolte con aspetti tecnici, tecnologici e strutturali attraverso un uso e un accostamento di tecniche e materiali innovativi conservandone l’identità e allo stesso tempo volgendo tutto a fattore costruttivo di una realtà immaginata e sensibilità inedite.

I modelli da lei rappresentati sembrano più opere scultoree che non architettoniche, infatti dal principio l’Hadid confermò la sua volontà di non essere solamente un “architetto di carta”9: nel momento progettuale, sembra dimenticare i vincoli che la realizzazione del manufatto architettonico richiede, quasi si mutasse in pittrice10 con la volontà di esaltare al massimo la libertà espressiva degli spazi che va prefigurando. Infatti i suoi disegni non sono mai astrazioni ma modi di creare città piene di possibilità e di edifici in cui l’interno si fonde con l’esterno per creare spazi fluidi, piuttosto che gabbie o celle precostituite dalla tradizione museale.

La Hadid, insieme a Foster, è parte di un cambiamento generazionale che è stato responsabile della svolta odierna delle costruzioni contemporanee.
Dopo la ripresa dei concetti del modernismo
11, nel 1970, in seguito all’eruzione del postmodernismo alla quale si affianca dettagli decorativi classici, Zaha Hadid ha dato una svolta esplosiva all’architettura.

Come si può notare dal suo primo progetto realizzato, La stazione dei pompieri a Weil am Rhein12 dove i muri si stratificano, scivolano lungo linee di forza centrifughe, si dilatano e si interrompono. Interamente realizzato in cemento armato e privo di ogni accenno di ornamentazione, delinea un linguaggio asciutto, netto, che esalta maggiormente la manipolazione spaziale, tesa a creare cavità dinamiche.

Da allora l’interesse dell’Hadid si è concentrato su forme più morbide, forse più sensuali. Concependo le sue costruzioni come se fossero dei paesaggi, e per far ciò si avvale di software per esplorare la possibilità di geometrie più complesse.
All’inizio della sua carriera, prima che l’informatica divenisse universale ed indispensabile nella progettazione, Zaha immaginava un mondo del digitale, o quello che ora viene definitivo “parametrico” delineando ad occhio e con pochi semplici strumenti tratti sempre meno rettilinei, quelle che vengono definite
curve di bordo13.
I suoi progetti ci sfidano ad intendere lo spazio in modo differente. Usa tutta una serie di punti di partenza, comprese le relazioni matematiche e le forze presenti in natura, per innestare le sue esplorazioni di forma, con la quale intende eliminare la distinzione tra pareti e pavimento, tra il tetto e la terra, indagando così i modi con cui animare lo spazio per introdurre l’idea del movimento e del flusso.

Questo è esattamente quello che accade nella costruzione del Riverside Museum.
Il museo dei trasporti viene spesso descritto come un capannone. Richiama con la sua struttura il profilo del fabbricato industriale generico, una scatola con un tetto a dente di sega nella quale prende spazio un'estrusione plastica
14 in un circuito a forma di Z picchiata 15.
È una costruzione con tetto svettante che celebra i suoi contenuti, con uno splendido spirito di sollevamento che tende a smaterializzare i suoi spaz
î.

L’edificio è molto particolare e se pur le sue radici sono un riferimento al vernacolo industriale la sua manipolazione spaziale è molto più complessa ed elegante. La sua raffinatezza lineare è molto più vicina al Sainsbury Centre di Norman Foster16 piuttosto che a qualsiasi altro museo dei trasporti. Inoltre il profilo a dente di sega del Riverside è più simile a un frammento surrealista catturato nell’astrazione del resto della geometria, come se fosse il ritaglio di un collage17.

La copertura è composta interamente in lamiere zincate splendidamente realizzate, installate con la minuzia che possiamo ritrovare nell’haute couture18, che permette una resa finale nella quale viene bandita ogni distinzione tra le pareti ed il tetto, realizzata con le stesse tecniche con la quale viene rivestita l’ala di un aereo.

Nevile Bordy, graphic designer collaboratore dell’Hadid, ha suggerito per realizzare tali forme la pittura digitale, in modo tale da poter gestire l’impatto con gli agenti atmosferici. Ciò ha richiesto un apposito team di costruttori con la capacità di stendere i fogli di zinco che rivestono l’esterno del museo con accurata attenzione nel riconoscere la posizione di ogni cucitura.

Tali cuciture sono tenute in parallelo e si avvolgono formando doppie curve, su quello che può essere chiamato lo “scafo” del museo, come se fosse esso stesso una barca, riferimento ai vecchi cantieri navali siti dove oggi sorge l’edificio. Questo “cappotto su misura” nasconde pienamente la struttura in acciaio muscolare interna da cui è sostenuto.

Forse l’aspetto più coinvolgente in termini di spazio pubblico è il timpano in vetro che guarda verso il Clyde, riflettendo l’albero maestro del veliero Gleenvee Tall Ship risalente al XIX secolo, ristrutturato per divenire parte integrante della struttura museale.

Anche i lati interni delle pareti e del tetto sono altrettanto ben progettati, enigmatici come l’esterno, ma qui invece dell’utilizzo dei sobri gunmetal 19con cui è ricoperto l’esterno, la pelle interna è formata da pannelli di gesso-vetro rinforzato da calce e vernice color pistacchio.

Le forme schiacciate insieme e la torsione degli interni sono gli elementi di base della rappresentazione digitale. I Pixel elettronicamente generati scivolano finemente l’uno nell’altro senza lasciare la minima increspatura sulla superficie, come magneti che deviano i flussi degli elettroni. E sicuramente è in questa la grande capacità progettuale dell’Hadid: un sovrapporsi e stratificarsi di informazioni, un moltiplicarsi di ordini possibili, un interagire e ibridarsi di molteplici relatività che grazie alla preparazione tecnica delle nuove esperienze tecnologiche, riesce nella fase esecutiva a creare un centro armonico di pareti in grado di diluire una dimensione nell’altra.

Lo spazio al livello superiore non è interamente utilizzabile: il suo punto più alto raggiunge i 10 metri sotto la superficie del tetto (36,4 metri alla sua massima altezza esterna) che è autoportante (una struttura di traliccio di profilati in acciaio dal peso di più di 2.500 tonnellate) e in sezione si notano una serie di crinali e avvallamenti che variano in altezza e ampiezza da un timpano all’altro.

Particolare attenzione richiede l’uso inusuale della vernice pistacchio, colore suggerito da una cromia lanciata da Prada alla fine del 1990: non è il tipo di colore che siamo abituati a vedere all’interno di un museo e forse è stato scelto per evidenziare il fatto che gli oggetti qui esposti non sono da intendersi come opere d’arte, per questo anche la volontà di perdere l’utilizzo convenzionale dei “cubi bianchi” per esporre le opere. La scelta di ciò potrebbe essere legata al desiderio di ammorbidire la presentazione dei reperti industriali, inserendoli in un contesto più raffinato.

I visitatori vengono introdotti all’interno del museo da geometrie straordinariamente dinamiche che ruotano da sinistra a destra in un’area espositiva di 11.000 metri quadrati, attraverso ranghi ammassati di locomotive in acciaio, modellini di navi, moto e tram. Per un totale complessivo di 3.000 oggetti raccolti in 150 espositori.

Non esiste un percorso definito attraverso gli oggetti esposti, non vi sono singole narrazioni che i curatori vogliono comunicare.

Nel caso delle opere d’arte, ci sono problemi relativi all’utilizzo della luce e sulle proporzioni da affrontare quando si pianificano gli interni e le esposizioni. Con il Riverside, il problema fondamentale era quello di trovare un modo per affrontare e mettere in mostra così tanti oggetti disparati e per dare un senso di coerenza alla raccolta, consentendo nel contempo alle singole opere di spiccare. La semplicità pura e visiva degli interni permette ciò, anche attraverso le mura che trasmettono un senso di movimento dinamico, essenza dei trasporti. La grandezza curatoriale propria del Riverside è insita nella volontà di trovare un mezzo che permetta la più diretta comunicazione della storia sociale, culturale ed economica della cittadina attraverso gli oggetti esposti, un tempo vanto indiscusso della città di Glasgow.

Tale volontà è espressa nell’utilizzo dei Display Story, che sono risultati essere il sistema più valido per ripensare i metodi di interpretazione e fruizione delle collezioni.

I display sono basati su due criteri: la rilevanza e i punti di forza delle raccolte, e l’interesse del pubblico. Ciò ha portato a pianificarli con le storie che possono raccontare gli oggetti, piuttosto che basare la linea-guida della fruibilità su ordini cronologici o tassonomici determinati per definire come un oggetto sarà visualizzato. Sviluppati secondo il self-contained20, incentrato sul vero significato dell’oggetto e rilevante per il target del pubblico del museo.

Ogni Display Story presente all’interno del Riverside è sviluppato per un target specifico: le famiglie, i bambini sotto i cinque anni, le scuole, gli adolescenti e le persone con problemi sensoriali. Ogni monitor è frutto di una ricerca psicologica e sociale che permette di trovare il metodo più efficace per fornire il messaggio chiave godibile per ognuno delle categorie a cui principalmente si rivolge. A volte i display riportano informazioni prettamente testuali, mentre altre volte sono accompagnati da frame di film, commenti audio e processi interattivi, accesso ad archivi dati e interviste d’epoca, il tutto per fornire più livelli di conoscenza. Il risultato è che circa il 40% delle opere dispongono di un’interpretazione digitale, definita metodo main21, per trasmettere il contenuto.

Il film, il suono e il browser di rete sono tra i più grandi dispositivi di comunicazione. Tuttavia spesso il sistema museale li utilizza con il solo scopo di trasmettere passivamente informazioni, e nel caso del browser presentando archivi dati piuttosto che attingendo al ricco potenziale proprio di questi mezzi. La volontà del Museo dei Trasporti è quella di affiancare la tecnologia a tutte le altre forme di interpretazioni possibili, in grado di comunicare pienamente i contenuti dei singoli oggetti.

C’è spesso poca attenzione all’approccio interattivo, sulla creazione di contenuti e sulle emozioni suscitate al visitatore attraverso le varie tematiche presentate.

Il concept testing sviluppato dal Riverside segue due percorsi:

  1. L’esplorazione delle metodologie e filosofie di altre discipline per preparare i contenuti, modificandoli fino a renderli perfetti per la fruizione del pubblico specifico.

  2. Lavorando direttamente con i rappresentanti del suo target per poterne studiare i vari tipi di reazione all’approccio didattico.

Tutti questi studî, in stretto contatto con il pubblico di riferimento, hanno portato alla scoperta del Game-Play come mezzo fondamentale per poterne permettere il massimo godimento intellettivo e sensoriale.

Il gioco crea un ambiente competitivo nel quale i partecipanti sono motivati a capire la storia che viene presentata, e le possibilità di successo e fallimento insite nell’esperienza e il senso di realizzazione che ne deriva permettono al fruitore di impersonificarsi pienamente nelle logiche storiche e dei suoi protagonisti. Questo è un campo di particolare interesse nei musei scozzesi dove le attività del gioco vengono viste come mezzi per creare ambienti per un più efficace apprendimento. Tali studi pedagogici, sostenuti dalla Corte di Scozia, avvengono inizialmente coinvolgendo le scuole.

Gli esperti del Learning and Teaching Scotland22 hanno evidenziato le esperienze e i risultati ottenuti utilizzando strumenti ludici digitali all’interno dei contesti scolastici. L’apprendimento così diviene meno formale e offre maggiore possibilità di sviluppo personale in una struttura inter pares che si svincola dai tradizionali ambienti didattici. Ciò ha permesso di perfezionare l’approccio dei curatori del Riverside nell’interpretazione basata sui Game-Play all’interno del museo, arrivando alla conclusione che la chiave per un maggior apprendimento culturale sia la costruzione empatica che permette comunicazione e cooperazione tra i bambini, gli insegnanti e l’evento storico.

Tuttavia, altri test hanno permesso di indagare le reazioni del pubblico-fruitore rispetto agli atri mezzi di visualizzazione. Questo può essere dimostrato attraverso le ricerche svolte per le colonne sonore. I suoni nei musei spesso sono utilizzati come accompagnamento delle didascalie digitali, voci fuori campo che forniscono spiegazioni o commenti, o per creare ambienti suggestivi. Il suono, infatti, può comunicare un più profondo senso della narrazione e quindi può essere efficace nel fornire chiarimenti e permette al visitatore di creare un contatto più emotivo con l’opera.

Le conclusioni del concept testing hanno fornito alcune metodologie chiare per sviluppare un miglior approccio con la struttura sonora: la lunghezza del racconto è subordinata al contenuto per un tempo massimo di 40 secondi di coinvolgimento intellettuale dei fruitori rispetto alle note audio o AV. Per questo sono stati inseriti degli interruttori che permettono di interrompere la narrazione, osservare gli oggetti e poi tornare ad ascoltare il racconto da dove era stato sospeso.

Dal 2009 il team del Riverside lavora con gli sviluppatori di software per produrre display sempre più interattivi. E forse non è un caso che il profilo della copertura del Riverside Museum ricordi il tracciato di un elettrocardiogramma, un cuore pulsante, quasi a voler confortare la città stessa di essere entrata in un periodo di fiorente rinascita.









NOTE

1 Termine utilizzato per la prima volta dalle studiose Gabriella Lo Ricco e Silvia Micheli, autrici del saggio Lo spettacolo dell’architettura. Profilo dell’archistar© (Milano, Bruno Mondadori, 2003; http://books.google.it.) Le due studiose si sono dimostrate molto consapevoli dell’efficacia del neologismo da loro stesse proposto, archistar, tanto da porlo dentro la teca protettiva del copyright (http://www.ufficiobrevetti.it). Infatti, la minuscola © in esponente accompagna la parola per tutto il libro. Si può dire che la parola archistar nasce per diventare una stella del firmamento lessicale, mentre la realtà che essa designa è già stella nel firmamento delle professioni creative.

2 Ad esempio l’immenso tendone da circo high tech del Millennium Dome (Londra, 2000), poi ribattezzato “The O2” progettato da Richard Rogers. Un’opera dall’aspetto itinerante, la cui struttura è stata progettata per una durata di almeno 25 anni, per poi essere sostituita.

3 Distretto industriale di Glasgow, riqualificato negli anni ’60 del Novecento come zona destinata alle abitazioni operaie. Suddiviso in 5 zone ognuna delle quali venne affidata ad architetti di spicco. Divennero i poli della criminalità e lo specchio della crisi sociale della cittadina, verranno smantellati dalla regina Elisabetta dal 1987 al 1993.

4 Con il termine “Effetto Bilbao” si definiscono le architetture che hanno fatto da volano alla crescita economica. Cfr. Silvia Cattiodoro, Architettura scenica e teatro urbano, Roma, Franco Angeli Edizioni, 2007, p. 53.

5 Nel 1944 Burrel donò la sua collezione alla città di Glasgow, insieme a 250.000 sterline da utilizzare per ospitarla. Come condizione per la donazione pose che la collezione dovesse essere ospitata fuori città, in una zona rurale; questo fatto rappresentò un problema fino a quando il comune acquistò la zona di Pollok Country Park. Solo dopo molti anni fu costruito un museo dedicato alla collezione, aperto nel 1983, anche se può in realtà ospitarne solo una parte.

6 Scuola di Glasgow: 1897-1899, è uno dei maggiori esempi di architettura moderna scozzese.

7 Fondata nel 1967, è uno studio internazionale di design e di architettura condotto da Lord Norman Foster e da cinque soci: Spencer de Grey, David Nelson, Ken Shuttleworth, Graham Phillips e Barry Cooke.

8 Soprannominato così per la sua forma ricordante il piccolo mammifero.

9 Poiché la critica riteneva che i suoi edifici non potevano essere realizzati nella fase esecutiva.

10 Attività che peraltro svolge, le sue opere sono esposte in vari musei, tra cui il Museum Of Modern Art di New York.

11 Dalla quale riprende principalmente il linguaggio russo degli anni Venti del Novecento.

12 Stazione dei Pompieri: 1990-1993, per il Campus Vitra (Basilea).

13 Richiamano le strutture parietali tipiche degli yatch.

14 È un processo di produzione industriale di deformazione plastica che consente di produrre pezzi a sezione costante di materiali metallici quali l’acciaio, l’alluminio, il piombo e il rame; materie plastiche come la gomma o materiali termo plastici e altri materiali.

15 Alcuni suggeriscono sia la firma dell’architetto.

16 Edificio inaugurato nel 1977 che ospita la collezione d’arte di Lord e Lady Sainsbury.

17 Anche alcuni aspetti degli interni, nell’esposizione possono richiamare elementi surrealisti, seppur l’Hadid non ne è responsabile.

18 Settore dell’abbigliamento nel quale operano i creatori di abiti di lusso.

19 È un tipo di bronzo, noto anche come ottone rosso negli Stati Uniti. Una lega di rame (88%), stagno (10%) e zinco (2%). Originariamente utilizzano principalmente per la produzione di pistole, canna di fucile. Fu infine sostituito dall’acciaio. Viene anche utilizzano per produrre vapore e getti idraulici, valvole e ingranaggi, e anche statue e vari piccoli oggetti, ad esempio pulsanti.

20 Autosufficienti, ossia in grado di trasmettere indipendentemente al fruitore informazioni senza l’ausilio di ulteriori apparati.

21 Esso è un normale metodo Java, esattamente al pari degli altri. La differenza rispetto agli altri è che, da qualche parte, è stato deciso per convenzione che un programma Java comincia quando la macchina virtuale invoca un metodo che si chiama main, se soddisfa determinati requisiti: deve essere obbligatoriamente definito come public e static (ma si noti che la classe a cui appartengono non deve necessariamente essere public). Esso deve accettare un solo argomento, di tipo String[], e avere void come tipo di ritorno.

22 Il Learning and Teaching Scotland (LTS o LT Scozia) è stato un ente pubblico non ministeriale del Governo Scozzese, nato dalla fusione del Scottish Consultative Council on the Curriculum (SCCC) e il Scottish Council for Educational Technology (SCET). È stata la principale organizzazione per lo sviluppo e il sostegno della didattica scozzese, ed è stato al centro degli sviluppi nella formazione scozzese fino alla fusione con l’Her Majesty’s Inspectorate for Education per formare la Education Scotland nel 2011. Il ruolo di LTS è stato quello di fornire consulenza, supporto, risorse e sviluppo del personale per migliorare la qualità dell’apprendimento e dell’insegnamento in Scozia, unendo competenza nel curriculum 3-18 con consigli sull’uso delle TIC nel settore dell’istruzione.







BIBLIOGRAFIA

AMATO 2005
Pietro Amato,
Progettare un museo: nozioni fondamentali per la gestione dei musei, Roma, Istituto Italo-Latino Americano, 2005

Architettura effimera 2013
Architettura effimera nel XXI secolo
, Roma, Enciclopedia Treccani, 2013 http://www.treccani.it/enciclopedia/architettura-effimera_(XXI_Secolo)/

AUGÉ 2004
Marc Augé,
Le temps en ruines, Paris, 2003.

BAUMAN 2005
Zygmunt Bauman,
Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Bari-Roma, Laterza, 2005.

BAUMAN 2010
Zygmunt Bauman,
Vita liquida , Roma, Laterza (collana Economica Laterza), 2010.

CATTIODORO 2007
Silvia Cattiodoro
, Architettura scenica e teatro urbano, Roma, Franco Angeli Editore, 2007.

CHARLOTTE & PETER FIELL 1997
Charlotte & Peter Fiell,
Charles Mackintosh, Colonia, Taschen, 1997.

CIASTELLARDI 2009
Matteo Ciastellardi, Le architetture liquide. Dalle reti del pensiero al pensiero in rete, Milano, LED Edizioni Universitarie, 2009.

DAVIDSON CRAGOE 2008
Carol Davidson Cragoe ,
How to read buildings: a crash course in architecture, Bloomsbury, Herbert Press, 2008.

DAVIS, DESVALLEÉS, MAIRESSE 2011
A.DAVIS, A. DESVALLEÉS,F. MAIRESSE ,
What is a museum ?, Monaco, Dr. C. Muller- Straten, 2011.

DE SESSA 1996
Cesare De Sessa,
Zaha Hadid. Eleganze dissonanti, Torino, Universale di architettura (collana diretta da Bruno Zevi), Testo&Immagine, 1996.

HOOPER-GREENHILL 1994
Eilan Hooper-Greenhill,
Museum and Gallery education, Leicester, Leicester University Press, 1994.

LARMANN 2007
Ralph Larmann,
Stage design emotions, Colonia, PPV Medien GmbH, 2007.

LUGLI 2005
Adalgisa Lugli,
Museologia, Milano, collana “Un’enciclopedia EDO d’orientamento”, Jaca Book, 2005.

MINTZ ,THOMAS 1998
S. Thomas, A. Mintz,
The Virtual and the Real: Media in the Museum, Washington DC, American Association of Museums, 1998.

MONARDO 2010
Bruno Monardo,
La città liquida: nuove dimensioni di densità in urbanistica, Rimini, Maggioli ed., 2010.

NOVAK 1993
Marcos Novak,
Architetture liquide nel ciberspazio, in Cyberspace. Primi passi nella realtà virtuale, Padova, Muzzio, 1993.

PAGNANI 2007
C. Pagnani,
Zaha Hadid, l’opera completa, Milano, Rizzoli, 2007.

RUGINO 2008
Salvatore Rugino,
Liquid Box, Roma, Aracne Editrice, 2008.

SCHUMACHER 2004
Patrik Schumacher,
Hadid digitale. Paesaggi in movimento, Testo & Immagine, collana Universale di architettura, 2004

SUDJIC 2012
Deyan Sudjic,
Riverside Museum, Londra, Scala Arts & Heritage, 2012.

ZEVI 1973
Bruno Zevi ,
Guida al codice anticlassico, Torino, Einaudi (Piccola Biblioteca Einaudi 214), 1973.






SITOGRAFIA

http://labont.it/wordpress/wp-content/uploads/2012/08/zaha.pdf

http://www.architettare.it/2010/10/architettura-liquida/

http://www.artinvest2000.com/musei.html

http://costruire.laterizio.it/costruire/_pdf/n128/128_02_03.pdf

http://www.domusweb.it/it/architettura/2011/06/21/riverside-museum.html

http://www.latitudeslife.com/2012/07/glasgow-e-larchitettura-del-movimento/

http://www.glasgowarchitecture.co.uk/burrell-museum

http://www.treccani.it/enciclopedia/societa-postindustriale_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/

http://www.glasgowlife.org.uk/policy-research/Documents/Glasgow%20Cultural%20Statistics.pdf

http://www.engage.org/publications/..%5Cdownloads%5C2A4825A88_EJ_24_Williams.pdf









Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA









Fig. 0
Rive del Fiume Clyde

Fig. 1
Panoramica esterna del Riverside Museum of Transport and Travel

Fig. 2
Particolare tetto svettante a dente di sega

Fig. 3
Entrata laterale museo con riflesso dell'albero maestro del veliero Gleenvee Tall Ship

Fig. 4
Particolare interno

Fig. 5
Particolare interno

Fig. 6
Particolare interno curve di bordo

Fig. 7
Particolare interno curve di bordo e conseguente annullamento distinzione pavimento/pareti

Fig. 8
Particolare allestimento curatoriale

Fig. 9
Particolare allestimento curatoriale

Fig. 10
Esempio Display story

Fig. 11
Esempio Game Play

Fig. 12
Esempio Game Play sensoriale






Foto cortesia di Damiana Enea

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali


BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it