Numerosissimi
sono gli studi che si sono sviluppati attorno alla figura di
Michelangelo Merisi da Caravaggio, al fine di riscoprire il modus
operandi
e le vicende che furono parte della vita artistica del pittore
lombardo.
Dovendo
trattare tale argomento, che propone un’ampia quantità di testi da
esaminare, si è scelto di iniziare la trattazione con una sezione di
carattere generale, dove si passano in rassegna testimonianze dirette
contemporanee al pittore sul suo metodo di lavoro, i supporti e i
pigmenti più utilizzati, il ruolo del disegno nel corpus
caravaggesco e la sua funzionalità nella costruzione prospettica
delle composizioni, l’utilizzo particolare e caratterizzante della
luce. Al termine, si inserisce l’analisi specifica di un’opera
del periodo romano, oggetto di indagini, restauri e studi critici: la
Conversione
di Saulo
oggi in Collezione Odescalchi, prima versione dell’opera dal
medesimo soggetto che, insieme alla Crocifissione
di Pietro
dello stesso autore e all’Assunzione
della Vergine
di Annibale Carracci ,
adornano la Cappella
Cerasi
in Santa Maria del Popolo a Roma.
LE
FONTI
Primo
elemento da prendere in analisi, al fine di una contestualizzazione
il più possibile corretta dell’argomento in questione, sono le
testimonianze dirette di chi ha potuto osservare il Merisi durante la
sua attività o parole dell’artista stesso sulla sua personale
visione di arte.
È
proprio da un documento del processo del 1603 intentato da Giovanni
Baglione
sulla base di alcuni testi offensivi diretti alla sua persona, i
quali erano stati scritti, secondo suo parere, da Caravaggio, Orazio
Gentileschi
e Onorio Longhi ,
che abbiamo, in una deposizione davanti al giudice, una delle rare
affermazioni dell’artista lombardo sulla sua personale idea di
arte:
Quella
parola, valent’huomo, appresso di me vuol dire che sappi far bene,
cioè sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valent’huomo,
che sappi depinger bene et imitar bene le cose naturali.
A
conferma di questa teoria
dell’arte
caravaggesca, oltre all’analisi delle tecniche utilizzate per la
realizzazione dei dipinti tramite le tecnologie che ne consentono
l’individuazione, ci sono le testimonianze di coloro che hanno
potuto vedere da vicino il Merisi durante la realizzazione delle sue
opere.
La
prima dichiarazione pubblicata successivamente alla data del processo
in cui si attesta una descrizione del modus
operandi
del Caravaggio è quella contenuta nel Libro
della Pittura
redatto dal pittore e biografo fiammingo Karel van Mander
e pubblicato in prima edizione nel 1604.
A
maggior conferma di quanto dichiarato dal pittore durante la
deposizione davanti al giudice appena un anno prima dalla stampa di
questo testo, van Mander scrive:
… [CARAVAGGIO]
non
esegue un solo tratto senza farlo direttamente dal modello vivo. E
questa non è una cattiva via per giungere a buon fine, perché
dipingere servendosi di disegni (anche se tratti dal vero) non è
così sicuro come tenersi il vero davanti e seguire la natura in
tutta la varietà dei suoi colori; ma bisogna anzitutto che il
pittore adotti il criterio di scegliere dal bello le cose più belle.
Ad
ulteriore dimostrazione di quanto asserito dal pittore stesso, la
pittura dal naturale,
senza la mediazione del disegno, sembra essere la consuetudine
nell’operato caravaggesco. Tuttavia in alcuni documenti è
rintracciabile la richiesta, da parte dei committenti, di realizzare
dei disegni, al fine di produrre un prototipo dell’opera ordinata
al pittore, con la riserva di poterne modificare la composizione.
Esempi
significativi si rintracciano nel secondo contratto per la
decorazione della Cappella Cerasi, in data 24 settembre 1600, dove si
specifica che il pittore doveva mostrare al committente specimina
et designationes figurarum et aliorum, quibus ipse pictor ex sui
inventione et ingenio dicta mysterium et martyrium decorare intendit;
l’anno seguente, viene espressamente chiesto al Caravaggio di
consegnare a Laerzio Cherubini un designum
per la raffigurazione della Morte
della Vergine,
specificando che il quadro avrebbe dovuto essere similiter
all’elaborazione grafica presentata.
La
terza testimonianza che riguarda il modus
operandi
del Merisi è ricavabile da una delle personalità che meglio
conobbero l’artista nel suo soggiorno romano: Vincenzo
Giustiniani .
Il
nobile mecenate e collezionista si dedicò anche alla stesura di
testi sulla descrizione delle pratiche artistiche della sua epoca:
celeberrimo il suo Discorso
sulla Pittura,
redatto tra il 1620 e il 1630, dove vengono elencati i dodici modi di
dipingere.
Il
nome di Caravaggio, all’interno del testo, compare per ben due
volte, ad esemplificazione di ben due modi
di dipingere, sebbene, in entrambi i casi, si ribadisca la piena
volontà dell’artista di realizzare opere riportando la realtà sul
piano pittorico. In proposito, si legge:
Quinto,
il saper ritrarre fiori, ed altre cose minute, nel che due cose
principalmente si richiedono […]il
Caravaggio disse, che tanta manifattura gli era a fare un quadro
buono di fiori, come di figure.
[…]
Duodecimo
modo, è il più perfetto di tutti; perché è più difficile;
l’unire il modo decimo con l’undecimo già detti, cioè dipingere
di maniera, e con
l’esempio avanti del naturale
(sottolineatura
nostra),
che così dipinsero gli eccellenti pittori della prima classe, noti
al mondo; ed ai nostri dì il Caravaggio, i Caracci, e Guido Reni, ed
altri, tra i quali taluno ha premuto più nel naturale che nella
maniera, e taluno più nella maniera che nel naturale, senza però
discortarsi dall’uno, né dall’altro modo di dipingere, premendo
nel buon disegno, e vero colorito, e con dare i lumi propri e veri.
In
questo brano tratto dal testo di Vincenzo Giustiniani si riscontrano
due tipologie di fonti: nel primo caso si tratta di una testimonianza
raccolta dalla viva voce del pittore stesso, che sta a rappresentare,
ancora una volta e in modo più fermo, la facilità del Caravaggio ad
eseguire qualsiasi tipologia di soggetto in breve tempo e con una
grandissima abilità manuale, tanto da dichiarare che non vi era per
lui nessun tipo di differenza tra l’esecuzione di figure umane e
quella di una composizione floreale; la seconda circostanza è invece
frutto dell’osservazione del Giustiniani dell’operato e delle
opere di diversi artisti, che cita insieme al Merisi, giudicandolo,
al tempo stesso, pittore di
maniera,
ovvero, citando dallo stesso testo, che da forma
in pittura quel che ha nella fantasia,
e che dipinge con
l’esempio davanti del naturale.
Questo
modello che il pittore lombardo si era posto come lume
dell’intero operato, si esemplifica nei suoi dipinti in vari
particolari, riconducibili ad espedienti tecnici del tutto innovativi
e spesso visti dai contemporanei come bizzarrie.
Anche
a riguardo di queste peculiarità abbiamo dei documenti che ci
testimoniano le strumentazioni che Caravaggio possedeva nel suo
studio e le caratteristiche dello spazio che aveva prescelto come
atelier.
In
seguito all’aggressione del notaio Mariano Pasqualoni in Piazza
Navona ,
la proprietaria della casa-bottega del Merisi in vicolo di San
Biagio, Prudenzia Bruni, chiese, nel giorno immediatamente successivo
al fatto, il sequestro di tutti i beni presenti all’interno della
sua proprietà data in locazione al pittore lombardo: tra i vari
utensili del mestiere, quali tele e tavole di varie dimensioni, si
trovavano degli strumenti ottici e degli specchi, normali o convessi.
Per questi ultimi, varie sono le ipotesi di utilizzo che sono state
presentate dai vari studiosi, tuttavia non sembra possibile pensare
all’utilizzo di vere e proprie camere ottiche o a strumenti atti
alla proiezione di immagini a questa altezza cronologica, sebbene ci
sia, a partire dalla fine del Cinquecento un forte interesse nei
confronti dell’utilizzo degli specchi in pittura: il Baglione
parla, infatti, dei ritratti caravaggeschi come di quadretti
nello specchio ritratti,
da interpretarsi, come proposto da Roberto Longhi, come ritratti non
diretti, ma ispirati all’immagine riflessa in uno specchio. I
prodromi di questo interesse nei confronti degli specchi sono da
rintracciare nel Trattato
della Pittura
di Leonardo da Vinci ,
dove il pittore e scienziato toscano pone lo specchio piano come vero
e proprio cardine della resa pittorica sia del rilievo che del
chiaroscuro, sostenendo che lo
specchio contiene in sé la vera pittura.
Nel
contratto di affitto della casa si legge anche una singolare
richiesta del pittore, ovvero quella di scoprire
metà della sala:
anch’essa oggetto di varie interpretazioni, tra cui quella di avere
nella sala una particolare illuminazione per la realizzazione delle
pose dei modelli per i suoi quadri, era molto più probabilmente la
soddisfazione dell’esigenza di uno spazio che avesse un’altezza
notevole, a causa delle dimensioni di alcune opere finite o in fase
di realizzazione che potevano superare perfino i tre metri di altezza
e che quindi non potevano essere collocate nello spazio naturale
dell’abitazione così come concepita in partenza.
A
partire da queste fonti primarie, la fama di Michelangelo Merisi da
Caravaggio, del suo inconfondibile stile e della sua pittura diedero
luogo ad un largo stuolo di seguaci del pittore lombardo, tanto che i
suoi principali biografi, Giovanni Baglione e Giovanni Pietro
Bellori ,
da una parte giudicano, dall’altra denominano i
discepoli di
Caravaggio.
Si
riportano, al termine di questa sezione, due brevissimi brani tratti
dalle Vite
del Baglione del 1642 e dalle Vite
del Bellori del 1672, nelle quali leggiamo:
Molti
giovani ad essempio di lui si danno ad imitare una testa del
naturale, e non studiando ne' fondamenti del disegno. .. non sanno
mettere due figure insieme.
Molti
furono quelli, che imitarono la sua maniera nel colorire dal
naturale, chiamati perciò Naturalisti.
Notizie sulla struttura fisica dei dipinti caravaggeschi
I
SUPPORTI
Dovendo
inserire l’attività di Caravaggio all’interno di un grafico a
due coordinate rappresentanti l’una la linea temporale e l’altra
l’asse dove sono citati i supporti pittorici, sicuramente l’area
di risulta inerente alla sua produzione sarebbe quella dove si
riscontra un larghissimo utilizzo della tela.
Se,
infatti, si analizza l’intero corpus
caravaggesco si rintracciano materialmente solo due esemplari di
dipinti su tavola, La
Conversione di Saulo
Odescalchi e il Davide
e Golia
del Kunsthistorisches Museum di Vienna ,
documentariamente, invece, ne doveva esistere anche un altro, in
pendant
con il primo citato e per la medesima collocazione, con la
Crocifissione
di Pietro,
dato che, dai documenti di committenza, si evince che Monsignor
Tiberio Cerasi aveva espressamente richiesto i due quadri eseguiti su
tavola di legno di cipresso, tra l’altro da lui stesso fornita. Per
cause non meglio note e che cercheremo di approfondire più avanti, i
due dipinti per cui Monsignor Cerasi aveva fornito il supporto ligneo
non furono mai collocati nella loro posizione terminale, bensì
furono modificati e realizzati ex
novo
su tela, così come li possiamo tuttora ammirare presso la Cappella a
sinistra dell’abside, nel transetto della Basilica romana di Santa
Maria del Popolo.
Due
casi particolari sono rappresentati dalla Medusa
oggi agli Uffizi ,
una tela applicata in tensione su uno scudo convesso in legno di
pioppo, e dal Concerto
del Metropolitan Museum di New York ,
che in realtà si presenta come un dipinto su tela che fu applicato
ad una tavola almeno fino al 1638, la cui rimozione dal legno ha
probabilmente causato il cattivo stato di conservazione della
pellicola pittorica, che dimostra un grave stato di deperimento.
Le
analisi scientifiche sui dipinti hanno fatto emergere, in taluni
casi, l’utilizzo di un supporto di reimpiego, ovvero una tavola o
una tela già utilizzata dallo stesso Caravaggio o da un altro
artista, non portata a termine e poi riutilizzata per un’opera
portata a compimento. È questo il caso del Davide
e Golia di
Vienna, la cui radiografia ha fatto emergere, sotto il dipinto
caravaggesco, un’opera di un manierista franco-fiammingo,
dall’andamento verticale, contrariamente all’opera definitiva,
raffigurante il soggetto di Venere,
Marte e Amore.
In
un altro caso, quello del Suonatore
di liuto
del Metropolitan Museum di New York ,
il Merisi ha riutilizzato, ruotando l’orientamento della tela, un
supporto già abbozzato con due figure su di un parapetto (l’autore
della scena sottostante al Suonatore
non è noto, anche se potrebbe essere dello stesso Caravaggio).
A
quanto pare la pratica del reimpiego, in particolare di supporti
tessili, era una consuetudine abbastanza praticata dal pittore
lombardo: dalle indagini radiografiche emergono strati pittorici con
scene preesistenti a quella caravaggesca sia nella Buona
Ventura
dei Musei Capitolini ,
dove emerge una Madonna
orante
di ambito arpinesco, sia nella Canestra
di frutta
della Pinacoteca Ambrosiana ,
dove compaiono delle grottesche attribuite a Prospero Orsi .
Talvolta,
il Merisi stesso iniziava a porre mano ad una composizione, che poi,
in corso d’opera, modificava, dando luogo all’opera definitiva:
sono un esempio in tal senso la già citata Buona
Ventura Capitolina,
il Davide
e Golia
del Prado
e la Flagellazione
di Napoli.
Come
detto fin da principio, il supporto più utilizzato da Caravaggio e
dalla maggior parte dei pittori suoi contemporanei, è la tela.
I
pittori, scegliendo di realizzare opere su supporto tessile, avevano
davanti a loro una vasta quantità di tessuti tra cui scegliere.
Nella produzione caravaggesca se ne rintracciano di diverse
tipologie, anche grazie alle testimonianze scritte, primi tra tutti i
testi degli inventari, e alle analisi scientifiche sui dipinti; in
tal proposito possiamo ricavare vari ordini di informazioni e,
pertanto, identificare le tele in base a:
-
La
fibra tessile:
la più utilizzata è la tela di lino romano, con tramatura media
semplice; di seguito l’armatura
saia,
nota anche come tela
Olona,
dalla trama di andamento diagonale ;
la tela
laziale,
dove trama e ordito risultano a incrocio rilevato ;
il damascato,
noto anche come tela
di Fiandra
o de
Venise:
questo tessuto, generalmente utilizzato per le tovaglie, è
realizzato con lino di Fiandra ed è un materiale costoso e
pregiato, ma, al tempo stesso, ha delle proprietà che si piegano
molto bene all’utilizzo in pittura, come la robustezza,
l’elasticità e la scarsa incidenza alle crettature .
Stati
preparatori
Anche
per quanto riguarda la preparazione del supporto prima della stesura
degli stati pittorici, Caravaggio può dirsi pienamente in linea con
la tradizione veneta e due sono gli elementi emersi dalle indagini
scientifiche che lo collegano direttamente a questa tradizione:
-
Utilizzo
di imprimiture colorate, in genere scure, dove si riscontra la
presenza di terre miste a biacca: questa era una consuetudine dei
pittori del XVI secolo, in particolare di quelli appartenenti agli
ultimi cinque lustri del secolo, nello specifico di area veneta; il
primo artista ad utilizzare questa tipologia di preparazione è
Tiziano ,
che se ne servì nella realizzazione della Pala
Pesaro .
Gli elementi ripresi dalla pittura tizianesca sono mediati
dall’insegnamento di Simone Peterzano ,
allievo del Vecellio.
-
Aggiunta
all’olio del litargirio :
questo pigmento giallo, chimicamente a base di monossido di piombo,
veniva aggiunto per le sue caratteristiche siccative. Le indagini
condotte sui quadri del Merisi hanno riscontrato un alto tasso di
piombo e delle tracce di pigmenti gialli, a maggior prova di questa
pratica; inoltre, sappiamo, dalle fonti, della notevole velocità di
esecuzione dei dipinti da parte di Caravaggio, anche questo un
ulteriore indizio che prova un‘asciugatura rapida degli strati
precedenti alla stesura degli strati pittorici.
La
preparazione era stesa seguendo la tradizione del Cennini ,
che prevedeva due strati di due granulometrie diverse: il primo, più
grossolano, detto gesso
grosso,
con un alto
contenuto
di colla e il secondo, più fino, detto gesso
fine,
definito anche imprimitura,
che veniva steso in più mani ed era meno ricco di colla; in
quest’ultimo, si mescolavano i colori che caratterizzavano il fondo
dell’opera.
E’
a partire da questo dato, dopo tante domande che si sono poste
sull’argomento storici dell’arte e restauratori, che si riesce a
ben comprendere la frase di Bellori: lasciò
in mezze tinte l’imprimitura.
Strati
pittorici
Successivamente
alla preparazione bruno-rossastra, che gli consentiva anche di
ridurre il tono squillante che avrebbero avuto alcuni dei colori
utilizzati, iniziava il vero e proprio lavoro di stesura del colore
sul supporto preparato per realizzare l’opera.
In
alcune cross-sections
effettuate sui dipinti caravaggeschi si riscontra la sovrapposizione
di molteplici strati pittorici e ci mostrano anche la rielaborazione,
da parte del Merisi, di ampie zone con sostanziali ridipinture.
Grazie ad alcuni campioni di pittura prelevati dal dipinto Marta
e Maddalena
del Detroit Institute of Art
si sono potuti individuare i procedimenti di applicazione degli
strati pittorici e se ne sono distinti ben cinque:
-
Wet
on wet,
ovvero strati di vernice fresca a cui si applica della nuova
vernice: questa tecnica, che prevede che il supporto venga bagnato
con della pittura prima di ricevere lo strato pittorico vero e
proprio, consente una velocità elevata nella realizzazione
dell’opera e, al termine, viene completata con la stesura di uno
strato di vernice opaca o semi-opaco.
-
Miscuglio
di pigmenti:
resa di un’unica tonalità bruno-grigiastra data dalla mescolanza
di bianco, blu, rosso, marrone scuro, bruno-rossastro, nero e
giallo.
Si
nota un’altra derivazione tizianesca, mediata dagli insegnamenti di
Peterzano, come ad esempio l’uso delle tecniche ad olio e a tempera
mista e le profilature nere negli incarnati.
La
quasi totale assenza del disegno preparatorio è recepibile dalla
sovrapposizione delle campiture di colore a partire dal fondo per
arrivare al primo piano.
Pigmenti
e vernici
Per
quanto riguarda i pigmenti e le vernici utilizzate nelle opere da
Caravaggio, si può innanzitutto effettuare una grande distinzione,
che è caratteristica della produzione del pittore lombardo e
contribuisce in modo determinante, in quanto elemento peculiare del
suo operato, alla datazione dei dipinti in relazione alle sue vicende
biografiche: i colori predominanti nella produzione giovanile
caravaggesca sono prevalentemente brillanti e la preparazione agli
strati pittorici presenta tonalità chiare, come il grigio-verde o
l’ocra, mentre, nella fase matura, i colori divengono sempre più
scuri e vi è un utilizzo prevalente di terre.
Dovendo
elencare i colori maggiormente utilizzati nelle composizioni
caravaggesche, bisogna partire da un dato fondamentale: in ben due
contratti, per la Cappella Contarelli e per la Cappella Cerasi, si
dispongono delle eventuali somme aggiuntive per l’acquisto di
oltremare o di pigmenti azzurri in generale, elemento significativo
al fine della comprensione della grande considerazione in cui erano
tenute le opere e il pittore stesso.
Dalle
analisi scientifiche effettuate, è emerso un largo utilizzo di
alcuni pigmenti, tra i quali si riscontrano :
Classificazione
|
Nome
|
Nome
chimico
|
Formula
chimica
|
bianco
|
Biacca/
Bianco di Piombo
|
Carbonato
basico di piombo
|
2PbCO3Pb(OH)2
|
ocra
|
Ocra
gialla
|
Idrossido
di ferro
|
Fe(OH)3
|
Ocra
rossa
|
Ossido
di ferro + silicati argillosi
|
Fe2O3
∙
nH2O
|
rosso
|
Cinabro/
Vermiglione
|
Solfuro
di mercurio
|
HgS
|
verde
|
Verderame
|
Acetato
di rame
|
(CuCCH3COO)2∙
2H2O
|
nero
|
Nero
carbone
|
Carbonio
|
C
|
terra
|
Terra
verde
|
Silicoalluminati
+ ossido ferroso
|
FeO
|
Terra
rossa
|
Sesquiossido
di ferro anidro
|
Fe2O3
|
Terra
di Siena
|
Composto
di ossidi di ferro + ossido di manganese + altri minerali
|
Fe2O3
∙
nH2O
+ MnO2
+ Al2O3
∙
SiO2
∙
2(H2O)
|
Terra
d’Ombra
|
Ossido
silicato doppio di ferro + ossido di manganese
|
Fe2O3
∙
MnO2∙
nH2O
+ Si + Al2O3
|
Purtroppo
solo in un numero limitato di dipinti è possibile rinvenire delle
tracce di vernice originale, ma, anche in questo caso, un documento
ci offre un interessante spunto da cui trarre notizie da incrociare
con i dati emersi dalle analisi scientifiche.
In
una lettera del consegnatario del Martirio
di Sant’Orsola ,
Lanfranco Massa, si racconta un aneddoto relativo alla verniciatura
di questa tela, che, ancora fresca, si voleva far asciugare per
consegnare il quadro totalmente finito; l’uomo pensò di esporre
l’opera al sole, ma invece di asciugare, sembrava divenire sempre
più umida, dunque si chiedeva consiglio al pittore che aveva la
consuetudine di darcela
assai grossa:
anche se il più delle volte Caravaggio non stese, con tutta
probabilità, la vernice di sua mano, questa espressione può dar
luogo a due possibili combinazioni di materiali per la realizzazione
della vernice:
Abbozzo
e incisione: l’uso del disegno
Fondamentale
in un ragionamento sulla tecnica pittorica in Caravaggio è un
approfondimento, seppur breve, volto a specificare l’aspetto più
strettamente manuale
e pratico
nella realizzazione di un’opera, vale a dire le fasi di
progettazione e di pre realizzazione legate alla pratica disegnativa.
In
tal senso, varie sono le tradizioni seguite dai pittori e, come già
prima si è avuto modo di constatare, l’insegnamento di cui si
avvale il Caravaggio è, senza dubbio e in primo luogo, quello di
matrice veneta e tizianesca, mediato dai precetti del suo primo
maestro, Simone Peterzano, seguito dall’osservazione delle tecniche
esecutive del suo secondo maestro, presso il quale il Merisi approda
nel primo periodo del suo soggiorno romano, ovvero Giuseppe Cesari ,
più noto come il Cavalier d’Arpino.
Bisogna,
innanzi tutto, partire dal dato abbozzo.
Partendo dalla definizione generale del termine, si evince che con
tale lemma si determina una fase della realizzazione di un’opera
d’arte in forma incompleta ma elaborata già in modo tale da
suggerire l’aspetto definitivo del manufatto. Proprio seguendo
questa definizione, si tenta di ricostruire la fase di abbozzo nella
produzione caravaggesca, ricercandone una matrice nella tradizione
pittorica precedente.
La
fase
preliminare
che consentiva al Merisi di delineare il più possibile l’aspetto
compositivo del dipinto, consisteva nella stesura di più o meno
vaste aree sulle quali erano applicate campiture di colori diversi,
ciascuno dei quali rappresentava la base dell’oggetto o del
personaggio da dipingere che in seguito avrebbe definito con le sue
peculiarità.
Secondo
la traditio
vasariana fu Giorgione ,
padre del tonalismo veneto, ad utilizzare per primo l’abbozzo della
figurazione con campitura cromatica senza disegno; successivamente,
Palma il giovane descrive una pratica analoga nella pittura di
Tiziano, affermando che le campiture di colore servivano per
far da letto o base alle espressioni che sopra poi li doveva
fabbricare.
Riprendendo,
dunque, un’espressione utilizzata dallo Schneider ,
la tradizione dell’abbozzo cromatico ripresa dalla pittura veneta
fu utilizzata da Caravaggio per disegnare
dipingendo,
dato che le veloci pennellate stese senza curarsi troppo dei
particolari delineavano un vero e proprio prototipo della figurazione
che poi sarebbe definitiva.
Analizzando
cronologicamente i dipinti caravaggeschi, si evince una differenza di
natura fisica tra i materiali utilizzati per realizzare gli abbozzi
in età giovanile, i quali risultano piuttosto liquidi, e quelli per
realizzarli in età matura, che hanno una consistenza più corposa e
si avvicinano molto di più all’impasto per gli strati pittorici
più superficiali e definitivi, sebbene la composizione che si
delinea spesso non corrisponde a quello che poi risulta essere il
prodotto definitivo.
In
opere dell’ultimissimo periodo, come la Resurrezione
di Lazzaro
e il Seppellimento
di Santa Lucia ,
gli incarnati non subirono mai una stesura definitiva, rimanendo,
dunque, in questa fase
preliminare
, probabilmente a causa degli scarsi mezzi economici e del breve
tempo di realizzazione.
La
pratica appena descritta del disegnare
dipingendo
è una conferma alle testimonianze che ci descrivono un Caravaggio
che dipinge con
l’esempio davanti del naturale,
sebbene alcuni studiosi come Alfred Moir
abbiano sostenuto l’ipotesi di un Merisi disegnatore, soprattutto
nel caso di opere i cui compaiono fino a sedici figure, quindi dove
la composizione risulta più complessa ed articolata, sebbene questa
teoria del disegno non ha avuto un grande seguito, anche in tempi
molto recenti, successivamente al ritrovamento di un centinaio di
disegni nel fondo Peterzano, si è proposta, ed, in parte, accolta,
l’attribuzione di tali opere al Caravaggio.
Il
terzo ed ultimo punto da affrontare in questa sezione è quello
dell’incisione.
Questa
tecnica, utilizzata il più delle volte per riportare il disegno
preparatorio sul supporto, venne utilizzata a partire dal XV secolo,
anche se, probabilmente dal Cinquecento, si iniziò a incidere anche
a mano libera senza la mediazione del cartone.
Il
Caravaggio apprese questa tecnica presso la bottega del Cesari, dove
veniva utilizzata regolarmente: il Merisi, infatti, se ne servì in
tutte le sue opere, in quanto risulta un metodo molto veloce per
definire delle approssimazioni di figurazioni alla base della
composizione definitiva.
Christiansen ,
nel suo fondamentale articolo del 1986, definisce tre tipologie di
linee incise:
-
Ornamental:
linee incise decorative,
realizzate sulla superfice dipinta;
-
To
define essential architectural elements:
linee prospettiche,
realizzate
sulla superfice dipinta;
-
At
on early stage of the designing process:
linee di definizione
dell’abbozzo,
realizzate in modo sommario e veloce sulla mestica fresca.
Queste
furono individuate già da Longhi e dallo Spear, giustificandole come
linee provvisorie di composizione, che per questo non coincidono alla
definitiva redazione, realizzate dal pittore in uno studio
preliminare alle vere e proprie sedute.
La
luce: la questione dello studio di Vicolo di San Biagio
Come
si è già i precedenza accennato, Caravaggio ebbe per circa
quattordici mesi in affitto una casa-studio in vicolo di San Biagio ,
nella zona adiacente a Piazza Navona. La questione inerente alla
motivazione che spinse il Merisi a richiedere che parte del soffitto
della sala dell’abitazione venisse rimosso è sempre stata molto
dibattuta: in primo luogo, la stanza avrebbe raggiunto un’altezza
tale da consentire la conservazione, al suo interno, di opere di
grandi dimensioni; il secondo dato da assumere è che una modifica
simile avrebbe portato ad una importante trasformazione della
situazione luminosa, dando seguito alla sua ricerca compositiva. Non
perché questo scoperchiare
il soffitto lo portasse ad avere la luce naturale del sole, dato che
i documenti ci parlano di soffitte
sovrastanti il solaio rimosso, ma poiché in quella zona potesse
ricreare, data la notevole altezza, uno spazio entro cui collocare i
modelli e i lumi,
in modo tale da poter focalizzare maggiore attenzione sulla quantità
di luce da utilizzare e di poterla direzionare, al fine di servirsi
di queste due componenti, precedentemente dette, ottenendo un
risultato sotto il profilo luminoso qualitativamente approssimato il
più possibile alla condizione di luce naturale.
Nonostante
le numerose congetture dei contemporanei sugli studi rivoluzionari
del Merisi in proposito, questo tipo di ricerche riguardo la luce, in
verità, ben si situano all’interno della trattatistica
Cinquecentesca e della tradizione lombarda, a partire dallo stesso
Leonardo.
In
ben due manoscritti dello scienziato e pittore toscano si trovano
indicazioni sull’utilizzo della luce e sulla sua importanza
all’interno di una composizione pittorica, soprattutto nella fase
di osservazione e studio della natura preliminare della stesura
dell’opera.
Nel
manoscritto A, foglio 84v, dell’Institut de France di Parigi, è
presente un disegno, che Leonardo commenta così:
Finestra
del pittore e sua comodità. Il pittore, che usa l’imitazione
del naturale,
deve avere un lume, il quale egli lo possa alzare ed abbassare. La
ragione è quella che, qualche volta, tu vorrai finire una cosa che
ritrai appresso del lume.
Di
seguito ai testi leonardeschi, si hanno testimonianze di Bernardino
Campi
e Giovan Pietro Lomazzo .
Caravaggio
parte proprio da questa tradizione di dipingere con
l’esempio davanti del naturale
non solo per quanto riguarda la ripresa del modello vivo
e vero
e il disegnare
dipingendo,
ma anche e soprattutto per il posizionamento e l’utilizzo delle
fonti di luce.
In
tal proposito, è stato svolto uno studio sul posizionamento dei
raggi luminosi nella composizione della Flagellazione
del Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli .
Questo
studio, in cui sono stati utilizzati dei manichini illuminati da
varie angolazioni, ha dimostrato il complesso studio di Caravaggio
nella fase precedente alla realizzazione e durante l’esecuzione
stessa dell’opera in fatto di situazione luminosa: confrontando,
infatti, le radiografie del dipinto e le fotografie realizzate sulle
simulazioni con i manichini, si evince che il Merisi studiava le
figure e le luci che su di loro incideva separatamente, così che,
nella redazione definitiva dell’opera, risultasse un vero e proprio
teatro
di luce,
in cui è proprio quest’ultima ad essere protagonista e mediatrice
tra l’osservatore e la scena, ovvero l’elemento che, contribuendo
a dare un triplice significato al termine vero:
la verità dell’episodio dipinto, lo svelamento e la comprensione
di questo tramite una vera luce, dunque il modo
di dipingere dal vero, con
l’esempio davanti del naturale.
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Fig. 1 - Radiografia del Davide con la testa di Golia di Vienna, dove emerge il dipinto realizzato in precedenza sulla stessa tavola.
Da Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i Capolavori.
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Fig. 2 - Radiografia della Canestra di Frutta della Pinacoteca Ambrosiana, dove è evidenziata la presenza del dipinto preesitente sulla tela.
Da Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i Capolavori.
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Fig. 3 - Radiografia della Buona Ventura Capitolina, dove ben emerge la figura della Madonna orante arpinesca precedentemente dipinta.
Da Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i Capolavori.
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Fig. 4 - Lo studio del pittore secondo Leonardo da Vinci.
(da VODRET - CARDINALI - DE RUGGIERI 2011).
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Fig. 5 - Grafica degli studi con i manichini relativi alla posizione dei lumi nella Flagellazione di Napoli.
(da VODRET - CARDINALI - DE RUGGIERI 2011).
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La
Conversione
di Saulo Odescalchi: Genesi e storia dell’opera
La
Conversione di Saulo,
oggi presso la collezione della Principessa Odescalchi, è un’opera
di straordinaria espressività e di monumentale movimento. il
dipinto, che appartiene ai primi anni dell’attività autonoma del
Caravaggio a Roma, subito dopo la realizzazione dei rivoluzionari
dipinti per la Cappella
Contarelli
in San Luigi dei Francesi, presenta ancora dei tratti manieristici,
ma ha in se tutta la carica di pathos
e il gioco di luci che caratterizza l’opera del Merisi anche e
soprattutto nella sua fase più matura.
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Fig. 6 - La Conversione di Saulo Odescalchi.
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La
genesi è il destino collezionistico di quest’opera sono stati
ricostruiti e studiati in modo ben preciso, proprio al fine di
comprendere alcune scelte.
Si
cercherà, in breve, di riassumere le vicende, elencandole in ordine
cronologico:
-
8
luglio 1600: nell’anno giubilare, Monsignor Tiberio Cerasi,
tesoriere generale della Camera Apostolica, acquista dagli
Agostiniani di Santa Maria del Popolo la Cappella Foscari, con
l’intenzione di trasformarla nella sua cappella funeraria. I
lavori vengono affidati a Carlo Maderno, che si occupa
dell’architettura e degli stucchi, per la decorazione pittorica
vengono chiamati i due più importanti pittori sulla scena romana:
Annibale Carracci, che realizzerà la pala d’altare con
l’Assunzione
della Vergine
e Caravaggio, che eseguirà i due dipinti laterali, raffiguranti la
Conversione
di Saulo
e la Crocefissione
di Pietro.
Il
pagamento dei dipinti slitta al novembre dello stesso anno.
-
Nei
quasi quattro anni intercorsi tra il pagamento delle opere e il
posizionamento delle stesse nella loro collocazione finale,
Caravaggio realizzò altri due dipinti dal medesimo soggetto, ma su
tela. Le cause di questo cambiamento risultano ignote, probabilmente
per volontà degli eredi del committente o per volere del pittore
stesso.
-
Le
opere realizzate su tavola di cipresso furono acquistate dal
Cardinale Giacomo Sannesio e rimasero nella sua collezione fino al
1646, quando presero la strada di Madrid, entrando nella collezione
del nono Almirante di Castiglia. Alla sua morte, la collezione venne
in parte venduta: questo è stato il destino della Conversione
di Saulo,
che venne acquistata dal mercante Agostino Airolo, passando in
eredità a Francesco Maria Balbi, entrando dunque nella sua
collezione di famiglia e restandoci fino alla metà del XX secolo,
quando, a seguito di un matrimonio, entrò a far parte della
collezione Odescalchi, dove è tuttora presente.
Del
suo pendant,
si hanno notizie fino al 1691: rimasto nella collezione del decimo
Almirante di Castiglia, se ne sono perse le tracce, alcuni lo
ritengono distrutto, altri presente in qualche monastero spagnolo.
Struttura
fisica del dipinto
Rappresentando
quasi un unicum
nella produzione caravaggesca, la Conversione
di Saulo,
in seguito ad un recente restauro, è stata oggetto di numerose
indagini, che hanno potuto svelare la tecnica esecutiva del Merisi su
questo inconsueto supporto all’interno del suo operato.
Si
cercherò, per punti e sulla base del materiale presente nel catalogo
realizzato in occasione dell’esposizione post restauro, di
rintracciare gli elementi fondamentali della tecnica esecutiva.
-
Supporto:
come detto, il supporto prescelto dal committente è il legno di
cipresso. La tavola è costituita da sette listelli di lunghezza
uguale (175 cm), ma di larghezze diverse, tutte intorno ai 50 cm,
per una differenza massima tra le estremità di circa 5 cm. Sebbene
l’assemblaggio di un materiale così disomogeneo dal punto di
vista dimensionale potrebbe sembrare caotico e compromettente per la
pellicola pittorica, che nelle zone di commettitura delle tavole
risulta essere più fragile, Caravaggio riuscì egregiamente ad
intersecare il dato materiale e fisico del supporto con la
composizione del dipinto, evitando, per quanto possibile, la
coincidenza di parti molto importanti della raffigurazione con le
zone di fragilità del supporto. Le varie tavole erano probabilmente
sostenute da due traverse scorrevoli innestate su supporti a nido di
rondine.
-
Imprimitura:
anche in questo caso si riscontra una inversione
di tendenza:
a partire dal 1599 circa, il Merisi iniziò a mescolare colori
scuri all’imprimitura da stendere sul supporto, mentre, in questo
caso, decise di inserire un colore chiaro, come riscontrabile nelle
opere della fase giovanile, nella fattispecie, una tonalità chiara
di grigio, assimilabile per composizione e colore, a quella del
Bacchino
malato.
Questo
espediente tornò utile a Caravaggio per sfruttare la riflessione di
luce dagli strati interni sugli strati pittorici esterni e relativi
alla composizione definitiva.
-
Abbozzo
e incisione:
l’abbozzo cromato immediatamente dopo l’imprimitura è
utilizzato come consuetudine nell’operato caravaggesco. La prima
idea della composizione definitiva che l’artista traccia
direttamente sul supporto è data, in questo caso, non solo dalle
larghe ed approssimate campiture cromatiche del disegnare
dipingendo,
ma anche da alcune incisioni realizzate direttamente sullo strato
preparatorio.
Tutte
le incisioni realizzate su i vari strati preparatori e pittorici sono
state realizzate con uno stile molto appuntito dalla punta larga poco
meno di un millimetro. A parte le incisioni realizzate per i capelli
del soldato all’estrema sinistra, tutte le altre sono eseguite in
modo tale da graffiare
la pellicola pittorica, arrivando direttamente sugli strati
preparatori, spesso per definire con decisione e sicurezza
l’impostazione delle figure da realizzare, utilizzandole come
direttrici compositive.
-
Pigmenti:
anche per quanti riguarda quest’ultimo aspetto, Caravaggio sembra
aver fatto un’eccezione rispetto alle sue abitudini compositive,
cercando di porsi in relazione alla tradizione più che ai suoi
tratti innovativi ed utilizzando pigmenti non molto presenti nel suo
operato.
Dalle
analisi XRF (fluorescenza dei raggi X) e dalle indagini
microdistruttive, oltre, a quelle colorimetriche, questa è la
tavolozza utilizzata dal Merisi per la Pala
Odescalchi,
della quale, al termine, si porta la tabella delle analisi XRF :
-
Il
rosso prevalente è in cinabro, soprattutto per le parti
maggiormente messe in luce, mentre per le ombre ricorre alla lacca ,
dove è presente il rame, probabilmente perché miscelata con il
resinato di rame o per il suo potere siccativo o per realizzare
un’intonazione più fredda;
-
Gli
incarnati presentano una mescolanza di bianco di piombo e di terre,
dosati in base alle tonalità da utilizzare; è sostanzialmente
assente il cinabro, ad eccezione delle labbra e di una parte in
corrispondenza del braccio del soldato alle spalle di Saulo,
probabilmente presente negli strati sottostanti;
-
Nel
raro brano del paesaggio retrostante la scena sacra, vi è
l’utilizzo di azzurrite
e giallorino con velature do ocra;
-
La
mestica del singolo pigmento, fin dall’origine, ha una presa
d’olio che oscilla dal 15% del bianco di piombo al 150% del
bitume: questo, in alcuni casi, rende il colore particolarmente
fragile nel tempo, poiché l’olio perde di elasticità;
-
In
questo dipinto sono presenti tracce di decorazione a doratura,
eseguita con oro su base d’argento, per far si che la consunsione
della scudo potesse essere percepibile nel contrasto tra il nero
emerso dall’ossidazione dell’argento e la brillantezza dell’oro,
seguendo in parte i dettami cenniniani dell’oro
di metà.
Ringrazio
con stima ed affetto Francesca Cappelletti per avermi incoraggiato e
supportato con i suoi preziosissimi consigli nel corso di questa
ricerca caravaggesca e non solo.
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Fig. 7 - Schema della commettitura delle tavole.
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Fig. 8 - Localizzazione
dei punti analizzati nelle analisi XRF e colorimetriche.
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Fig. 9 - Stratigrafia su sezione lucida di un punto prelevato dal braccio del
soldato illustrato nell'immagine sottostante: si notano, oltre
all'imprimitura grigia, uno spesso strato giallo, uno strato rosso e
uno di incarnato.
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Fig. 10 - Microfotografia della decorazione in argento e oro. Da notare, in
nero i punti di ossidazione.
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Fig. 11 - Schema in cui si evidenziano gli interventi incisori.
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Fig. 11 - Tabella delle analisi di fluorescenza dei raggi X.
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NOTE
BIBLIOGRAFIA
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tecnica del Caravaggio: materiali e metodi
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Rossella
Vodret,
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Un nuovo ritrovamento documentario e il problema della luce nello
studio di Caravaggio,
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Roma, De Luca Editori d’Arte, 2011, pp. 130 – 136, Catalogo della
Mostra tenutasi all’Archivio di Stato di Roma nello stesso anno
|