Cuore pulsante dell’economia
europea, Londra si presenta in continuo fermento e inarrestabile evoluzione.
Così è anche la sua architettura.
Ben nota è la zona commerciale, la
cosiddetta “City”, caratterizzata da grattacieli in vetro e acciaio dalle
strutture particolari che costituiscono oramai lo “skyline” della città come il
Gherkin (“cetriolo”, data la sua
forma, 2004) dell’architetto Lord Norman Foster, il Lloyd’s Builiding (1986) di Sir Richard Rogers caratterizzato in
facciata da elementi solitamente nascosti come condutture e tubazioni, o come
il 20 Fenchurch Street (2014), opera
dell’architetto uruguayano Rafael Viñoly.
Non tutti però sanno che
all’incirca a cavallo del nuovo millennio il quartiere di Southwark, posto sulla sponda opposta della City, ha conosciuto una
profonda trasformazione sociale e architettonica fino a rappresentarne oggi il
legittimo prosecutore, non solo in ambito economico e finanziario grazie ai
numerosi studi legali e di consulenza, ma anche in ambito artistico-culturale e
ricreativo, grazie alla presenza di edifici come la City Hall (2002), soprannominato dagli Inglesi “l’uovo di vetro”,
sempre di Lord Foster e di Ken Shuttleworth, sede tra l’altro della Greater
London Authority che include la residenza ufficiale del sindaco di Londra Sadiq
Khan e della London Assembly,
e del The Shard (2012), lo
straordinario grattacielo realizzato dall’architetto italiano Renzo Piano
inaugurato nel 2012 – ma aperto solo nel febbraio 2013 – che con i suoi 310
metri d’altezza domina maestoso la città.
Ma Southwark è anche uno dei quartieri storici più antichi. Se lo si
potesse paragonare a un’opera pittorica esso sarebbe un ottimo esempio di
“tecnica mista”.
Oltre che a piedi è raggiungibile con
la metropolitana, meglio conosciuta come Tube,
grazie alle linee grigia (Jubilee Line) e nera (Northern Line).
Nel quartiere risiedono molti dei
ponti, degli edifici e dei musei più famosi di Londra. Ricordiamo il Tower Bridge, un ponte realizzato a fine Ottocento caratterizzato da due
altissime torri che non solo hanno funzione logistica in quanto permettono il
passaggio di grandi navi sul Tamigi, ma sorreggono anche una passerella dalla
quale si ha una splendida vista dall’alto su entrambe le sponde del fiume.
Ma ricordiamo anche il Millennium Bridge di
Lord Foster e Anthony Caro, tra i progetti realizzati per il nuovo millennio,
che offre una vista panoramica su entrambe le sponde e che si potrebbe
considerare come uno scorcio sulla storia antica e moderna di Londra: infatti
al lato settentrionale attraverso i gradini di Peter’s Hill si giunge alla St. Paul Cathedral, la cui costruzione
venne affidata all’architetto Sir Christopher Wren nel 1668 che la completò nel
1708 sul modello delle grandi chiese barocche italiane, e dall’altra si
raggiunge l’entrata del Tate Modern
Museum,
ovvero la parte espositiva del grande complesso Tate dedicata all’arte
internazionale moderna e contemporanea. Il Museo ha sede nell’ex centrale
elettrica di Bankside sin dal 1994 quando gli architetti svizzeri Herzog &
De Meuron rimodernarono il vecchio edificio mantenendo però buona parte dell’originario
realizzato in acciaio e muratura; oggi infatti la sala delle turbine è
l’austera entrata del museo e le sale delle caldaie sono diventate le gallerie.
Lo scorso giugno 2016 è stata inaugurata una nuova ala del Museo, la cosiddetta
“Switch House”, un edificio piramidale tortile e alto ben 10 piani che ospita
prevalentemente mostre fotografiche, performance, installazioni e video d’arte.
A due passi da quest’ultimo
risiede, inoltre, lo storico Globe Theatre
di Shakespeare. Purtroppo non si tratta dell’originale cinquecentesco – che si
trovava a circa 150 metri dall’attuale ricostruzione – andato distrutto in un
incendio nel 1613 e non si tratta neppure del suo secondo rifacimento
seicentesco chiuso dal governo puritano nel 1642 e pertanto caduto in disuso e
demolito nel 1644.
Questa costruzione è molto più recente e risale al 1970 quando l’attore e
regista americano Sam Wanamaker, sconvolto dal fatto che a Londra non ci fosse
più alcuna traccia del memorabile teatro se non una targa sul muro, decise di
far ricostruire il teatro affidandosi ai disegni dell’epoca e agli scavi
archeologici del Rose Theatre – che
dalle testimonianze antiche doveva trovarsi in prossimità del Globe – e cercando di realizzare una
riproduzione più fedele possibile all’originale. L’edificio è poligonale con un
diametro di circa 35 metri e il palcoscenico è realizzato in modo tale da
coinvolgere il pubblico con quanto avviene sulla scena – caratteristica
imprescindibile del teatro shakespeariano e delle opere teatrali di epoca
elisabettiana. Perciò, l’atmosfera che si respira all’interno del Globe è magica e ci si ritrova
catapultati in un’altra epoca.
Ma addentrandosi nel quartiere di
Southwark due sono le strutture storiche che ci sorprendono: il Borough Market e la Cathedral.
Il primo, un “profumatissimo” e
coloratissimo mercato coperto risalente addirittura al XII secolo, è conosciuto
dai cittadini come “la dispensa di Londra” – ma anche come “il paradiso del
cibo” – poiché molti dei venditori sono anche produttori, ed è considerato da
secoli punto di riferimento sia dagli esperti del settore gastronomico che dagli
amanti della cucina grazie alle numerose varietà di cibo provenienti da tutto
il mondo.
La seconda è la Cathedral
and Collegiate Church of St. Saviour and St. Mary Overie meglio conosciuta
come la Southwark Cathedral. Nata come
monastero nel XIII secolo è l’edificio gotico più antico di Londra, ma ha subìto
costanti modifiche e mutazioni soprattutto durante i periodi elisabettiano e
shakespeariano; proprio quest’ultimo, assieme al fratello, era un assiduo
frequentatore della Chiesa. L’edificio si trasformò poi in una prigione. All’interno,
nella navata settentrionale, possiamo ammirare il bellissimo arco a tutto sesto
appartenente a una delle porte dell’originaria chiesa normanna, la Norman Door. Inoltre, sono qui sepolti
personaggi eminenti come il poeta John Gower e il vescovo e studioso Lancelot
Andrewes, autore quest’ultimo della traduzione della King James Bible (la versione anglicana della Bibbia cristiana).
Questa “passeggiata” per il
quartiere era obbligatoria e necessaria per comprendere quanta storia e
modernità qui si incontrino e si incrocino creando un pout-pourri fatto di
fascino delle strutture antiche e di eclettismo delle strutture moderne. Sarà
questa, probabilmente, la Londra di domani.
È proprio all’interno di questa
mescolanza che va a posizionarsi, per nulla a caso, lo Unicorn Theatre. Situato al civico 147 di Tooley Street, il
pluripremiato teatro destinato a ragazzi e bambini, è l’istituzione incentrata
sulla formazione teatrale più importante del Regno Unito.
Nel 1947 Caryl Jenner
fondò il Mobile Theatre, con l’idea
di fare spettacoli itineranti per bambini e adulti in tutto il paese in un ex
camion dell’esercito. Alla fine del 1948, la compagnia aveva intrattenuto con i
suoi spettacoli circa 25.000 bambini e percorso oltre 5000 miglia. La Jenner
decise di acquistare altri camion e nel 1958 la compagnia si unì ad altre
società che si concentravano soprattutto sui bambini, come la The English Children’s Theatre, fondando
così lo Unicorn Theatre Club nel 1962.
Nel 1960 venne lanciato un appello
per creare una base permanente a Londra e l’anno successivo la compagnia
presentava la sua prima stagione natalizia appoggiandosi all’Arts Theatre nel quartiere di Covent
Garden. Condivisero lo spazio fino al 1967 prima che venisse sgomberato nel
1999. Riacquisirà poi questo spazio facendone la sua base permanente.
Volendo rimodernarsi, alla fine del
2000 la Fondazione lancia una competizione architettonica a livello europeo che
viene vinta da Keith Williams, il cui studio di architettura si trova a una
decina di minuti a piedi dal Teatro,
al civico 74 di Long Lane.
La costruzione del nuovo edificio,
lo Unicorn Theatre (Fig. 1), ha avuto
inizio nel 2003 e il 1 dicembre 2005 è stato inaugurato da Lord Richard Attenborough.
In quanto primo teatro destinato ai bambini costruito nel Regno Unito ricevette
enorme acclamazione nonché numerosi premi e ottenne la candidatura allo
Stirling Prize nel 2006.
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Fig. 1: Unicorn Theatre, Keith Williams Architects, Tooley Street, Londra, 2005 © Vittoria Sut
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Il progetto vincente di Williams
deriva dall’influenza innovativa del lavoro teatrale dell’ex direttore
artistico dello Unicorn, Tony Graham,
il quale durante il primo briefing con l’architetto affermò che la struttura
dovesse risultare allo spettatore «rough yet beautiful».
Ma deriva anche da un’attenzione particolare a quello che sarebbe stato il
contesto del nuovo edificio e dall’opportunità di trattare la composizione
formale del progetto “sculturalmente”.
Urbanisticamente parlando, segue la
tipologia degli altri edifici esistenti lungo Tooley Street, come ad esempio
gli uffici a vetri di Foster and Partners che si trovano alle sue spalle e lo
separano dalle rive del Tamigi.
L’unico a essere costruito in città
dopo il National del 1976, il Teatro si presenta suddiviso in 12
ambienti (Fig. 2): partendo dall’alto verso il basso abbiamo il Weston Theatre con una platea di 320
posti a sedere, il Clore Theatre, un
teatro-studio per le prove con 120 posti a sedere, altri spazi per
l’insegnamento e la didattica, e un foyer
pubblico su cui si affaccia un piccolo corner bar e il box office.
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Fig. 2: Sezione in pianta dello Unicorn Theatre, © Keith Williams Architects
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Per la sua costruzione, costata
all’incirca 13,7 milioni di sterline, la Fondazione ha consultato dei bambini
ponendo a tutti la stessa domanda «Come te lo immagini il nuovo edificio?» e la
risposta di uno di loro è stata «Mi immagino un unicorno far crollare un lato
dell’edificio!». E quando un architetto, senza vincoli finanziari e con la più
fervida immaginazione, e degli adulti mossi dalle più nobili intenzioni,
consultano dei bambini per la costruzione di un teatro, devono essere preparati
a tutto.
Williams stesso affermò che l’influenza dei “consulenti-bambini” provenienti
dalla Tower Bridge Primary School è stata “subliminale”.
All’architettura volutamente
equivoca si aggiunge la ricchezza di particolari. Come la maggior parte degli
edifici “liquidi”
– nell’accezione che ne dà l’architetto e poeta visionario Marcos Novak nel
1993
– si caratterizza per le forme asimmetriche dall’elevato aperto che vede
l’intervallarsi di parti in vetro trasparente, escamotage che cela il contenuto
interno di giorno e lo rivela tramite un intelligente gioco di luci di notte (Fig. 3), e di parti solide e rocciose seppur punteggiate da ben ponderate
aperture a finestra classica e “toplight”. Ma anche per la sua particolare
struttura composta da diversi corpi che si intersecano tra essi, corpi opposti
ma complementari, corpi aggettanti e rientranti, corpi scuri e corpi chiari,
che creano un dinamismo architettonico che non scade mai nell’eccentricità.
Volumi singoli quindi, ma sapientemente incastrati e sfalsati tra loro a disegnare
una forma unica.
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Fig. 3: Unicorn Theatre in notturna, © Hélène Binet
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I materiali utilizzati sono
liberamente, ma mai casualmente, organizzati al fine di rafforzare le masse
dell’edificio, masse che si agglomerano per formare composizioni scultoree
astratte e asimmetriche visibili da ogni piano. Un edificio che, a seguito
della geniale intuizione dell’architetto e critico dell’architettura Bruno
Zevi, definiremmo “anticlassico”
in quanto caratterizzato da una “libertà architettonica” fatta di scomposizione
dei piani in moduli in contrapposizione tra loro, disallineamento della
posizione delle finestre e abolizione del concetto classico di facciata
reinterpretata in chiave liquida,
perciò con elementi aggettanti e rientranti, con l’introduzione del vetro e
senza colonne o pilastri portanti visibili all’interno dell’edificio.
Al contrario, la pianta
dell’edificio risulta abbastanza regolare, ma con una scomposizione interna
degli spazi molto movimentata (Figg. 4 e 5). Dalla visualizzazione in sezione ci
rendiamo conto che questi sono accatastati come fossero mattoncini giustapposti
uno sull’altro (Fig. 2).
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Fig. 4: Pianta Unicorn Theatre, Ground Level, © Keith Williams Architects
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Fig. 5. Pianta Unicorn Theatre, Level 2, © Keith Williams Architects
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Il nuovo Unicorn è perciò una moderna torre o un castello incantato fatto di
forme “ginniche” al fine di ottenere una delle singolari architetture alla
Williams. La soluzione “tower-house” è una risposta tanto pragmatica, dato il
piccolo appezzamento concessogli, quanto stilistica, dato che risponde a
criteri di semplicità e dinamismo.
All’interno, invece, tutto è
sontuosamente austero.
Considerando che è un teatro per bambini non è stato necessario realizzare
delle strutture appariscenti o, all’interno dei due teatri, scenografie
elaborate. Questo è stato realizzato volutamente per lasciare assoluto spazio
all’immaginazione degli spettatori, i bambini appunto.
Il foyer si presenta con una forma a “L” e con una grande vetrata
trasparente che corre lungo Tooley Street e lungo la strada pedonale laterale
che porta al Tamigi (Fig. 6). Si sviluppa su più piani e grazie alla sua
trasparenza rivela sia il teatro-studio che la grande scala principale che
porta al Weston Theatre. Quest’ultima (Fig. 7), in legno di noce, assieme a una serie di balconi con balaustre in
calcestruzzo biondo traforato con pannelli di vetro per consentire la visione
del foyer sottostante anche dall’alto,
rappresentano un elegante interludio mentre si sale ai piani superiori. Usando
mensole orizzontali invece di colonne verticali tutto sembra librarsi verso
l’alto (Fig. 8).
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Fig. 6: Foyer, © Vittoria Sut
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Fig. 7: Scalinata dello Unicorn Theatre, © Hélène Binet
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Fig. 8: Interno, © Keith Williams Architects
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Sempre al piano terra, accanto al foyer, troviamo il teatro più piccolo,
il Clore Theatre, simpaticamente
soprannominato The Black Box data la
sua struttura. Il piccolo teatro e il foyer
fungono da sostegno principale al sovrastante Weston Theatre (Fig. 9). Questo gioco architettonico di volumi, di
alternanza fra pieni e vuoti, corre come leitmotiv per tutto l’edificio.
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Fig. 9: Weston Theatre, © Stmike7, Wikimedia Commons
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Esso si presenta come Auditorium
principale dello Unicorn. Il
rivestimento in rame preossidato contrasta con le mattonelle in ceramica
blu-violacea smaltata che circondano la porta del palco. Le stesse mattonelle
vengono anche utilizzate all’esterno dove possiamo notare lo stesso forte
contrasto, ma questa volta tra le sopradette mattonelle blu-violacee, il grigio
ghiaccio dei pannelli di rivestimento, i mattoncini orizzontali antracite e
l’opalescenza del vetro (Fig. 10).
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Fig. 10: Retro dello Unicorn Theatre, © Vittoria Sut
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Lo spazio interno è “intenso”
quanto nessun altro progetto realizzato precedentemente. L’andamento ellittico
dei posti a sedere in platea è coperto da un piano circolare mentre il palco,
sporgente, fa sì che i posti sottostanti ne seguano l’andamento. Questo
escamotage permette allo spettatore di vedere in maniera ottimale da ogni lato
il palco. Inoltre, volendo fare un paragone con il Globe Theatre di Shakesperare – che come abbiamo detto
precedentemente si trova a poca distanza dal nostro – possiamo affermare che
questa disposizione ellittica ricorda lo “storytelling”, in cui l’uditorio si
riunisce attorno al narratore; un po’ come quando si raccontano le favole a un
gruppo di bambini riuniti attorno a un genitore o a un maestro. Forse, le
sedute sarebbero potute essere inserite quasi a 360° attorno al palco per
abbracciarlo completamente e per permettere un maggiore coinvolgimento degli
spettatori.
Qui, inoltre, una piccola “isola”
di posti a sedere è occasionalmente e meccanicamente alzata durante gli
spettacoli in cui è prevista una corsa o l’avvicinamento alla platea da parte
degli attori.
Nonostante la spettacolare
costruzione dell’Auditorium principale e della torre d’angolo, che segnano il
passaggio a un nuovo tipo di costruzione, il disegno nella sua semplicità è
ricco di dettagli a misura di bambino. Difatti, i palchi, le balconate, i posti
a sedere e in particolare la forma stessa dell’Auditorium derivano dal racconto
narrativo ed è studiato per offrire un nuovo e unico teatro dedicato ai
bambini. È anche per questo che i bassi sedili ricurvi in legno foderato di blu
sono progettati per accogliere bambini tra i 4 e i 12 anni, per cui piuttosto
scomodi per gli adulti.
Nonostante questo, l’Auditorium è eccellente
sia dal punto di vista acustico sia da quello visivo.
Lo “stile narrativo”, il principio
“one room”, il palcoscenico “non-proscenium” sono caratteristiche del Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi,
il famoso teatro costruito alla fine dell’Ottocento e ora diretto dal regista
Peter Brook, dal quale il team di Keith Williams ha tratto l’ispirazione.
Contrariamente al volume del grande
Auditorium, gli viene contrapposta lateralmente una struttura composta da più
spazi nei quali si situano il Foyle
Education Studio, la Green Room,
la Meeting Room, l’Office, le due Dressing Rooms e il Rehearsal
Room. Ogni struttura è stata oculatamente inserita nell’edificio al fine di
agevolare gli spettatori, gli attori e i tecnici. Ad esempio le due Dressing Rooms si situano
rispettivamente accanto ai due teatri, l’Office
è adiacente al Foyle Education Studio,
infine i Technical/Production Offices
sono sullo stesso piano della galleria tecnica e della sala di controllo del Weston (Figg. 2, 4 e 5).
Alcune accortezze danno però l’idea
del target di destinazione di questo edificio, i bambini: i sedili dei due
teatri sono bassi, sulle scale troviamo i corrimani a doppia altezza come anche
i lavandini nei bagni, il vetro inserito nelle balaustre della grande scalinata
che crea un incredibile gioco visivo e infine nel foyer vi è una piccola zona in cui il soffitto è così basso da
rendere impossibile agli adulti sedersi.
Lo Unicorn Theatre lo potremmo anche definire, forse in maniera
azzardata, un “teatro dal basso”, difatti gran parte dei soldi raccolti (8,7
milioni di sterline) provengono da fondi pubblici segno di un cambio di rotta
epocale: un teatro per bambini diventa un’esigenza sociale e un investimento a
lungo termine. Lo Unicorn
sponsorizza, inoltre, delle partnership con le imprese locali, le quali
potrebbero farsi conoscere finanziando il teatro stesso offrendo addirittura ai
propri dipendenti o clienti e alle loro famiglie forme di intrattenimento e
attività ludiche.
Gli stessi clienti – bambini o
adulti che siano, corsisti o spettatori – possono diventare membri o donatori del
Teatro godendo di una grande varietà
di vantaggi tra i quali assistere alle prove e visitare la vita dietro le
quinte durante la preparazione degli spettacoli.
Grazie a queste donazioni, lo Unicorn Theatre
è in grado di fornire ogni anno circa il 10% dell’emissione dei biglietti a
favore di quei bambini che non possono permettersi di comprarne e consentono
agli operatori del museo di portare il loro teatro in alcune delle zone più
svantaggiate di Londra.
L’Architettura
è per eccellenza l’arte che raggiunge uno stato di grandezza platonica, ordine
matematico, speculazione, percezione dell’armonia, mediante rapporti che
sollecitano l’emozione. Ecco il fine dell’architettura.
Le
Corbusier, Vers une Architecture,
Parigi, Cres, 1923
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Vedi anche nel BTA:
USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA