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Paesaggio e Beni comuni. Il contributo di Salvatore Settis  

Cecilia Vari
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 5 Luglio 2019, n. 872
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Fig. 1: Salvatore Settis durante una conferenza, tenuta in data 14/10/2016 presso il Palazzo mostre e congressi di Alba su «Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla»
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Beni comuni

Salvatore Settis nasce a Rosarno (RC) l’11 giugno 1941. Dopo aver frequentato il corso di laurea in Archeologia classica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa consegue la laurea nel 1963. I suoi interessi di studio riguardano la storia dell’arte antica, la storia della tradizione classica e la storia dell’iconografia e dell’arte religiosa europea, dal Medioevo al Seicento. Il forte interesse di Settis riguardo al tema del bene comune si evince dalle sue dichiarazioni e dai suoi libri come Azione popolare. Cittadini per il bene comune in cui il professore fornisce una differenziazione tra il concetto di bene comune e quello di beni comuni:

 

Al singolare, il “bene comune” è un principio immateriale che appartiene all’universo dei valori e include i diritti fondamentali: salute, lavoro, istruzione, eguaglianza, libertà. Al plurale, i “beni comuni” possono essere cose tangibili (come l’aria, l’acqua, la terra; ma anche proprietà immobiliari), delle quali la generalità dei cittadini o una specifica comunità può rivendicare la proprietà o l’uso.[1]

 

Il dibattito riguardo ai beni comuni si è acceso in seguito all’assegnazione nel 2009 del premio Nobel per l’economia ad Elinor Ostrom, «for her analysis of economic governance, especially the commons»[2]. La studiosa statunitense sviluppa le sue ricerche a partire dagli studi dell’economista e sociologo Mancur Olson[3], dell’ecologo Garret Hardin[4] e dalle riflessioni su come alcune comunità sovraintendono ai beni comuni lavorando su gestione condivisa dalla collettività, manutenzione e riproduzione dei beni escludendo chi non rispetta le regole dai vantaggi che ne derivano. Pubblicando nel 1990, per Cambridge University Press, il volume Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action la Ostrom, insieme a Charlotte Hess, direttrice della Biblioteca Digitale dei Commons dell’Indiana University, tratta di come le strutture di diverse comunità abbiano:

 

un rapporto privilegiato e necessario con un determinato bacino di risorse condivise (common pool resource): aree di pesca ad Alanya (Turchia), a Mawelle (Sri Lanka) e sulla costa della Nuova Scotia (Canada), aree a pascolo presso Törbel (Vallese) e altrove in Svizzera, boschi e terre di Yamanaka e altri villaggi del Giappone, canali e acque d’irrigazione a Valencia e in altri luoghi della Spagna, ma anche nelle Filippine.[5]

 

Per la studiosa statunitense identificare a tutti i costi una proposta di “strategie comuni nella gestione dei commons” impedisce di incaricare le autorità di realizzare un regolamento per le risorse. Secondo la Ostrom la soluzione è invece:

 

una teoria, su base empirica, di forma di azione collettiva (collective action) fondate sull’auto-organizzazione e l’auto-governo.[6]

 

Charlotte Hess ed Elinor Ostrom nel loro studio La conoscenza come bene comune indicano con beni comuni, oppure commons:

 

un termine generico che si riferisce a una risorsa condivisa da un gruppo di persone. In un bene comune, la risorsa può essere piccola e servire un gruppo ristretto (il frigorifero di famiglia), può prestarsi all’utilizzo di una comunità (i marciapiedi, i parchi giochi, le biblioteche ecc.), oppure può estendersi a livello internazionale o globale (i fondali marini, l’atmosfera, Internet e la conoscenza scientifica). I beni comuni possono essere ben delimitati (come nel caso di un parco pubblico o di una biblioteca), possono attraversare confini e frontiere (il fiume Danubio, gli animali che migrano, Internet), oppure possono essere privi di confini delimitati (la conoscenza, lo strato di ozono).[7]

 

Inoltre, le due studiose ci dicono come chi si è occupato di beni comuni li differenzia in “bene comune come risorsa” e in “bene comune come regime di diritti di proprietà”:

 

i sistemi di risorse condivise - chiamate “risorse comuni” (common-pool resources) - sono tipi di beni economici, indipendenti da diritti di proprietà particolari. La “proprietà comune” (common property), d’altro canto, è un regime giuridico: un insieme di diritti legali il cui possesso è condiviso.[8]

 

Anche in Italia il dibattito riguardo ai beni comuni si è aperto a seguito dell’assegnazione del premio Nobel per l’economia ad Elinor Ostrom: esempio lampante sono le opposte posizioni del giurista Ugo Mattei, strenuo sostenitore del benicomunismo[9], e del filosofo Ermanno Vitale. Mattei individua nelle enclosures inglesi il punto di partenza per l’alleanza tra le istituzioni dello Stato e la proprietà privata che ha polverizzato i beni comuni, mettendoli ai margini. Il giurista sottolinea come a seguito della battaglia di Hastings[10], tenutasi nel 1066, Guglielmo il Conquistatore[11] riuscì a centralizzare il potere dello Stato con una struttura amministrativa gerarchica. Il filosofo, opponendosi alla visione del giurista, il quale sostiene la necessità della gestione in comune dei beni essenziali della collettività, sottolinea come l’economista Cristiano Andrea Ristuccia[12] nel suo saggio introduttivo a Governare i beni collettivi di Elinor Ostrom, “paladina” dei benecomunisti, scrive che in realtà, solitamente, i beni comuni erano riservati a pochi:

 

il bene comune in molti casi non era poi tanto comune in quanto i diritti consuetudinari di sfruttamento del bene (specialmente quelli più importanti dal punto di vista economico) costituivano appannaggio di una ristretta cerchia di privilegiati, tipicamente proprietari terrieri abbienti. Ad esempio, Shaw-Taylor dimostra come solo un quindici per cento dei lavoratori agricoli dei dieci villaggi in quattro contee del sud dell’Inghilterra da lui studiati avesse diritto di pascolo (il più importante dei commons rights in termini di sussistenza) sui commons degli insediamenti. Di per sé questo escludeva dal godimento del più importante dei diritti sul bene comune almeno la metà della popolazione (quella meno abbiente). […] Insomma, qui siamo in presenza di studi che non solo rigettano le vecchie tesi di proletarizzazione del contado a opera delle enclosures (come suggerisce Shaw-Taylor, il carattere largamente proletario dei contadini inglesi, dipendente dalla monetizzazione del proprio lavoro, era largamente affermato ben prima delle Parliamentary Enclosures), ma anche confermano dei principi dell’analisi ostromiana: quello di una chiara e definita delimitazione della comunità degli aventi diritto.[13]

 

Quindi sembra che i benecomunisti abbiano addolcito l’immagine di un Europa medievale nella quale, come scrive Giovanna Ricoveri[14]:

 

il principe riconosceva ai contadini senza terra il diritto di raccolta sulle sue terre o il diritto a coltivare un campo di sua proprietà, per permettere ai contadini di sopravvivere. In questo quadro istituzionale e sociale, i beni comuni erano la forma prevalente di organizzazione sociale e produttiva per la massa della popolazione.[15]

 

Ugo Mattei nelle sue tesi non sembra convincere neanche Settis il quale sostiene che:

 

se vogliamo affrontare efficacemente un tema tanto importante, e se vogliamo farlo oggi e non in un futuro indeterminato, è indispensabile muovere dal forte continuum che corre, pur nella reciproca diversità, fra i “beni comuni” e i “beni pubblici” della classificazione Rodotà[16]. Gli uni e gli altri rimandano a nozioni giuridiche di antica e solida memoria civile, ancora presenti nel nostro ordinamento: i primi, alle forme di proprietà collettiva che abbiamo convenzionalmente etichettato come “usi civici”; i secondi, al demanio e al patrimonio pubblico. Nella proposta Rodotà mutano i nomi e si chiariscono i perimetri, si arricchisce e muta aspetto la categoria dei “beni comuni”, ma i “beni ad appartenenza pubblica necessaria” e quelli “sociali” restano di pertinenza dello Stato e delle sue articolazioni.

Se vogliamo produrre proposte immediatamente operativa, è questo il punto di partenza necessario, che dev’essere illuminato e interpretato alla luce della Costituzione. Se, al contrario, volessimo rinviare il nuovo assetto dei beni comuni a una fase storica in cui nuovissime e imprecisate «strutture di governo partecipato e democratico», diverse da quelle oggi operanti, sostituiscano lo Stato nelle sue funzioni (ivi incluse la giurisdizione della rappresentanza politica, la regolazione del lavoro e della rendita fondiaria, l’università e la scuola…), finiremmo col concedere molto tempo, anzi troppo, a chi intanto ogni giorno d’industria a saccheggiare per proprio vantaggio tutte le possibili tipologie di beni comuni.[17]

 

 

Paesaggio

Il paesaggio ha la caratteristica di essere stato modellato dalla costante presenza dell’uomo e rispecchia quello raccontato da pittori e poeti: in Italia si è affinato quindi un senso estetico che collega le opere d’arte alla natura basandosi sulla categoria della veduta[18] che ben si assimila sia ad un quadro che ad un panorama e che sintetizza al meglio la cultura e la natura. Tutto ciò è molto ben espresso nel Viaggio in Italia, effettuato tra il 1786 e il 1788 ma pubblicato nel 1816 grazie alle sue lettere e ai suoi diari, di Johann Wolfgang von Goethe che scriveva:

 

Salito a Spoleto, mi sono recato sull’acquedotto che fa anche da ponte tra una montagna e l’altra. Le dieci arcate che scavalcano la valle se ne stanno tranquille nei loro mattoni secolari, e continuano a portar acqua corrente da un capo all’altro di Spoleto. Per la terza volta vedo un’opera costruita dagli antichi, e l’effetto di grandiosità è sempre lo stesso. Una seconda natura, intesa alla pubblica utilità: questa fu per loro l’architettura, e in tal guisa ci si presentano l’anfiteatro, il tempio e l’acquedotto.[19]

 

Goethe già sul finire del XVIII secolo, visitando il nostro Paese, osservava quanto il rapporto tra uomo e natura fosse profondo, tanto che il poeta tedesco ha sottolineato come le opere costruite dagli antichi fossero maestose e utili per la società come se fossero alla stregua di una seconda natura.

Il tema ambientale si impone, in Italia, quando con la legge 310 del 1964 viene istituita la Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio nota come Commissione Franceschini, dal nome del suo presidente Francesco Franceschini[20]. Negli atti, resi noti nel 1967, i beni culturali ambientali erano una categoria autonoma e venivano definiti come:

 

Si considerano beni culturali ambientali le zone corografiche costituenti paesaggi, naturali o trasformati dall’opera dell’uomo, e le zone delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane, che, presentando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devono essere conservate al godimento della collettività. Sono specificamente considerati beni ambientali i beni che presentino singolarità geologica, floro-faunistica, ecologica, di cultura agraria, di infrastrutturazione del territorio, e quelle strutture insediative, anche minori o isolate, che siano integrate con l’ambiente naturale in modo da formare un’unità rappresentativa. Le zone dichiarate bene ambientale possono comprendere anche cose costituenti individualmente beni di interesse storico o artistico o archeologico; in tal caso la legge dovrà prevedere che in sede di Conferenza dei Soprintendenti si adottino misure ed eventuali deleghe di competenza in funzione di coordinamento, da rendere pubbliche anche per norma degli interessati.

 

Nella Relazione Franceschini il concetto di ambiente andava a completare quello di paesaggio già presente nell’articolo 9 della Costituzione. Il concetto di ambiente come bene da difendere viene attribuito alla salvaguardia di suolo, acqua, aria e biosfera. Contemporaneamente, in tutto il mondo comincia ad affacciarsi la cultura ambientalista con la fondazione di diverse associazioni, tra cui:

-        UNESCO, la cui Costituzione venne firmata il 16 novembre 1945, entrando in vigore il 4 novembre 1946[21], mentre la Commissione Nazionale Italiana viene istituita nel 1950[22];

-        Movimento per la Protezione della Natura (1948, Italia);

-        The Nature Conservancy nasce nel 1915 chiamandosi The Ecological Society of America, prende il suo attuale nome nel 1950[23];

-        WWF, viene fondato nel 1961 in Svizzera[24];

-        FAI, il cui atto costitutivo e lo statuto vennero firmati il 28 aprile 1975[25]. Antesignano del Fondo Ambiente Italiano è il britannico National Trust fondato nel 1895[26];

-        Getty Conservation Institute[27].

Inoltre, il Consiglio d’Europa designò il 1970 come “anno della conservazione della natura” e l’Onu nel 1972 promuove la Dichiarazione di Stoccolma sull’ambiente.

In quegli anni anche in Italia vi furono delle proposte per designare il tema dell’ecologia e dell’ambiente: spicca la Prima relazione sulla situazione ambientale del Paese[28] realizzata dalla Tecneco, azienda, fondata nel 1971 da Eni[29], che si occupa di filtri aria, filtri olio, filtri carburante e filtri abitacolo, con il patrocinio del Presidente del Consiglio[30] e sotto la guida del ministero per la Ricerca Scientifica[31]. 

In precedenza, ho affermato che l’articolo 9 della nostra Costituzione introduce il concetto di ambiente. Tale articolo infatti recita:

 

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

 

Come scrive Settis in Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla, questo articolo ha tre caratteristiche fondamentali[32]:

  1. La concatenazione tra sviluppo della cultura, ricerca e tutela. Il Presidente Carlo Azeglio Ciampi[33], in un discorso tenuto presso il Palazzo del Quirinale il 5 maggio 2003, lo definì l’articolo più originale della costituzione e aggiunse che:

 

Offre un’indicazione importante sulla missione della nostra patria, su un modo di essere e di pensare al quale vogliamo e dobbiamo essere fedeli; […] la stessa connessione tra i due commi dell’articolo 9 è un tratto peculiare: sviluppo, ricerca, cultura, patrimonio, formano un tutto inscindibile. Anche la tutela dunque deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini: deve rendere il nostro patrimonio fruibile a tutti.[34]

 

2       Il legame tra la tutela del paesaggio e quella del patrimonio storico e artistico. Già il 21 agosto 1745 il vicerè Bartolomeo Corsi firmò un Ordine del Real Patrimonio di Sicilia che esigeva la conservazione delle antichità di Taormina e i boschi intorno il Monte Etna.  Da questo modello discende il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, che ha il suo antecedente nelle leggi Bottai[35], approvate nel giugno 1939[36].

3       La corrispondenza tra il principio giuridico di paesaggio e quello di ambiente. Nella Carta Costituzionale non si trova traccia della parola «ambientale», ma la Corte Costituzionale ha affermato che:

 

la tutela dell’ambiente è valore costituzionale primario e assoluto, in quanto espressione dell’interesse dei cittadini

 

ciò è dato dalla convergenza dell’articolo 9 con un altro articolo della Costituzione, il 32, che al primo comma recita:

 

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

 

Secondo questa idea di ambiente il danno ambientale, ossia l’inquinamento, viene equiparato al danno paesaggistico, quindi la cementificazione: quindi diventa essenziale proteggere i suoli agricoli[37].

 

 

Cosa possiamo fare noi?

Come dobbiamo muoverci noi cittadini per evitare che l’abbandono del bene comune vada a danneggiare l’ambiente che ci circonda? Settis ci mostra tre soluzioni per ovviare al degrado dei beni comuni[38]:

1.     Conoscere la Costituzione che i cittadini devono usare per difendere i propri diritti, perché è proprio nella Costituzione che vediamo difesa la nostra memoria e le basi per il nostro futuro.

2.     Il buon funzionamento e l’incorruttibilità delle istituzioni. Perché il sempre più presente malfunzionamento delle istituzioni è dovuto ad un cosciente impoverimento degli organismi predisposti alla tutela.

3.     L’azione popolare: i cittadini davanti al deterioramento del paesaggio devono farsi parte in causa. Sia la Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale firmata ad Aarhus, in Danimarca, nel 1998 ed entrata in vigore nel 2001, che le direttive europee, di tema ambientale, 2003/4 e 2003/35, recepite in Italia rispettivamente nel 2005 e nel 2008, esortano l’azione popolare che è comunque prevista dalle leggi italiane[39]. Esempio è la legge 241 del 1990 che all’articolo 9 recita:

 

Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento (Legge 7 agosto 1990, n. 241).

 

Queste tre strade proposte da Salvatore Settis sono fondamentali per cercare di risolvere il problema ma, a mio avviso, oltre a sperare che le istituzioni siano incorrotte e funzionino correttamente, il popolo deve essere cosciente di ciò che c’è scritto sulla Costituzione e di cosa possono realmente fare, esercitando la propria cittadinanza, tramite l’azione popolare davanti la distruzione del paesaggio.

Con “azione popolare” si intende l’adesione dei cittadini ad associazioni, come il WWF[40], Italia Nostra[41] e Legambiente[42], che si occupano di ambiente e beni comuni a livello nazionale. L’”azione popolare” non va confusa con la “cittadinanza attiva” che invece prevede l’insieme di forme di auto-organizzazione che comportano l’esercizio di poteri e responsabilità nell’ambito delle politiche pubbliche[43].

Charlotte Hess ed Elinor Ostrom riguardo a quella che loro definiscono azione collettiva affermano che:

 

i beni comuni prodotti collettivamente richiedono una forte azione collettiva e solidi meccanismi di autogoverno, oltre a un livello elevato di capitale sociale da parte dei protagonisti dell’iniziativa.[44]

 

La partecipazione della collettività alla vita amministrativa del Paese è sancita dal terzo comma dell’articolo 118 della Costituzione che recita:

 

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

 

Per definirsi queste associazioni usano il termine società civile che spesso sta ad indicare personalità come banchieri ed imprenditori che per salvaguardare i propri interessi, e di pochi altri, “scendono in politica” perché ritengono la classe politica inadeguata. Come dice Settis nel già citato Azione popolare. Cittadini per il bene comune sentiamo la necessità di una società civile che:

 

opera mossa non da interessi di parte ma per il bene comune. Che antepone la democrazia e la libertà dei cittadini al profitto della finanza e di imprese parassitarie incapaci di civiltà, distruttrici di socialità. Che con lungimiranza bifronte costituisce il futuro in nome di valori che vengono (anche) dal passato. Che si riconosce nella Costituzione, nella legalità e nello Stato, e perciò chiede alla politica di ripudiare l’usuale “normativa sulle apparenze”, tutta imperniata sulle parole e sugli effetti-annuncio, e di governare il cuore dei problemi, il destino degli uomini e delle cose.[45]

 

A partire dagli anni 2000 l’azione popolare diventa, prendendo ad esempio gli Stati Uniti, class action. Oltreoceano c’è una normativa a proposito sin dal 1912, in cui si specifica che:

 

la class action si fonda sull’iniziativa individuale o collettiva di soggetti che ritengono di aver subito un danno; gli effetti del giudizio riguardano anche le persone che, avendo subito lo stesso danno, appartengono allo stesso gruppo (class), a meno che non vi rinuncino espressamente (opt-out).[46]

 

Nel nostro Paese la class action viene istituita con il decreto legislativo 198 del 20 dicembre 2009 che al primo comma recita:

 

Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione  di  un  servizio,  i  titolari  di  interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di  utenti  e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se  derivi  una  lesione  diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o  dalla  mancata  emanazione   di   atti   amministrativi   generali obbligatori  e   non   aventi   contenuto   normativo   da   emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli  obblighi  contenuti  nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard  qualitativi  ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi  pubblici,  dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo  del  settore  e, per  le  pubbliche  amministrazioni,   definiti   dalle   stesse   in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.

 

Il primo successo della class action in Italia è la sentenza 3512 emanata nel 2011 dal Consiglio di Stato a favore dell’istanza del Codacons contro le cosiddette “aule-pollaio” determinate da un decreto dell’allora ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini[47].

L’azione popolare non va considerata come l’unico rimedio a tutti i mali ma, per dirla con le parole di Salvatore Settis:

 

come una fase intermedia, necessaria perché i cittadini facciano sentire la propria voce, perché esercitino una forte influenza sulle organizzazioni politiche e le istituzioni di governo, spingendole a cambiare radicalmente la rotta. Per ricreare la cultura che muove le norme, ripristina la legalità, si fonda sulla sovranità, fa perno sull’interesse collettivo e sulla progettazione del futuro, l’idea di bene comune e quella di azione popolare sono due facce della stessa medaglia. Azione popolare è diritto e dovere di resistenza collettiva al degrado delle città e delle campagne, alla razzia del paesaggio, all’esilio della cultura e del lavoro, alla spoliazione dei diritti; è promuovere singole azioni di contrasto agli atti dei poteri pubblici che vadano contro il pubblico interesse, ma anche metterle in rete fra loro; è costruire una larga base d’informazione, di analisi, di consapevolezza. Vuol dire far esplodere le contraddizioni insanabili fra il dettato costituzionale e le leggi che lo ignorano e lo aggirano, tra le norme di garanzia e le deroghe e i condoni che le annientano. Vuol dire riconquistare, in prima persona, un pieno diritto di cittadinanza, in nome della sovranità popolare, della moralità e della legalità costituzionale. Vuol dire esercitare con responsabilità e nella sua massima estensione il potere negativo dei cittadini, e farlo sia in presenza di norme esplicite sia quando esse appaiono carenti.[48]

 

Per concludere sul tema dell’azione popolare vorrei citare nuovamente le parole Settis, pronunciate in occasione di un corso promosso da Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onorario del FAI, presso la tenuta di Zelata dell’azienda agricola Cascine Orsine, riguardo temi di consapevolezza spirituale verso il mondo sociale e agricolo[49]:

 

Si suol dire che «La bellezza salverà il mondo». È una citazione dall’Idiota di Dostoevskij. Sono parole che Dostoevskij mette in bocca al principe Myškin, il protagonista del romanzo, e che in Italia si citano ormai spessissimo. Nel libro, le parole del principe Myškin, ripetutamente deriso per averle dette, hanno un contenuto intensamente mistico, sul quale oggi non vorrei insistere. Mi preme piuttosto dire che troppo spesso sento usare questa frase come un mantra consolatorio (e liberatorio), ma invariabilmente fuori contesto. Io vorrei piuttosto dire che la bellezza non salverà il mondo se noi non salviamo la bellezza.[50]

 

 

Patrimonio in vendita?

Questa domanda sorge in seguito al decreto legge n.63 sulle Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture, il cosiddetto decreto Tremonti[51] del 15 aprile 2002, diventato legge il 15 giugno dello stesso anno. All’articolo 7 si occupa della Patrimonio dello Stato S.p.a., una vera e propria società per azioni che si occupa di realizzare attività di interesse pubblico[52]:

 

1. Per la valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato è istituita una società per azioni, che assume la denominazione di “Patrimonio dello Stato S.p.a.”.

2. Il capitale sociale è stabilito in 1.000.000 euro.

3. Le azioni sono attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze. Il Ministero può trasferire a titolo gratuito la totalità delle azioni, o parte di esse, esclusivamente alla Cassa depositi e prestiti, alla società di cui all’articolo 8, a società da queste controllate, ovvero ad altre società di cui il Ministero comunque detenga, direttamente o indirettamente, l’intero capitale sociale.

4. La società opera secondo gli indirizzi strategici stabiliti dal Ministero.

5. L’approvazione dello statuto e la nomina dei componenti degli organi sociali previsti dallo statuto stesso sono effettuati dalla prima assemblea, che il Ministro dell’economia e delle finanze convoca entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento.

6. Il rapporto di lavoro del personale dipendente della società è disciplinato dalle norme di diritto privato e dalla contrattazione collettiva.

7. La pubblicazione del presente decreto tiene luogo degli adempimenti in materia di costituzione di società per azioni previsti dalle vigenti disposizioni.

8. Gli atti posti in essere in attuazione del presente articolo per la costituzione della società sono esclusi da ogni tributo o diritto.

9. All’onere derivante dal presente articolo, pari a 1.000.000 di euro, si provvede per l’anno 2002, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2002- 2004, nell’ambito dell’unità previsionale di base di conto capitale “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, utilizzando per 1.000.000 di euro l’accantonamento relativo al Ministero medesimo. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

10. Alla Patrimonio dello Stato S.p.a. possono essere trasferiti diritti pieni o parziali sui beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato, sui beni immobili facenti parte del demanio dello Stato e comunque sugli altri beni compresi nel conto generale del patrimonio dello Stato di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, ovvero ogni altro diritto costituito per legge a favore dello Stato. Modalità e valori di trasferimento e di iscrizione dei beni nel bilancio della società sono definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in deroga agli articoli 2254, 2342 e seguenti, del codice civile. Il trasferimento può essere operato con le modalità e per gli effetti previsti dall’articolo 3, commi 1, 16, 17, 18 e 19, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410. Il trasferimento di beni di particolare valore artistico e storico è effettuato di intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali. Il trasferimento non modifica il regime giuridico, previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del codice civile, dei beni demaniali trasferiti. Restano comunque fermi i vincoli gravanti sui beni trasferiti e, sino al termine di scadenza prevista nel titolo, i diritti di godimento spettanti a terzi.

11. La società può effettuare operazioni di cartolarizzazione, alle quali si applicano le disposizioni contenute nel decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.

12. I beni della Patrimonio dello Stato S.p.a possono essere trasferiti alla società di cui all’articolo 8 con le modalità previste al comma 10.

 

Ovviamente le contestazioni alla norma furono molte, tanto che venne ritoccata in tre diversi punti:

 

1) Si aggiunse che l’istituzione della «Patrimonio dello Stato S.p.a.» doveva esser fatta «nel rispetto dei requisiti e delle finalità proprie dei beni pubblici» (art. 7, comma 1).

2) Anziché lasciare l’intero funzionamento della Società nelle sole mani del ministero dell’Economia, si aggiunse (art. 7, comma 4) che le sue direttiva strategiche devono basati su «direttiva di massima» elaborate dal Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica).

3) Si aggiunse all’art. 7 un comma 12-bis col quale si prescrive che il conto consuntivo della «Patrimonio dello Stato S.p.a.» dev’essere allegato ogni anno al rendiconto generale dello Stato (dunque passare per la Corte dei Conti).[53]

 

Salvatore Settis nel suo Italia S.p.a. L’assalto al patrimonio culturale, un libro che, come ha detto il critico letterario Cesare Garboli, assegnandogli nel 2003 il Premio Letterario Viareggio Rèpaci[54], settore saggistica, dovrebbero leggere tutti gli italiani perché ci riguarda tutti[55], legge positivamente le correzioni:

 

nel senso che richiamano seppur vagamente il carattere di bene pubblico del patrimonio dello Stato (la prima), delimitano l’arbitrio di un solo ministro (la seconda) e legano più strettamente allo Stato una società che potenzialmente allo Stato può togliere tutto il suo patrimonio immobiliare.[56]

 

Dal punto di vista pratico la Patrimonio dello Stato S.p.a sembra avere l’incarico di amministrare al meglio gli immobili che appartengono allo Stato mentre la Infrastrutture S.p.a. (gruppo a cui il Ministro dell’Economia, tramite decreto, può cedere tutto il patrimonio) ha come scopo la cessione di beni pubblici, tra cui ovviamente rientrano anche i beni culturali, con l’intento di sovvenzionare le opere pubbliche. La critica mossa da Salvatore Settis riguarda la confusione rispetto all’attribuzione dei ruoli circa la tutela del patrimonio, su chi si dovrà occupare di determinare il valore dei beni artistici (decreto Tremonti, articolo 7, comma 10) dato che il trasferimento di beni di particolare valore artistico e storico è effettuato di intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali[57]. Quindi Settis si domanda:

 

chi «misurerà», immobile per immobile, quanto il valore ne sia «particolare» al punto da richiedere, mentre le banche premono, la firma di un altro ministro? Con quali criteri, e da chi fissati, sarà stabilito quel valore? Infine: l’art. 7 (comma 10) prevede che il trasferimento di proprietà dallo Stato alla «Patrimonio S.p.a.» «non modifica il regime giuridico previsto dagli artt. 823 e 829 del codice civile dei beni demaniali trasferiti». Ma come è possibile, se gli articoli del codice civile richiamati garantiscono l’inalienabilità dei beni demaniali, e in particolare di quelli di valore storico e artistico? Delle due l’una: o i beni demaniali sono inalienabili, e allora non possono essere trasferiti alla «Patrimonio S.p.a.», o la nuova legge li rende alienabili, e allora non ha senso che essa richiami le garanzie di inalienabilità del codice civile. Chi vince, il vigente codice civile o la norma escogitata dal ministro Tremonti? Questa contraddizione è uno sbaglio o una furberia?[58]

 

Quando arrivò il momento di convertire in legge il decreto Tremonti, furono presentanti degli emendamenti tra i quali l’aggiunta al già citato articolo 7 del comma 10 bis il quale prevede che:

 

per gli immobili demaniali sinora concessi in uso gratuito a tutte le amministrazioni dello Stato il ministro dell’Economia, con suo semplice decreto, può stabilire la misura di un «canone d’uso» (leggi affitto), fissato, sempre dal ministro, sulla base dei «prezzi di mercato dei beni medesimi».[59]

 

Settis a questo punto getta luce su chi siano in realtà le amministrazioni dello Stato che stando al comma 10 bis dovranno pagare l’affitto istituzioni come i tribunali, le scuole, le università, le soprintendenze che sono state sempre accolte gratuitamente in edifici proprietà dello Stato:

 

In altri termini, lo Stato funziona mediante le proprie strutture ospitandole in edifici di sua proprietà. Sembrerebbe logico; ma da ora in poi, minaccia la nuova legge, non sarà più così. Lo Stato si sdoppia, divorzia da se stesso, paga a se stesso l’affitto, naturalmente secondo i prezzi di mercato.[60]

 

La Patrimonio dello Stato S.p.a. ebbe vita breve: nel 2006 fu inglobata da Fintecna[61], finanziaria partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre il 31 dicembre 2010 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto sulla «Riacquisizione in proprietà dello Stato di immobili trasferiti alla “Patrimonio dello Stato Spa”» che prevedeva la riacquisizione da parte dello Stato di una serie di immobili che erano stati precedentemente attribuiti alla suddetta società[62]. In un’intervista concessa a Dario Pappalardo de «la Repubblica» il 6 agosto 2015 Salvatore Settis afferma che:

 

il progetto dell’allora ministro Tremonti di svendere il patrimonio demaniale è fallito. Ma non si può cantare vittoria, dato che si continua a svendere i beni pubblici, delegando l’iniziativa a Regioni e Comuni in modo che non si colga il disegno d’insieme. Inoltre, le regole per la tutela del paesaggio si allentano continuamente, e sarà ancor peggio quando i soprintendenti, esautorati, ubbidiranno ai prefetti. Ma il Paese resta ricco di anticorpi nella società e nelle istituzioni. Possiamo trovare ancora dei contravveleni al degrado che incombe.[63]

 

Inoltre, è necessario pensare ad un circolo virtuoso ed economicamente sostenibile riguardo tutela, valorizzazione e fruizione. Un esempio è quello del sito archeologico, rientrante nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità, di Paestum che ha iniziato a raccogliere fondi da privati per sostenere le spese necessarie alla propria conservazione e valorizzazione. Nell’articolo[64] dedicato a questa tematica da «il Sole 24 Ore» ci viene raccontato di come la campagna di fundraising “Live for Paestum” si sia prefissa di raccogliere 56.000€ per scavare e musealizzare la Casa dei Sacerdoti: per raccogliere la gran parte dei fondi è stato organizzato un evento in cui gli chef Massimo Bottura, Heinz Reitbauer e Sven Elverfeld hanno realizzato, all’interno del parco, una cena da 800€ per 90 persone. In un anno di attività la direzione del parco archeologico è riuscita a concludere altri due progetti di fundraising: il Circolo di Athena, ossia un progetto di corporate membership per restaurare e valorizzare il tempio di Athena, e Adotta un Blocco di Mura a Paestum, una campagna in cui singolarmente si poteva contribuire adottando uno o più blocchi di mura della città.

Secondo l’ultimo Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile[65] sebbene nel 2016 la spesa pubblica per i servizi culturali sia stata pari allo 0,31% del Pil, ovvero più bassa della media dell’Unione Europea, l’Italia è risultata tra i paesi che hanno investito maggiormente  per la protezione della biodiversità e del paesaggio (anche se si tratta solo dello 0,17% del Pil, mentre in Europa si spende in media lo 0,07%): sommando le spese di entrambi i settori il nostro Paese spende in totale lo 0,48% del Pil, ossia lo 0,003% in meno rispetto la media dell’Unione Europea. Secondo il BES del 2018 l’estensione di parchi, ville e giardini storici è pari a più di 74 milioni di m2: 1,9 ogni 100 di superficie urbanizzata. Il BES del 2018 rileva come la tutela del patrimonio paesaggistico e storico-artistico della Nazione, prevista dal più volte citato articolo 9 della Costituzione, non trovi uguale compimento nel territorio nazionale: il centro-nord spende il triplo del mezzogiorno (49,6€ pro capite in Trentino-Alto Adige a fronte dei meno di 5€ pro capite della Campania).

A seguito di queste considerazioni appare pertanto evidente quanto sia importante che ogni cittadino si interessi direttamente alla tutela dei beni storico-artistici e del paesaggio, ossia dei nostri beni comuni.












NOTE

[2] MAL style: Elinor Ostrom – Facts. NobelPrize.org. Nobel Media AB 2019. Fri. 21 Jun 2019. Ultimo accesso effettuato il 18 marzo 2019, https://www.nobelprize.org/prizes/economic-sciences/2009/ostrom/facts/

[3] Nel 1965 pubblica, su Harvard University Press, The Logic of Collective Action: Public Goods and the Theory of Groups.

[4] Nel 1968 pubblica, su Science, un articolo intitolato The Tragedy of the Commons.

[5] SETTIS 2012, pp. 89-90.

[6] Ibidem, p. 90.

[7] Charlotte HESS, Elinor OSTROM, La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica, Milano, Mondadori, 2009, pp. 5-6.

[8] Ibidem, p. 6.

[9] Termine che sta a rappresentare il movimento che si oppone alla privatizzazione dei beni comuni. Benicuminismo, in Vocabolario, Neologismi, 2013, Treccani, ultimo accesso effettuato l’08 aprile 2019, http://www.treccani.it/vocabolario/benicomunismo_%28Neologismi%29/

[10] Treccani, Enciclopedia online, ad vocem Battaglia di Hastings, ultimo accesso effettuato il 28 maggio 2018,

http://www.treccani.it/enciclopedia/battaglia-di-hastings

[11] TRECCANI, ad vocem Guglielmo il Conquistatore, ultimo accesso effettuato il 28 maggio 2018,

 http://www.treccani.it/enciclopedia/guglielmo-i-il-conquistatore-re-d-inghilterra/

[12] http://www.econ.cam.ac.uk/people/cto/car37 (ultima consultazione 28 maggio 2018)

[13] Cristiano Andrea RISTUCCIA, Alla ricerca di un buon modello per l’uso delle risorse comuni. Una verifica storica fra open field system, regole ampezzane e partecipanze emiliane, in Elinor OSTROM, Governare i beni collettivi, Venezia, Marsilio, 2006, pp. IX-XVIII, pp. XXI-XXII.

[14] Giovanna Ricoveri, in “il Fatto Quotidiano.it”, ultimo accesso effettuato il 28 maggio 2018,

https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/gricoveri/

[15] Giovanna RICOVERI, Beni comuni vs. merci, Milano, Jaca Book, 2010, p. 29.

[16] La Commissione Rodotà è stata istituita presso il Ministero della Giustizia, con Decreto del ministro Mario Clemente Mastella, il 21 giugno 2007, per lavorare ad uno schema di legge delega per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici.

[17] SETTIS 2012, pp. 111-112.

[18] Carlo BERTELLI, Giuliano BRIGANTI, Antonio GIULIANO, Storia dell’arte italiana, vol. 3, Milano, Bruno Mondadori, 2009, pp. 422-423.

[19] Johann Wolfgang GOETHE, Viaggio in Italia, Milano, Mondadori, 1983, p. 133.

[20] Camera dei deputati. Portale Storico, Parlamento italiano, scheda su Francesco Franceschini, ultimo accesso effettuato il 30 maggio 2018, http://storia.camera.it/deputato/francesco-franceschini-19080222/organi#nav

[21] UNESCO, Chi siamo > Convenzione di Londra 16 novembre 1945, ultimo accesso effettuato il 30 maggio 2018,

http://www.unesco.it/it/ChiSiamo/Detail/202

[22] UNESCO, Chi siamo > Il nostro ruolo, ultimo accesso effettuato il 30 maggio 2018, http://www.unesco.it/it/ChiSiamo/Detail/201

[23] Il cui obiettivo è preservare terre e acque dalle quali dipende la nostra vita. The Nature Conservancy, About us > Our History, ultimo accesso effettuato il 30 maggio 2018, https://www.nature.org/about-us/vision-mission/history/index.htm?intc=nature.tnav.about

[24] World Wide Fund for Nature, abbreviato in World Wildlife Fund o WWF. WWF Italia, ultimo accesso effettuato il 20 giugno 2018, https://www.wwf.it/

[25] FAI – Fondo Ambiente Italiano, Il FAI > Storia, ultimo accesso effettuato il 30 maggio 2018, https://www.fondoambiente.it/il-fai/storia/

[26] National Trust, Home > About the National Trust, ultimo accesso effettuato il 30 maggio 2018, https://www.nationaltrust.org.uk/features/about-the-national-trust

[27] The Getty Store, About Us, ultimo accesso effettuato il 30 maggio 2018, https://shop.getty.edu/pages/about-us

[28] Scritta tra il 1972 e il 1973, presentata alla popolazione il 29 giugno 1973 e pubblicata l’anno successivo.

[29] Acronimo di Ente Nazionale Idrocarburi, venne fondato dallo Stato italiano nel 1953. Con tale Relazione Raffaele Girotti, presidente dell’Eni dal 1971 al 1975, voleva compensare le accuse di inquinamento rivolte all’Eni con una ricerca sull’ambiente del nostro Pese.

[31] Al cui capo c’era Riccardo Misasi. CAMERA DEI DEPUTATI, scheda su Governo Colombo, http://storia.camera.it/governi/i-governo-colombo

[33] Presidenza della Repubblica, Presidenti > Carlo Azeglio Ciampi, ultimo accesso effettuato il 31 maggio 2018, http://presidenti.quirinale.it/Ciampi/cia-biografia.htm

[35] CAMERA DEI DEPUTATI, scheda su Giuseppe Bottai, ultimo accesso effettuato il 31 maggio 2018, http://storia.camera.it/deputato/giuseppe-bottai-18951103#nav

[36] SETTIS 2016, p. 144.

[37] Ibidem.

[38] SETTIS 2013.

[40] L’intento del WWF è quello di ostacolare l’incuria a cui va incontro il nostro Pianeta. WWF ITALIA.

[41] Italia Nostra si occupa della protezione dei beni culturali, artistici e naturali. Italia Nostra onlus. Associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione, ultimo accesso effettuato il 20 giugno 2018, http://www.italianostra.org/

[42] Legambiente organizza attività di volontariato volte a tenere alta l’attenzione riguardo le emergenze ambientali del Paese. Legambiente, ultimo accesso effettuato il 20 giugno 2018, https://www.legambiente.it/

[43] Giovanni MORO, La cittadinanza attiva: nascita e sviluppo di un’anomalia,  in L’Italia e le sue Regioni, Treccani, 2015, ultimo accesso effettuato il 22 giugno 2018, http://www.treccani.it/enciclopedia/la-cittadinanza-attiva-nascita-e-sviluppo-di-un-anomalia_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/

[44] HESS-OSTROM 2009, p. 7.

[45] SETTIS 2012, pp. 207-208.

[46] Ibidem, p. 223.

[47] Simona DE SANTIS, Classi pollaio, bocciata la Gelmini. Il Consiglio di Stato: valida la class action, in “Corriere della sera”, 15 giugno 2011, https://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/11_giugno_15/stop-classi-pollaio-codacons-vince-desantis-190872198770.shtml

[48] SETTIS 2012, pp. 227-228.

[50] Ibidem, pp. 18-19.

[51] CAMERA DEI DEPUTATI, scheda su Giulio Carlo Danilo Tremonti, ultimo accesso effettuato il 23 giugno 2018.

http://storia.camera.it/deputato/giulio-carlo-danilo-tremonti-19470818#nav

[52] Patrimonio dello Stato, in Enciclopedia, Dizionario di economia e finanza, 2012, Treccani, ultimo accesso effettuato il 23 giugno 2018, http://www.treccani.it/enciclopedia/patrimonio-dello-stato_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

[54] Premio Letterario Viareggio Rèpaci, ultimo accesso effettuato l’08 aprile 2019, http://www.premioletterarioviareggiorepaci.it/premi/vincitori/1-Premio%20Letterario%20Viareggio-R%C3%A8paci

[55] Giulio Einaudi editore, Salvatore Settis. Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, ultimo accesso effettuato l’08 aprile 2019,

https://www.einaudi.it/catalogo-libri/storia/italia-s-p-a-salvatore-settis-9788858414330/

[56] Ibidem.

[57] SETTIS 2002, pp. 125-126.

[58] Ibidem, p. 126.

[59] Ibidem, p.128.

[60] Ibidem.

[61] Fintecna, ultimo accesso effettuato il 23 giugno 2018, http://www.fintecna.it/

[62] Denise LA MONICA, Patrimonio Spa: pentiti?, in “Il Giornale dell’Arte”, 306, febbraio 2011, http://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/2011/2/106386.html

[63] Dario PAPPALARDO, Salvatore Settis: L’Italia Spa è sempre in vendita. La riforma dei Beni culturali, il Colosseo trasformato in arena, Pompei, le soprintendenze indebolite: la parola dello storico dell’arte, in “la Repubblica”, 6 agosto 2015, http://www.repubblica.it/cultura/2015/08/06/news/salvatore_settis_l_italia_spa_e_sempre_in_svendita_-120513809

[64] Roberta CAPOZUCCA, Nuovi modelli di sostenibilità del Parco Archeologico di Paestum, in “Il Sole 24 Ore”, 28 aprile 2018, https://www.ilsole24ore.com/art/arteconomy/2018-04-28/nuovi-modelli-sostenibilita-parco-archeologico-paestum-111141.shtml?uuid=AEcGNGgE&refresh_ce=1

[65] Il BES è un indice, realizzato dall’ISTAT e dal CNEL, che stima il progresso della società dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Istat Istituto Nazionale di Statistica, bes 2018. Il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma, Istituto nazionale di statistica, 2018.









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