Alla
mia adorata mamma
Quando si parla di storia dell’arte di solito vengono in
mente i nomi dei più grandi artisti che con i loro capolavori hanno contribuito
ad arricchire il patrimonio artistico mondiale mentre si ignorano quelli delle
donne artiste. Però esaminando a fondo la vicenda artistica gli studiosi si sono
imbattuti in una storia dell’arte diversa tutta al femminile che non vede più
la donna solo come musa ispiratrice ma come protagonista nell’inconsueto ruolo
di pittrice. Molte furono infatti le personalità femminili che con coraggio e
talento riuscirono a vincere i pregiudizi del tempo guadagnandosi a pieno
titolo un posto nella storia dell’arte.
Cenni
storici sulle prime donne artiste dell’antichità
È già possibile avere qualche informazione sulle prime donne
artiste dell’antichità grazie alla Naturalis Historia
di Plinio che
nel XXXV libro
riporta una leggenda secondo cui: «la pittura fu inventata da una ragazza di
Corinto che per ricordare le sembianze del suo amato che doveva partire per lontani lidi ne tracciò il ritratto sul
muro ricalcandone l’ombra proiettata da una lanterna». In essa Plinio riporta anche un elenco con i nomi
di alcune artiste greche come Timarete, Kalypso le cui opere non sono
sopravvissute forse perché molte di loro furono solo figure leggendarie. Ma fu
soprattutto nell’altomedioevo che la vicenda delle donne artiste prese
l’avvio quando la necessità di divulgare la parola divina portò alla fioritura
degli scriptoria femminili nei
conventi. Qui le monache colte e
dotate di capacità grafiche e pittoriche si dedicavano alla decorazione di
codici e manoscritti miniati guadagnandosi l’appellativo di artiste. Infatti
miniatura, tessitura e ricamo costituivano le cosiddette arti minori unica
forma d’arte accessibile alle donne nel medioevo.
Una
diversa educazione
Invisibili
da secoli alle donne nel medioevo era concesso solo un sapere incompiuto e
rigidamente controllato. L’educazione femminile si basava su tre insegnamenti
fondamentali: la religione intrisa di morale, i rudimenti essenziali – come
imparare a leggere, scrivere e fare di conto – e tenere in mano ago e filo. La
chiesa considerava l’istruzione femminile come un pericoloso flagello da tenere
a distanza mentre tra le famiglie aristocratiche più in vista vigeva l’usanza
di mandare le proprie figlie in convento dove avrebbero ricevuto un’adeguata
preparazione culturale e artistica che avrebbe loro consentito di condurre una
vita dignitosa. Dunque se una donna desiderava possedere un minimo di cultura o
ricevere un’adeguata formazione l’unica via che doveva intraprendere era quella
religiosa. In convento – come detto pocanzi – queste giovani donne avevano la
possibilità di dedicarsi alle arti minori dal momento che alla donna non era
concesso: il diritto alla creatività, non le si addiceva tenere in mano pennello
e scalpello, non le era consentito studiare matematica e scienza così come non
poteva fare apprendistato nella bottega di un artista. In un suo studio
Consuelo Lollobrigida parlando proprio della formazione dell’artista riporta le
regole d’accesso alla professione formulate dall’Alberti nel De Pictura, che escludevano le donne
poiché impossibili da seguire. Secondo questi solo la pittura di historia era in grado di evocare la
dignità della storia antica e chiunque intendeva occuparsi di questo genere doveva
studiare il corpo umano partendo dai cadaveri passando ai modelli vestiti fino
ad arrivare al modello maschile nudo. La formazione era poi completata con una
serie di viaggi nei principali centri artistici per conoscere le opere dei
rivali e dei maggiori artisti delle generazioni precedenti. Tale percorso
però era precluso alle donne sia
perché non era decoroso studiare un corpo maschile nudo vivo o morto che fosse
sia perché non potevano viaggiare da sole. L’esclusione dalla pittura di historia relegò di conseguenza le donne
ai livelli più bassi della professione e fu solo a partire dall’inizio del XVI secolo che emersero i primi fautori
dell’istruzione femminile che con i loro principi si opposero a chi riteneva
l’educazione femminile allargata inutile.
Uno di questi fu Baldassarre
Castigliane che nel suo Libro del
Cortigiano introdusse
un nuovo modello di cultura femminile che venne a sostituire quello religioso e
domestico
contribuendo all’emancipazione della donna dalla schiavitù dell’analfabetismo e
dell’istruzione minima.
Castiglione dedicò anche un intero capitolo alla donna ideale e
nel configurare
il profilo della perfetta donna di corte ne elencò le principali virtù: serietà,
onestà e grazia creando involontariamente anche il modello della donna artista,
poiché tali virtù accomunavano tutte le donne artiste che si susseguirono nei
secoli.
Il pensiero di Castiglione influenzò molti biografi d’arte quali:
Vasari, Malvasia, Ridolfi che nelle loro opere cominciarono a trattare anche di donne artiste.
Alla scoperta dell’altra metà
dell’arte
La
prima città in cui si trovano opere documentate di questa pittura al
femminile è Bologna che diede i natali ad artiste del calibro di:
Caterina de’ Vigri una
delle più importanti suore pittrici. Properzia de’ Rossi che formatasi
nella
bottega di Marcantonio Raimondi acquisì
ben presto l’abilità di intagliare le figure sui noccioli di pesca e ciliegia
impressionando a tal punto Vasari che le dedicò una biografia d’onore nelle sue
celebri Vite.
Properzia fu l’unica donna e soprattutto l’unica scultrice che ebbe l'onore di
lavorare nel prestigioso cantiere della Basilica di San Petronio a Bologna dove
realizzò due formelle dedicate alla castità di Giuseppe e alcune sculture. Il
talento di Properzia iniziò presto a disturbare il monopolio artistico maschile
attirando le invidie di alcuni colleghi uomini come Amico Aspertini che fece di
tutto per screditare la pericolosa rivale.
Tentativi che si rivelarono vani visto che Properzia fu molto apprezzata dai
committenti.
Altra
grande artista bolognese è Lavinia Fontana prima donna in Europa ad avere avuto una
carriera alla pari degli artisti uomini suoi contemporanei. Figlia di Prospero Silvio Fontana a lui si deve il merito di
averla avviata allo studio delle arti non solo per contribuire con i suoi
lavori alle spese di famiglia ma soprattutto per garantire la prosecuzione
della sua attività .
Specializzatasi come ritrattista, Lavinia fu molto apprezzata dalle nobildonne
Laudomia Gozzantini, Isabella Ruini ma anche da intellettuali ed ecclesiastici
come il cardinale Paleotti per il quale realizzò una pala d’altare con l’Assunzione della Vergine nella basilica
di San Petronio. All’età di trentadue anni la Fontana ricevette la commessa più
importante della sua vita una pala d’altare con l’Assunzione della Vergine con i SS. Cassiano e Pietro Crisologo per
la cappella del Palazzo Comunale di Imola. Per la prima volta nella
storia dell’Europa cattolica veniva affidata a una donna l’esecuzione di una
pala d'altare e nel realizzarla Lavina, oltre ad avvalersi della consulenza
paterna, si attenne alle norme morali e sociali stabilite dal Concilio di
Trento tenendo presente anche i dettami riportati dal cardinale Paleotti e
altri su come dovevano essere rappresentate le immagini sacre. Trasferitasi poi a Roma
con la famiglia – dove rimase fino alla morte – Lavinia svolse un'intensa
attività realizzando ritratti per cardinali, principi e nobildonne romane anche
se i suoi principali committenti furono i Borghese. La carriera e la fama
acquisita da Lavinia che la portò a essere nominata accademica di San Luca fu
d’esempio per molte artiste che vennero dopo di lei come la conterranea
Elisabetta Sirani considerata sua erede artistica.
Coetanea
della Fontana è la ravennate Barbara Longhi figlia del pittore manierista Luca
Longhi. Caso
isolato nella cultura artistica romagnola dalla quale le donne erano
automaticamente escluse,
sin
da piccola Barbara mostrò di possedere un certo talento tanto da essere lodata
dal Vasari e dal Manfredi che ne decantarono la
precoce predisposizione alle arti. Sebbene
la mancanza dei documenti abbia reso difficile ricostruire il percorso artistico
di Barbara gli studiosi fanno risalire la sua fase iniziale all’attività svolta
nella bottega paterna dove si occupava principalmente di soggetti sacri. Tra le
opere giovanili spicca soprattutto la tavoletta in onice del Matrimonio mistico di Santa Caterina
realizzata tenendo presente un quadro di soggetto analogo del Correggio.
Spostandoci
invece a Cremona incontriamo Sofonisba Anguissola e le sue sorelle che incarnarono
alla perfezione il modello della piccola nobiltà i cui orizzonti culturali si allargarono per merito
di Baldassarre Castiglione.
Tra le sorelle Anguissola colei che si distinse maggiormente
fu Sofonisba. Formatasi nelle botteghe di Campi e Gatti, insieme alla sorella
Elena, Sofonisba si specializzò nel genere del ritratto che eseguiva con cura e
meticolosità aggiungendo ai soggetti elementi e particolari che a suo dire
servivano a raccontare qualcosa in più sulla personalità del soggetto ritratto.
Grazie alle sue doti artistiche Sofonisba fu in grado di vincere i pregiudizi
che vi erano all’epoca sulle donne artiste diventando addirittura la
ritrattista ufficiale della corte spagnola di Filippo II. Attiva anche presso
le corti italiane degli Este e dei Gonzaga, Sofonisba fu molto apprezzata dal
Buonarroti rimasto colpito dalla smorfia di dolore del Fanciullo morso da un granchio, smorfia in seguito ripresa anche dal Caravaggio.
Apprezzamenti positivi le provennero anche dal Vasari che sosteneva che
i suoi ritratti erano così veri che sembravano respirare. Dopo dieci anni
trascorsi presso la corte spagnola e dopo un breve soggiorno in Sicilia, a
Paternò, Sofonisba si trasferì a Genova dove il contatto con la bottega del
Cambiaso provocò la sua evoluzione stilistica. Giunta all’età di
novantadue anni Sofonisba ebbe modo di conoscere il giovane Van Dyck – suo
successore alla corte spagnola – che le fece un ritratto accompagnato da una
dedica in italiano in cui sosteneva: «di aver imparato più cose da quella
anziana signora ormai cieca piuttosto che dagli artisti suoi contemporanei». A
metà Cinquecento visse e operò un’altra grande artista la mantovana Diana
Scultori. Allieva di Giulio Romano, Diana fu maggiormente
attiva a Roma dove realizzò due incisioni che la resero celebre: il Convito di Psiche e Cristo e la donna colta in adulterio. Abile imprenditrice la
Scultori riuscì ad ottenere dalla corte pontificia il permesso di firmare e
vendere i suoi lavori mantenendo il proprio nome realizzando nell’arco
della sua carriera circa sessantadue incisioni che colpiscono per: il disegno
perfetto, il tratto nitido e la vivacità dei movimenti. L’arte incisoria
infatti richiedeva doti artistiche ma anche abilità e determinazione qualità
che Diana possedeva e che la resero famosa tanto da essere citata nelle Vite vasariane. Alla fine del Cinquecento si distinse per il suo talento anche Fede
Galizia figlia del celebre miniaturista Nunzio Galizia dal quale apprese i
primi rudimenti artistici.
Inizialmente Fede si dedicò alla miniatura e all’incisione passando poi alla
pittura. Infatti a soli dodici anni cominciò a dipingere da autodidatta
prendendo ispirazione dal naturalismo lombardo di Leonardo e Correggio e dal
tardo-manierismo emiliano. Il suo talento la
portò ad essere citata nelle Rime del
Lomazzo che
in un sonetto dedicato a padre e figlia disse che nonostante la giovane età si
era già guadagnata una propria visibilità. Attiva con il padre presso la corte
dei Savoia a Torino, Fede ebbe modo di conoscere Sofonisba Anguissola anche lei
attiva nella stessa cortee il cui esempio la
incoraggiò a proseguire il mestiere di pittrice. Insieme a Caravaggio e altri, la
Galizia fu tra le prime a dipingere esclusivamente nature morte dando conferma
di essere un’artista straordinaria, dalla linea sottile e scavata ma al
contempo ferma e innovativa. Le sue nature morte hanno un’impostazione seriale
con: un piano d’appoggio ravvicinato ˗ quasi sempre frontale ˗ su cui poggiano
cesti di frutta o fiori che dominano la scena emergendo da un fondo scuro in
un’atmosfera rarefatta e atemporale. Come dice Caroli in una chiave molto moderna la
Galizia sembra delegare agli oggetti il compito di rappresentare il suo mondo
interiore.
Sebbene sia maggiormente nota per le nature
morte Fede fu anche autrice di ritratti e opere a soggetto mitologico
Al quanto scarse
sono invece le notizie sulle artiste venete – Irene Spilimbergo, Marietta Robusti, Chiara Varotari,
Giulia Lama e Elisabetta Lazzarini – attive nella Laguna.
Nel caso di
Irene Spilimbergo le principali informazioni ci provengo da Atanagi da Cagli e
dal Gamba dai quali veniamo a sapere che Irene era la secondogenita del conte
Adriano di Spilimbergo. Educata dal padre la
giovane Spilimbergo fu molto apprezzata dai suoi contemporanei – come la regina
di Polonia, Bona Sforza – per la sua precoce
intelligenza. Appena sedicenne Irene si trasferì a Venezia nella casa del nonno
materno Giovanni Paolo da Ponte dove oltre a ricevere la tipica educazione delle
nobildonne veneziane si appassionò alla
pittura divenendo l’allieva prediletta di Tiziano. Questi la guidò
amorevolmente per due anni incoraggiandola e correggendola con severità come
fosse suo padre indicandole come modello da seguire Giovanni Bellini che a sua
volta era stato suo maestro. Purtroppo la morte prematura a soli diciannove
anni pose fine a quella che sarebbe divenuta una brillante carriera.
Di
Marietta Robusti, figlia del celebre pittore Jacopo Robusti, ce ne parla il
biografo Carlo Ridolfi che le dedicò una breve biografia nelle sue Meraviglie dell’arte.
Tramite questi veniamo a sapere che Marietta, meglio nota come la Tintoretta, mostrò fin da subito un
precoce talento che aveva ereditato dal padre che le insegnò i principali
trucchi del mestiere. Questi infatti concesse a Marietta di entrare nella sua
bottega a soli sette anni e per aggirare
i divieti imposti alle donne in campo artistico e poterla portare con sé
nelle sue committenze in giro per Venezia la costrinse più volte a vestirsi da
garzone. Oltre alla pittura
Marietta studiò canto e musica poiché suo padre voleva renderla una dama di
elevata cultura come lo erano l’Anguissola e la Spilimbergo. Come ritrattista
fu molto apprezzata dai nobili veneziani e dalle principali corti europee come
quella di Filippo II di Spagna che richiese la sua presenza a corte ma l’amore
morboso del padre ostacolò la carriera di Marietta. Questi non solo non le
diede il permesso di partire ma la fece sposare frettolosamente con il
gioielliere Marco Augusta costringendola a rimanere a Venezia dove morì poco
più che trentenne. Per quanto riguarda l’attività pittorica di Marietta gli
esperti dubitano sulla paternità di alcune sue opere confusione che deriva sia
dalla naturale vicinanza sia dalla partecipazione a esse del celebre padre. Tra
le sue opere certe si ricorda il famoso Autoritratto
degli Uffizi di Firenze dove la pittrice si è ritratta insieme a uno strumento
musicale con l’obiettivo di comunicare allo spettatore la bellezza e la gioia
che derivavano da queste due forme di arte che lei amava molto.
Della
padovana Chiara Varotari, figlia del pittore e architetto Dario Varotari e
sorella del Padovanino, ce ne parlano Ridolfi e Boschini. Dal primo veniamo a
sapere che i Varotari erano originari della Germania e che Chiara – come molte
sue colleghe – si era formata nella bottega paterna specializzandosi nei
ritratti. Mentre nella Carta del navigar
pittoresco
Boschini riporta che al pari della Sirani che aveva fondato a Bologna una
scuola pittorica per sole donne lo stesso aveva fatto la Varotari a Venezia,
affermazioni che furono però messe in dubbio dal Lanzi. Sempre dal Ridolfi
veniamo a sapere che Chiara non si sposò mai – rifiutando ogni onorevole
accostamento – poiché preferì dedicarsi alla pittura e come lei fece in seguito
anche Elisabetta Sirani.
Ancora
più scarse sono le notizie su Elisabetta Lazzarini sorella del più noto pittore
Gregorio Lazzarini. Di lei ce ne parla Ambrogio Levati dal quale veniamo a
sapere che spesso Elisabetta veniva ingiustamente accusata di far completare al
fratello le sue opere.
Come
per la Lazzarini anche nel caso di Giulia Lama gli studiosi hanno incontrato
non poche difficoltà nel ricostruire il suo percorso artistico, tuttavia
tramite il Pallucchini veniamo a sapere che in
gioventù Giulia si era dedicata agli studi matematici e che solo in età matura
si avvicinò alla pittura formandosi nella bottega del padre anche lui pittore.
Le sue opere non furono molto apprezzate dalla critica poiché ritenute
grossolane e difettose, quella di Giulia infatti
era una pittura violenta e antiaccademica lontana dagli stereotipi che volevano
la donna artista esperta in quadri di fiori, ritratti e soggetti sacri come le
Madonne con i Bambini che resero famosa la Sirani. Giulia era una pittrice
controcorrente non solo per la scelta dei soggetti o per via della sua maniera
ma soprattutto per i suoi metodi di apprendimento poiché fu la prima donna a
studiare e disegnare il nudo maschile osservando un modello dal vivo. Tappa
necessaria per la formazione di un’artista ma all’epoca ancora preclusa alle
donne.
Come
la Gentileschi altra grande artista che visse e si formò nella Roma del
Seicento fu Virginia da Vezzo alla quale Consuelo Lollobrigida ha dedicato uno
studio. Originaria di Velletri ma cresciuta a Roma, Virginia si formò nella
scuola di disegno del pittore francese Simon Vouetche colpito dal suo talento
e dalla sua bellezza se ne innamorò e sposò. Le capacità artistiche della da
Vezzo la portarono presto a essere nominata accademica di San Luca e stando
alla Lollobrigida è molto probabile che la pittrice usò il quadro della Giuditta
come tableau d’ingresso nella prestigiosa istituzione romana.
Infatti nel 1607 l’Accademia si era dotata di uno statuto volto a ricevere: «le
donne insigni nell’arte le quali erano tenute ad offrire all’Accademia un dono
della propria arte nonostante fossero ancora escluse dalle sedute». In Francia, dove si era
trasferita insieme a tutta la sua famiglia, Virginia continuò ad ottenere vari
riconoscimenti ma la sua reputazione crebbe anche nella natia Velletri tanto da
essere menzionata nel Theatro Historico di Velletri dello studioso
Bonaventura Theuli. Tuttavia la mancanza di documenti ha reso difficile agli
studiosi ricostruire l’attività della da Vezzo alla quale si devono con
certezza poche opere come L’Allegoria
della pittura
o l’Autoritratto. La morte
precoce interruppe la brillante carriera di Virginia destinata forse a
raggiungere un successo simile a quello di Sofonisba e Artemisia anche loro
pittrici di corte. Spostandoci al sud esattamente a Napoli ci si imbatte in
Diana de Rosa meglio nota come Annella di Massimo come la ribattezzò il De
Dominici nelle sue Vite poiché
allieva prediletta del caposcuola napoletano Massimo Stanzione. Anche in
questo caso la mancanza di date e di documenti certi ha reso difficile agli
studiosi ricostruire la personalità artistica di Diana inoltre alcune opere
attribuitele dalla tradizione si sono spesso rivelate prive di fondamento. Le
maggiori difficoltà nell’identificare i suoi lavori sono nati dal fatto che la
pittrice collaborava attivamente sia alle opere del maestro che a quelle del
marito senza mai completarle ed è per tale motivo che oggi Diana è soprattutto
nota per essere «una pittrice senza opere certe». Nel 1969 in un suo saggio Roberto Longhi
attribuì ad Annella alcune opere sulla base della sigla ADR intrecciata
presente nel margine sinistro del quadro e che lui sciolse come Annella de
Rosa. Questa sua affermazione però non fu condivisa da altri studiosi come
Raffaello Causa
e Ferdinando Bologna secondo i quali si trattava di un apocrifo poiché il vero
nome della pittrice era Diana e non Annella, soprannome divenuto noto alla
critica solo dopo l’uscita delle Vite
del De Dominici. Dunque le uniche opere certe di Diana restano le due tele
della Nascita e Morte della Vergine della Pietà dei Turchini, anche se
recentemente Giuseppe Porzio le ha attribuito anche lo Sposalizio della Vergine
del museo diocesano di Napoli. Secondo Porzio potrebbe trattarsi di una delle
tante opere che Diana aveva eseguito in collaborazione con il marito e ciò
giustificherebbe la facies
beltranesca che il dipinto promana.
Ritornando
nuovamente a Bologna incontriamo Elisabetta Sirani grande protagonista del
secolo d’oro della pittura bolognese la cui
biografia la troviamo inserita nella Felsina
pittrice del Malvasia che la definì: «l’angelo vergine della pittura
bolognese che dipingeva meglio di un uomo». Figlia
di Giovanni Andrea Sirani sin da piccola Elisabetta mostrò di possedere un
particolare talento e a dodici anni entrata nella bottega paterna apprese le
principali tecniche pittoriche. Al Malvasia si deve sia il merito di aver
scoperto, plasmato e perpetuato il mito della Sirani modellandolo volutamente
su quello di Guido Reni e sia di aver tramandato una dettagliata Nota che la pittrice aveva compilato dei
suoi quadri. Attraverso essa è stato possibile ripercorrere anno dopo anno l’attività di
Elisabetta già a partire dai diciassette anni quando affrancatasi
dall’influenza paterna iniziò a dipingere su commissione dimostrando una
straordinaria padronanza tecnica. Apprezzata dai più grandi collezionisti del
Seicento fu più volte costretta a dipingere in pubblico per allontanare il
sospetto che non fosse lei a dipingere con così tanta bravura. Nel 1662 a causa della
malattia del padre Elisabetta assunse la
direzione della bottega Sirani dove vi fondò la prima scuola pittorica per sole
donne e nella quale si formarono le sorelle della stessa Sirani, Teresa
Muratori, Ginevra Cantofoli e le figlie di vari artisti ˗ come Lucrezia Bianchi
˗ che venivano mandate a studiare da Elisabetta anziché essere formate dai
rispettivi padri, infrangendo così il tradizionale modello di educazione
artistica uomo-donna: da padre a figlia, da fratello a sorella, da marito a
moglie. Sempre in quegli anni Elisabetta fu nominata accademica di San Luca e
membro della Compagnia de’ Pittori di Bologna. Secondo Adelina Modesti si
potrebbe quindi affermare che nel 1663 la Sirani era un’artista professionista
poiché insegnava e dirigeva una bottega tutta sua mantenendo con il proprio
lavoro non solo la numerosa famiglia ma anche allievi e assistenti. Infatti
attraverso Malvasia si viene a sapere che la principale risorsa finanziaria
della bottega Sirani proveniva proprio dalla produzione artistica di Elisabetta, anche se i suoi lavori
non sempre venivano retribuiti con denaro ma con doni preziosi conservati in un apposito
armadietto nello studio della pittrice per essere ammirati dai visitatori.
Quanto detto permette di capire perché la Sirani fosse definita dai suoi
contemporanei come un “virtuoso”
al femminile dotata di genio artistico e inventiva doti ritenute superflue per
una donna. Morta prematuramente a causa di un ulcera perforante Elisabetta fu
dimenticata per anni per poi essere rivalutata dalla critica a inizio Novecento
come accadde a molte sue colleghe.
Altra
artista che fu molto apprezzata dai biografi d’arte è l’ascolana Giovanna
Garzoni. Celebre miniaturista Giovanna
mostrò fin da subito il suo innato talento realizzando a soli sedici anni le
due tele della Sacra Famiglia e il Sant’Andrea molto apprezzate da Palma il
Giovane. Attiva in diverse città d’Italia e anche all’estero la Garzoni
lavorò per importanti personalità del mondo scientifico e diplomatico e per
committenti di alto rango come: il viceré spagnolo il Duca di Alcalà a Napoli,
i Savoia a Torino dove rimase dal 1632 al 1637 e i Medici a Firenze dove rimase
dal 1642 al 1651. Per i Medici eseguì copie di opere famose ma anche ritratti e
nature morte. Queste ultime erano molto apprezzate dai suoi committenti per la
fedeltà con cui riproduceva i prodotti della natura.
La
Garzoni trascorse gli ultimi anni di vita a Roma città dove aveva già
soggiornato diversi anni prima quando ebbe modo di conoscere Cassiano del Pozzo che la mise in contatto sia
con l’Accademia dei Lincei ˗ prima accademia scientifica in Italia ˗ sia con la
famiglia Barberini. Morta nel 1670 fu sepolta nella chiesa dei SS. Luca e
Martina e in onore di questa grande artista il segretario dell’Accademia di San
Luca, Giuseppe Ghezzi le fece costruire un monumento funerario.
Spostandoci a Venezia incontriamo infine Rosalba Carriera l’artista italiana
più celebre dell’Europa del Settecento la cui
fama di ritrattista non conobbe confini. Formatasi nelle botteghe di Lazzari e
Diamantini,
Rosalba si specializzò nei ritratti a pastello guadagnandosi i consensi di
artisti e committenti tanto
da diventare la ritrattista ufficiale dei regnanti europei. Infatti per
quasi mezzo secolo le principali corti europee cercarono di accaparrarsi i suoi
servigi ma nonostante i frequenti inviti e le generose proposte la Carriera –
esclusi i due soggiorni in Francia e in Austria – preferì rimanere a Venezia
dove lavorò incessantemente per tutta la vita. Rosalba ebbe anche l’onore e il
merito di essere nominata accademica di San Luca, membro dell’Accademia
Clementina di Bologna e membro dell’Accademia Reale di Pittura e Scultura in
Francia. Colpita da una grave malattia agli occhi che la portò alla completa
cecità Rosalba smise di dipingere e questa condizione le fece perdere la
ragione come riportano i suoi biografi. Morta nel 1757 fu
sepolta nella chiesa dei Santi Vito e Modesto a Venezia.
Come
visto molte di queste artiste furono apprezzate in vita per poi essere
completamente dimenticate alla loro morte e fu solo alla fine degli anni '80
del Novecento che si riaccese un interesse nei loro confronti grazie alle Guerriglia Girls, un gruppo di donne che
denunciarono la penalizzazione e l’assenza delle donne artiste nelle gallerie d’arte, nei musei e
nelle collezioni americane. Alla rivalutazione di quella che potremo definire
l’altra metà dell’arte contribuirono ben presto molti studiosi – soprattutto
donne – che hanno cercato di
colmare i vuoti lasciati da chi aveva scritto prima di loro la storia
dell’arte. Tra i numerosi studi possiamo citare Properzia de' Rossi: una
scultrice a Bologna nell'età di Carlo V di Vera Fortunati e Irene Graziani,
Elisabetta Sirani una virtuosa del Seicento bolognese di Adelina Modesti, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al
XIX secolo di Consuelo Lollobrigida e ancora Invisible women. Forgotten
artist of Florence di Jane Fortune ribattezzata “Indiana Jane” poiché ha
fatto della rivalutazione dell’arte al femminile la sua missione.
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Memorie 1843
Memorie intorno alla vita di Rosalba
Carriera Pittrice veneziana scritte dall’abate N. N. nel 1755, Padova, Angelo
Sicca, 1843, pp. 9 – 23.
Modesti 2004
Adelina Modesti, Elisabetta Sirani una
virtuosa del Seicento bolognese. Prefazione Vera Fortunati e facente parte
della collana Donne nell’Arte, Bologna, Editrice Compositori, 2004.
Nicotra 2013
Alfio Nicotra, Sofonisba Anguissola
dalla Sicilia alla corte dei Savoia in Incontri Sicilia e altrove, Sicilia,
2013, pp. 10 – 16.
Pallucchini 1970
Rodolfo Pallucchini, Per la conoscenza
di Giulia Lama, in Arte veneta, XXIV, Venezia, 1970, pp. 161-172.
Porzio 2012
Giuseppe Porzio, Ricerche su Gaspare
Del Popolo. Con una nota su «Annella» Di Rosa in S. Andrea Avellino e i
Teatini nella Napoli del vicereame spagnolo, Napoli, M. D’Auria Editore
2012, pp. 596 – 600.
Ridolfi 1648
Carlo Ridolfi, Marietta Robusti in Le
meraviglie dell’arte, Venezia, Gio Battista Sgava, 1648, pp. 259 – 260.
Saffi 1832
Antonio Saffi, Della vita e delle opere
di Maria Properzia de’Rossi. Scultrice bolognese, Bologna, Tipografia della
Volpe, 1832.
Urbini 1996
Silvia Urbini,
Sul ruolo
della donna incisore nella storia del libro illustrato, pp. 367 – 391 in Donne, disciplina, creanza
cristiana dal XV al XVII secolo a cura di Gabriella Zarri, Edizioni di
storia e letteratura, Roma 1996.
Vasari 1859
Giorgio Vasari, “Properzia de’ Rossi” in
Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori, Napoli, prima
edizione napoletana con note a cura di Gabriele de Stefano. Francesco Rossi –
Romano Editore, 1859, pp. 320 - 322.
Zarri 1996
Gabriella Zarri, “Giulia Elisabetta
Lama” in Donne, disciplina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo,
Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1996, pp. 376 – 379.
Sitografia
Enciclopedia Treccani, “Lavinia
Fontana” di Vera Fortunati in Dizionario Biografico degli Italiani, volume
48, 1997.
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