Il
binomio tra l’arte ed il luogo a cui quest’ultima viene destinata
costituisce un punto fondamentale con delle variazioni sul
riconoscimento del primato nella relazione tra pittura e edificio1. Ma quando l’arte è il prodotto di una committenza
governativa, ed il luogo
conserva tracce di una stratificazione storico-culturale, è
interessante comprendere come si identifichi lo spirito di un’intera
comunità, in un contesto specifico come quello degli Stati Uniti negli
anni ’30 e ‘40 del 900.
Sarà dunque centrale l’esperienza
di un artista (nato in Italia ma naturalizzato negli Stati Uniti),
Alfred D. Crimi2, partecipe del progetto di
sostegno delle arti, il Work Progress
Administration (WPA) del presidente Franklin Delano
Roosevelt.
L’identità
dell’artista è ancora oggi poco nota in Italia, e legata per lo più ad
un articolo pubblicato su “Life” nel 1945, e considerato l’atto di
nascita dell’Information Science, As We May Think di Vannevar Bush, di cui fu
l’illustratore3. Questa condizione di anonimato
ha ostacolato la possibilità di riconoscere la personalità di un
artista che, benché
non sia considerato figura di rilievo delle principali esperienze
artistiche statunitensi del XX secolo, costituisce un’importante
testimonianza dello spirito del tempo, poiché partecipe di alcuni dei
fenomeni e degli episodi più significativi della storia culturale
americana. Un’espressività artistica – frutto di una formazione svolta
per lo più in Italia, presso l’American Academy di Roma – così
poliedrica e, al contempo, “retorica”, legata soprattutto al potere
evocativo ed autoreferenziale delle sue opere, ha fatto sì che fosse
coinvolto nelle principali committenze governative del WPA4,
inserendosi cioè in un sistema di impiego politico delle arti teso
all’utile sociale. Non fu certo escluso da controversie di natura
politica, poiché tacciato di favorire, proprio attraverso il medium
dell’arte, l’esaltazione di uno spirito comunista che perfettamente si
allineava in quel periodo alla personalità di Diego Rivera5,
con cui ebbe diretti legami negli anni ’30. Gli Stati Uniti hanno
rappresentato dunque, un momento di libertà espressiva, che si è
vivacemente tradotta in opere tutt’oggi conservate nei più importanti
musei d’America, come eredità di un passato teso alla rinascita e
all’ispirazione democratica6.
Si deve proprio al WPA la
partecipazione di Crimi al progetto decorativo della Medical Board Room dell’ospedale
di Harlem, New York. Nel 1936 gli fu commissionata la realizzazione di
uno dei cinque pannelli illustrativi, attraverso i quali si tentava di
ripercorrere la storia della medicina americana. L’artista scelse come
soggetto Modern Surgery and
Anaesthesia (Fig. 1).
Il progetto nasce dall’esigenza
di porre in enfasi lo spirito democratico di tutto il paese8,
di cui gli artisti dovevano farsi portavoce. Stabilito dunque
l’obiettivo ultimo di sviluppare un’arte democraticamente accessibile
ed in grado di stimolare – sia politicamente che esteticamente –
l’evocazione di significati in uno stile comprensibile, diventa
fondamentale focalizzare il significato specifico del luogo scelto,
disegnare una topografia della committenza, nelle cui
strutture si scelse di far circolare l’identità della cultura americana.
In
questo senso, Harlem viene elevata a “capitale simbolo”; qui infatti,
già dal XIX secolo, sorgevano residenze dei “bianchi”, secondo la
definizione identitaria dei più accaniti nazionalisti9.
Tra queste proprietà, anche quella di James Roosevelt, padre del
presidente Franklin Delano. Le proprietà furono abbandonate agli inizi
degli anni ’20, e Harlem si trasformò in un distretto destinato a luogo
di insediamento prima degli immigrati ebrei, e poi delle comunità
afroamericane. Era anche sorta, nella zona di East Harlem, Little
Italy, centro di raccolta di italiani immigrati negli Stati Uniti (dove
lo stesso Crimi abitò e frequentò le scuole).
Harlem
era anche il cuore di una comunità culturalmente attiva, un vivace
centro di aggregazione per afroamericani in cerca di riscatto e
di libertà espressiva; per questo la scelta di sviluppare un progetto
promosso dal WPA in questa zona ebbe una rilevanza particolare. Quasi
contemporaneamente all’istituzione del WPA, venne anche fondata The Harlem Community Art
Center,
con un ruolo fondamentale: non solo promotore della spinta culturale di
uno specifico luogo, ma simbolo della rinascita di una “cultura della
razza”10.
Harlem diventa lo spazio dell’utopia, lo spazio di realizzazione di una
comunità che, negli anni ’20, raggiunge una maturazione, nella sua
accezione più moderna ed integrata11. La zona, infatti, proprio per
la presenza di comunità afroamericane, fu scenario di quello che viene
definito Black Renaissance12,
un tentativo da parte delle minoranze etniche di conquistare un proprio
spazio e di ottenere maggiori diritti. Il fatto poi che il WPA avesse
scelto di affidare quasi in maniera esclusiva – faceva eccezione
infatti solo la presenza di Alfred Crimi – il progetto ad artisti
afroamericani, rispecchiava quella volontà di fare della diversità
etnica un punto di forza dell’America, un passo in più nella
definizione di una politica culturale che estendeva i confini della
libertà americana13.
Dopo
l’istituzione del WPA, Harlem Hospital fu forse una delle prime – e
sicuramente tra le più importanti – committenze governative, proprio
perché creò un’apertura culturale: l’estensione del programma a
comunità per le quali il processo di “americanizzazione” non si era
ancora completamente concluso. In questo senso, probabilmente la
pressione più grande venne dal Partito Comunista che proprio in quella
zona, a partire dagli anni ’30, aveva fatto della lotta al razzismo e
all’integrazione forzata di queste comunità, una priorità assoluta. Da
parte degli artisti coinvolti c’era la voglia di farsi veicolo di un
messaggio sociale importante, risonante, e che fosse proprio l’arte ad
incrementare il sentimento di integrazione in un modo di “vivere
americano”.14
Il risultato sarebbe stato una nuova forma di interazione sociale, la
creazione di un nuovo concetto di razza, oltre che un ripensamento –
anche visivo – dell’identità stessa degli afroamericani, elemento
cardine di un fenomeno prima di tutto politico15.
Nonostante
le premesse nell’assegnazione del progetto – che si ispirava alla
volontà di riconoscere nel popolo americano anche i nuovi immigrati ed
i cosiddetti “non bianchi” – gli stessi artisti ebbero difficoltà nel
fare accettare i propri lavori dalla commissione del Harlem Hospital. I
disegni erano troppo incentrati su negro subject,
“ed i neri non costituiscono il nucleo più grande della comunità”. Le
obiezioni erano mosse dal fatto che soggetti afro fossero una realtà
caratteristica della zona, ma che nulla avessero a che vedere con le
strutture dell’ospedale; il progetto poi doveva essere un’esaltazione
delle strutture della società americana, ed il contributo degli artisti
quello di riproporle nella sua forma reale. è chiara la natura
discriminatoria dell’episodio, in cui rimase coinvolto lo stesso Crimi
perché tacciato di godere di favoritismi per il fatto stesso di essere
“bianco”16.
Stando però alle parole di Holger Cahill, promotore del progetto, le
competenze tecniche di Crimi (aveva infatti studiato le tecniche
dell’affresco rinascimentale a Roma nel 1929, presso l’American
Academy) furono l’unico motivo per cui l’artista entrò a far parte del
progetto; in questo momento era infatti considerato uno dei pochi
artisti esperti nel campo dei dipinti murali, il che lo elevava anche
al ruolo di guida per gli artisti afroamericani, tutti di giovane età.
È
chiaro che l’episodio abbia una sua rilevanza sul piano politico e
culturale, oltre che strettamente artistico. Il tentativo iniziale da
parte del governo di estendere una committenza governativa a comunità
difficilmente integrate sembrava, in un momento di lotte in nome della
democrazia, una giusta battaglia da portare avanti. Si andava
concretizzando un importante momento di raccordo tra Harlem Renaissance
degli anni ’20 e Black Art degli anni ’60. Ma l’idea di progresso
culturale che accompagna il progetto di Harlem – una delle importanti
conquiste sociali del XX secolo – sottintende in realtà, un radicato
pregiudizio sul concetto di “razza”, tale da circoscrivere le libertà
degli artisti afroamericani che ne furono coinvolti. Il WPA incentiva
il progetto di Harlem in nome di un tentativo di assimilazione
culturale che favorisse il pluralismo etnico. L’episodio si conferma in
bilico tra le richieste di “americanizzazione” e l’esigenza di
rispettare l’identità culturale di queste comunità a fronte del “valore
americano”. Negare questa possibilità di sopravvivere in una società
che poneva nette linee di demarcazione sociale, di natura razziale ed
etnica, equivaleva a ritrattare il vero spirito americano, lo spirito
della libertà.
La
conquista più grande, nel progetto di Harlem, è stato riconoscere
l’immigrazione non come una minaccia ma come essenziale per la vitalità
culturale, riconoscendo che l’America può rimanere americana
modificando le proprie convenzioni, e servendosi dell’arte per
sviluppare nuovi linguaggi. La capacità poi, di riuscire a mediare tra
la natura dell’edificio – e dunque la necessità di una adeguata scelta
dei soggetti – e le personalità degli artisti coinvolti, seppur nella
diversità razziale, ha fatto sì che fosse conferito un nuovo impulso
alla politica del paese. La risonanza pubblica dell’episodio favorì gli
artisti, che furono pionieri di una rinascita dell’eredità della
comunità artistica afro e di una conquista di territorio nello spazio
della cultura americana17.
La
diversità razziale, così manifesta nel progetto del WPA, dava la misura
di quanto la gloria della società americana degli anni ’30 si
affermasse nella democrazia e nella riscoperta di un nuovo popolo
americano, includendo appunto i nuovi immigrati e “non bianchi”.
I
pannelli del Harlem Hospital di recente sono stati oggetto di un
restauro, durante il quale lo stato superficiale di intonaco
deteriorato è stato rimosso, portando via con sé l’iniziale diffidenza
che ha accompagnato la committenza. Nel 2012 infatti, con il tema di
“rispetta il passato ed abbraccia il futuro”, è stato inaugurato il
padiglione dedicato ai dipinti murali all’interno dell’ospedale; un
espediente finalizzato a valorizzare il momento storico legato
all’esperienza del WPA, rendendo accessibile al pubblico uno spazio in
cui Harlem Hospital diventa un luogo espositivo. La riscoperta
visibilità degli affreschi, stimola così un grande coinvolgimento da
parte del pubblico, che riconosce il pregio di poter conservare una
così profonda eredità storica e culturale18.
NOTE
1
Edward Bruce, introduzione Art in
Federal Building, Washington D.C, Art in Federal
Buildings Incorporated, 1936, p. IX
2
Alfred D. Crimi (1900-1994), nato in Italia,
Sanfratello, Messina, si
trasferisce a New York già nel 1910, intraprendendo un percorso di
“americanizzazione”, un’integrazione all’interno di una società che
agli inizi del XX secolo ancora escludeva le comunità immigrate,
ghettizzate nelle zone periferiche della città. La prospettiva da cui
Crimi osserva – e che viene restituita dalla autobiografia, A
look back, a step forward. My life story, 1988
– è quella di una completa adesione al modo di vivere americano, un
paese in cui le libertà fondamentali garantirono a Crimi di esprimersi
artisticamente, in un centro culturale come New York, considerato nel
XX secolo la “Nuova Parigi”.Si veda anche Carla Subrizi,
Europa e America 1945-1985. Una nuova mappa
dell’arte, Roma, Aracne
editrice, 2008
3
Paola Castellucci, Dall’ipertesto al
Web.
Storia culturale dell’informatica, Roma-Bari, Laterza,
2009, p. 100
4
Secondo un documento, contenuto in Francesca
Pola, Francesco Tedeschi, Giuliana Scimè, Artisti
americani tra le due guerre: una raccolta di documenti,
Milano,
V&P Strumenti, 2004, è possibile considerare il muralista
americano George Biddle il padre fondatore del Work
Progress Administration/ Federal Art Project (WPA/FAP).
Sarebbe stato infatti l’artista, amico d’infanzia dell’allora
presidente Franklin Delano Roosevelt, il promotore di un’estensione
della riforma sociale del New Deal applicata alle arti, affinché anche
giovani artisti americani, attraverso il medium del dipinto murale,
potessero sentirsi parte integrante di una lotta nel nome di ideali
sociali.Si veda anche la trascrizione per The Archives of American Art,
Smithsonian Istitute: Harlan Philips,An interview of George Biddle in 1963
5
A testimonianza di quanto affermato, è importante
sottolineare che nell’elenco di papers
di Alfred D. Crimi, stilato nel gennaio del 1993 dal Center for
Migration Studies, New York, sia presente una miscellanea, che copre un
arco temporale dal 1929 al 1980, in cui sono conservate 6 fotografie
raffiguranti il restauro operato da Crimi al controverso dipinto murale
realizzato da Diego Rivera nel 1932 per il Rockefeller Center, Man
at the Crossroads, poi censurato dallo stesso
committente perché contenente una riproduzione fisionomica di Lenin.
6
Alcune delle opere di Crimi sono
oggi conservate presso il National Museum of American Art –
Smithsonian Institution, Washington D.C., dove è stato
anche istituito un fondo personale dell’artista; il Portland Museum of
Art – Portland, Oregon; il Museum of the City of New York; il Center
for migration studies – Staten Island, New York, istituto
che ha curato nel 1988 la pubblicazione della sua biografia.
7
Il
dipinto è stato frutto di una attenta ricerca da parte di Crimi sul
mondo della medicina, un’osservazione costante dei soggetti, puntuale e
dettagliata, che esercitò sull’artista un forte sentimento di
fascinazione. Ogni compito è definito con un’indagine centrata sugli
aspetti psicologici ed emotivi, e sviluppato su una attenta resa di una
interazione tra sguardo e mano, che caratterizza l’intera scena.Si veda
Terry Harpold,Ex-foliations:Reading machines and upgrade the path, Minneapolis,
University of Minnesota Press, 2008, p. 31
8
La citazione è tratta da un
discorso di Franklin Delano Roosevelt dedicato al MoMa e trasmesso via
radio il 10 maggio 1939
9
Eric Foner, Storia della libertà
americana, Roma, Donzelli, 2009 (1998)
10
Gwendolyn Bennet, The Harlem Community Art
Center, in Francis V. O’Connor (a cura di), Art For Millions, Greenwich, Connecticut, New York
Graphic Society LTD, 1973, p. 213
11
Martha J. Nadell, Enter the New Negros.
Images of Race in American Culture, Cambridge, MA, Cambridge
University Press, 2004, cit. p. 1
12
Eric Foner mette in luce la rilevanza
culturale di un fenomeno come Black Renaissance,evidenziando
soprattutto quanto, da parte di comunità afroamericane ci
sia stato, con un forte spirito anticipatorio, un movimento di
“rivoluzione sociale”
13
George Hutchinson, Harlem Renaissance.
American literature and art, “Britannica”, 2016
14
Robin Pogrebin> , At Harlem
Hospital,
murals get a new life, “The New York Times”, 2012
15
Tatiana Petrovich Njegosh,L’iconografia
del New
Negro, in Camilla Cattarulla (a cura di), Identità
americane: corpo
e nazione, Roma, Cooper, 2006, p. 67-68
16
Alfred D. Crimi,A look back, a
step
forward. My life story, New York, Center for Migration
Studies, 1988, p. 130
17
George Hutchinson, Harlem Renaissance.
American literature and art, “Britannica”, 2016
18
Robin Pogrebin, At Harlem Hospital,
murals get a new life, “The New
York Times”, 2012
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