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Festina lente: due incisioni dell'Hypnerotomachia Poliphili e la marca tipografica di Aldo Manuzio Hypnerotomachia Poliphili, scheda delle xilografie n. 18 e 35

Maria Beatrice Bongiovanni
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 Maggio 2015, n. 771
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I critici hanno ragione quando vedono il “ritorno alla Grecia” come un regressivo desiderio di morte, come una fuga dai conflitti contemporanei nelle mitologie e nelle speculazioni di un mondo fantastico. […] “Rinascimento” (rinascita) sarebbe una parola priva di significato senza l'implicita dissoluzione, la morte stessa da cui quella rinascita proviene.

JAMES HILLMAN, Saggio su Pan


Rovinismo e alchimia: una lettura mitologica e psicoanalitica

Nel sesto capitolo dell'Hypnerotomachia Poliphili1, Polifilo attraversa la magna porta in uno stato di estasi contemplativa. Dopo aver ampiamente lodato la costruzione, Polifilo medita sul piacere che deriva da tale visione: «Si gli fragmenti dilla sancta antiquitate et rupture et ruinamento et quodammodo le Scobe ne ducono in stupenda admiratione, et ad tanto oblectamento di mirarle, quanto farebbe la sua integritate?»2. La magna porta non è il primo né l'ultimo dei monumenti incontrati dal protagonista nel corso del suo peregrinare onirico; la riflessione sull'integrità perduta delle rovine viene formulata anche in altri momenti del romanzo. Prima della magna porta vengono fatte delle considerazioni sulla grandezza delle rovine solo in altri due momenti: dopo la prima serie di rovine (la fabbrica con la piramide, l'equus infelicitatis, il colosso e l'elefante obeliscoforo) e davanti alla facciata della porta suddetta. Polifilo in queste occasioni dice: «O sancti patri antiqui artifici, quale immanitate invase tanta vostra virtute, che con vui nella sepultura, portasti di tante divitie la exhaereditatione nostra?»3, e poi «Veneno exitiale, che misero fai che da te è laeso, quante magnifice opere sono ruinate et parte interdicte?»4. In entrambi i casi Polifilo fa riferimento alla morte: i santi padri si sono portati nella tomba tanta virtù e il veleno mortale immiserisce le opere umane. Lo stato di Fortuna perduta e il pensiero malinconico sulla morte si inseriscono perfettamente nello stato di nigredo alchimistica (che, come dice Jung, corrisponde psicologicamente all'incontro con l'Ombra)5. Questa si manifesta in diversi passi dell'opera e sembra terminare dopo la fuga dal drago e il superamento degli oscuri sotterranei in cui Polifilo si perde in preda alla paura. Le grotte ipogee, l'ambientazione silvana di molti luoghi dell'Hypnerotomachia, il panico provato prima nell'Hercynia silva e poi in luoghi sotterranei sono tutti elementi che ci rimandano a Pan, il dio-capro della natura. A proposito Hillman si esprime così: «La paura esiste per essere affrontata e vinta dall'eroe nel suo cammino verso la virilità, e l'incontro con la paura ha un ruolo preminente nelle cerimonie iniziatiche»6, e più avanti, relativamente alle due facce della paura (panico e angoscia), afferma: «Può esservi paura panica, una sorta di fuga precipitosa, ad esempio; può esservi angoscia panica come in un sogno. In entrambi i casi l'esito può essere la morte». Hillman soggiunge inoltre che è possibile «distinguere il sogno d'angoscia dall'incubo nel senso classico. L'incubo classico è la terrificante visitazione da parte di un demone che opprime forzatamente il sognatore paralizzandolo, mozzandogli il respiro, e la liberazione giunge attraverso il movimento»7. Polifilo sogna di sognare, dichiara dunque di trovarsi in un luogo profondo della psiche. È vero che si tratta di una finzione letteraria e di un'allegoria rinascimentale, ma le puntuali analogie con gli archetipi della psicologia analitica di Jung, ripresa da Hillman, impressionano. Secondo la tesi di Roscher il dio Pan è il demone dell'incubo nell'antichità, «a causa della natura satiresca-


Fig. 1

Fig. 1 – Xilografia dall'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499. Semper festina tarde


caprigna-fallica di Pan, sia l'angoscia panica dell'incubo sia i suoi aspetti erotici possono essere sussunti sotto un'unica e medesima figura»8. Pan, dio del Tutto è dio della natura, che nell'immaginario antico corrisponde all'Arcadia, luogo fisico e psichico. Le oscure grotte in cui si poteva incontrare Pan vengono estese dai neoplatonici «fino a indicare i recessi materiali in cui risiede l'impulso, gli oscuri fori della psiche da cui nascono desiderio e panico»9. Egli è allo stesso tempo distruttore e preservatore. L'aspetto protettivo si rivela nella sua affinità con i pastori e anche nel suo ruolo nel corteo di Dioniso, in quanto custode dello scudo del Dio. Inoltre Pan protegge Psiche dal suicidio nella favola narrata da Apuleio: Psiche (l'Anima) presa dal panico si butta nel fiume che la rigetta. Pan qui si rivela con la saggezza della natura: «la saggezza è quella del corpo che entra in connessione col divino, come il panico con Pan»10. Polifilo dunque incontra un mostro demoniaco (il drago, simbolo anche del serpens mercurii che rappresenta la prima materia), scende in caverne oscure (si confronta dunque con l'Ombra, l'elemento sotterraneo, il male) per poi uscirne e ritrovarsi in un bosco. A questo punto del romanzo Polifilo ha superato un grande pericolo e il panico che ne consegue, la strada è più sicura e questa sicurezza si materializza con la visione del ponte: «Quando la vittoria diventa stabile è perché la strada si è fatta ponte: ha saltato l'ostacolo, ha unito le due "rive" opposte facendone una stessa cosa; una continuità visiva che supera e fa dimenticare la frattura»11. Il ponte è un luogo sia di passaggio (congiungimento delle due rive) sia di stabilità (attraversamento sicuro di un fiume, per sua natura mobile e in divenire), per Polifilo rappresenta il passaggio dallo stato di paura a un nuovo regno, quello della regina Eleutherillyde, ossia quello del Libero arbitrio che, in quanto libera scelta fatta con coscienza, presuppone saggezza e prudenza, significato profondo del motto festina lente. Il motto si presenta all'interno del romanzo due volte ed entrambe le volte è proposto durante l'attraversamento di un ponte. Il primo ponte permette a Polifilo di entrare nel regno di Eleutherillyde, dopo la fuga dal drago, il secondo gli permette di uscire dallo stesso regno e conduce alle tre porte. All'interno di questo regno Polifilo,


Fig. 2

Fig. 2 – Xilografia dall'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499 Velocitatem sedendo, tarditatem tempera surgendo


tra le altre cose, si lava dentro delle terme insieme a delle ninfe e incontra numerose fontane. Il regno del “Libero arbitrio” è dunque caratterizzato dalla presenza dell'acqua, questo elemento caratterizza la fase alchimistica dell'albedo, stadio di purificazione nel processo di trasmutazione della materia, che per noi, in questo caso, è l'anima di Polifilo. A proposito dell'alchimia Jung dice: «L'alchimia forma infatti una sorta di corrente sotterranea di quel cristianesimo che regna alla superficie. Il rapporto tra alchimia e cristianesimo è equivalente a quello fra sogno e coscienza, e come il sogno compensa i conflitti della coscienza, così l'alchimia tende a colmare quelle lacune che la tensione dei contrari presente nel cristianesimo ha lasciato aperte»12. Questa considerazione da parte dello psicanalista svizzero può spiegare come l'alchimia abbia potuto interessare anche uomini di Chiesa, infatti Francesco Colonna, barone di Palestrina e autore dell'Hypnerotomachia Poliphili, è stato canonico secolare in San Giovanni in Laterano, protonotario apostolico partecipante e canonico in San Pietro. Il Polifilo chiaramente non è un trattato alchemico, ma solo «un racconto allegorico che assume dall'alchimia filosofica alcuni luoghi e riferimenti, assai più diffusi di quanto non si pensi»13. Le teorie alchemiche concorrono a denotare l'antica sapienza, fatta oggetto di culto da Polifilo e da lui personificata allegoricamente nella figura di Polia. Per raggiungere tale sapienza vale il motto festina lente, presente due volte nell'Hypnerotomachia nella variante semper festina tarde e vicino all'altro adagio greco del μηδὲν ἄγαν (equivalente del latino ne quid nimis)14, per indicare che tutto il bene sta nella giusta misura.


Festina lente

Il motto festina lente deriva dal greco σπεῦδε βραδέως ed è attribuito all'imperatore Augusto da Svetonio (De vita Caesarum, 25), Aulo Gellio (Noctis Atticae, 10, 11) e da Macrobio (Saturnalia, 6, 8, 9). Si tratta di un invito morale e politico: la frase è basata sull'ossimoro che unisce i movimenti opposti dell'affrettarsi e del muoversi con lentezza, una frase con cui Augusto ammoniva i suoi generali affinché agissero allo stesso tempo con tempestività e prudenza. L'immagine dell'ancora con delfino si ritrova anche su delle monete imperiali in qualità di signum in onore a Nettuno: un aureo e un denario argenteo di Tito del 79-80 d.C., due denarî argentei di Domiziano dell' 81 d.C15. Una prima allusione al legame tra il motto e l'emblema si trova in una lettera di Aldo Manuzio ad Alberto III Pio da Carpi datata 14 ottobre 149916, cioè due mesi prima della pubblicazione dell'Hypnerotomachia, opera in cui per la prima volta l'emblema è chiaramente connesso al motto. Infatti nel Polifilo il motto viene raffigurato da due geroglifici: nel primo vengono accostati il circolo (che allude all'ouroboros, simbolo dell'eterno scorrere del tempo), l'ancora (simbolo di fermezza), il delfino (animale noto per la sua incredibile velocità), da cui si ricava la frase semper festina tarde (fig. 1); nel secondo una donna (nel testo incoronata da una serpe) è seduta con la natica destra mentre la gamba sinistra è in atto di alzarsi e, in opposizione significativa, tiene nella mano destra due ali mentre nella mano sinistra una tartaruga, da cui la frase velocitatem sedendo, tarditatem tempera surgendo (fig. 2). Il motto in connessione con l'emblema viene trattato negli Adagia di Erasmo da Rotterdam pubblicati per la seconda volta a Venezia da Aldo Manuzio nel 1508: secondo Erasmo la corrispondenza fra motto e simbolo deriverebbe da un'antica “pictura” geroglifica dell'egizio Cheremone, dove il delfino e l'ancora sono raffigurati in un circolo. In realtà l'unione fra l'adagio e l'emblema viene fatta per primo dal Colonna. Erasmo è usato come fonte dall'Alciati nei suoi Emblemata, opera edita ad Augusta nel 1531. Riportiamo qui l'emblema XXI [1531, c. B2r; 1534, p.25] intitolato: Princeps subditorum incolumitatem procurans (il principe che ha cura dell'incolumità dei sudditi).


Titanij quoties conturbant aequora fratres,
Tum miseros nautas anchora iacta iuvat.
Hanc pius erga homines delphin complectitur, imis
Tutius ut possit figier illa vadis.
Quan decet haec memores gestare insignia reges,
Anchora quod nautis, se populo esse suo.

(Tutte le volte che i fratelli Titani sconvolgono le onde marine,
allora gettare l'ancora aiuta gli sventurati naviganti.
Benevolo verso gli uomini il delfino l'avvince,
affinché possa essere fissata più sicura al fondale.
Ben conviene che i re portino questa insegna, memori
di essere per il loro popolo ciò che l'ancora è per i naviganti)17.


Si tratta di un invito al buongoverno del sovrano e alla tutela dei sudditi. Nell'emblema ritornano i simboli dell'ancora e del delfino. La frase proverbiale σπεῦδε βραδέως è seguita da un verso greco che Erasmo pensava fosse un tetrametro tratto da un dramma classico, è il verso 599 delle Fenicie di Euripide. Al verso appartiene ςτρατελάτης con cui Svetonio terminava la sua citazione, σπεῦδε βραδέως invece non vi appartiene18. Wind mette in relazione il concetto di festina lente alla matura celeritas, riporta come esempio una medaglia di Altobello Averoldi, governatore di Bologna, con l'iscrizione matura celeritas. (National Gallery of Art, Washington, n. A1208-470A) inventata per lui da Achille Bocchi e presente nelle Symbolicae quaestiones come “consiglio a un governatore”. Nella raffigurazione il filosofo si rivolge al sovrano e tiene in mano uno sprone attaccato a una briglia mentre, sullo sfondo, un saggio anziano ammonisce un giovane con cornucopia: si tratta dell'iconografia del puer senex, oppure paedogeron (lemma usato da Calcagnini accompagnondolo alla spiegazione “id est puer senex” nella sua traduzione del De Iside et Osiride di Plutarco, pubblicata col titolo De rebus Aegyptiacis), ossia il “giovane vegliardo”, uomo in cui si manifestano vitalità e cautela simultaneamente. Secondo Wind la medaglia si ricollega a un affresco del Palazzo ducale a Mantova, dipinto nello stile del Mantegna: vi è raffigurato un giovane trattenuto da Virtù, stante su base quadrata, che insegue Fortuna, poggiata su una base sferica, rappresentata calva con un solo ciuffo di capelli lunghi mossi nella direzione del giovane. Questa immagine, secondo Wind, rappresenta il motto festina lente, in quanto l'azione del giovane è impaziente e ferma al tempo stesso.



La marca tipografica di Aldo Manuzio

L'emblema dell'ancora con delfino sarà usata come marca tipografica da Aldo Manuzio a partire dalla pubblicazione dei Poetae Christiani del 1502. Il motto, nella sua sua forma greca, appare per la prima volta nella prefazione di Aldo alle opere di Poliziano (Opera varia, in-folio) pubblicati nel luglio del 1498. Manuzio lo cita nella lettera dedicatoria a Marino Sanudo. La forma latina appare per la prima volta nella lettera del 14 ottobre 1499 ad Alberto Pio da Carpi, la seconda nella prefazione dedicatoria a gli Astronomici veteres (in-folio) del giugno - novembre 149919. Il prototipo appare nel Polifilo in una configurazione orizzontale. La marca appare per la prima volta nel folio [*]8v del secondo volume dei Poetae Christiani Veteres, datato 1501 per il testo e giugno 1502 per la lettera dedicatoria di Manuzio a Daniel Clario20, e misura 55 x 48 mm. Questa prima versione, caratterizzata dal doppio bordo, compare solo una volta a conclusione della prefazione che introduce il Sedulius. Nella seconda versione della marca il doppio bordo viene eliminato e al suo posto vi sono una serie di puntini. Questa appare nell'agosto 1502 nella stampa di Dante e Sofocle21. Un ulteriore passo avviene tra settembre e febbraio, tra le date del colophon dell'edizione in-folio di Erodoto e i due volumi in 8° di Euripide. La seconda variante della marca è usata nel verso finale di Erodoto, ma nel titolo ne viene usata una senza punti (rovinando però la punta destra dell'ancora), variante che compare nel verso finale delle opere di Euripide, stampate nel febbraio del 1503. La terza variante vera e propria è una nuova incisione pulita che riprende la marca originale, appare nel novembre del 1502 e diventerà lo standard. Questa nuova versione misura 53 x 47 mm e appare per la prima volta nel frontespizio del primo volume delle Metamorfosi di Ovidio del 1502-1503. Nell'ottobre 1512, data dell'edizione del Lascaris, la marca appare senza AL // DUS nel frontespizio. Fletcher individua fino a 9 varianti. L'ultima analizzata è quella degli anni '30 del Cinquecento, al tempo di Paolo Manuzio, descritto come «wide-eye and culy haired»22, soppiantato nel decennio successivo da marche di stile fondamentalmente diverso “«having nothing to do with the austere grace of Aldus' preffered design. Much more three-dimensional, they will evolve into devices of late-Renaissance voluptuousness and baroque clutter»23. L'emblema del delfino e l'ancora viene ripreso da una moneta imperiale in possesso di Pietro Bembo e da lui suggerita ad Aldo Manuzio, che l'aveva adottata come sua personale insegna già nella dedica a Guidobaldo negli Astronomica veteres (1499). Il Polifilo non è opera solo pagana, ma è il prodotto della sintesi tra dottrina classica e rivelazione cristiana; la fede di Aldo era molto fervida e la figura dell'ancora con il delfino diviene la sua marca tipografica nell'edizione dei Poetae Christiani, «interpretata autenticamente da Demetrio da Trivoli (correttore di Aldo, poi domenicano di san Marco, monaco all'Athos e in Russia) come insegna religiosa, è illuminante»24.


Fig. 3

Fig. 3 – Marca tipografica di Aldo Manuzio il Vecchio. Festina lente http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/9a/Aldus-symbol.jpg


APPENDICE

Si riportano in appendice i brani dell'Hypnerotomachia Poliphili in cui vengono descritti i bassorilievi relativi al motto festina lente.

«La apertione dunque per la quale fora uscivi di quelle abditissime latebre alquanto era nella montagna alta tutta arbustata. Et quanto che io poteva coniecturare. Fu al incontro dill’altra antedicta fabricata, comprehendeva et similmente questa essere stata mirifica operatura, postica et quella antica. Ma l’invida et aemula antiquitate et di accesso arcta et per gli murali arbusculi maxime di edera et d’altre frasche l’havea silveculata. Che apena illo cerniva essere exito, overo hiato alcuno. Loco solamente di uscire, ma non di regresso indicante suprema difficultate. Alhora ad me tanto facillimo, perché io el mirava tutto circumcirca foltamente infrondato et lavernato. Per la quale conditione, non si saperia quasi ad essa remeare. Tra le fauce dilla vallecula, cum superextense rupe, fusco assiduamente per gli concepti vapori. Onde quella luce atra, maiore mi se praestoe, che a Delo il divino parto. Hora da questa frondificata et obturata porta, per alquanta proclinatione dilapso partitomi, perveni ad uno denso dumeto di Castane al pedi dil monte, statione suspicando de Pana o Silvano, cum humecti pascui et cum grata umbra, per sotto la quale cum piacere transeunte, trovai uno marmoreo et vetustissimo ponte di uno assai grande, et alto arco. Sopra dil quale dagli singuli lateri degli appodii era percommodamente constructi sedili. Gli quali quantunque ad la mia lassitudine che nel mio uscire opportuni se offerirono, niente di manco alhora al mio excitato progresso grati niente gli aestimai. Nel medio degli quali appodii alquanto superemineva a llibella dil supremo dil cuneo dil subiecto arco uno Porphyritico quadrato, cum uno egregio cimasio, di polito liniamento, uno da uno lato, et uno pariforme dal altro ma di lapide Ophites. Nel dextro alla mia via, vidi nobilissimi hieraglyphi aegyptici di tale expresso. Una antiquaria galea cum uno capo di cane cristata. Uno nudo capo di bove cum dui rami arborei infasciati alle corna di minute fronde, et una vetusta lucerna. Gli quali hieraglyphi exclusi gli rami, che io non sapea si d’abiete, o pino, o larice, o iunipero, o di simiglianti si fusseron, cusì io li interpretai. PATIENTIA EST ORNAMENTUM CUSTODIA ET PROTECTIO VITAE.

Da l’altra parte tale elegante scalptura mirai. Uno circulo. Una ancora sopra la stangula dilla quale se rovolvea uno delphino. Et questi optimamenti cusì io li interpretai. ΑΕΙ ΣΠΕΥ∆Ε ΒΡΑ∆ΕΩΣ. Semper festina tarde».

COLONNA F. 2004, pp. 68 – 69.


L'apertura, attraverso la quale uscii fuori da quei luoghi profondamente nascosti e segreti, stava abbastanza in alto sulla montagna ed era ricoperta da alberi e, da quanto potevo presumere, compresi che stava in corrispondenza dell'altra suddetta porta: la porta posteriore, similmente a quella anteriore, era un'opera mirabile. Ma il tempo antico, invidioso e geloso, l'aveva coperta di selva con rampicanti, specialmente edere e altre frasche, rendendola un'entrata stretta, un po' una fenditura. Il luogo, però, era fatto solamente per uscirne e non per ritornarvi e mostrava supreme difficoltà. In quel momento mi sembrò facilissimo, perché l'osservai da fuori nella sua interezza tutto ricoperto dalla vegetazione. E per tale condizione era come se non si potesse tornare indietro. L'imboccatura stretta della valletta, con rupi molto estese, era assiduamente buia per l'ammasso di vapori. Per cui quella luce mi si presento più scura che a Delo al tempo del parto divino25. Ora da questa porta ostruita dalle molte fronde, partii come disperso verso una discreta pendenza, pervenni a una densa macchia di castagni ai piedi del monte, supponendo fosse la dimora di Pan o Silvano, con umido prato e gradita ombra, ove stetti con piacere fugace e trovai un antichissimo ponte di marmo con un solo arco assai grande e alto. Sopra il quale sui singoli lati erano costruite delle mensole, sedili disposti in modo molto conveniente. I quali, sebbene si fossero offerti all'uscita e opportuni alla mia stanchezza, li stimai per nulla graditi, perché si presentarono proprio nel momento di maggiore progresso. A metà di questi, all'altezza della chiave dell'arco sottostante, si distinguevano notevolmente un quadrato in porfido da un lato, con un'egregia cimasa di raffinato disegno, e uno in ofite dall'altro, della stessa dimensione. Alla mia destra, vidi dei nobilissimi geroglifici egizi con il seguente rilievo: un elmo con una cresta canina, un bucranio con due rami d'albero fasciati alle corna, con poca fronda, e un'antica lucerna. Esclusi i rami, di cui non sapevo se fossero d'abete o pino, larice o ginepro o di simili, interpretai questi geroglifici in tal modo: LA PAZIENZA È ORNAMENTO, CUSTODIA E PROTEZIONE DELLA VITA. Dall'altra parte guardai la seguente scultura: un cerchio, un'ancora sul fusto della quale si arrotolava un delfino e questi ottimamente li interpretai: AFFRETTATI SEMPRE LENTAMENTE.


«Et cusì cum honesti et approbatissimi parlamenti, festivissimamente ad uno lepidissimo fiume pervenissimo. Sopra le rive del quale, vidi uno gratioso Plataneto, oltra gli altri verdissimi arbusculi, et aquatici germini optimamente dispositi, et situati, cum intercalate lothi. Ove traiectava uno lapideo et superbo ponte di tre archi, cum gli capiti alle ripe sopra gli firmatissimi subici, cum le pille dagli dui fronti carinate, ad continere la structura firmissima, et cum nobilissime sponde. In le quale nel mediano repando del substituto cuneo del arco, de qui et de lì, perpolitamente, excitata promineva una porphyritica quadratura fastigiata, continente una cataglyphia scalptura di hieraglyphi. Nella dextra al nostro transito, vidi una matrona d’uno serpente instrophiolata, solum cum una nate sedente, et cum l’altra gamba in acto de levarse, cum la mano dilla sua sessione, uno paro di ale, et nel altro del levarse una testudine teniva. Obvio era uno circulo, il centro dil quale dui spirituli tenendo, cum gli pectioli terga vertendo alla circunferentia. Logistica etiam quivi me dixe. Poliphile, questi hieraglyphi io so che tu non l’intendi. Ma fano molto al proposito, a cui tende alle tre porte. Et però in monumento delli transeunti opportunissime sono collocati. El circulo dice. Medium tenuere beati. L’altro. Velocitatem sedendo, tarditatem tempera surgendo. Hora nella mente tua discussamente rumina. El quale ponte poscia era cum moderato prono, dimostrante la solerte disquisitione, et l’arte et lo ingegno del perspicacissimo artifice et inventore, collaudava in esso la aeterna soliditate, la quale non è cognita dagli caecucienti moderni, et pseudoarchitecti, sencia litteratura, mensura et arte, fucando, et di picture, et di liniamenti operiendo exta per omni modo il fabricato inconcinno et difforme. Il quale era tuto di marmoro Hymetio venustissimo».

COLONNA F. 2004, pp. 133-134.


E così con discorsi onesti e molto onorevoli, arrivammo festosamente a un fiume molto grazioso. Sulle sue rive vidi un grazioso bosco di platani, oltre ad altri alberelli verdissimi e a germogli acquatici ottimamente disposti fra i loti. Lo attraversava un magnifico ponte di pietra a tre archi, il quale aveva alle estremità sulle rive solidissimi sostegni e i pilastri carenati su entrambe le parti per mantenere fermissima la struttura, aveva inoltre una raffinata balaustra. Su tale balaustra all'altezza del punto mediano, sopra la chiave d'arco, su entrambi i lati, sporgeva vivacemente e in maniera elegante un pannello quadrato in porfido con timpano, contenente geroglifici incisi. Alla nostra destra vidi una dama incoronata con un serpente, seduta su una sola natica e nell'atto di alzarsi con l'altra gamba, nella mano corrispondente alla parte seduta teneva un paio d'ali, nell'altra teneva una testiuggine. Di fronte vi era un cerchio tenuto al centro da due spiritelli, con piccoli petti e le spalle rivolte verso la circonferenza. Logistica mi disse ancora: “Polifilo, io so che tu non capisci questi geroglifici. Ma fanno a proposito di chi va verso le tre porte e sono opportunamente collocati come ricordo ai passanti. Il cerchio dice: BEATI QUELLI CHE HANNO SEGUITO LA VIA DI MEZZO; l'altro MODERA SEDENDO LA VELOCITÀ, ALZANDOTI LA LENTEZZA. Ora ripensaci ed esaminalo nella tua mente”. Poi il ponte aveva una moderata inclinazione, che dimostrava la solerte disquisizione, l'arte e l'ingegno dell'artefice, inventore molto perspicace. Saggiava in esso la solidità eterna, la quale non è conosciuta dai moderni ciechi e pseudoarchitetti, illetterati, senza misura e arte, che imbellettano di pitture e coprono in ogni modo di ornamenti la costruzione sproporzionata e difforme. Questo invece era tutto di marmo Imezio bellissimo.







NOTE

1Per tutti i riferimenti all'Hypnerotomachia Poliphili rimandiamo all'edizione critica di Marco Ariani e Mino Gabriele: COLONNA F. 2004. Per i riferimenti bibliografici rimanderemo prima alla numerazione originale dell'incunabolo aldino e poi alla pagina corrispondente nella riproduzione anastatica contenuta nel primo tomo.

2COLONNA F. 2004, d ii, p. 59

3Ivi, c (v), p. 42.

4Ivi, d, p. 57.

5JUNG 2006, p. 40. Per ogni riferimento tra l'alchimia e l'Hypnerotomachua Poliphili cfr. CALVESI 1983

6HILMANN 1967, p.65.

7Ivi, p. 66.

8Ivi, p. 48.

9Ivi, p. 50.

10Ivi, p. 73.

11Paolo PORTOGHESI, Il ponte, URL: http://www.archinfo.it/il-ponte/0,1254,53_ART_198043,00.html. Visionato l'ultima volta il 22/02/2014.

12JUNG 2006, p. 27.

13CALVESI 1983, p. 231.

14Vd. COLONNA 2012, pp. 211-227.

15COLONNA 2004, pp. 615-616. Cfr. anche H. MATTINGLY – E.A. SYDENHAM, The Roman Imperial Coinage, London, 1926, vol. II, pp. 119, 154-155, 217.

16Vd. COLONNA 2012, p. 223.

17ALCIATO 2009, p. 136. Traduzione di Mino Gabriele.

18Vd. WIND 2012, pp. 122-129.

19FLETCHER 1988, p. 43.

20Ivi, p. 45.

21Ibidem.

22Ivi, p. 51.

23Ibidem.

24Piero SCAPECCHI, L'Hypnerotomachia Poliphili nell'officina di Aldo, p. 537 in ROMA 2004, pp. 525-538.

25Il parto di Latona da cui nacquero Apollo e Diana.









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COLONNA F. 2002
ID., Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499, edizione elettronica del 28 giugno 2002 a cura di Vittorio VOLPI e Ruggero VOLPES, URL:http://www.liberliber.it/biblioteca/c/colonn a/hypnerotomachia_poliphili_etc/pdf/hypner_p.pdf

COLONNA F. 2004
ID.,
Hypnerotomachia Poliphili, a cura di Marco ARIANI e Mino GABRIELE, Adelphi, Milano, 2004, vol. 2.

COLONNA S. 1989
Stefano COLONNA, Variazioni sul tema della Fortuna da Enea Silvio Piccolomini a Francesco Colonna, in “Storia dell'Arte”, 1989, n.66, pp. 127-142.

COLONNA S. 1996
ID., Anteprime documentarie polifilesche, in CALVESI 1996 a pp. 313-317.

COLONNA S. 2002
ID., Per Martino Filetico maestro di Francesco Colonna di Palestrina. La πολυφιλία e il gruppo marmoreo delle Tre Grazie, in “Storia dell'Arte”, 2002, N.S. n. 2, n.102, pp. 23-29.

COLONNA S. 2004 Frater
ID., L'Hypnerotomachia e Francesco Colonna romano: l'appellativo di frater in un documento inedito, in “Storia dell'Arte”, 2004, n. 109, N.S. 9, pp. 93-98.

COLONNA S. 2005
ID., I tre Palladio e l'asse Roma – Venezia tra Quattro e Cinquecento, in “BTA – Bollettino Telematico dell'Arte”, 9 marzo 2005, n. 389, URL:http://www.bta.it/txt/a0/03/bta00389.html

COLONNA S. 2009
ID., La Fortuna critica dell'Hypnerotomachia Poliphili, Roma, Cam Editrice, 2009.

COLONNA S. 2011 Phileros
ID., Phileros: il soprannome accademico e umanistico di Achille Bocchi, in Dal Razionalismo al Rinascimento. Per i quarante anni di studi di Silvia Danesi Squarzina, a cura de M. Giulia AURIGEMMA, Roma, Campisano Editore, 2011, pp.47-52.

COLONNA S. 2011 Ne quid nimis
ID., «Ne quid nimis»: un emblema umanistico da Achille Bocchi ad Alberto III Pio da Carpi, in “teCLa – Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica”, n.4, 22 dicembre 2011, pp. 14-26, (ISSN 2038- 6133 DOI:104413/RIVISTA).

COLONNA S. 2012
ID., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Roma, Gangemi, 2012.

DANESI 1987
Silvia DANESI SQUARZINA, Francesco Colonna, principe, letterato, e la sua cerchia, in “Storia dell'arte”, 60, 1987, pp. 137-154.

DONATI 1938
Lamberto DONATI, Diciamo qualche cose del Polifilo!, in “Maso Finiguerra”, 3, 1938, pp. 70-96.

DONATI 1950
ID., Studio esegetico sul Polifilo, in “La Bibliofilia”, 52, 1950, disp. 2, pp. 128-162.

DONATI 1962
ID., Il mito di Francesco Colonna, in “La Bibliofilia”, 64, 1962, pp. 163-182.

DONATI 1975
ID., Polifilo a Roma: le rovine romane, in “La Bibliofilia”, 79, 1976, pp.36-39.

FAZZINI 1998
Giovanni FAZZINI, Fra arte e cabala nella fortuna francese del Polifilo, in AA.VV., Miscellanea marciana, Venezia, Biblioteca marciana, vol. 2, 1998, pp. 101-114.

FLETCHER 1988
Harry George FLETCHER III, New Aldine studies. Documentary essays on the life and work of Aldus Manutius, Bernard M. Rosenthal Inc, San Francisco, 1988.

FONTANINI 1753
Giusto FONTANINI, Biblioteca dell'eloquenza italiana di monsignore Giusto Fontanini Arcivescovo d'Ancira con le annotazioni del signor Apostolo Zeno istorico e poeta cesareo cittadino veneziano, Tomo secondo, Venezia, Giambattista Pasquali, 1753.

GABRIELE 2004
Mino GABRIELE, Festina tarde: sognare nella temperata luce dell'immaginazione, in Storia della lingua e storia dell'arte in Italia: dissimetrie e inserzioni, Atti del III convegno ASLI, Associazione per la storia della lingua italiana, Roma, 30-31 maggio 2002, a cura di Vittorio CASALE, Vittorio e Paolo D'ACHILLE, Firenze, F.cesati, 2004, pp. 161-173.

GABRIELE 2011
ID., I geroglifici e il mito dell'Egitto nel Polifilo, in Venezia e l'Egitto, a cura di Enrico Maria Dal Pozzolo, Rosella Dorigo, Ma ria Pia Pedani (Catalogo della mostra tenuta a Venezia nel 2011-2012), Milano Skira, 2011, pp. 186-189.

HILLMANN 1977
James HILLMAN, Saggio su Pan, Adelphi, Milano, 1977.

JUNG 2006
Carl Gustav JUNG, Psicologia e Alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.

KRETZULESCO 1986
Emanuela KRETZULESCO-QUARANTA, Les Jardins du Songe. Poliphile" et la Mystique de la Renaissance, II seconda edizione rivista e corretta, Parigi, Société d'Edition Le Belles Lettre, 1986.

LOWRY 2000
Martin LOWRY, Il mondo di Aldo Manuzio. Affari e cultura nella Venezia del Rinascimento, Il veltro, Roma, 2000.

PARMA ARMANI 1973
Elena PARMA ARMANI, La xilografia e la linografia, in Le tecniche artistiche a cura di Corrado MALTESE, Milano, Mursia, 1973.

PARRONCHI 1983
Alessandro PARRONCHI, Lo xilografo della Hypnerotomachia Poliphili: Pietro Paolo Agabiti?, in "Prospettiva", 33-36, apr. - gen., 1983-1984, pp. 101-111.

PASQUINI 2004
Emilio PASQUINI, Letteratura popolareggiante, comica e giocosa, lirica minore e narrativa in volgare del Quattrocento, in Storia della letteratura italiana, a cura di Enrico MALATO, Roma, Ed. Salerno, 2004, 14 voll., vol.III, parte II.

PASTORELLO 1962
Ester PASTORELLO, L'epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico 1483-1597, Leo S. Olschki, Firenze, 1962.

RENOUARD 1834
Antoine August RENOUARD, Annales de l'imprimerie des alde, ou histoire des trois Manuce et leurs éditions, Jules Renouard, Parigi, 1834.

ROMA 2004
Roma nella svolta tra Quattro e Cinquecento, iAtti del Convegno Internazionale di Studi, Roma 28-31 ottobre 1996, a cura di Stefano COLONNA, De Luca editori d'Arte, Roma, 2004.

SERIE 2013
Serie dell'edizioni aldine per ordine cronologico ed alfabetico con gli annali di Aldo il Vecchio, a cura di Piero SCAPECCHI, Arnaldo Forni, Firenze, 2013.

WIND 2012
Edgar WIND, Misteri pagani nel Rinascimento, nuova edizione riveduta, traduzione di Piero BERTOLUCCI, Adelphi, Milano, 2012.







	
Vedi nel BTA: LE XILOGRAFIE DELL'HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI





 

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