Luigi
Serafini è un artista
italiano che inizia la sua carriera con la pubblicazione del Codex
Seraphinianus. Si
tratta di un’enciclopedia amanuense scritta in un linguaggio
inventato e accompagnata da immagini fantastiche che rappresentano un
mondo immaginario, sebbene simile al nostro.
La prima
edizione del Codex
è del 1981 ad opera di Franco Maria Ricci nell’ambito della
collana I
segni
dell’uomo che
ricomprende
opere
di Jorge Luis Borges e Roland Barthes. Questa prima edizione del
Codex
viene pubblicata in formato di 35x23 cm, stampata su carta verga
azzurrina di Fabriano, rilegata in seta Orient
nera con impressioni
in oro, tavole a colori applicati a mano e contenuta in un cofanetto
editoriale. L’opera attira da subito l’attenzione di numerosi
intellettuali tra cui Federico Zeri, Achille Bonito Oliva e Italo
Calvino. Bonito Oliva collaborerà in seguito con Serafini mentre
Calvino dedica all’opera dell’artista un saggio all’interno
delle Collezione
di
Sabbia intitolato
L’enciclopedia
di un
visionario. Calvino
rintraccia immediatamente la struttura interna del Codex
che mantiene in
effetti le sembianze dell’enciclopedia canonica, divisa in classi e
sottoclassi, composta da due sezioni, la prima dedicata alle scienze
della natura (botanica, zoologia, teratologia, chimica, fisica e
meccanica) e la seconda invece alle scienze dell’uomo (anatomia,
etnologia, antropologia, mitologia, linguistica, cucina, giochi, moda
e architettura).
Franco Maria Ricci invece scrive la Bolla
d’accompagnamento al
Codex
nel
quale dà consigli su come leggerlo:
Dobbiamo
sfogliarlo come un unno che saccheggiando un monastero si trova
davanti ad un codice miniato o come un bambino che non sa leggere e
gioisce delle immagini che vede.
Questo
perché il Codex
Seraphinianus si
inserisce in un vasto ambito che è quello del linguaggio
immaginario. Con le parole che seguono Alessandro Bausani conclude il
suo testo sulle lingue inventate:
Il
creare lingue inventate non è che un approccio al problema della
lingua. è smontare e rimontare gli elementi del linguaggio, come un
bambino che gioca con il suo meccano. è distinto da questo ritrovare
l’Uno primordiale nelle lingue? Forse no, perché l’Uno, nel
linguaggio, è non, come si credeva in antico una sostanza, ma
piuttosto proprio il funzionare stesso, una dynamis,
ed
è a questa dynamis
che
in fondo rendono omaggio tutti gli inventori di lingue.
Per
“lingua inventata”
si intende una lingua
artificiale provvista di proprie regole sintattiche e un proprio
lessico.
Nelle arti figurative nel corso del Novecento sono state praticate
nuove forme di lingua inventata attraverso il collage e lo sviluppo
della tipografia, uno dei primi esempi è rappresentato dal
Futurismo.
Nel 1912
Marinetti pubblica il
Manifesto
della
letteratura futurista,
nel quale spiega le tipologie narrative innovative ottenute da
un’azione sulla stessa scrittura.
Lo
sviluppo della
tipografia fu quanto di più fondamentale per il movimento.
Successivamente emerse il Dada, movimento nonsenso per definizione,
la cui denominazione stessa è una parodia dei suoi diversi
“significati” in varie lingue: Dada
non significa niente.
Anche
Pablo Picasso attorno al
1949 aveva elaborato una “scrittura di parole sconosciute”,
stilata in una grafia incomprensibile negli stessi anni dell’artista
romano Giuseppe Capogrossi, inizialmente aderente alla scuola romana,
che arrivò poi a modulare una lingua, un’astrazione basata su un
segno grafico.
Tracciare
la storia degli
“antenati” del Codex
è stato davvero
interessante, dal Manoscritto
di Voynich all’Hypnerotomachia
Poliphili,
incunabolo definito “il più bel libro illustrato del
Rinascimento”.
Del Codex
stupisce la chiarezza
della lingua che si presenta di una familiarità sorprendente e così
vicina all’essere comprensibile che è davvero necessario qualche
secondo per capire che non stiamo effettivamente leggendo. Quanto
alle immagini si può notare come queste abbiano, pur nella loro
stranezza, elementi comuni con il nostro universo. Luigi Serafini
crede nella contiguità e permeabilità di ogni territorio
dell’esistere come Ovidio nelle Metamorfosi.
Ma forse qui Serafini supera Ovidio, che trasformava una cosa in
un’altra, perché in soli dieci disegni tramuta due amanti in un
caimano che poi abbandona la scena scendendo dal letto.
Questa enciclopedia, parodica e ironica, crea un sistema di
linguaggio che supera ogni barriera convenzionale divenendo
universale proprio grazie alla sua incomprensibilità.
Il Codex
Seraphinianus non è
che l’inizio della carriera poliedrica dell’artista che lavora
come designer, architetto e scultore. Due anni dopo l’edizione del
Codex
pubblica
Pulcinellopedia
(piccola), una suite
di disegni dedicata
alla maschera napoletana della commedia dell’arte sotto lo
pseudonimo di P. Cetrulo. Nell’opera vediamo Pulcinella sdoppiarsi
e trasformarsi fino alla metamorfosi. Il protagonista è irreale,
alza la maschera sotto alla quale scopriamo non esserci nulla.
L’opera è divisa in nove capitoli, a partire dalla nascita di
Pulcinella dalle uova, Ouverture
(de l’oeuf), fino
alla sua apoteosi, Apoteosi
in zona monumentale con avvistamento del PEC (Punto
Esclamativo
Celeste).
Alla fine della suite
c’è una sorta di
rubrica intitolata Pulcillantes
Personae in
cui il
possessore del libro potrebbe segnare i recapiti di chi crede.
Nel 1990
Luigi Serafini crea la
prima locandina per il film La
voce della luna di F.
Fellini. Nel 2007 a Milano gli viene dedicata una mostra ontologica
intitolata Luna
pac–Serafini,
al Pac di Milano. Nel
2009 ha invece realizzato una riedizione “speciale” delle
Histoires
Naturelles di
Jules Renard, le Storie
Naturali, in
occasione
dei sessant’anni della BUR per rendere omaggio ad un libro che,
edito nel 1959, lo accompagnava da anni. Crea dunque un erbario
fantastico fatto di piante immaginarie con foglie illustrate o
estraibili, racchiuse in tasche da erbario. L’opera è in due
edizioni, la prima di grande formato e in sole 600 copie che
riproduce la copertina BUR del 1959 con un’immagine di una volpe,
in francese renard.
Le
262 pagine di ottima qualità raccolgono i testi di Renard completi
degli adattamenti digitali dell’artista. La seconda edizione è
invece economica e consiste di 176 pagine. Anche in questo caso il
libro ha una struttura enciclopedica.
In
occasione dell’Expo di
Milano del 2015 Luigi Serafini viene invitato a esporre una sua opera
nel padiglione di Eataly e sceglie Persephone
C., alias
la Donna
carota.
è
un’installazione in cui su uno strato di terra è appoggiata una
donna a grandezza naturale, nuda col pube in vista, che invece delle
gambe termina in una carota. Sembra riposare e con le mani a guisa di
candelabro regge due carote. Sui social
le critiche piovono e
Luigi Serafini risponde con un’acuta e colta email che invia a
tutti i suoi contatti, successivamente pubblicata sul sito Dagospia,
lo stesso da cui le critiche avevano avuto origine.
Durante
un’intervista l’artista spiega come la sua Donna
carota fosse
la rappresentazione di una divinità. Proprio come la risalita dagli
inferi di Persefone del mito greco coincideva con la rifioritura
primaverile, la Donna
carota
fuoriesce
da un orto e dalle sue mani, stigmati, il “miracolo”: nascono le
carote.
L’artista
non si trova a suo
agio nel sistema dell’arte e crea un escamotage
per rimanervi senza
però dipendere da un mercato falsato e da una critica asservita ai
potenti di turno. Serafini
si è dedicato alla composizione di libri fantastici rendendo le sue
opere incriticabili e facendo sì che il suo intento
parodico-satirico risulti incomprensibile e dunque inattaccabile a
livello formale.
Emblematica
al riguardo l’opera Balançoire
sans frontiéres,
installazione posta nel 2008 sul confine italo-elvetico
–precisamente a Castasegna nei pressi di Chiavenna sulla strada
per Saint Moritz– una riflessione sul limite, sulle barriere e
sulle frontiere che permette di dondolarsi su un’altalena tra una
nazione e l’altra. è come se simboleggiasse l’intera produzione
artistica di Serafini, un’oscillazione inter-disciplinare tra la
Teoria dell’Informazione e l’Arte Contemporanea. Rappresenta
l’espediente con il quale l’artista si defila dal sistema
dell’arte, libero di dare sfogo al suo immaginario e senza che
nessuno possa attaccarlo.
La storia
dell’uomo insegna che
la follia di ieri è la saggezza del presente così come la follia
del presente sarà la saggezza di domani, e che coloro i quali
apparivano visionari hanno determinato poi il progresso. Luigi
Serafini, non potendo cambiare il mondo ne crea uno suo in cui
rifugiarsi e nel quale è disposto a darci riparo, un mondo creato
sulle solide basi della conoscenza, come tutti gli enciclopedisti
auspicavano.
Per
ottenere un riscontro
rispetto alla concezione di questa enciclopedia si è chiesta e
ottenuta la possibilità di porre domande dirette a Luigi Serafini.
Intervista a
Luigi Serafini
L'intervista
è avvenuta il 24
novembre 2015 a Roma, nella sua casa-atelier. Luigi Serafini si è
mostrato disponibile nell’intervista che segue a rispondere ad
alcune domande sulla sua attività, i suoi modelli e il suo rapporto
con il sistema dell’arte.
La
cifra delle tue opere è assolutamente unica e originale ma, fatta
questa premessa, a quale tendenza o esponente dell’arte figurativa
ti riconosci almeno in parte? Visionario, surreale, metafisica?
Diciamo,
potrei mettere surreale in
primis
mentre credo
che visionario sia interno al surreale. Sono tre termini che mi
piacerebbe utilizzare mettendoli magari in sequenza, surreale,
visionario e poi metafisico. Non sono sinonimi anche se li sento un
po’ come tali, come componenti. Potrebbero essere gli ingredienti
della mia ricetta: ci faccio il sugo (sorride). Divido in parti
uguali. Anche perché surreale sembra legato alla poetica, con dei
canoni, mentre il termine visionario è più libero. Visionario è
Dante, ad esempio. Anche se poi ci sono molte cose che all’interno
della visione dantesca che potrebbero interessare un surrealista.
Metafisico è una parola legata essenzialmente alla definizione della
pittura di De Chirico, quel piccolo movimento che De Chirico crea e i
suoi che lo seguono ad esempio Carrà.
Quali
sono gli artisti che ti hanno influenzato?
Un
artista che mi ha influenzato… In questo momento mi viene in mente
uno scrittore, Raymond Roussel che ha scritto Locus
Solus e
Impressions d’Afrique che
è stato un anticipatore dei surrealisti, un personaggio
bizzarrissimo che tra l’altro ha destato la curiosità di Leonardo
Sciascia, perché morì a Palermo al Grand Hotel Et Des Palmes. Mi ha
sempre affascinato per la bizzarria della sua vita e della sua
scrittura, infatti lo cito nel Codex.
Vi sono due citazioni, una a Raymond Russell, una specie di uccello
che nel libro
Locus
Solus
si
chiama Iriselle. Una sorta di gallina con la coda che gira così.
Una
seconda citazione è Proust, quello che potrebbe sembrare il più
lontano dal mio mondo, perché è un osservatore della realtà e non
della “surrealtà”. Però di lui mi affascinava la sua grafomania
e lui è uno che ha passato tantissimo tempo a scrivere e poi
all’epoca siccome non c’erano ancora i computer non si poteva
fare il “taglia e incolla”, non si poteva cancellare e modificare
e lui scriveva a mano però, dato che rielaborava moltissimo,
aggiungeva dei pezzi di carta, li incollava sopra con una nuova frase
e aveva chiamato questi suoi fogli, pieni di ripensamenti,
pentimenti, incollaggi Paperolles,
un termine usato dai francesi per indicare quei lavori di decorazione
con delle striscioline di carta che venivano arrotolate, con cui si
facevano stelline o fiori, e che si incollavano intorno ad
un’immagine sacra o una foto, si facevano come dei quadretti, una
cosa soprattutto ottocentesca. Quindi questo rapporto con la
scrittura, che diventa quasi tridimensionale, mi affascina molto.
Infatti lo cito in quella tavola del Codex
in cui lo scrittore
viene ucciso dalla sua penna: lì c’è un frammento di Albertine
disparue.
Ecco i miei
riferimenti.
Quali
soggetti, oggetti, temi o forme ti ispirano e ricorrono nelle tue
opere?
Intanto
spesso ritorna la natura. La natura è sempre presente, basta
guardarsi intorno (in casa sua).
Sia la botanica che la zoologia sono dei riferimenti costanti, in
particolare la zoologia. E comunque le forme organiche, come dice la
parola, forme di derivazione naturale: la radice di un albero,
piuttosto che un ramo, etc.
Puoi
indicare quali opere nel cinema, nella musica, in letteratura ti
hanno più affascinato e influenzato?
Nel
cinema direi un film di Jean-Luc
Godard, Alphaville.
Un
film del 67 che mi colpì particolarmente. Per quanto riguarda la
musica invece, direi, quella barocca, Bach. Musiche molto costruite,
molto strutturate. Ecco, Bach è sicuramente un autore che mi
affascina.
In
letteratura da Dante a Raymond Russell, dove c’è la visionarietà
per Dante e il surrealismo per Russell che abbiamo già citato.
Quando ero giovane poi leggevo Verne…
Cosa
pensi del sistema dell’arte?
Il
sistema dell’arte è un sistema in cui non mi sono sentito a mio
agio e che ho cercato di aggirare, e sicuramente il Codex,
i libri, mi permettono di rimanere nell’ambito dell’arte ma di
non dipendere da gallerie. Perché il sistema dell’arte è un
sistema in cui, così com’è oggi, i valori sono determinati più
dal mercato che non dal pubblico. Ed è un mercato che non è poi
così trasparente, è un mercato che può essere fortemente e
facilmente manipolato. Questo perché, per esempio, spesso gallerie e
case d’asta possono appartenere allo stesso proprietario e quindi i
valori che sono determinati dalle case d’asta possono essere magari
poi utilizzati da chi ha una galleria ed è legato alla casa d’asta.
Effettivamente quello che stupisce, che attrae o che fa parlare oggi
nel sistema dell’arte contemporanea sono i valori spropositati che
certi artisti assumono. Sono valori, si vede, volatili, perché si
capisce che non hanno un futuro però nonostante tutto sono
affascinanti: colpisce sentir parlare di un artista che vende
qualcosa a cinque milioni di euro. Che voglio dire quando trovi un
buon dipinto del Seicento, magari non di Caravaggio, si parla di
centomila euro…
Per
cui un sistema dell’arte in cui i valori finanziari sono diventati
così importanti la dice lunga! Insomma, fa notizia la vendita
all’asta di questo o di quell’altro e quindi il sistema dell’arte
così com’è oggi è un sistema che ha un po’ escluso il
pubblico, cosa che non è successo in altri sistemi come quello della
musica o quello del cinema o della letteratura dove il pubblico conta
ancora perché compra i libri o non li compra.
Oggi
il sistema dell’arte sembra autoreferenziale, se il pubblico non va
a vedere la mostra di Jeff Koons non incide molto sul valore di Jeff
Koons stesso. Quindi, per quello che riguarda me, io me ne sono
tirato un po’ fuori…
Un’altra
cosa curiosa a questo proposito è quella di vedere come nelle grandi
mostre, penso alla Biennale di Venezia, c’è una giuria che non è
mai composta o presieduta –che io sappia– da artisti ma sono
sempre o critici o direttori di musei, insomma: mai artisti. Mentre
alla Mostra del Cinema a Venezia, che sta a trecento metri di
distanza, le giurie sono composte sempre da registi o artisti che
lavorano nel cinema, quindi attori, tecnici, musicisti: gente
attinente a quel lavoro, che fa il cinema. Questo succede anche nei
premi letterari dove gli scrittori giudicano altri scrittori, o in
quelli musicali. Invece il sistema dell’arte sembra essere molto
autoreferenziale.
Quale
influenza ha oggi la rete per la diffusione delle opere d’arte? E
come si inserisce il Codex
in questo
scenario?
Ci
sono persone che giocano a livello planetario. Galleristi, musei,
collezionisti… torniamo
a parlare del sistema dell’arte che è una specie di “Monopoli”.
Saranno mille, tremila, quattromila le persone presenti nel mondo del
mercato dell’arte. Questo è forse ancora lo scenario. Invece
internet, la rete, sta creando un nuovo pubblico che non ha più
bisogno di gallerie e di mercati ma soprattutto non ha più bisogno
di critici che dicano cos’è o cosa non è… I nativi digitali
sono ormai cresciuti con questa idea del “mi piace”, “non mi
piace”, che importa del critico –nel bene e nel male–. Sta
rinascendo un pubblico per l’arte, così come per la musica, la
letteratura… E insomma, il Codex
ci sta bene adesso. Si trova a suo agio.
La
mostra al Pac del 2007 ha avuto il successo desiderato?
La
mostra ebbe pochissima pubblicità per varie ragioni. La prima è che
il Pac è del comune di Milano, quindi non ci fu niente più di poche
affissioni per diffondere l’evento. Inoltre io non ero
particolarmente amato dai direttori delle riviste come Flashart
ecc., per cui la
mostra non fu neanche segnalata. La cosa interessante è stata che
nonostante questo, durante il mese in cui le mie opere furono
esposte, ci fu un continuo aumento di gente che faceva passaparola,
arrivando a circa undicimila presenze. Il grosso avveniva durante il
sabato e la domenica. La prima domenica i visitatori saranno stati
circa duecento, l’ultima domenica invece… quasi duemila. Il
passaparola, che è poi quello che succede in rete, è stato
fondamentale. Il passaparola è
la rete, che oggi si riesce ad attivare molto facilmente rispetto al
2007, quando i social network non avevano un utilizzo così ampio. La
mostra è stata un successo “social”.
Dici
di avere iniziato a “scrivere” il Codex
senza ben
sapere cosa stessi facendo. Ora che è terminato ti sentiresti a tuo
agio nell’essere assimilato agli enciclopedisti di tutti i tempi,
da Plinio a Diderot etc.?
Beh
sì, è vero. Sono diventato, pur senza saperlo, un enciclopedista.
Anche se di un mondo che non esiste, di un mondo tutto mio, però lo
sono diventato. Ed è poi quello che volevo, è anche un modo di
poter esplorare a fondo la mia fantasia: una specie di autoanalisi.
Pensi
che il Codex
sia la tua opera più rappresentativa? Se non lo è, qual è?
Sì,
è la mia opera più rappresentativa, anzi, diciamo che è quella che
generalmente si fa alla fine, io l’ho fatta all’inizio. è anche
una specie di manifesto perché poi tutto il lavoro che ho fatto
dopo, deriva un po’ da lì.
La
struttura è quella di un’enciclopedia. è più importante
l’immagine o la parola? Che valore ha per te la parola? E quale
significato riveste per te la scrittura criptata che fa da
contrappunto all’enciclopedia del tuo mondo fantastico?
Allora,
io proprio perché ritenevo che sia la parola che l’immagine
avessero uguale capacità e importanza le ho volute mettere insieme,
in un modo “fantastico”. La scrittura è asemica quindi non c’è
una sintassi, non c’è dietro un significato e lo stesso vale per
le immagini, sono anche queste fantastiche. Mettendo quindi insieme
due cose immaginifiche si crea, proprio perché immagine e parola,
attraverso i libri si sono unite nel creare un senso, una relazione
che ormai è nella nostra natura notare. Nel mettere insieme quindi
immagini e linguaggio fantastici mi sembrava di creare un altro
sistema di comunicazione, con linguaggio inventato e
immagini-immaginarie che in realtà ha funzionato perché alla fine
il libro sta girando il mondo, quindi una lingua immaginaria è la
lingua più desiderata, quella che non si deve leggere e non si sa
cosa voglia dire, sono cose che tutti aspettano.
La
città, il luogo o lo scenario territoriale ai quali sei più legato.
Sono stati fonti d’ispirazione per il Codex?
è un universo
ideale? Più utopia o più fantasia?
Credo
che questo sia inevitabile perché penso molto alla nostra esistenza
come un’espressione dei luoghi, non vedo l’uomo staccato dal suo
contesto, sia culturale che fisico. Sono legato molto al centro di
Roma, naturalmente, e alle Marche, a Pedaso, dove passavo l’estate.
Poi sicuramente agli Stati Uniti dove ho avuto delle grandi
illuminazioni.
Se
esistesse questo altro universo in che galassia si troverebbe e come
si chiamerebbe?
Non
rispondo, queste sono domande marziane, non sono terrestri!
I
libri illeggibili di Munari possono considerarsi parenti del Codex?
Sicuramente.
I
templi
dell’uovo
di Clerici hanno ispirato le architetture all’interno del Codex?
L’uovo
ritorna anche in Dalì, in Piero della Francesca. è una forma
misteriosa.
Poi
ho usato le uova perché erano un po’ la mia ossessione, con le
scatolette di tonno. Quando ero giovane c’erano pochi soldi,
guardavo in frigorifero e c’era l’uovo. Era una sorta di presenza
benefica che quando non avevi nulla “ti facevi un paio d’uova”.
Poi mi ha sempre affascinato questa forma a uovo, dell’uovo.
Perché
Franco Maria Ricci ti ha pubblicato nella collana I
segni dell’uomo?
Bella
domanda! Franco Maria Ricci è una persona legata a Borges etc.,
l’enciclopedia è una cosa che è nel suo DNA. E lui è riuscito a
realizzare un sogno, perché quando io l’ho conosciuto, nel 1979,
Franco mi parlò subito dell’idea di un labirinto: è riuscito ad
arrivare a fondo a questo percorso utopico. Però purtroppo un luogo
così straordinario (sette ettari), ha avuto un po’ di stampa ma
poca rispetto alla straordinarietà del caso e quindi avrebbe forse
dovuto esserci un comitato –perché il labirinto è arrivato
proprio all’ultimo, au
bout de souffle– che
ad esempio raccogliesse, tornando a I
segni dell’uomo il
ricordo di quello che di straordinario ha fatto Franco Maria Ricci
perché ad esempio questa collana, già dal titolo meraviglioso,
raccolse opere straordinarie, da Roland Barthes a Umberto Eco, a
Sgarbi, a Manganelli, con anche delle scoperte critiche: Ligabue ad
esempio, prima de I
segni dell’uomo, non lo conosceva nessuno.
Domenico Gnoli, neanche, come Erté e come
anche il mio lavoro. Sono stati una collana fondamentale e forse ora
bisognerebbe ripercorrere quel ricordo.
Perché
mi ha pubblicato? Insomma, evidentemente ha avuto l’intuizione, ha
pensato che il Codex
potesse essere
inserito in quella collana e in fondo, non ha sbagliato. E poi, le
tavole, guarda caso avevano più o meno la stessa dimensione delle
pagine, questione di
un centimetro.
Uovo,
scheletro e arcobaleno. Cosa sono per te?
Calvino
ne parla. Sono immagini molto forti, dell’uovo ne abbiamo parlato.
Lo scheletro è qualcosa di straordinario, basti solo pensare che ce
l’abbiamo dentro. Siamo degli scheletri ricoperti, mi ha sempre
affascinato questo. L’arcobaleno, che dire, grande magia! Stupisce.
Fellini.
Com’è nata la collaborazione?
Clerici,
che hai già citato, scoprì il Codex
e comunicò a Fellini
che aveva trovato questo libro. Così Fellini mi chiamò una mattina
dicendo: “Pronto, sono Federico Fellini”, con la sua voce un po’
fioca, molto gentile, mi disse che aveva visto il Codex
ecc. ecc.
Le
Storie
naturali:
hai una passione per la catalogazione, perché?
Mah,
non so. Forse per pigrizia preferisco la catalogazione alla sintesi.
Chissà, magari un giorno passerò alla sintesi, per ora catalogo.
La
donna carota. Difenditi!
Ho
pubblicato un testo, credo che quello sia la difesa migliore.
Pulcinellopedia.
Come mai? Hai preso l’ispirazione da artisti contemporanei?
No.
Mi sono ispirato a Tiepolo e alle sue rappresentazioni del Carnevale
di Venezia con la mistione della cultura veneziana con quella turca.
Il cappello di Pulcinella di Tiepolo ricorda un turbante… Il
carnevale a Venezia è sempre stato festeggiato mentre a Napoli per
un lungo periodo la tradizione è stata interrotta.
Progetti
futuri?
Cina.
Mostre, nuove edizioni cinesi.
NOTE
BIBLIOGRAFIA
Bartezzaghi
S.,
Lingue
inventate,
Enciclopedia Treccani, 2010.
Bausani
A., Le
lingue inventate, Roma,
Ubaldini Editore, 1974, p. 151.
Calvino
I., L’enciclopedia
di un visionario in
Collezione
di sabbia,
Milano,
Mondadori,
1984, p. 170.
Colonna
S., Hypnerotomachia
Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Roma, Gangemi editore,
2012.
Madron
A., Expo,
Donna
Carota demolita da social e giornali. L'autore al Fatto: "è una
divinità", Il
fatto quotidiano, 17
maggio 2015.
Manganelli
G., Pulcinella:
mille o nessuno, in
Corriere
della Sera,
1984.
Risset
J., Sul Codex
Seraphinianus, Radio
3- Suite, 10 gennaio 2007
Serafini
L. Cetrulo P.,
Pulcinellopedia
(piccola), Milano,
Longanesi, 1984.
SITOGRAFIA
Sulla
risposta di Luigi Serafini alla critica dell’Expo 2015:
http://www.dagospia.com/rubrica-31/arte/sfide-arte-luigi-serafini-prova-spostare-sua-carota-dall-expo-101787.htm.
|