Un nuovo e del
tutto particolare edificio è stato costruito nel 2003 a Graz per celebrare la
sua nomina a Capitale Europea della Cultura. Ci riferiamo alla romantica
cittadina capoluogo della Stiria seconda per popolazione dopo Vienna, che vanta
un antico centro storico, uno dei migliori conservati nell’Europa centrale e
che dal 1999 è entrato a far parte del Patrimonio dell’Unesco.
Dominata ad est
dal promontorio roccioso sul quale era stato costruito il castello, Graz era un
forte romano sorto in prossimità di un guado sul fiume Mür e costituiva un nodo
stradale e strategico sia da un punto di vista commerciale che militare. La
città ricoprì questo importante ruolo strategico militare di frontiera contro i
turchi fino al 1749 insieme a quello di nodo commerciale, sede universitaria e
collegio dei Gesuiti. Essa era organizzata in due parti e divisa da un unico
ponte di legno: a Oriente il borgo murato sviluppatosi alle pendici del
castello (Schlossberg) e ad Occidente la Murvorstadt, borgo privo di mura
cresciuto dopo che la città era diventata sede di mercato. Il fiume Mür divide e allo
stesso tempo unisce queste due parti della città caratterizzate l’una dal centro
storico vero e proprio mentre l’altra più nuova ospita il Nuovo museo di arte
contemporanea di Graz, il Kunsthaus.
Nel cuore del
centro storico sorge il simbolo dell’antica città medievale, la Torre
dell’Orologio (Fig. 1). Quest’ultima faceva parte della fortezza eretta dai
Bavari sulla sommità della Schlossberg Hill per la difesa contro gli Slavi ed è
l’unica parte del castello che venne risparmiata dopo l’occupazione francese
nell’'800 in cambio di una forte somma di denaro. La Torre campanaria costituisce
quindi un’importante testimonianza del momento storico passato che continua a
vivere nel presente offrendo inoltre una straordinaria vista sull’intera città.
La parte nuova della città oltre il ponte principale, ospita invece il neonato
Museo d’Arte Contemporanea di Graz, il Kunsthaus. Insieme già ad altri musei
della città, esso si inserisce all’interno dell’Universal Joanneum,
un’istituzione che deriva il suo nome dall’arciduca Johann, fratello di
Francesco I, che dette un forte impulso culturale alla città occupandosi anche
del suo sviluppo commerciale e igienico. Le collezioni dell’arciduca già dai
primi dell’'800 trovarono posto nella sede dello Joanneum il quale inizialmente
era stato pensato non solo come museo ma anche come luogo per l’insegnamento. Successivamente la sede
si ampliò fino a comprendere la maggior parte dei musei presenti a Graz tra i
quali anche il Kunsthaus Graz. Quest’ultimo inoltre si inserisce in un più
vasto programma di rinnovamento della città in occasione della sua nomina a Capitale
Europea della Cultura avvenuta nel 2003 e mostra come questa città si stia
aprendo all’Arte Contemporanea attraendo un sempre maggiore pubblico con opere
di «sicuro impatto visivo».
Sorto sulla riva
ovest del fiume Mür in prossimità dell’isola artificiale realizzata
dall’italiano Vito Acconci e di fronte alla città vecchia, il museo è espressione
del moderno sia per l’intento di riqualificare una zona a lungo degradata, sia
per l’utilizzo di innovative tecnologie. Se a un primo sguardo il Kunstahus
sembra distaccarsi nettamente dal contesto urbano circostante a causa della sua
forma biomorfica, dall’altra cerca un dialogo fecondo con la città e con il suo
simbolo tradizionale. La sommità del museo infatti è caratterizzata da una
serie di protuberanze (Fig. 2) che permettono alla luce di filtrare e una di
queste inquadra perfettamente la Torre dell’Orologio permettendo un punto
d’incontro tra il vecchio e il nuovo, tra la storia passata e quella presente. Questa
continuità nella storia consente così al nuovo museo di essere portatrice di
contenuti innovativi che mostrino le tendenze artistiche contemporanee dagli
anni '60 in avanti non abbandonando però il suo legame storico tradizionale.
Sebbene il
«Friendly Alien» venne realizzato per un’occasione straordinaria – una nomina a
livello europeo- il progetto di una galleria d’arte che ospitasse unicamente
mostre d’arte contemporanea era già stato proposto per ben due volte ma senza
successo. Già dagli anni 80’ infatti un artista autoctono di nome Günter Waldorf
aveva proposto di realizzare una Trigon-Haus nel Pfauengarten (giardino dei
pavoni) all’interno dello Stadtpark di Graz. La struttura era stata concepita
per ospitare la Biennale fra i paesi «Trigon» promossa dalla Neue Galerie di
Graz fra il 1963 e il 1995 e l’intento era quello di promuovere una
collaborazione culturale fra Italia, Jugoslavia e Austria ma dopo pochi anni l’iniziativa
venne accantonata.
Nel 1997 venne
presentato un nuovo progetto da realizzarsi a ridosso del più antico simbolo di
Graz, lo Schlossberg Hill ma anche stavolta un referendum ne impedì la
costruzione. Fra i diversi progetti presentati, spicca per originalità quello
degli architetti inglesi Peter Cook e Colin Fournier che anticipa in larga
parte quello che venne poi realmente costruito nel 2003. Il progetto del 1998
definito dagli stessi architetti «the Tongue project», (Fig. 3) era concepito
come un edificio fluido e viscoso che si doveva insinuare lungo le pendici della
Schlossberg Hill sfidando il vecchio simbolo della città ad integrare il nuovo.
Lo scopo ultimo era quello di creare un contenitore pieno di sorprese da
scoprire e per questa ragione la parte superiore dell’edificio era dotata di
tanti dispositivi elettronici in forma di piccoli «occhi» che richiamavano gli
eventi in corso nel museo suscitando la curiosità dei passanti ed invitandoli a
entrare per scoprirne i segreti. Ciò che resta di questo
progetto tuttavia è solamente un luogo per eventi, il «Dom in Berg» ricavato
all’interno della Schlossberg Hill.
Il nuovo Kunsthaus
di Graz è frutto della vittoria del concorso europeo del 1999 grazie al quale
la città si è potuta regalare un edificio altamente innovativo proprio per il
modo in cui è stato pensato dai suoi architetti. Questi, appartenenti al gruppo
architettonico inglese degli anni '60 «Archigram», hanno sviluppato un edificio
molto particolare che riprende quello del 1997. L’edificio si presenta come un
«bozzolo nodoso ma allo stesso tempo dalla pelle liscia» e come la «lingua» del
precedente progetto la sua forma si evolve in una serie di larghi imbuti posti
sulla sommità dell’edificio (Fig. 4). Questa forma così peculiare deriva in
primo luogo dall’affezione al precedente progetto e in particolare al doppio
rivestimento curvilineo unito al desiderio di creare una superficie liscia e
continua in maniera tale da rendere l’effetto di un continuum tra pavimento, pareti
e soffitto. Tutta la struttura infine doveva essere resa attraverso una forma
che risultasse adorabile ed amichevole tanto da soprannominare il museo «Friendly
Alien».
La forma
biomorfica del Kunsthaus presenta degli interessanti precedenti nell’opera
dell’architetto, scenografo, artista e scultore Frederick Kiesler il quale, partendo
dalla teoria del «correalismo» elaborò il suo progetto di «Endless house». Questa
filosofia dell’ambiente si basa sull’identificare il problema dell’abitare con
il processo creativo e formativo della personalità umana. Egli credeva che
l’uomo dovesse riconquistare attraverso la creatività il senso generale e
complesso dell’abitare e ciò era possibile solo attraverso una continuità
psicofisica dell’essere dal microcosmo al macrocosmo. Secondo l’architetto
«ogni opera d’arte è un fulcro energetico che interagisce potenzialmente con lo
spazio circostante ed è questa interazione che deve essere valorizzata e
offerta alla percezione dello spettatore-visitatore». Per concretizzare questo
concetto egli elabora un modello di «Endless house» che da spazio cubico
tradizionale si trasforma in un luogo stimolatore di esperienze sensoriali
nuove, rigenerative delle forze vitali degli abitanti. Questi modelli sono i
primi a rompere interamente con la prigione cubica, a trasformare lo spazio in
un luogo aperto alla vita, ad elaborare uno speciale sistema di costruzione -
il guscio in tensione continua - e a eliminare la netta divisione fra
pavimento, pareti e soffitto della scatola muraria. La pianta del pavimento e
le sezioni non erano quadrate, rettangolari o circolari ma l’espressione di un
flusso di forze vitali intensificate fino al punto di un’intrinseca espansione. Il progetto dell’«Endless
House» tuttavia non venne mai realizzato concretamente ma sopravvisse soltanto
al livello di architettura utopistica e visionaria.
Da questo punto di
vista esso richiama anche un altro progetto elaborato dal gruppo inglese
«Archigram» il quale, fondato negli anni '60 dall’architetto Peter Cook,
progettava utopistiche città costruite con materiali prefabbricati o sfruttando
le recenti scoperte cibernetiche e organicistiche. In quest’ottica Ron Herron,
un esponente di questo gruppo architettonico, nel 1964 aveva elaborato un
modello di città dal nome «walking city». Questa città era stata progettata per
camminare sulle proprie gambe e si inseriva all’interno di una più ampia
indagine riguardante le visioni di edifici dalle forme biomorfe situati in
contesti urbani e sostenuti da pilastri.
Un ulteriore
modello per il Kunstahus di Graz è rappresentato dalla cupola geodetica realizzata
dall’architetto Buckminster Fuller intorno agli anni '60. Essa non aveva un
pilone centrale che la sosteneva internamente ma ridistribuiva le forze di
scarico a tutte le parti della struttura ed esternamente era caratterizzata da
un esoscheletro al pari di un riccio di mare o un uovo. Si trattava quindi di
una struttura a guscio che «si ispirava al macroscopico - la sfera terrestre e
celeste - e al microscopico: il mondo dei microrganismi e dei radiolari».
Il richiamo alle
strutture biologico-cellulari è presente anche nelle forme della «casa
dell’Arte». Questa infatti è caratterizzata da tanti imbuti di luce sulla
sommità della copertura esterna chiamati «Noozles» che assomigliano a forme
cellulari e da una copertura esterna che si comporta come una membrana vivente
e interattiva. Inoltre entrambe sono costituite esternamente da una «pelle» di
pannelli acrilici e da un sistema interno di programmazione che nel caso della
cupola geodetica, in particolare in quella di Montreal, per esempio regola la
luce del sole mentre nel Kunsthaus controlla l’illuminazione artificiale dei
pixel posti sulla facciata est dell’edificio.
Il progetto del
nuovo Kunsthaus, forte delle sperimentazioni utopistiche di Archigram e del
«Tongue project», venne votato il 7 Aprile del 2000 da una giuria di architetti
e specialisti nella progettazione di spazi espositivi ed è caratterizzato da
una forma organica estremamente inusuale. L’aspetto è quello di una grossa
bolla blu che sembra soprelevarsi sul fiume Mür e sul resto della città. Essa
si imposta a ridosso di un antico edificio in ghisa, la «Eisern Haus» (Fig. 5),
casa di ferro, che venne realizzata nel 1845 dall’architetto J. Benedict
Withalm. L’edificio costituiva il primo esempio di palazzo in Europa continentale
caratterizzato da pezzi prefabbricati in ghisa ancora prima del Crystal Palace
di Londra e contribuì a restituire un accento architettonico moderno alla via.
Esso era organizzato in maniera funzionale e moderna perché agiva come punto
d’incontro sociale. Al pian terreno ospitava negozi, al primo piano vi era un
caffè di classe, il cafè Meran e infine l’edificio culminava con una terrazza
panoramica sul tetto sensazionale per quei tempi. La facciata inoltre conteneva
in una nicchia al centro la statua della Musa Polymnia, la musa del canto
invece che le tradizionali immagini sacre. Progressivamente la
«Casa di Ferro» cadde in uno stato d’abbandono accanto ad un parcheggio in
ghiaia nel mezzo di un quartiere a luci rosse fino a quando con la costruzione
del Kunsthaus venne scoperta la facciata di ferro e vennero recuperate le
proporzioni originali dei piani: al piano terra vi è il foyer del museo,
nell’ammezzato gli uffici e al primo piano dove prima si trovava il cafè Meran
vi sono le sale espositive della «Camera d’Austria». Quest’ultima è
un’iniziativa che, sorta nel 1975 per volere di un gruppo di artisti
all’interno del «Forum Stadtpark», venne inglobata nel Kunsthaus per
sottolineare l’importanza del medium della fotografia non solo da un punto di
vista estetico ma anche storico- culturale. L’obiettivo finale del Kunsthaus
era proprio quello di favorire la discussione di «rilevanti tematiche che si
estendono oltre il campo dell’arte, l’osservazione critica dello sviluppo
culturale e un dialogo costante con gli ultimi metodi di produzione dell’arte».
La nuova galleria
d’arte sorge sulla riva ovest del fiume Mür all’angolo tra la Murvorstadt e la
Lendkai in un sito estremamente irregolare e architettonicamente impegnativo a
causa della limitazione di alcuni edifici barocchi e del design della «casa di
Ferro». Il rapporto che la nuova
galleria d’arte instaura con l’antico edificio in ghisa è di vivace dialettica
in quanto il corpo bluastro e tondeggiante del museo si appoggia serenamente
all’edificio in ghisa rettilineo e l’unione tra i due edifici viene idealmente
sancita dal cosiddetto «Needle». Quest’ultimo è un corridoio vetrato a forma di
«fagiolo allungato» che cuce come un ago i
due edifici, il Kunsthaus e l’«Eisern Haus». Esso «sembra letteralmente
galleggiare sopra la strada senza poggiarsi, sospeso nella struttura d’acciaio
della bolla»
e rappresenta esso stesso un capolavoro d’arte permettendo la vista della città
a 360º (Fig. 6). Oltre che punto panoramico dopo essere usciti dal ventre scuro
della bolla, il «Needle» funge anche da angolo relax con i suoi molteplici
divanetti, luogo informativo e spazio espositivo aggiuntivo.
Esternamente l’edificio
biomorfico è caratterizzato da una «pelle» simile ad una membrana rivestita da
pannelli blu in plexiglas e contraddistinta da 16 protuberanze sulla sommità. I
«Noozles» sono dei coni di luce autoportanti posizionati tutti nella stessa
direzione, eccetto uno che inquadra la Torre dell’Orologio, ed hanno la funzione
di illuminare l’ultimo piano espositivo sia con la luce naturale che con quella
artificiale a seconda delle esigenze espositive. Realizzati come il resto della
copertura in plexiglas, in inverno hanno inoltre la funzione di trattenere la
neve sulla metà superiore.
Ciò che rende il
Kunsthaus un vero e proprio edificio camaleontico, è la sua facciata
multimediale Bix (Fig. 7). Questa infatti è composta da pannelli acrilici in plexiglas
come tutto il rivestimento esterno ma nella parte est vi sono 930 tubi
circolari fluorescenti posti sotto la copertura. Questi vennero montati dal
2001 al 2003 dalla squadra berlinese Realities United che caratterizzarono la
facciata come una «pelle attiva e intelligente» capace di comunicare attraverso
questi pixel, i «desideri» del museo al resto della città. Essa quindi si
comporta come una vera e propria membrana comunicante tra lo spazio interno del
museo e quello esterno del pubblico verso il quale si mostra e si identifica.
Attraverso l’utilizzo di questa moderna tecnologia che concepisce la luce non
più come superficie ma come volume, il fianco del Kunsthaus si trasforma da
semplice facciata in uno «show di luce, uno schermo del cinema, un tabellone
pubblicitario e una lavagna per le notizie pubbliche fungendo da schermo
gigante a bassa risoluzione». Questi segnali, annunci,
brevi sequenze possono anche essere interpretati come «rivelazioni o forse richiami» soprattutto se uniti
all’installazione sonora dell’artista americano Max Neuhaus. «Time Piece Graz»
venne realizzata nel 2003 in concomitanza con l’apertura del museo e si attiva
sotto forma di mormorio dieci minuti prima di ogni cambio d’ora. Inizialmente
si ha la percezione di un suono flebile quasi un sussurro proveniente dal fiume
Mür poi progressivamente il suono cresce d’intensità e quando finalmente si
percepisce chiaramente da dove esso provieni, si interrompe bruscamente
suscitando la curiosità dei passanti. Il fine dell’installazione infatti è proprio
l’interrogarsi sul tipo e sulla provenienza del suono infatti l’artista
sostiene che «la nostra percezione dello spazio dipende tanto da ciò che
sentiamo quanto da ciò che vediamo». Il suo lavoro non è
materialmente tangibile eppure è costantemente presente e insieme ad altri
espedienti adottati all’interno del museo, ha la funzione di attirare un sempre
maggior pubblico non solo di esperti d’arte ma anche e soprattutto di giovani.
L’esperienza che
il visitatore compie invece all’interno del museo può essere definita un
autentico viaggio nell’ignoto come e può essere paragonata a quella di Giona
all’interno della balena. Al pari del profeta che viene risucchiato dalla
balena per volontà di Dio, il visitatore è inghiottito dal «Traveletor» e
destinato a scoprire nuove e incredibili cose. Con questa trovata Cook e
Fournier vogliono rendere la loro idea di museo come «un posto che gioca con il
nostro desiderio di ritrovare noi stessi in compagnia di cose sorprendenti e
inaspettate, scontri bizzarri, cose che talvolta non sono subito pienamente
digeribili».
Il «Travelator», che non si presenta come un comune ascensore, conduce dal
luminoso e smaltato foyer all’interno dell’oscura bolla blu ed è un mezzo
capace di svelare un mondo del tutto nuovo e imprevedibile. In uno schizzo
disegnato dai due architetti (Fig. 8) esso viene chiamato «Pin», uno spillo
«pronto a pungere l’enorme bolla blu generando un effetto di sorpresa che si
risolve spazialmente a ogni nuova esposizione». «Se in un primo momento esso
infonde uno stato di euforia dall’altro lascia che il visitatore risolva la
domanda sul come scendere nuovamente offrendo ad esso due approcci differenti
ai lavori artistici: uno più semplice sulla scia dello scorrere del «Pin» e
l’altro più attento sul come dovresti scendere giù nuovamente».
Una volta accolti
nell’arioso foyer all’ingresso, inizia per il visitatore uno strabiliante e
imprevedibile viaggio che lo porta all’interno della pancia del misterioso
alieno. Appena il viaggiatore scende dal Traveletor, la cui particolarità è
rappresentata anche dal fatto che bisogna esser disposti a lasciarsi
trasportare, «la storia viene parzialmente rivelata al visitatore perché si
trova in una «black box», uno spazio largo e armonioso che si configura come
uno studio adatto per creare, esporre e osservare l’arte elettrica ed
elettronica».
Questo primo spazio espositivo, –Space 02 -
insieme all’altro piano espositivo è caratterizzato da una pianta libera
da strutture prestabilite che permettono un’enorme libertà nelle scelte
espositive, da un sistema di illuminazione molto vario e flessibile ad ogni
nuova scelta espositiva e da pareti curvilinee che tendono a confondersi con la
copertura esterna (Fig. 9). Grazie a questi accorgimenti inoltre i piani
riescono a rendere perfettamente ciò che Colin Fournier intendeva per
«esperienza cinetica sbilanciata» ossia una capacità di suscitare nello
spettatore un senso di stupore dovuto all’imprevedibilità degli spazi.
Lo Space 02 è uno
spazio parzialmente a pianta libera perché caratterizzato da una serie di
pilastri in cemento che scandiscono in maniera regolare il piano. Tuttavia è
possibile ricreare qualsiasi tipo di ambiente grazie anche alle pareti ricurve
e all’atmosfera buia e introversa che contrasta fortemente con il foyer
sottostante. L’impossibilità di far penetrare la luce naturale ha quindi
comportato l’adozione di un’illuminazione artificiale attraverso file di tubi
fluorescenti circolari posti nel pavimento che conferiscono all’ambiente
un’atmosfera non terrestre. Anche il soffitto
contiene una serie di luci fluorescenti che possono rendere effetti di luce più
prolungati o ad intermittenza. Se invece esse vengono montate in maniera
simmetrica creano una superficie uniforme e conferiscono al tetto un
interessante tocco grafico.
Trasportati dal
secondo «Traveletor» che sorvola letteralmente il primo piano espositivo, si
arriva allo Space 01 (Fig. 10). Quest’ultimo si differenzia dal sottostante
Space 02 perché è caratterizzato da un’atmosfera completamente diversa, ariosa,
grazie agli imbuti di luce che permettono alla luce naturale di penetrare e
illuminare le installazioni e le opere d’arte. I 16 «Noozles» costituiscono
l’elemento distintivo di questo ambiente completamente curvilineo a causa della
natura organica dell’edificio e per il fatto di trovarsi nel punto più alto del
museo. Realizzati in plexiglas e prefabbricati singolarmente come la copertura
esterna, sono concepiti come conchiglie autoportanti e si rivolgono tutti nella
stessa direzione eccetto uno che inquadra la Torre dell’Orologio. Secondo Peter Cook lo
spettatore «muovendosi all’interno di questo spazio si imbatte in questi imbuti
di luce che portano avanti un gioco ironico e buffo mostrando un panorama
teatrale del grazioso castello sulla cima della massiccia montagna dello
Schlossberg oltre il fiume. O in alternativa, mostrando le antiche chiese dal
campanile a cipolla, ti ricordano che sono già presenti altri esseri a forma di
bolla del XVIII secolo».
Queste
protuberanze sono anche molto importanti perché consentono di illuminare
l’ambiente espositivo con tre tipi di luci diverse: la piena luce naturale, i
flussi fluorescenti contenuti all’interno di essi e un intero impianto artificiale
nascosto nel sottotetto.
Infine dallo Space
01 attraverso un ponte si arriva al «Needle» che sovrasta lo spazio espositivo
sottostante e ne consente una panoramica dall’alto. La caratteristica
preponderante di questo corridoio dalle estremità curve, è la trasparenza ed
esso sorprende maggiormente dopo un percorso di rivelazione progressiva;
dall’immersione dopo il luminoso foyer nel corpo scuro della bolla fino ad un
graduale cammino verso la luce che culmina con questo inaspettato ambiente. Qui
infatti «ci si stacca da ogni cosa ad eccezione che della vista della città -
essa stessa un’opera d’arte - dopo un processo di sforzo visivo e di
stanchezza».
Oltre a far
compiere questo misterioso viaggio nell’ignoto creando un ambiente totalmente
immersivo, il Kunsthaus mira a coinvolgere la fascia giovanile attraverso il
suo Laboratorio d’Arte Mediale (Medienkunstlabor) e lo Space 03 situato fra i
due maggiori piani espositivi. Il «laboratorio d’arte mediale» nasce con
l’intento di riflettere sui nuovi mezzi di comunicazione per abbattere la
distinzione fra l’arte relegata nei musei e la quotidianità della vita. Questo
spazio, collocato nella parte inferiore della «Camera d’Austria», permette agli
artisti e agli esperti dei networks di creare lavori di qualunque genere grazie
all’ausilio di uno schermo portatile e di una connessione ad alta velocità che
consente anche di dialogare con gli altri utenti al pari di come avviene sul
Web.
Lo Space 03 invece
è un laboratorio dedicato esclusivamente ai bambini e dà loro l’opportunità di
approcciarsi all’arte e di sperimentare tecniche e materiali artistici. Questo
ambiente, caratterizzato da pareti oblique e da oblò da cui è possibile vedere
il foyer sottostante, si presta a divertenti percorsi e altre attività come
feste di compleanno consentendo ai bimbi di scoprire il mondo dell’arte
attraverso il gioco.
Nel complesso la
Nuova Casa dell’Arte è indice di un nuovo tipo di linguaggio architettonico estremamente
anti classico dovuto sia alla sua forma esterna che condiziona necessariamente
anche quella interna, sia alla sua volontà di apertura nei confronti della
società contemporanea e dei giovani in particolare attraverso l’utilizzo di
moderne tecnologie.
La sua forma curvilinea
che rifiuta ogni simmetria e ordine classico, può essere ricondotta alla
geometria non euclidea e ricorda per il suo andamento sinuoso triangolare, una
bolla o un alieno o addirittura un cuore o polmone umano o esseri ameboidali. Inoltre
gli spazi interni caratterizzati da una rete metallica che avvolge tutto il
corpo curviforme dell’edificio, permettono sempre nuove soluzioni allestitive
grazie alla pianta libera e all’articolato sistema di illuminazione. Infine,
l’impiego delle tecnologie multimediali nella camaleontica facciata e la
riflessione sui nuovi media, la inseriscono nella vita quotidiana insieme alle
ampie vedute della città visibili dal «Needle».
In conclusione il
Kunsthaus di Graz non è solamente caratterizzato da un’architettura anti
classica ma si può inserire all’interno di una logica «liquida» che mostra una
propensione verso i bisogni che la società moderna esprime di volta in volta
ponendosi come un mezzo attraverso cui approcciarsi all’arte contemporanea in
maniera non tradizionale.
NOTE
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Vedi anche nel BTA:
USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA
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