È
il 2007, dopo cinquant’anni dall’ultima esposizione [1] ,
Roma dedica al vilipeso movimento toscano, negli spazi suggestivi del Chiostro del Bramante, una mostra
raffinata, aristocratica ed elegante: I
Macchiaioli. Sentimento del vero [2] . A
distanza di quasi 10 anni, negli stessi spazi espositivi, si torna a celebrare
il gruppo del Caffè Michelangelo.
Siamo
alla metà degli anni Cinquanta del secolo XIX, l’Europa, che sta vivendo la
seconda industrializzazione [3] , è
segnata da profondi sconvolgimenti economici con gravissime conseguenze di
natura sociale. A un incremento vistoso della produzione corrisponde
l’introduzione dello sfruttamento intensivo della forza lavoro salariata,
riunita in grandi fabbriche nei sobborghi urbani [4] .
La struttura sociale ne risulta inevitabilmente sovvertita, emergono nuove
classi sociali: la borghesia industriale e la moderna classe operaia,
quest’ultima, duramente sfruttata sui luoghi di lavoro, vive in condizioni di
vita precarie e in situazione di sovraffollamento. L’insoddisfazione per
l’autoritarismo delle classi dirigenti, unita alla crescente consapevolezza dei
problemi che affliggono la società contemporanea, favorisce la formazione di
larghe sacche di dissenso. Accesi e appassionati dibattiti si formano circa le
conseguenze positive e negative dell’industrializzazione: si critica il
benessere e l’infelicità della borghesia, si rimprovera l’eleganza dei nuovi
quartieri residenziali, si denunciano la miseria delle classi lavoratrici e la
degradazione dei bassifondi. Questi i temi che ispirano le opere letterarie e
figurative in Francia e in Italia, e sollecitano lo sviluppo del movimento
realista [5]
in tutte le sue declinazioni, tra queste quella macchiaiola [6] .
In
un’ottica anticlassica, antiaccademica ed antiretorica l’arte si rivolge a
tematiche fino a questo momento escluse: gli avventori dei caffè e dei locali
notturni, le classi sociali operaie e contadine, gli addetti alle mansioni più
umili sono alcuni dei soggetti che catturano l’interesse di artisti e
letterati, chiamati a tradurre fedelmente in pittura il dato reale, senza
inquinarlo con elementi edulcorati o d’invenzione. Ai nuovi temi, dunque,
corrisponde un nuovo sguardo che, rinunciando, il più possibile, alle
interpretazioni concesse all’arte, aspira all’obiettività.
In
questo contesto si inserisce la breve, poco più di un decennio (1855/1867) [7] ,
e poco fortunata parabola artistica del movimento macchiaiolo, attivo a Firenze [8]
attorno al 1855, che inizia un percorso di rinnovamento della pittura orientato
in senso verista attraverso un fare “a macchia”, come alternativa alle norme
accademiche [9] .
I
giovani ribelli, ai tavolini del centrale Caffè
Michelangelo, si lanciano in appassionate discussioni sul ruolo della
pittura nella società contemporanea e su come questa debba cambiare rispetto
alle regole insegnate nelle accademie. Gli intellettuali coinvolti seguono con
molta attenzione ciò che sta accadendo in Francia, nel 1855 l’opera di Courbet
suscita grande scalpore, e ritengono che il rinnovamento debba partire proprio
da quanto accade nella lontana Parigi, mettendo in discussione temi e tecniche.
Telemaco
Signorini, esponente e teorico del gruppo, afferma che lo scopo della loro
ricerca pittorica sia quello di “ottenere effetti del vero con una forte
accentuazione di chiaroscuro pittorico” [10] ,
conseguire, cioè, immagini reali con l’intento di rimanere fedeli a ciò che si
è scrutato. Il linguaggio consiste nel rendere le suggestioni ricevute
dall’osservazione del dato visibile per mezzo di macchie di colore di chiari e
di scuri; in questo modo il soggetto è riconsegnato nella giustapposizione di
semplici zone dipinte, da non valutare come un abbozzo, piuttosto come il miglior
risultato veridico raggiungibile. Ne deriva che lo studio della forma, del
disegno e del contorno vengono ad assumere un aspetto assolutamente secondario
rispetto agli intenti dei pittori, del resto nella realtà non esistono né il
disegno né la linea di contorno, sicché i pittori del Caffè ritengono che l’occhio umano possa essere colpito solo dai
colori organizzati in masse contrapposte, le macchie appunto!
Dato
che i giovani artisti del gruppo sono concordi nel ritenere che tutte le
percezioni visive avvengano attraverso la luce, ogni nuova pittura, che miri al
realismo, deve necessariamente riprodurre l’impressione della luce medesima e,
poiché essa non viene avvertita in sé, ma solo attraverso le modulazioni dei
colori e delle ombre, la restituzione pittorica dell’effetto-luce deve avvenire
attraverso l’impiego di colori e ombre variamente graduati [11] .
I limiti di un oggetto, non esistendo in natura, sono, infatti, dati dal
passaggio da un colore all’altro, per cui è proprio questa transizione a
definire l’esatta linea di contorno. La pittura deve, pertanto, cercare di
ricostruire la realtà attraverso l’uso strumentale di masse di colore [12]
e il modo più semplice ed utile per riuscirvi è, appunto, quello di utilizzare
una tecnica a macchia [13] .
La
pittura macchiaiola, dunque, è fatta di luce e colore, combinati in un impianto
prospettico rigoroso [14] ,
e relega il disegno a un ruolo assolutamente secondario [15] .
In altri termini il dipinto, basato sul contrasto cromatico [16] ,
affinché risulti credibile e “vero”, necessita di un’impostazione compositiva
severa, rigorosa ed armonica.
Alla
rivoluzionaria tecnica compositiva, e non può essere altrimenti, si affianca
una nuova tendenza nella scelta dei temi: abbandonata la retorica dei quadri di
carattere storico e mitologico, tanto cari alla pittura tradizionale, gli
artisti del “sodalizio” rivolgono la loro attenzione alla realtà,
all’osservazione del quotidiano, e ne nasce un interesse di natura sociale,
fino a quel momento sconosciuto. Secondo la teoria dell’indifferenza del
soggetto divengono, pertanto, oggetto d’indagine gli aspetti più consueti della
realtà.
Pur
nelle differenti declinazioni personali, il movimento sviluppa la sua poetica
in pochi anni, ma non raggiunge mai soluzioni unitarie; si possono individuare,
nella ricerca pittorica del gruppo, alcuni caratteri comuni: si è già accennato
all’anti-accademismo, che unisce tutti i rappresentanti del Caffè, e la circostanza che, sulla
scorta della rivoluzione realista di Courbet, anche gli italiani s’interessano
a soggetti non convenzionali (paesaggi urbani o naturali, momenti di vita
quotidiana borghese resi con toni veristici, episodi di campagne militari,
rappresentazioni del mondo contadino…), si aggiunga anche la ricerca, quasi
ossessiva, d’immediatezza, che conduce gli artisti a scegliere situazioni di
vita vissuta, che conoscono bene per esperienza diretta [17]
e che immortalano sulla tela con straordinaria freschezza, senza timore di
scadere nel folklore o nel bozzettismo. Altro elemento di coesione è l’acceso
patriottismo dei suoi membri, un gruppo compatto sul piano ideologico di idee
repubblicane, talvolta anarchiche, che partecipa largamente alle vicende
cospirative e ancor più agli avvenimenti militari delle guerre d’indipendenza:
Fattori interviene nei moti rivoluzionari del 1848; Costa difende Roma sul
Gianicolo nel 1849; Lega combatte nella II guerra d’indipendenza (1859); Abbadi
perde un occhio nella battaglia di Volturno (1860); Sernesi è ferito a morte
nella III guerra d’indipendenza (1866); Signorini è un volontario garibaldino [18] .
La
mostra, curata da Francesca Dini, storica dell’arte e responsabile scientifica
del Centro per l’Arte Diego Martelli
di Castiglioncello [19] ,
ha il pregio di presentare al pubblico, in un allestimento accattivante, che
ricorda le case borghesi della seconda metà dell’Ottocento, oltre 110 opere,
alcune delle quali di assoluto valore, mai esposti al pubblico. Questi dipinti rappresentano, per molti versi, le eccellenze
di alcune tra le più ricche raccolte di grandi mecenati dell’epoca,
personaggi di straordinaria tempra, imprenditori e uomini d’affari accomunati
dalla passione per la pittura e innamorati dell’arte, senza i quali oggi non
avremmo potuto ammirare questi capolavori. I quadri, perlopiù appartenenti a
collezioni private, sono collocati nel contesto ricostruito delle antiche e
notevoli quadrerie che in origine li hanno accolti. Talvolta donate dai pittori
stessi e più spesso acquistate per sostenere gli amici artisti in momenti di
difficoltà, questi artefatti rappresentano capolavori ricercati raramente
visitabili.
Il
percorso della mostra, in nove sezioni, si snoda attraverso un’attenta
presentazione delle raccolte di coloro che per primi hanno collezionato i
dipinti [20] :
Cristiano Banti, Diego Martelli, Rinaldo Carnielo, Edoardo Bruno, Gustavo
Sforni, Mario Galli, Enrico Checcucci, Camillo Giussani, Mario Borgiotti.
La
prima sala riallestisce la “galleria privata” di Cristiano Banti: i
Macchiaioli allo specchio: il ricco collezionista (1824-1904) è
anche pittore e vive l’esperienza intellettuale del Caffè Michelangelo da una posizione privilegiata, perché
proveniente da una facoltosa famiglia, ciò gli consente talvolta di assumere
nei riguardi dei propri compagni d’avventura il ruolo di mecenate e, dunque, di
riunire opere dei suoi amici artisti in difficoltà. Il pittore, scultore,
ideologo Adriano Cecioni (1836-1886) per primo scrive su La Domenica Letteraria, nel 1884, della raccolta: “Quella Galleria
è unica nel suo genere (…) perché da alcuni lavori di scuola accademica si passa
ai primi tentativi della macchia (…).
Credo che quella sia la sola Galleria moderna particolare in Italia" [21] .
Consigliamo di soffermarsi su Il ponte
della pazienza a Venezia (1856) di Telemaco Signorini, dipinto intenso e
struggente, ritenuto, per i suoi modi sperimentali, il punto di partenza della
vicenda artistica indagata. Da non perdere gli straordinari dipinti
raffiguranti Le monachine (fig. 1) di
Vincenzo Cabianca e I promessi sposi
di Silvestro Lega (1869). Dalla sfortunata dispersione di questa magnifica
raccolta, per questioni ereditarie, germoglia il tardivo e florido interesse
per la pittura macchiaiola, e la conseguente fortuna del movimento.
La
seconda sezione prende in considerazione lo straordinario lavoro di Diego
Martelli, tra macchiaioli e impressionisti. Una testimonianza d’arte e di vita.
Diego è l’anima teorica del gruppo, scrittore e critico fiorentino, ha
forse teorizzato la “macchia in opposizione alla forma” [22] .
Grazie alle riviste da lui fondate i giovani artisti del sodalizio entrano in
contatto con le contemporanee e fondamentali esperienze pittoriche francesi.
Nel 1861 eredita la fattoria di Castiglioncello (Livorno) che diventa uno dei
luoghi di ritrovo preferiti da alcuni dei pittori macchiaioli (Scuola di Castiglioncello).
Il
Martelli (1839-1896) vive una Firenze aperta e cosmopolita, conosce Degas che
soggiorna nella città granducale per un biennio (1858-60), nel 1862 va a Parigi
dove ammira la pittura di Courbet, frequenta lo studio fotografico di Nadar e
si inserisce nel sistema dell’arte della Ville
lumière, tornato in Italia cerca di riprodurre, senza successo, il modello
conosciuto oltralpe, fatto di relazioni solide tra artisti, critici e mercato
dell’arte, nel 1867 fonda con l’aiuto di Cecioni il Gazzettino delle arti e del disegno, successivamente, nel 1873,
pubblica il Giornale artistico,
periodico di riferimento per lo sviluppo del dibattito sulla pittura. Con le
sue recensioni e il suo spirito critico Martelli rappresenta un vero e proprio
ponte tra l’avanguardia francese e la toscana.
Sostenitore
e mecenate dei pittori macchiaioli riunisce presso di sé molte opere dei
compagni del Caffè Michelangelo. La
piccola collezione [23] ,
che riflette i convincimenti estetici del Martelli e, dunque, l’operato di
critico inserito nel suo tempo (la raccolta, infatti, ha una dimensione ancora
privata, non seguendo un criterio organico di accorpamento, appare il frutto di
relazioni amicali forti ed importanti), è lasciata alla sua morte (1896) alla Congregazione della Carità del Comune di
Firenze, con la volontà testamentaria di donare il proprio patrimonio artistico
ai musei cittadini [24] .
Nel 1914 il corpus delle opere del
critico, dopo varie vicende, va a costituire il nucleo fondante della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti [25] .
Segnaliamo il severo ritratto di Teresa
Fabbrini Martelli (fig. 2), compagna del critico, di Giuseppe Abbati,
“malinconico osservatore del vero” [26]
che restituisce un’austera donna in un ricco, anche se misurato, ambiente
borghese.
Passando
nella sezione successiva, La Collezione di Rinaldo Carnielo (1858-1910), ci troviamo immersi nella storia del giovane artista (pittore
e scultore) ed audace collezionista, di origine trevigiana, che, frequentando
gli ormai attempati macchiaioli, trova una particolare affinità con Fattori e
Lega.
La
sua rinomata collezione rappresenta, per quantità di opere, una delle più
ricche e cospicue tra le raccolte storiche, oltre trecento pezzi in poco più di
trent’anni. Alla sua morte il corpus
intero è venduto in blocco a Mario Vannini Parenti che fa fuoriuscire dai
confini nazionali buona parte delle opere, disperdendone molte. Grazie ad un
intenso lavoro di recupero sul mercato antiquario oggi è di nuovo possibile
ammirarne i capolavori, da non perdere la splendida Visita in villa (fig. 3) di Silvestro Lega: l’opera, che ritrae
alcune persone che conversano raccolte in piccoli gruppi nel cortile di una
semplice dimora di campagna, vanta una qualità luministica straordinaria,
nonché una sapiente costruzione formale.
La
sala successiva documenta l’attività di un
imprenditore innamorato della bellezza: la collezione di Edoardo Bruno.
L’industriale, di origine torinese trasferitosi a Firenze, trasforma il primo
piano della sua villa rinascimentale di Montegirone, alle porte della città, in
un ambiente prezioso, custode della sua magnifica quadreria, composta da circa
centoquaranta dipinti. La vicenda collezionistica della raccolta è ancora oggi
avvolta dal più totale mistero, mancano documenti di archivio, elementi
inventariali, dati catalografici o di vendita, il che si traduce in una vero e
proprio vuoto di conoscenza. Il colto imprenditore, cresce nella Firenze dei
macchiaioli, è amante del teatro, della letteratura, dell’arte e della musica,
e intrattiene rapporti amicali con uomini di lettere, di teatro ed artisti. Tra
le opere più rinomate indichiamo l’emblematica tela raffigurante le Cucitrici di camicie rosse (fig. 4) di
Odoardo Borrani. La tensione emotiva aleggia sull’intera scena d’interno
dominata dal muto colloquio di sguardi ansiosi delle tese protagoniste, madri,
mogli e sorelle, in struggente attesa mentre realizzano le camicie garibaldine.
è un’opera altissima che esprime i valori civili di un momento storico preciso
ed irripetibile: il risorgimento femminile [27] .
Si segnalano, inoltre, la sequenza conturbante delle grandi tele maremmane di
Giovanni Fattori, in particolare suggeriamo di soffermarsi qualche istante
davanti a Incontro fatale (1900, in Collezione Privata), realizzato con
pastelli su cartone. Una straordinaria e feroce forza governa la scena, che
travolge impetuosamente il riguardante sorpreso a seguire il ritmo spezzato e
mosso delle figure immerse in una quinta niente affatto retorica.
Passando
nella seguente sezione ci ritroviamo in Casa
Sforni, le stanze delle meraviglie di un mecenate fiorentino. All’inizio
del secolo scorso Gustavo Sforni (1888-1939) si distingue come collezionista,
intellettuale, pittore e mecenate, in particolare si ricorda come ammiratore
dell’opera di Fattori di cui colleziona i piccoli struggenti formati dal vero;
egli ama accostare le tavolette a dipinti di arte orientale e/o medioevale, di
cui esempi sono esposti lungo il percorso. La mostra ci consente di ammirare
opere mai esibite del macchiaiolo più famoso, ma anche di artisti meno noti
come Oscar Ghiglia o Llewelyn Lloyd [28] .
Abbiamo la straordinaria occasione di osservare per la prima volta la tela di
Fattori Le vedette (fig. 5), ma
consigliamo anche di indugiare sull’acquarello Sentiero con Butteri (1880 ca, in Collezione privata) dello stesso e su Figura femminile con cappello di paglia (1914-15, in Collezione privata) del Ghiglia.
Passando
oltre ci troviamo negli ambienti dedicati a Mario Galli, “il più acuto e raffinato
intenditore dei Macchiaioli”,
scultore fiorentino, mercante ed amatore di opere artistiche, non ha i
mezzi economici di un ricco imprenditore, eppure tra le sue mani passano opere
considerate importanti capolavori macchiaioli. Non è un critico, né un
collezionista stricto sensu, piuttosto un “mediatore
ricercato, procuratore di tutti i vecchi e i nuovi raccoglitori” [29] .
Esponendosi economicamente il Galli riesce a raccoglie ed a conservare
devotamente artefatti preziosi, fino a quando, alle soglie della prima guerra
mondiale, è costretto a vendere ad altri collezionisti come Giacomo Juncker.
Grazie alla sua passione il Galli diviene “il più autentico apostolo, il più
fervente ammiratore” [30]
dei macchiaioli di cui con sagacia ottiene, sceglie, vaglia le opere,
acquisendo una certa fama come collezionista competente, ed informatissimo e
raffinato consigliere di appassionati amanti di oggetti d’arte, nonché di
prezioso referente per la formazione di nuove quadrerie private. Indichiamo il
suggestivo cartone ad olio di Fattori Tamerici
(1865 ca, in Collezione privata),
caratterizzato da una sensazione di silenzio sospeso, che avvolge l’angolo
solitario della periferia livornese nell’ora meridiana più calda.
Nelle
sale successive, si dispiega la superba e prestigiosa collezione di Enrico Checcucci, “collezionista dei più intrepidi”, animato da
“un’irrequietezza e incontentabilità di cercar pitture” [31] .
Nell’indomita ed indefessa ricerca di capolavori macchiaioli toscani il
Checcucci si serve dell’alacre impegno del Galli, tra i due si istaura un
ambiguo rapporto improntato a vicinanza, fiducia, ma anche rivalità. Tra le
opere esposte consigliamo la visione attenta del bellissimo ritratto del pittore Luigi Bechi (1865, in Collezione privata) di Giovanni Boldini, ma anche la silenziosa, quasi
“metafisica”, tela Pasture in
montagna (fig. 6) di Raffaello Sernesi, dove gli assoluti contrasti
cromatici e la condotta pittorica per zone circoscritte di colore, tipici della
pittura a macchie, si stemperano in una più meditata ed organica visione, che
mantiene, però, il principio di sintesi e la ricchezza delle gradazioni tonali.
La sezione seguente, non solo macchiaioli: la collezione di Camillo Giussani, porta
all’attenzione del visitatore un confronto fortemente atteso: quello tra l’arte
delle macchie e la pittura degli impressionisti italiani, che cronologicamente
si affermano più tardi. Il Giussani (1879-1960), figura poliedrica di giurista,
umanista, latinista e sportivo, si dedica al collezionismo sin dal 1915,
inizialmente con interventi sporadici, quindi, con acquisti più mirati secondo
un disegno piuttosto definito.
Suggeriamo una lenta e tranquilla esplorazione delle
opere capitali contenute nella sala come: l’Analfabeta
(1869, in Collezione privata) di
Borrani; l’intimo Cortile con lavandaia
(1866, in Collezione privata) di
Vincenzo Cabianca; il bellissimo acquarello Boulevard
Haussmann (1877 ca, Collezione
privata), e la serena tela Campo di
neve (fig. 7) entrambi di Giuseppe De Nittis. Il dipinto rappresenta, in
un’atmosfera lattiginosa, una città silenziosa e innevata, caratterizzata da
linee incerte, il cui taglio compositivo, tipico del barlettano, deriva
probabilmente dalla conoscenza della tecnica fotografica. E ancora, il Giubbetto rosso (fig. 8) di Federico
Zandomeneghi, che raffigura una singolare modella allo specchio, con il
conseguente gioco di rimandi, mentre, in piedi, di spalle si sistema la giacca
prima di uscire. Da non perdere il dittico di Mosé Bianchi da Mairago Tabacco da Fiuto e Tabacco da fumo (1868, in
collezione privata).
La rassegna si conclude con l’ultima sezione, Per ricordare Mario Borgiotti e il suo
“Genio” per i Macchiaioli, pittore, conoscitore, collezionista e principale
divulgatore dell’arte dei ribelli
fiorentini. La mostra vuole presentare, con attenzione, il particolare
occhio di esperto nonché l’anima da collezionista del Borgiotti (1906-1977) che unisce, alla passione e
all’intuito del Galli, la competenza di un grande divulgatore [32] .
La sua attività di raccolta, in ritardo, per questioni meramente cronologiche,
rispetto alle collezioni primonovecentesche, che abbiamo sin qui analizzato,
risulta, comunque, fondamentale alla diffusione e all’affermazione
dell’interesse e degli studi sui macchiaioli. A lui si deve il recupero
fortunoso, dal mercato antiquario inglese, della tela di Telemaco Signorini il Ponte Vecchio a Firenze (fig. 9). Il
capolavoro, non più visto da decenni, è una veduta animata del caratteristico
ponte toscano.
Una
mostra bella, elegante e raffinata, i cui protagonisti non sono solo gli
artisti del movimento macchiaiolo, ma anche e soprattutto coloro, i
collezionisti e i mecenati, che hanno creduto in questi pittori, senza i quali
probabilmente l’esperienza di maestri del Caffè
Michelangelo sarebbe ridotta a qualche sporadica citazione sui manuali di
arte. Se oggi possiamo godere della suggestione di questi intensi e struggenti
dipinti e dibattere profusamente dell’esperienza macchiaiola, dobbiamo
ringraziare l’attenta opera di raccolta e il gusto per l’arte di questi
signori, che ci hanno consegnato in eredità i capolavori e la storia dei
bistrattati maestri della macchia.
IL CATALOGO
A cura di Francesca
Dini, il volume in brossura, pubblicato da Skira,
mostra un’attenta cura
editoriale.
Il catalogo, privo
della tradizionale e roboante parte preliminare di ringraziamenti, si apre con
il pregevole saggio della curatrice, di circa 50 pagine, relativo alla storia
dei macchiaioli in relazione alle collezioni storiche ricostruite in mostra.
Una lettura interessante, scorrevole, e aggiornata, che introduce
all’esposizione e a questo fondamentale movimento storico.
Segue, per circa 150
pagine, il catalogo sticto sensu: secondo il criterio adottato in
mostra, si presentano, con bellissime immagini a piena pagina e a colori, le
opere esposte divise in 9 sezioni, corrispondenti alle collezioni storiche
ricostruite. Brevi, ma compiuto testi, a firma di storici dell’arte
specializzati in età contemporanea, introducono e spiegano la storia delle
quadrerie ripristinate, sebbene solo temporaneamente.
Nelle successive 30
pagine si svolgono le schede relative alle opere. L’impostazione delle cartelle è quella
classica: autore, titolo, supporto/tecnica, dimensioni, luogo di conservazione,
bibliografia, e analisi storico-critica del quadro.
Nelle ultime pagine del
volume è presente un’aggiornata, quanto fondamentale per gli studiosi,
bibliografia. Gli indispensabili crediti fotografici precedono il volume.
LA MOSTRA
Dove: Chiostro del Bramante, Roma
Quando:
16 marzo - 04 settembre 2016
NOTE
[1] I Macchiaioli, catalogo della
mostra (Roma, Galleria Nazionale d'arte moderna. Valle Giulia. Maggio- Luglio
1956), a cura di G. Carandente, Roma 1956.
[2] I Macchiaioli. Sentimento del vero, catalogo della
mostra (Roma, Chiostro del Bramante. 11 ottobre 2007-03 febbraio 2008), a cura
di F. Dini, Roma 2007.
[3] Ricordiamo che la
prima Rivoluzione industriale si è
avuta, in Inghilterra, alla metà del XVIII secolo, ed ha coinvolto, soprattutto
il settore tessile-manifatturiero, il secolo successivo vede implicati, invece,
i settori metallurgico e meccanico.
[4] L’aumento della
produttività agricola, grazie ed a causa della diffusione di nuove tecnologie,
genera un grande fenomeno migratorio di masse contadine, che dalla campagna si
dirigono verso le città, alla ricerca di un lavoro.
[5] L’arte e la
letteratura affrontano, dunque, due facce della stessa medaglia storica, due
malesseri sociali dovuti alla stessa causa: da un lato si denunci, con attenda
descrizione, le profonde disuguaglianze di classe, dall’altro il più sottile
disagio psicologico, che interessa soprattutto la borghesia. Il realismo mette
a nudo una società infelice, priva di speranza di felicità, in cui le classi
meno abbienti hanno preoccupazioni primarie, che raramente riescono a
soddisfare, mentre le più ricche e potenti (aristocrazia e borghesia) sono
vittime di un’insostenibile angoscia esistenziale (cfr. G. Nifosi, L’Arte svelata, Città di Castello (PG),
2015, Vol. III, p. 94).
[6] Il termine
macchiaiolo deriva da una recensione giornalistica della Promotrice fiorentina del 1861 (esposizione che segna anche
l’esordio ufficiale del gruppo) comparsa sulla Gazzetta del Popolo (cfr. Catalogo
delle opere ammesse alla esposizione solenne della Società promotrice delle
belle arti in Firenze : anno 1861 diciasettesimo sociale, Firenze,
Tipografia di G. Mariani, 1861). Nell’articolo il critico si riferisce
dispregiativamente al gruppo di macchiaioli, e non a pittori, che espone pure
macchie di colore, e non dipinti. Telemaco Signorini, uno dei tre teorici del
“convivio”, comprende la potenzialità dell’epiteto e propone ironicamente agli
altri artisti di adottarlo.
[7] Dopo il 1860, la
corrente realista toscana ha il sopravvento sulle altre scuole regionali
(paesaggisti piemontesi, scuola di Resina…), ma, prima che si concluda il
decennio, perde autorevolezza e vivacità fino ad entrare decisamente in crisi.
La debolezza programmatica del gruppo e la mancanza di un’elaborazione teorica,
che sia da concreto supporto, hanno certamente contribuito al venir meno della
spinta propositiva del sodalizio. Telemaco Signorini e Adriano Cecioni, i
teorici del gruppo, infatti, più che un ruolo di guida svolgono una funzione di
polemisti (cfr. C. Bertelli-G. Briganti-A. Giuliano, Storia dell’arte italiana, Milano, 1988, Vol. IV, p. 161). Da non
dimenticare, inoltre, che il pubblico, ancora legato alla tradizione, non
comprende la loro arte troppo distante dalle convenzioni dell’epoca: nel 1880,
infatti, Cecioni, riporta: “Il pubblico acquista raramente, e quando acquista,
per ispender bene i suoi denari, vuole anzitutto della pittura più bellina del
vero (…)” (cfr. A.Cecioni, Opere e
scritti, a cura di E.Somaré, Milano 1932, p.83). Gli artisti non riescono ad
inserirsi nel circuito di mercato, non sono supportati da un’attività di
propaganda idonea, la critica ufficiale è loro estranea e non li appoggia, né
arrivano a catturare un loro piccolo pubblico, a parte qualche sostenitore,
vivono completamente isolati.
[8] L’affermarsi
delle istanze realistiche in Italia avviene, certamente, sulla scorta degli
esempi stranieri e per l’affermarsi del pensiero materialista, che sollecita un
atteggiamento più scientifico nei confronti del vero. A partire dagli anni
Cinquanta dell’800 nelle arti si intensifica l’esigenza realista, un po’ in
tutto il paese, e la Toscana, grazie alla sua situazione politica, assume un
ruolo decisivo nella diffusione di queste tendenze. Nella caotica situazione
istituzionale italiana preunitaria ci sono tre grandi aree di influenza
politica: al Nord il Regno
lombardo-veneto sotto il controllo austriaco; al Centro il Granducato di Toscana legato agli
Asburgo e il potere temporale dei papi; infine, al Sud il Regno delle Due Sicilie sotto i Borboni. In questo contesto di
controllo e sottomissione solo il Granducato
di Toscana vive una vita propria, seppur limitata nell’autonomia politica e
culturale. Nonostante il granduca Leopoldo II sia, infatti, dinasticamente
legato agli Asburgo, egli garantisce ai suoi sudditi un governo moderato e non
eccessivamente repressivo. Ne consegue che, fin dagli anni Quaranta del XIX
secolo, Firenze rappresenti una delle capitali culturali più libere e attive
d’Italia, un sicuro, quanto stimolante, punto di riferimento per tutti quei
giovani artisti e quei perseguitati politici di fede liberale, che la
repressione austriaca, papale e borbonica ha costretto al silenzio o alla fuga.
Verso la città si svolge, dunque, una migrazione culturale da molte regioni e i
caffè diventano luoghi privilegiati di incontro per artisti e letterati che si
misurano, in un acceso dibattito generato dalla sentita esigenza di
rinnovamento. Questa vivace schiera di intellettuali e pittori di tendenza
realista, toscani e non, trova nel centralissimo Caffè Michelangelo, di via Larga, il punto di aggregazione
preferito per le appassionate discussioni artistiche (cfr. G. Cricco – F. P.
Teodoro, Itinerario nell’arte, Bologna,
2009, Vol. III, pp. 1141).
[9] La tecnica
rivoluzionaria della "macchia" si basa sui forti contrasti di ombra e
luce ottenuti, abdicando al disegno, con il chiaroscuro, ma anche e soprattutto
con l'accostamento di toni diversi di colore. Così operando i macchiaioli
sostengono un antiaccademico rifiuto del disegno e della forma in favore di una
pittura che riproduca, come vuole Fattori, "l'impressione dal vero".
In altre parole, per i giovani artisti del Caffè
Michelangelo la forma non esiste, ma è creata dalla luce, come macchie di
colore distinte o sovrapposte ad altre macchie di colore, perché la luce,
colpendo gli oggetti, viene rinviata al nostro occhio come colore.
[10] Nifosi, op. cit., p. 109.
[11] Cricco
– Teodoro, op. cit., pp. 1141-1142.
[12]
Ossia,
ampie campiture di colore ottenute da una stesura uniforme delle tinte, senza
che vi siano visibili passaggi cromatici intermedi.
[13] Cricco
– Teodoro, op. cit., 2009, p. 1142.
[14] Grazie all’uso
della prospettiva, nonostante i contrasti cromatici primari e i chiaroscuri
ottenuti senza passaggi dalle zone luminose alle zone d’ombra, le scene dipinte
mantengono sempre un adeguato senso di concretezza (cfr. Nifosi, op. cit., p. 109).
[15] Proprio perché è
nell’uso in contrapposizione delle macchie che si definiscono i contorni.
[16] Tale contrasto di
macchie di colore e di chiaroscuro è ottenuto attraverso una tecnica
chiamata dello “specchio nero”, si utilizza, cioè, uno specchio annerito
con il fumo, che consenta di esaltare i contrasti chiaroscurali all'interno del
dipinto.
[17] Dovendo,
infatti, ritrarre la realtà occorre immergervisi e, dunque, scoprire e
documentare le miserie e le contraddizioni emergenti (cfr. Cricco – Teodoro, op. cit., p. 1142).
[18] C. Pescio (acd), Dossier Arte, Firenze, 2015, Vol. III,
p. 108.
[19] Francesca, figlia
d’arte di Piero Dini, esperto e studioso di pittura dell’Ottocento, in
particolare dei Macchiaioli, dei quali si interessa da oltre trent’anni, ha
ereditato dal padre la sua passione. Piero si è formato a fianco di Mario
Borgiotti (la cui collezione conclude la mostra), con il quale ha intrattenuto
un lungo e fraterno rapporto di collaborazione. A lui si devono le prime mostre
di pittura italiana dell’Ottocento a Montecatini nel 1963, e a Roma dal 1964 al
1968.
[20] Più tardi
confluite, attraverso diverse vicende, in altre collezioni private.
[21] A. Cecioni, Cristiano Banti (1884), in Opere e Scritti, acd Somarè, Milano
1932, pp. 172-173.
[22] Cricco – Teodoro,
op. cit., p. 1141.
[23] Diego, riporta
Giovanni Rasadi, avvocato difensore di Plinio Nomellini, allievo di Fattori, parlando
della sua piccola, ma moderna, raccolta allestita nel suo studio “(…) si
compiaceva chiamare con gioviale e scherzevole orgoglio Galleria Martelli (…)”
(cfr. F. Dini, Piero Nomellini e Giovanni
Rasadi: storia di un’amicizia, in Nuova
Antologia, n. 2216, ottobre-dicembre 2000).
[24] F. Dini, Fortuna
dei macchiaioli, dalle collezioni storiche al primo novecento, in I
Macchiaioli. Le collezioni svelate, cat. della mostra Roma 16/03-04/09/16,
Ginevra-Milano, 2016, p. 15.
[25] S. Condemi, Il legato Martelli. Dalla raccoltina alla
collezione pubblica, in I disegni
della collezione di Diego Martelli, cat. della mostra Firenze Palazzo Pitti
(5
aprile-30 giugno 1997), Firenze
1997, pp. 43-48.
Si
noti che grazie al lascito di Adriana Banti Ghiglia (27/06/1958), discendente
degli eredi di Cristiano, parte dell’esperienza collezionistica del Banti
confluisce, non a caso, nella Galleria
d’Arte moderna di Palazzo Pitti, in tal modo la mente (il Martelli) e il
cuore (il Banti) del movimento macchiaiolo si ricongiungono in un Museo simbolo
della città di Firenze (cfr. Dini, op.
cit, 2016, p. 12).
[26] C. Sisi, Giuseppe Abbati e le “melanconie” del suo
pensiero”, in I Macchiaioli a
Castiglioncello. Giuseppe Abbati 1836-1868, cat. della mostra (acd) F. Dini
e C. Sisi (Castiglioncello 14/07-14/10/2001), Torino, 2001, pp. 45-52).
[27] F. Dini, Un
imprenditore innamorato della bellezza: la collezione di Edoardo Bruno, in I
Macchiaioli. Le collezioni svelate, cat. della mostra Roma 16/3-04/09/16,
Ginevra-Milano, 2016, p. 89.
[28] I quadri di
questi artisti più giovani, a cavallo tra Ottocento e Novecento, raccontano
come le conquiste formali e concettuali operate dai macchiaioli siano recepite
e sviluppate dalle successive generazioni di artisti-pittori.
[29] R. Focardi,
prefazione a XXV delle trecento opere
della raccolta di Mario Galli, catalogo della vendita, Firenze, 1914, p. 8.
[30] R. Focardi,
prefazione a XXV delle trecento opere
della raccolta di Mario Galli, catalogo della vendita, Firenze, 1914, pp.
6, 8.
[31] E. Cecchi, Pittori
italiani dell’Ottocento nella raccolta di Enrico Checcucci, Milano 1929, p. 5.
[32] A lui, infatti, si
devono fondamentali pubblicazioni dedicate ai Macchiaioli, edite nel corso
degli anni cinquanta e sessanta del Novecento.
BIBLIOGRAFIA
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a cura di F. Dini, Ginevra-Milano 2016
G. Nifosi, L’Arte svelata, Città di Castello
(PG), 2015, Vol. III.
C.
Pescio (acd), Dossier Arte, Vol. III,
Firenze, 2015.
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Bologna, 2009, Vol. III.
I
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03/02/2008), a cura di F. Dini, Cinisello Balsamo 2007.
C. Sisi, Giuseppe Abbati e le “melanconie” del
suo pensiero”, in I Macchiaioli a Castiglioncello. Giuseppe Abbati
1836-1868, catalogo della mostra (Castiglioncello 14/07-14/10/2001) a cura
di F. Dini e C. Sisi, Torino, 2001
F. Dini, Piero Nomellini e Giovanni Rasadi:
storia di un’amicizia, in Nuova Antologia, n. 2216, ottobre-dicembre
2000.
I
disegni della collezione di Diego Martelli, catalogo della mostra
(Firenze, Palazzo Pitti 5 aprile-30 giugno 1997), Firenze 1997.
C. Bertelli-G. Briganti-A. Giuliano, Storia
dell’arte italiana, Milano, 1988, Vol. IV.
A. Cecioni, I critici profani all'esposizione nazionale di Torino, Firenze, 1880.
Catalogo
delle opere ammesse alla esposizione solenne della Società promotrice delle
belle arti in Firenze : anno 1861 diciasettesimo sociale, Firenze,
Tipografia di G. Mariani, 1861.
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