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Caravaggio: la tecnica pittorica degli anni romani  

Lara Scanu
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 22 Novembre 2015, n. 791
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Numerosissimi sono gli studi che si sono sviluppati attorno alla figura di Michelangelo Merisi da Caravaggio, al fine di riscoprire il modus operandi e le vicende che furono parte della vita artistica del pittore lombardo.

Dovendo trattare tale argomento, che propone un’ampia quantità di testi da esaminare, si è scelto di iniziare la trattazione con una sezione di carattere generale, dove si passano in rassegna testimonianze dirette contemporanee al pittore sul suo metodo di lavoro, i supporti e i pigmenti più utilizzati, il ruolo del disegno nel corpus caravaggesco e la sua funzionalità nella costruzione prospettica delle composizioni, l’utilizzo particolare e caratterizzante della luce. Al termine, si inserisce l’analisi specifica di un’opera del periodo romano, oggetto di indagini, restauri e studi critici: la Conversione di Saulo 1 oggi in Collezione Odescalchi, prima versione dell’opera dal medesimo soggetto che, insieme alla Crocifissione di Pietro dello stesso autore e all’Assunzione della Vergine di Annibale Carracci 2 , adornano la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma.

LE FONTI

Primo elemento da prendere in analisi, al fine di una contestualizzazione il più possibile corretta dell’argomento in questione, sono le testimonianze dirette di chi ha potuto osservare il Merisi durante la sua attività o parole dell’artista stesso sulla sua personale visione di arte.

È proprio da un documento del processo del 1603 intentato da Giovanni Baglione 3 sulla base di alcuni testi offensivi diretti alla sua persona, i quali erano stati scritti, secondo suo parere, da Caravaggio, Orazio Gentileschi 4 e Onorio Longhi 5 , che abbiamo, in una deposizione davanti al giudice, una delle rare affermazioni dell’artista lombardo sulla sua personale idea di arte:

Quella parola, valent’huomo, appresso di me vuol dire che sappi far bene, cioè sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valent’huomo, che sappi depinger bene et imitar bene le cose naturali.

A conferma di questa teoria dell’arte caravaggesca, oltre all’analisi delle tecniche utilizzate per la realizzazione dei dipinti tramite le tecnologie che ne consentono l’individuazione, ci sono le testimonianze di coloro che hanno potuto vedere da vicino il Merisi durante la realizzazione delle sue opere.

La prima dichiarazione pubblicata successivamente alla data del processo in cui si attesta una descrizione del modus operandi del Caravaggio è quella contenuta nel Libro della Pittura redatto dal pittore e biografo fiammingo Karel van Mander 6 e pubblicato in prima edizione nel 1604.

A maggior conferma di quanto dichiarato dal pittore durante la deposizione davanti al giudice appena un anno prima dalla stampa di questo testo, van Mander scrive:

[CARAVAGGIO] non esegue un solo tratto senza farlo direttamente dal modello vivo. E questa non è una cattiva via per giungere a buon fine, perché dipingere servendosi di disegni (anche se tratti dal vero) non è così sicuro come tenersi il vero davanti e seguire la natura in tutta la varietà dei suoi colori; ma bisogna anzitutto che il pittore adotti il criterio di scegliere dal bello le cose più belle.

Ad ulteriore dimostrazione di quanto asserito dal pittore stesso, la pittura dal naturale, senza la mediazione del disegno, sembra essere la consuetudine nell’operato caravaggesco. Tuttavia in alcuni documenti è rintracciabile la richiesta, da parte dei committenti, di realizzare dei disegni, al fine di produrre un prototipo dell’opera ordinata al pittore, con la riserva di poterne modificare la composizione.

Esempi significativi si rintracciano nel secondo contratto per la decorazione della Cappella Cerasi, in data 24 settembre 1600, dove si specifica che il pittore doveva mostrare al committente specimina et designationes figurarum et aliorum, quibus ipse pictor ex sui inventione et ingenio dicta mysterium et martyrium decorare intendit; l’anno seguente, viene espressamente chiesto al Caravaggio di consegnare a Laerzio Cherubini un designum per la raffigurazione della Morte della Vergine, specificando che il quadro avrebbe dovuto essere similiter all’elaborazione grafica presentata.

La terza testimonianza che riguarda il modus operandi del Merisi è ricavabile da una delle personalità che meglio conobbero l’artista nel suo soggiorno romano: Vincenzo Giustiniani 7 .

Il nobile mecenate e collezionista si dedicò anche alla stesura di testi sulla descrizione delle pratiche artistiche della sua epoca: celeberrimo il suo Discorso sulla Pittura, redatto tra il 1620 e il 1630, dove vengono elencati i dodici modi di dipingere.

Il nome di Caravaggio, all’interno del testo, compare per ben due volte, ad esemplificazione di ben due modi di dipingere, sebbene, in entrambi i casi, si ribadisca la piena volontà dell’artista di realizzare opere riportando la realtà sul piano pittorico. In proposito, si legge:

Quinto, il saper ritrarre fiori, ed altre cose minute, nel che due cose principalmente si richiedono […]il Caravaggio disse, che tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, come di figure.

[…] Duodecimo modo, è il più perfetto di tutti; perché è più difficile; l’unire il modo decimo con l’undecimo già detti, cioè dipingere di maniera, e con l’esempio avanti del naturale (sottolineatura nostra), che così dipinsero gli eccellenti pittori della prima classe, noti al mondo; ed ai nostri dì il Caravaggio, i Caracci, e Guido Reni, ed altri, tra i quali taluno ha premuto più nel naturale che nella maniera, e taluno più nella maniera che nel naturale, senza però discortarsi dall’uno, né dall’altro modo di dipingere, premendo nel buon disegno, e vero colorito, e con dare i lumi propri e veri.

In questo brano tratto dal testo di Vincenzo Giustiniani si riscontrano due tipologie di fonti: nel primo caso si tratta di una testimonianza raccolta dalla viva voce del pittore stesso, che sta a rappresentare, ancora una volta e in modo più fermo, la facilità del Caravaggio ad eseguire qualsiasi tipologia di soggetto in breve tempo e con una grandissima abilità manuale, tanto da dichiarare che non vi era per lui nessun tipo di differenza tra l’esecuzione di figure umane e quella di una composizione floreale; la seconda circostanza è invece frutto dell’osservazione del Giustiniani dell’operato e delle opere di diversi artisti, che cita insieme al Merisi, giudicandolo, al tempo stesso, pittore di maniera, ovvero, citando dallo stesso testo, che da forma in pittura quel che ha nella fantasia, e che dipinge con l’esempio davanti del naturale.

Questo modello che il pittore lombardo si era posto come lume dell’intero operato, si esemplifica nei suoi dipinti in vari particolari, riconducibili ad espedienti tecnici del tutto innovativi e spesso visti dai contemporanei come bizzarrie.

Anche a riguardo di queste peculiarità abbiamo dei documenti che ci testimoniano le strumentazioni che Caravaggio possedeva nel suo studio e le caratteristiche dello spazio che aveva prescelto come atelier.

In seguito all’aggressione del notaio Mariano Pasqualoni in Piazza Navona 8 , la proprietaria della casa-bottega del Merisi in vicolo di San Biagio, Prudenzia Bruni, chiese, nel giorno immediatamente successivo al fatto, il sequestro di tutti i beni presenti all’interno della sua proprietà data in locazione al pittore lombardo: tra i vari utensili del mestiere, quali tele e tavole di varie dimensioni, si trovavano degli strumenti ottici e degli specchi, normali o convessi. Per questi ultimi, varie sono le ipotesi di utilizzo che sono state presentate dai vari studiosi, tuttavia non sembra possibile pensare all’utilizzo di vere e proprie camere ottiche o a strumenti atti alla proiezione di immagini a questa altezza cronologica, sebbene ci sia, a partire dalla fine del Cinquecento un forte interesse nei confronti dell’utilizzo degli specchi in pittura: il Baglione parla, infatti, dei ritratti caravaggeschi come di quadretti nello specchio ritratti, da interpretarsi, come proposto da Roberto Longhi, come ritratti non diretti, ma ispirati all’immagine riflessa in uno specchio. I prodromi di questo interesse nei confronti degli specchi sono da rintracciare nel Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci 9 , dove il pittore e scienziato toscano pone lo specchio piano come vero e proprio cardine della resa pittorica sia del rilievo che del chiaroscuro, sostenendo che lo specchio contiene in sé la vera pittura.

Nel contratto di affitto della casa si legge anche una singolare richiesta del pittore, ovvero quella di scoprire metà della sala: anch’essa oggetto di varie interpretazioni, tra cui quella di avere nella sala una particolare illuminazione per la realizzazione delle pose dei modelli per i suoi quadri, era molto più probabilmente la soddisfazione dell’esigenza di uno spazio che avesse un’altezza notevole, a causa delle dimensioni di alcune opere finite o in fase di realizzazione che potevano superare perfino i tre metri di altezza e che quindi non potevano essere collocate nello spazio naturale dell’abitazione così come concepita in partenza.

A partire da queste fonti primarie, la fama di Michelangelo Merisi da Caravaggio, del suo inconfondibile stile e della sua pittura diedero luogo ad un largo stuolo di seguaci del pittore lombardo, tanto che i suoi principali biografi, Giovanni Baglione e Giovanni Pietro Bellori 10 , da una parte giudicano, dall’altra denominano i discepoli di Caravaggio.

Si riportano, al termine di questa sezione, due brevissimi brani tratti dalle Vite del Baglione del 1642 e dalle Vite del Bellori del 1672, nelle quali leggiamo:

Molti giovani ad essempio di lui si danno ad imitare una testa del naturale, e non studiando ne' fondamenti del disegno. .. non sanno mettere due figure insieme.

Molti furono quelli, che imitarono la sua maniera nel colorire dal naturale, chiamati perciò Naturalisti.



Notizie sulla struttura fisica dei dipinti caravaggeschi


I SUPPORTI

Dovendo inserire l’attività di Caravaggio all’interno di un grafico a due coordinate rappresentanti l’una la linea temporale e l’altra l’asse dove sono citati i supporti pittorici, sicuramente l’area di risulta inerente alla sua produzione sarebbe quella dove si riscontra un larghissimo utilizzo della tela.

Se, infatti, si analizza l’intero corpus caravaggesco si rintracciano materialmente solo due esemplari di dipinti su tavola, La Conversione di Saulo Odescalchi e il Davide e Golia del Kunsthistorisches Museum di Vienna 11 , documentariamente, invece, ne doveva esistere anche un altro, in pendant con il primo citato e per la medesima collocazione, con la Crocifissione di Pietro, dato che, dai documenti di committenza, si evince che Monsignor Tiberio Cerasi aveva espressamente richiesto i due quadri eseguiti su tavola di legno di cipresso, tra l’altro da lui stesso fornita. Per cause non meglio note e che cercheremo di approfondire più avanti, i due dipinti per cui Monsignor Cerasi aveva fornito il supporto ligneo non furono mai collocati nella loro posizione terminale, bensì furono modificati e realizzati ex novo su tela, così come li possiamo tuttora ammirare presso la Cappella a sinistra dell’abside, nel transetto della Basilica romana di Santa Maria del Popolo.

Due casi particolari sono rappresentati dalla Medusa oggi agli Uffizi 12 , una tela applicata in tensione su uno scudo convesso in legno di pioppo, e dal Concerto del Metropolitan Museum di New York 13 , che in realtà si presenta come un dipinto su tela che fu applicato ad una tavola almeno fino al 1638, la cui rimozione dal legno ha probabilmente causato il cattivo stato di conservazione della pellicola pittorica, che dimostra un grave stato di deperimento.

Le analisi scientifiche sui dipinti hanno fatto emergere, in taluni casi, l’utilizzo di un supporto di reimpiego, ovvero una tavola o una tela già utilizzata dallo stesso Caravaggio o da un altro artista, non portata a termine e poi riutilizzata per un’opera portata a compimento. È questo il caso del Davide e Golia di Vienna, la cui radiografia ha fatto emergere, sotto il dipinto caravaggesco, un’opera di un manierista franco-fiammingo, dall’andamento verticale, contrariamente all’opera definitiva, raffigurante il soggetto di Venere, Marte e Amore.

In un altro caso, quello del Suonatore di liuto del Metropolitan Museum di New York 14 , il Merisi ha riutilizzato, ruotando l’orientamento della tela, un supporto già abbozzato con due figure su di un parapetto (l’autore della scena sottostante al Suonatore non è noto, anche se potrebbe essere dello stesso Caravaggio).

A quanto pare la pratica del reimpiego, in particolare di supporti tessili, era una consuetudine abbastanza praticata dal pittore lombardo: dalle indagini radiografiche emergono strati pittorici con scene preesistenti a quella caravaggesca sia nella Buona Ventura dei Musei Capitolini 15 , dove emerge una Madonna orante di ambito arpinesco, sia nella Canestra di frutta della Pinacoteca Ambrosiana 16 , dove compaiono delle grottesche attribuite a Prospero Orsi 17 .

Talvolta, il Merisi stesso iniziava a porre mano ad una composizione, che poi, in corso d’opera, modificava, dando luogo all’opera definitiva: sono un esempio in tal senso la già citata Buona Ventura Capitolina, il Davide e Golia del Prado 18 e la Flagellazione di Napoli.

Come detto fin da principio, il supporto più utilizzato da Caravaggio e dalla maggior parte dei pittori suoi contemporanei, è la tela.

I pittori, scegliendo di realizzare opere su supporto tessile, avevano davanti a loro una vasta quantità di tessuti tra cui scegliere. Nella produzione caravaggesca se ne rintracciano di diverse tipologie, anche grazie alle testimonianze scritte, primi tra tutti i testi degli inventari, e alle analisi scientifiche sui dipinti; in tal proposito possiamo ricavare vari ordini di informazioni e, pertanto, identificare le tele in base a:

  • Le dimensioni: vengono registrate tele denominate da testa, napoletana, d’imperatore;

  • La fibra tessile: la più utilizzata è la tela di lino romano, con tramatura media semplice; di seguito l’armatura saia, nota anche come tela Olona, dalla trama di andamento diagonale 19 ; la tela laziale, dove trama e ordito risultano a incrocio rilevato 20 ; il damascato, noto anche come tela di Fiandra o de Venise: questo tessuto, generalmente utilizzato per le tovaglie, è realizzato con lino di Fiandra ed è un materiale costoso e pregiato, ma, al tempo stesso, ha delle proprietà che si piegano molto bene all’utilizzo in pittura, come la robustezza, l’elasticità e la scarsa incidenza alle crettature 21 .


Stati preparatori

Anche per quanto riguarda la preparazione del supporto prima della stesura degli stati pittorici, Caravaggio può dirsi pienamente in linea con la tradizione veneta e due sono gli elementi emersi dalle indagini scientifiche che lo collegano direttamente a questa tradizione:

  1. Utilizzo di imprimiture colorate, in genere scure, dove si riscontra la presenza di terre miste a biacca: questa era una consuetudine dei pittori del XVI secolo, in particolare di quelli appartenenti agli ultimi cinque lustri del secolo, nello specifico di area veneta; il primo artista ad utilizzare questa tipologia di preparazione è Tiziano 22 , che se ne servì nella realizzazione della Pala Pesaro 23 . Gli elementi ripresi dalla pittura tizianesca sono mediati dall’insegnamento di Simone Peterzano 24 , allievo del Vecellio.

  1. Aggiunta all’olio del litargirio 25 : questo pigmento giallo, chimicamente a base di monossido di piombo, veniva aggiunto per le sue caratteristiche siccative. Le indagini condotte sui quadri del Merisi hanno riscontrato un alto tasso di piombo e delle tracce di pigmenti gialli, a maggior prova di questa pratica; inoltre, sappiamo, dalle fonti, della notevole velocità di esecuzione dei dipinti da parte di Caravaggio, anche questo un ulteriore indizio che prova un‘asciugatura rapida degli strati precedenti alla stesura degli strati pittorici.

La preparazione era stesa seguendo la tradizione del Cennini 26 , che prevedeva due strati di due granulometrie diverse: il primo, più grossolano, detto gesso grosso, con un alto contenuto di colla e il secondo, più fino, detto gesso fine, definito anche imprimitura, che veniva steso in più mani ed era meno ricco di colla; in quest’ultimo, si mescolavano i colori che caratterizzavano il fondo dell’opera.

E’ a partire da questo dato, dopo tante domande che si sono poste sull’argomento storici dell’arte e restauratori, che si riesce a ben comprendere la frase di Bellori: lasciò in mezze tinte l’imprimitura.

Strati pittorici

Successivamente alla preparazione bruno-rossastra, che gli consentiva anche di ridurre il tono squillante che avrebbero avuto alcuni dei colori utilizzati, iniziava il vero e proprio lavoro di stesura del colore sul supporto preparato per realizzare l’opera.

In alcune cross-sections effettuate sui dipinti caravaggeschi si riscontra la sovrapposizione di molteplici strati pittorici e ci mostrano anche la rielaborazione, da parte del Merisi, di ampie zone con sostanziali ridipinture. Grazie ad alcuni campioni di pittura prelevati dal dipinto Marta e Maddalena del Detroit Institute of Art 27 si sono potuti individuare i procedimenti di applicazione degli strati pittorici e se ne sono distinti ben cinque:

  • Wet on wet, ovvero strati di vernice fresca a cui si applica della nuova vernice: questa tecnica, che prevede che il supporto venga bagnato con della pittura prima di ricevere lo strato pittorico vero e proprio, consente una velocità elevata nella realizzazione dell’opera e, al termine, viene completata con la stesura di uno strato di vernice opaca o semi-opaco.

  • Campitura unita di base con velature sovrapposte.

  • Strato di pittura steso a contatto col fondo.

  • Costruzione di un colore: in questo caso non si realizza un colore per sovrapposizione di più tinte o per mescolanza di pigmenti, bensì per l’accostamento di pennellate di diversi colori.

  • Miscuglio di pigmenti: resa di un’unica tonalità bruno-grigiastra data dalla mescolanza di bianco, blu, rosso, marrone scuro, bruno-rossastro, nero e giallo.

Si nota un’altra derivazione tizianesca, mediata dagli insegnamenti di Peterzano, come ad esempio l’uso delle tecniche ad olio e a tempera mista e le profilature nere negli incarnati.

La quasi totale assenza del disegno preparatorio è recepibile dalla sovrapposizione delle campiture di colore a partire dal fondo per arrivare al primo piano.

 

Pigmenti e vernici

Per quanto riguarda i pigmenti e le vernici utilizzate nelle opere da Caravaggio, si può innanzitutto effettuare una grande distinzione, che è caratteristica della produzione del pittore lombardo e contribuisce in modo determinante, in quanto elemento peculiare del suo operato, alla datazione dei dipinti in relazione alle sue vicende biografiche: i colori predominanti nella produzione giovanile caravaggesca sono prevalentemente brillanti e la preparazione agli strati pittorici presenta tonalità chiare, come il grigio-verde o l’ocra, mentre, nella fase matura, i colori divengono sempre più scuri e vi è un utilizzo prevalente di terre.

Dovendo elencare i colori maggiormente utilizzati nelle composizioni caravaggesche, bisogna partire da un dato fondamentale: in ben due contratti, per la Cappella Contarelli e per la Cappella Cerasi, si dispongono delle eventuali somme aggiuntive per l’acquisto di oltremare o di pigmenti azzurri in generale, elemento significativo al fine della comprensione della grande considerazione in cui erano tenute le opere e il pittore stesso.

Dalle analisi scientifiche effettuate, è emerso un largo utilizzo di alcuni pigmenti, tra i quali si riscontrano 28 :



Classificazione

Nome

Nome chimico

Formula chimica

bianco

Biacca/ Bianco di Piombo

Carbonato basico di piombo

2PbCO3Pb(OH)2

ocra

Ocra gialla

Idrossido di ferro

Fe(OH)3

Ocra rossa

Ossido di ferro + silicati argillosi

Fe2O3 ∙ nH2O

rosso

Cinabro/ Vermiglione

Solfuro di mercurio

HgS

verde

Verderame

Acetato di rame

(CuCCH3COO)2∙ 2H2O

nero

Nero carbone

Carbonio

C

terra

Terra verde

Silicoalluminati + ossido ferroso

FeO

Terra rossa

Sesquiossido di ferro anidro

Fe2O3

Terra di Siena

Composto di ossidi di ferro + ossido di manganese + altri minerali

Fe2O3 ∙ nH2O + MnO2 + Al2O3 ∙ SiO2 ∙ 2(H2O)

Terra d’Ombra

Ossido silicato doppio di ferro + ossido di manganese

Fe2O3 ∙ MnO2∙ nH2O + Si + Al2O3



Purtroppo solo in un numero limitato di dipinti è possibile rinvenire delle tracce di vernice originale, ma, anche in questo caso, un documento ci offre un interessante spunto da cui trarre notizie da incrociare con i dati emersi dalle analisi scientifiche.

In una lettera del consegnatario del Martirio di Sant’Orsola 29 , Lanfranco Massa, si racconta un aneddoto relativo alla verniciatura di questa tela, che, ancora fresca, si voleva far asciugare per consegnare il quadro totalmente finito; l’uomo pensò di esporre l’opera al sole, ma invece di asciugare, sembrava divenire sempre più umida, dunque si chiedeva consiglio al pittore che aveva la consuetudine di darcela assai grossa: anche se il più delle volte Caravaggio non stese, con tutta probabilità, la vernice di sua mano, questa espressione può dar luogo a due possibili combinazioni di materiali per la realizzazione della vernice:

  • Vernice grossa ottenuta da olio di lino e sandracca.

  • Vernice spessa data dall’unione di vernice e bitume: questa sostanza, a contatto o in prossimità di una fonte di calore, ritorna soffice e fresca anche dopo un secolo dalla stesura.

 

Abbozzo e incisione: l’uso del disegno

Fondamentale in un ragionamento sulla tecnica pittorica in Caravaggio è un approfondimento, seppur breve, volto a specificare l’aspetto più strettamente manuale e pratico nella realizzazione di un’opera, vale a dire le fasi di progettazione e di pre realizzazione legate alla pratica disegnativa.

In tal senso, varie sono le tradizioni seguite dai pittori e, come già prima si è avuto modo di constatare, l’insegnamento di cui si avvale il Caravaggio è, senza dubbio e in primo luogo, quello di matrice veneta e tizianesca, mediato dai precetti del suo primo maestro, Simone Peterzano, seguito dall’osservazione delle tecniche esecutive del suo secondo maestro, presso il quale il Merisi approda nel primo periodo del suo soggiorno romano, ovvero Giuseppe Cesari 30 , più noto come il Cavalier d’Arpino.

Bisogna, innanzi tutto, partire dal dato abbozzo. Partendo dalla definizione generale del termine, si evince che con tale lemma si determina una fase della realizzazione di un’opera d’arte in forma incompleta ma elaborata già in modo tale da suggerire l’aspetto definitivo del manufatto. Proprio seguendo questa definizione, si tenta di ricostruire la fase di abbozzo nella produzione caravaggesca, ricercandone una matrice nella tradizione pittorica precedente.

La fase preliminare che consentiva al Merisi di delineare il più possibile l’aspetto compositivo del dipinto, consisteva nella stesura di più o meno vaste aree sulle quali erano applicate campiture di colori diversi, ciascuno dei quali rappresentava la base dell’oggetto o del personaggio da dipingere che in seguito avrebbe definito con le sue peculiarità.

Secondo la traditio vasariana fu Giorgione 31 , padre del tonalismo veneto, ad utilizzare per primo l’abbozzo della figurazione con campitura cromatica senza disegno; successivamente, Palma il giovane descrive una pratica analoga nella pittura di Tiziano, affermando che le campiture di colore servivano per far da letto o base alle espressioni che sopra poi li doveva fabbricare.

Riprendendo, dunque, un’espressione utilizzata dallo Schneider 32 , la tradizione dell’abbozzo cromatico ripresa dalla pittura veneta fu utilizzata da Caravaggio per disegnare dipingendo, dato che le veloci pennellate stese senza curarsi troppo dei particolari delineavano un vero e proprio prototipo della figurazione che poi sarebbe definitiva.

Analizzando cronologicamente i dipinti caravaggeschi, si evince una differenza di natura fisica tra i materiali utilizzati per realizzare gli abbozzi in età giovanile, i quali risultano piuttosto liquidi, e quelli per realizzarli in età matura, che hanno una consistenza più corposa e si avvicinano molto di più all’impasto per gli strati pittorici più superficiali e definitivi, sebbene la composizione che si delinea spesso non corrisponde a quello che poi risulta essere il prodotto definitivo.

In opere dell’ultimissimo periodo, come la Resurrezione di Lazzaro 33 e il Seppellimento di Santa Lucia 34 , gli incarnati non subirono mai una stesura definitiva, rimanendo, dunque, in questa fase preliminare , probabilmente a causa degli scarsi mezzi economici e del breve tempo di realizzazione.

La pratica appena descritta del disegnare dipingendo è una conferma alle testimonianze che ci descrivono un Caravaggio che dipinge con l’esempio davanti del naturale, sebbene alcuni studiosi come Alfred Moir 35 abbiano sostenuto l’ipotesi di un Merisi disegnatore, soprattutto nel caso di opere i cui compaiono fino a sedici figure, quindi dove la composizione risulta più complessa ed articolata, sebbene questa teoria del disegno non ha avuto un grande seguito, anche in tempi molto recenti, successivamente al ritrovamento di un centinaio di disegni nel fondo Peterzano, si è proposta, ed, in parte, accolta, l’attribuzione di tali opere al Caravaggio.

Il terzo ed ultimo punto da affrontare in questa sezione è quello dell’incisione.

Questa tecnica, utilizzata il più delle volte per riportare il disegno preparatorio sul supporto, venne utilizzata a partire dal XV secolo, anche se, probabilmente dal Cinquecento, si iniziò a incidere anche a mano libera senza la mediazione del cartone.

Il Caravaggio apprese questa tecnica presso la bottega del Cesari, dove veniva utilizzata regolarmente: il Merisi, infatti, se ne servì in tutte le sue opere, in quanto risulta un metodo molto veloce per definire delle approssimazioni di figurazioni alla base della composizione definitiva.

Christiansen 36 , nel suo fondamentale articolo del 1986, definisce tre tipologie di linee incise:

  1. Ornamental: linee incise decorative, realizzate sulla superfice dipinta;

  1. To define essential architectural elements: linee prospettiche, realizzate sulla superfice dipinta;

  1. At on early stage of the designing process: linee di definizione dell’abbozzo, realizzate in modo sommario e veloce sulla mestica fresca.

Queste furono individuate già da Longhi e dallo Spear, giustificandole come linee provvisorie di composizione, che per questo non coincidono alla definitiva redazione, realizzate dal pittore in uno studio preliminare alle vere e proprie sedute.

 

La luce: la questione dello studio di Vicolo di San Biagio

Come si è già i precedenza accennato, Caravaggio ebbe per circa quattordici mesi in affitto una casa-studio in vicolo di San Biagio 37 , nella zona adiacente a Piazza Navona. La questione inerente alla motivazione che spinse il Merisi a richiedere che parte del soffitto della sala dell’abitazione venisse rimosso è sempre stata molto dibattuta: in primo luogo, la stanza avrebbe raggiunto un’altezza tale da consentire la conservazione, al suo interno, di opere di grandi dimensioni; il secondo dato da assumere è che una modifica simile avrebbe portato ad una importante trasformazione della situazione luminosa, dando seguito alla sua ricerca compositiva. Non perché questo scoperchiare il soffitto lo portasse ad avere la luce naturale del sole, dato che i documenti ci parlano di soffitte sovrastanti il solaio rimosso, ma poiché in quella zona potesse ricreare, data la notevole altezza, uno spazio entro cui collocare i modelli e i lumi, in modo tale da poter focalizzare maggiore attenzione sulla quantità di luce da utilizzare e di poterla direzionare, al fine di servirsi di queste due componenti, precedentemente dette, ottenendo un risultato sotto il profilo luminoso qualitativamente approssimato il più possibile alla condizione di luce naturale.

Nonostante le numerose congetture dei contemporanei sugli studi rivoluzionari del Merisi in proposito, questo tipo di ricerche riguardo la luce, in verità, ben si situano all’interno della trattatistica Cinquecentesca e della tradizione lombarda, a partire dallo stesso Leonardo.

In ben due manoscritti dello scienziato e pittore toscano si trovano indicazioni sull’utilizzo della luce e sulla sua importanza all’interno di una composizione pittorica, soprattutto nella fase di osservazione e studio della natura preliminare della stesura dell’opera.

Nel manoscritto A, foglio 84v, dell’Institut de France di Parigi, è presente un disegno, che Leonardo commenta così:

Finestra del pittore e sua comodità. Il pittore, che usa l’imitazione del naturale, deve avere un lume, il quale egli lo possa alzare ed abbassare. La ragione è quella che, qualche volta, tu vorrai finire una cosa che ritrai appresso del lume.

Di seguito ai testi leonardeschi, si hanno testimonianze di Bernardino Campi 38 e Giovan Pietro Lomazzo 39 .

Caravaggio parte proprio da questa tradizione di dipingere con l’esempio davanti del naturale non solo per quanto riguarda la ripresa del modello vivo e vero e il disegnare dipingendo, ma anche e soprattutto per il posizionamento e l’utilizzo delle fonti di luce.

In tal proposito, è stato svolto uno studio sul posizionamento dei raggi luminosi nella composizione della Flagellazione del Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli 40 .

Questo studio, in cui sono stati utilizzati dei manichini illuminati da varie angolazioni, ha dimostrato il complesso studio di Caravaggio nella fase precedente alla realizzazione e durante l’esecuzione stessa dell’opera in fatto di situazione luminosa: confrontando, infatti, le radiografie del dipinto e le fotografie realizzate sulle simulazioni con i manichini, si evince che il Merisi studiava le figure e le luci che su di loro incideva separatamente, così che, nella redazione definitiva dell’opera, risultasse un vero e proprio teatro di luce, in cui è proprio quest’ultima ad essere protagonista e mediatrice tra l’osservatore e la scena, ovvero l’elemento che, contribuendo a dare un triplice significato al termine vero: la verità dell’episodio dipinto, lo svelamento e la comprensione di questo tramite una vera luce, dunque il modo di dipingere dal vero, con l’esempio davanti del naturale.


Fig. 1

Fig. 1 - Radiografia del Davide con la testa di Golia di Vienna, dove emerge il dipinto realizzato in precedenza sulla stessa tavola.
Da Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i Capolavori.


Fig. 2

Fig. 2 - Radiografia della Canestra di Frutta della Pinacoteca Ambrosiana, dove è evidenziata la presenza del dipinto preesitente sulla tela.
Da Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i Capolavori.


Fig. 3

Fig. 3 - Radiografia della Buona Ventura Capitolina, dove ben emerge la figura della Madonna orante arpinesca precedentemente dipinta.
Da Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i Capolavori.


Fig. 4

Fig. 4 - Lo studio del pittore secondo Leonardo da Vinci.
(da VODRET - CARDINALI - DE RUGGIERI 2011).


Fig. 5

Fig. 5 - Grafica degli studi con i manichini relativi alla posizione dei lumi nella Flagellazione di Napoli.
(da VODRET - CARDINALI - DE RUGGIERI 2011).




La Conversione di Saulo Odescalchi: Genesi e storia dell’opera

La Conversione di Saulo, oggi presso la collezione della Principessa Odescalchi, è un’opera di straordinaria espressività e di monumentale movimento. il dipinto, che appartiene ai primi anni dell’attività autonoma del Caravaggio a Roma, subito dopo la realizzazione dei rivoluzionari dipinti per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, presenta ancora dei tratti manieristici, ma ha in se tutta la carica di pathos e il gioco di luci che caratterizza l’opera del Merisi anche e soprattutto nella sua fase più matura.


Fig. 6

Fig. 6 - La Conversione di Saulo Odescalchi.


La genesi è il destino collezionistico di quest’opera sono stati ricostruiti e studiati in modo ben preciso, proprio al fine di comprendere alcune scelte.

Si cercherà, in breve, di riassumere le vicende, elencandole in ordine cronologico:

  • 8 luglio 1600: nell’anno giubilare, Monsignor Tiberio Cerasi, tesoriere generale della Camera Apostolica, acquista dagli Agostiniani di Santa Maria del Popolo la Cappella Foscari, con l’intenzione di trasformarla nella sua cappella funeraria. I lavori vengono affidati a Carlo Maderno, che si occupa dell’architettura e degli stucchi, per la decorazione pittorica vengono chiamati i due più importanti pittori sulla scena romana: Annibale Carracci, che realizzerà la pala d’altare con l’Assunzione della Vergine e Caravaggio, che eseguirà i due dipinti laterali, raffiguranti la Conversione di Saulo e la Crocefissione di Pietro.

  • 24 Settembre 1600: contratto di Caravaggio con Monsignor Cerasi: vengono consegnate al pittore le tavole di legno di cipresso sulle quali dipingere dalle dimensioni di 10 palmi per 8; la consegna deve avvenire entro otto mesi ed il compenso è di 400 scudi.

  • 3 Maggio 1601: muore Tiberio Cerasi. Sono nominati suoi eredi universali i Confratelli dell’ospedale della Consolazione.

Il pagamento dei dipinti slitta al novembre dello stesso anno.

  • 10 Novembre 1601: viene effettuato il saldo del pagamento dei dipinti. Il complendo viene abbassato di 100 scudi.

  • Maggio 1605: atto di pagamento ad un falegname, di nome Bartolomeo, per la collocazione dei dipinti.

  • Nei quasi quattro anni intercorsi tra il pagamento delle opere e il posizionamento delle stesse nella loro collocazione finale, Caravaggio realizzò altri due dipinti dal medesimo soggetto, ma su tela. Le cause di questo cambiamento risultano ignote, probabilmente per volontà degli eredi del committente o per volere del pittore stesso.

  • Le opere realizzate su tavola di cipresso furono acquistate dal Cardinale Giacomo Sannesio e rimasero nella sua collezione fino al 1646, quando presero la strada di Madrid, entrando nella collezione del nono Almirante di Castiglia. Alla sua morte, la collezione venne in parte venduta: questo è stato il destino della Conversione di Saulo, che venne acquistata dal mercante Agostino Airolo, passando in eredità a Francesco Maria Balbi, entrando dunque nella sua collezione di famiglia e restandoci fino alla metà del XX secolo, quando, a seguito di un matrimonio, entrò a far parte della collezione Odescalchi, dove è tuttora presente.

Del suo pendant, si hanno notizie fino al 1691: rimasto nella collezione del decimo Almirante di Castiglia, se ne sono perse le tracce, alcuni lo ritengono distrutto, altri presente in qualche monastero spagnolo.

 

Struttura fisica del dipinto 41

Rappresentando quasi un unicum nella produzione caravaggesca, la Conversione di Saulo, in seguito ad un recente restauro, è stata oggetto di numerose indagini, che hanno potuto svelare la tecnica esecutiva del Merisi su questo inconsueto supporto all’interno del suo operato.

Si cercherò, per punti e sulla base del materiale presente nel catalogo realizzato in occasione dell’esposizione post restauro, di rintracciare gli elementi fondamentali della tecnica esecutiva.

  • Supporto: come detto, il supporto prescelto dal committente è il legno di cipresso. La tavola è costituita da sette listelli di lunghezza uguale (175 cm), ma di larghezze diverse, tutte intorno ai 50 cm, per una differenza massima tra le estremità di circa 5 cm. Sebbene l’assemblaggio di un materiale così disomogeneo dal punto di vista dimensionale potrebbe sembrare caotico e compromettente per la pellicola pittorica, che nelle zone di commettitura delle tavole risulta essere più fragile, Caravaggio riuscì egregiamente ad intersecare il dato materiale e fisico del supporto con la composizione del dipinto, evitando, per quanto possibile, la coincidenza di parti molto importanti della raffigurazione con le zone di fragilità del supporto. Le varie tavole erano probabilmente sostenute da due traverse scorrevoli innestate su supporti a nido di rondine.

  • Imprimitura: anche in questo caso si riscontra una inversione di tendenza: a partire dal 1599 circa, il Merisi iniziò a mescolare colori scuri all’imprimitura da stendere sul supporto, mentre, in questo caso, decise di inserire un colore chiaro, come riscontrabile nelle opere della fase giovanile, nella fattispecie, una tonalità chiara di grigio, assimilabile per composizione e colore, a quella del Bacchino malato.

Questo espediente tornò utile a Caravaggio per sfruttare la riflessione di luce dagli strati interni sugli strati pittorici esterni e relativi alla composizione definitiva.

  • Abbozzo e incisione: l’abbozzo cromato immediatamente dopo l’imprimitura è utilizzato come consuetudine nell’operato caravaggesco. La prima idea della composizione definitiva che l’artista traccia direttamente sul supporto è data, in questo caso, non solo dalle larghe ed approssimate campiture cromatiche del disegnare dipingendo, ma anche da alcune incisioni realizzate direttamente sullo strato preparatorio.

Tutte le incisioni realizzate su i vari strati preparatori e pittorici sono state realizzate con uno stile molto appuntito dalla punta larga poco meno di un millimetro. A parte le incisioni realizzate per i capelli del soldato all’estrema sinistra, tutte le altre sono eseguite in modo tale da graffiare la pellicola pittorica, arrivando direttamente sugli strati preparatori, spesso per definire con decisione e sicurezza l’impostazione delle figure da realizzare, utilizzandole come direttrici compositive.

  • Pigmenti: anche per quanti riguarda quest’ultimo aspetto, Caravaggio sembra aver fatto un’eccezione rispetto alle sue abitudini compositive, cercando di porsi in relazione alla tradizione più che ai suoi tratti innovativi ed utilizzando pigmenti non molto presenti nel suo operato.

Dalle analisi XRF (fluorescenza dei raggi X) e dalle indagini microdistruttive, oltre, a quelle colorimetriche, questa è la tavolozza utilizzata dal Merisi per la Pala Odescalchi, della quale, al termine, si porta la tabella delle analisi XRF 42 :

  • Dominio del bianco di piombo;

  • Utilizzo di tre pigmenti verdi: la terra, la malachite e il resinato di rame, talvolta alternati ad altre terre o al gallorino per la variazione di tonalità;

  • Il rosso prevalente è in cinabro, soprattutto per le parti maggiormente messe in luce, mentre per le ombre ricorre alla lacca 43 , dove è presente il rame, probabilmente perché miscelata con il resinato di rame o per il suo potere siccativo o per realizzare un’intonazione più fredda;

  • I gialli e gli aranciati utilizzati sono su basi di ocre o di giallorino 44 ;

  • Le tonalità brune sono a base di terre;

  • Gli incarnati presentano una mescolanza di bianco di piombo e di terre, dosati in base alle tonalità da utilizzare; è sostanzialmente assente il cinabro, ad eccezione delle labbra e di una parte in corrispondenza del braccio del soldato alle spalle di Saulo, probabilmente presente negli strati sottostanti;

  • Nel raro brano del paesaggio retrostante la scena sacra, vi è l’utilizzo di azzurrite 45 e giallorino con velature do ocra;

  • La mestica del singolo pigmento, fin dall’origine, ha una presa d’olio che oscilla dal 15% del bianco di piombo al 150% del bitume: questo, in alcuni casi, rende il colore particolarmente fragile nel tempo, poiché l’olio perde di elasticità;

  • In questo dipinto sono presenti tracce di decorazione a doratura, eseguita con oro su base d’argento, per far si che la consunsione della scudo potesse essere percepibile nel contrasto tra il nero emerso dall’ossidazione dell’argento e la brillantezza dell’oro, seguendo in parte i dettami cenniniani dell’oro di metà.


Ringrazio con stima ed affetto Francesca Cappelletti per avermi incoraggiato e supportato con i suoi preziosissimi consigli nel corso di questa ricerca caravaggesca e non solo.

Fig. 7

Fig. 7 - Schema della commettitura delle tavole.


Fig. 8

Fig. 8 - Localizzazione dei punti analizzati nelle analisi XRF e colorimetriche.


Fig. 9

Fig. 9 - Stratigrafia su sezione lucida di un punto prelevato dal braccio del soldato illustrato nell'immagine sottostante: si notano, oltre all'imprimitura grigia, uno spesso strato giallo, uno strato rosso e uno di incarnato.


Fig. 10

Fig. 10 - Microfotografia della decorazione in argento e oro. Da notare, in nero i punti di ossidazione.


Fig. 11

Fig. 11 - Schema in cui si evidenziano gli interventi incisori.


Fig. 12

Fig. 11 - Tabella delle analisi di fluorescenza dei raggi X.




NOTE

1 Conversione di Saulo, olio su tavola di cipresso, 237 x 189 cm, 1600 ca, Collezione Odescalchi.

2 Pittore bolognese, Bologna, 1560 – Roma, 1609.

3 Pittore e biografo romano, Roma, 1566 – 1643.

4 Pittore toscano, Pisa, 1563 – Londra, 1639.

5 Pittore lombardo, Viggiù, 1568 – Roma, 1619.

6 Pittore e biografo fiammingo, Meulebeke, 1548 – Amsterdam, 1606.

7 Nobile, banchiere, intellettuale e collezionista d’arte, Chio, 1564 – Roma, 1637.

8 29 luglio 1604.

9 Pittore, ingegnere e scienziato toscano, Vinci, 1452 – Amboise, 1519.

10 Biografo, Roma, 1613 – 1696.

11 Davide con la testa di Golia, olio su tavola, 90,5 x 116,5 cm, 1606, Kunsthistirisches Museum, Vienna.

12 Scudo con la testa di Medusa, olio su tela, 60 x 55 cm, 1598 ca, Galleria degli Uffizi, Firenze.

13 Concerto, olio su tela, 87,9 x 1159 cm, 1595, Metropolitan Museum, New York.

14 Suonatore di liuto, olio su tela, 100 x 126,5 cm, 1596 ca, Metropolitan Museum, New York.

15 Buona ventura, olio su tela, 115 x 150 cm, 1593 – 1595 ca, Pinacoteca Capitolina, Roma.

16 Canestra di frutta, olio su tela, 46 x 64,5 cm, 1596, Pinacoteca Ambrosiana, Milano.

17 Noto anche come Prospero delle Grottesche, pittore attivo a Roma fino agli anni ’30 del XVII secolo.

18 Davide e Golia, olio su tela, 104 x 135 cm, 1597 – 1598, Museo del Prado, Madrid.

19 Molto utilizzata in ambito veneto, è il supporto su cui Caravaggio lavora per la realizzazione del Sacrificio di Isacco degli Uffizi, della Madonna dei Palafrenieri della Galleria Borghese, della Salomè della National Gallery di Londra.

20 Questo supporto fu utilizzato da Caravaggio nella fase terminale del soggiorno romano e probabilmente durante la fuga nei feudi Colonna.

21 Il Bellori ricorda che il Caravaggio mangiò molti anni sopra la tela d’un ritratto, servendosene per tovaglia mattina e sera.

22 Tiziano Vecellio, pittore veneto, Pieve di Cadore, 1485 - Venezia, 1576.

23 Tiziano Vecellio, Pala Pesaro, olio su tela, 478 x 268 cm, 1519 – 1526, Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia.

24 Pittore lombardo, Bergamo, 1540 – Milano, 1596.

25 Pigmento in organico minerale e sintetico, è un monossido di piombo. Formula chimica: PbO.

26 Cennino Cennini, pittore e trattatista toscano, Colle Val d’Elsa, 1370 – Firenze, 1440. Noto soprattutto per la stesura del trattato in volgare sulla pittura Il Libro dell’Arte.

27 Marta e Maddalena, olio su tela, 100 x 134 cm, 1598 ca, Detroit Institute of Art.

28 PEDRINI 1993.

29 Martirio di Sant’Orsola, olio su tela, 106 x 179,5 cm, 1610, Galleria di Palazzo Zevallos, Napoli.

30 Pittore romano, Arpino, 1568 – Roma, 1640.

31 Pseudonimo per Giorgio Barbarella o Zorzi da Castelfranco, pittore veneto, Castelfranco Veneto, 1478 ca – Venezia, 1510.

32 SCHNEIDER 1986.

33 Resurrezione di Lazzaro, olio su tela, 380 x 275 cm, 1609, Museo Regionale, Messina.

34 Seppellimento di Santa Lucia, olio su tela, 408 x 300 cm, 1608, Chiesa di Santa Lucia alla Badia, Siracusa.

35 MOIR 1969.

36 CHRISTIANSEN 1986.

37 VODRET – CARDINALI – DE RUGGIERI 2011.

38 Pittore emiliano, Cremona, 1522 – Reggio Emilia, 1591.

39 Pittore lombardo, Milano, 1538 – 1592.

40 Flagellazione, olio su tela, 286 x 213 cm, 1607 – 1608, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli.

41 Le immagini utilizzate ad esemplificazione delle analisi eseguite sul dipinto sono tratte da CARAVAGGIO A MILANO 2008.

42 X-ray fluorescence spettroscopy, tecnica di analisi non distruttiva che consente l’individuazione della composizione chimica elementare di un campione mediante lo studio della radiazione di fluorescenza X.

43 Pigmento di origine organica e animale, la più diffusa è la Lacca di Kermes, ottenuta dall’insetto cocciniglia del Mediterraneo: la resina che si ottiene è una composizione di acido chermesico e alluminio, essiccata e polverizzata. Formula chimica: C18H12O13 oppure C22H20O13.

44 Giallo di piombo e stagno. Formula chimica: Pb2SnO4 oppure PbSn2SiO7.

45 Carbonato basico di rame, può virare in malachite, virando da blu in verde. Formula chimica: 2CuCO3∙ Cu (OH)2.





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