Questo
articolo vuole analizzare la presenza e il passaggio dei cavalieri
templari in alcune zone della provincia di Caserta. Per
secoli, essi acquisirono potere e ricchezze, poi vennero accusati di
eresia e il loro ordine fu soppresso; molte loro proprietà vennero
confiscate, essi furono condannati e investiti in qualche caso da una
sorta di damnatio
memoriae.
Per questo motivo, sono pochi i resti delle strutture a loro
appartenute, come chiese, castelli o impianti ospedalieri e sono
incerte le fonti storiche. Ma si trovano molti simboli
riconosciuti sulle
pareti di diversi edifici e attribuiti al loro ordine in base a
confronti con altri luoghi appartenuti realmente ai Templari. Durante
il Medioevo, la Campania è stata attraversata da pellegrini e
viandanti che potevano trovare ristoro nelle mansiones
ubicate lungo importanti arterie di comunicazione come la via Appia
e
la via Casilina
e sicuramente è stata necessaria la protezione da parte dei
cavalieri templari dai briganti.
Dati
storici sulla nascita dell’ordine templare
Nel
XII secolo ci fu l’avvento delle crociate, indette dal papa Urbano
II, per la liberazione della Terra Santa dai musulmani. In tale
contesto nacquero nuove figure nel mondo medievale accanto a quelle
dei pontefici, degli imperatori e dei cavalieri; si trattava di
novità importanti destinate a segnare profondamente la storia
dell’uomo e della Chiesa: gli ordini religiosi cavallereschi. Il
più famoso e uno dei più antichi è stato quello dei Cavalieri
Templari, chiamato così perché il re di Gerusalemme Baldovino II
(1118-1131) concesse loro come sede un'ala del suo palazzo, contiguo
alla moschea di Al-Aqsa, sulle rovine del Tempio di Salomone
(fig.01). Riuniti sotto l’insegna della croce e guidati dal motto
papale “Dio
lo vuole!”,
i cavalieri che ne facevano parte, combattevano gli infedeli e i
briganti che assalivano e depredavano i pellegrini cristiani durante
il loro viaggio verso Gerusalemme. Erano noti anche come “pauperes
commilitones Christi templique Salomonis”,
perché le loro prerogative erano la miseria e il duplice ruolo di
cavaliere e monaco. Infatti, ognuno di essi faceva voto di castità,
obbedienza e povertà, come avveniva solitamente nella tradizione
monastica.
Avvolti
da misteri e leggende, come quello del Sacro Graal, i Templari hanno
affascinato fin dall’antichità studiosi sia cristiani che laici,
storici e archeologi. I cavalieri si distinguevano in quanto
indossavano una veste bianca su cui campeggiava una croce di colore
rosso (fig.02).
Gli
obiettivi della loro missione erano molto chiari, anche se la
scarsità di documenti scritti e coevi al loro periodo storico,
lascia ancora molte incertezze su come e quando sia nato
effettivamente il loro Ordine. Qualche sporadica notizia è stata
fornita dagli storici Michele il Siriano, Guglielmo di Tiro e Giacomo
di Vitry, i quali hanno menzionato un atto notarile che avrebbe
suggellato la presenza dei cavalieri templari nel mondo
ecclesiastico.
Secondo
gli storici Jean-Luc Aubarbier e Michel Binet, il fondatore
dell’ordine fu il nobile Hugues de Payns, originario della Francia
(fig.03). Questa ipotesi è stata appoggiata per molto tempo dagli
studiosi, perché anche Bernardo di Chiaravalle, monaco cistercense,
ispiratore della
futura regola dell’ordine, amico (e forse parente) di Hugues, fu
originario della stessa regione, quella dello Champagne.
Esiste un altro collegamento tra i due personaggi: Bernardo compose
un’opera L’elogio
della nuova cavalleria,
dedicandola proprio a Hugues de Payns ed esortando i cavalieri
templari a compiere bene i propri doveri. Egli li ha sempre
giustificati nel momento in cui essi uccidevano i nemici, perché,
secondo lui non commettevano omicidio, proibito dai comandamenti, ma
non facevano altro che estirpare il male e eliminare gli infedeli.
Secondo
altri
studiosi, invece, tra cui Domenico Rotundo, il suo fondatore sarebbe
stato Ugo dei Pagani, dei marchesi di Bracigliano, latinizzato in
Hugo de Paganis, originario della località
Pagani, nei pressi di Nocera Inferiore, città della Campania.
La
località avrebbe preso il nome proprio dall’omonima famiglia, che
si sarebbe insediata là intorno al 1020 e che sarebbe stata al
servizio della vicina città di Amalfi, in particolare in occasione
della Prima Crociata, inviando molti cavalieri, tra cui proprio Ugo.
Anche
lo storico Guglielmo di Tiro lo menziona nella sua opera così: nello
stesso anno (1118), alcuni nobili cavalieri, pieni di devozione per
Dio, religiosi e timorati di Dio, rimettendosi nelle mani del signore
patriarca per servire Cristo, professarono di voler vivere
perpetuamente secondo le consuetudini delle regole dei canonici,
osservando la castità e l'obbedienza e rifiutando ogni proprietà.
Tra loro i primi e i principali furono questi due uomini venerabili,
Ugo de Paganis e Goffredo di Santo Aldemaro….
Gli
ultimi studi, condotti dallo storico contemporaneo Mario Moiraghi,
che ha pubblicato diversi libri sull’ordine dei Templari e sul loro
fondatore, ribadiscono l’origine italiana di Ugo de Paganis.
Lo
storico ritiene che Ugo fosse nato da nobili salernitani, Pagano ed
Emma de Paganis, che si sarebbero poi trasferiti a Fiorenza, piccolo
centro della provincia di Potenza. Aggiunge che l’ordine sarebbe
stato fondato nell’anno 1100 da Ugo e non nel 1118, come invece ha
sempre sostenuto la storiografia francese. A testimonianza della sua
ipotesi, ci sarebbe una lettera inviata dallo stesso Ugo nel 1103 da
Gerusalemme allo zio Leonardo Amarelli, nella quale si menzionava già
l’esistenza dell’ordine cavalleresco.
A
difesa delle sue ipotesi, ci sarebbe un articolo, pubblicato sulla
Gazzetta del Mezzogiorno nel 2010, che menzionerebbe un documento,
custodito nella Biblioteca
Nazionale di Napoli e che elencherebbe i
beni di proprietà dei cavalieri guerrieri nella zona della «Difesa
San Martino» a Fiorenza
e riconducibili ai Pagani. Simboli e toponimi di località vicine
farebbero ipotizzare la presenza di una chiesa e di una commenda
templare, anche se la scienza non ha ancora confermato ciò.
Tra
i toponimi più rilevanti vi è quello del comune di Vaglio di
Basilicata, che deriverebbe non dal latino Vallum,
bensì dal celtico Balim,
in ricordo di Balivo, nome col quale si era soliti indicare il
dignitario dell'Ordine del Tempio. Anche gli edifici e i loro simboli
confermerebbero la presenza dei Templari, come la torre ottagonale,
le croci patenti e la raffigurazione di Maria Maddalena che porta
gigli, simboli merovingi. Alcuni Vangeli gnostici considererebbero
lei sposa di Cristo e i Merovingi, loro discendenti.
Qualunque
sia la verità, la Lucania ha rappresentato sicuramente una delle
mete di passaggio e soggiorno per coloro che dovevano raggiungere
Brindisi e imbarcarsi verso la Terra Santa.
Un
altro articolo, risalente al 2002 e pubblicato on line
dall’Associazione O.S.M.T.J., conferma che Ugo de Paganis visse a
Pagani e che frequentò il Battistero Paleocristiano della chiesa di
Santa Maria Maggiore, nell'attuale Nocera Superiore, che prima faceva
parte dei territori dell’antica Pagani. La cosa interessante è che
su alcuni lati del battistero ci sarebbero delle croci, molto
somiglianti alla “Croce Patente” dei Templari
(fig.04).
Sono
stati molti gli attacchi di studiosi e appassionati di storia
medievale rivolti a Moiraghi, il quale, secondo costoro, avrebbe
solamente dedotto l’esistenza dell’organizzazione dei cavalieri
prima dell’anno 1100 a Gerusalemme, senza che vi fosse una
citazione specifica. Sarebbe stata messa in dubbio anche la
nazionalità italiana di Ugo de Paganis, il suo collegamento con il
centro di Fiorenza e il suo ruolo di fondatore dell’ordine.
Tali
questioni sono ancora aperte e i dubbi persistono. Qualsiasi ipotesi
sull’origine del Primo Maestro dei Templari sia veritiera, l’unico
dato certo è che essi, tra il XII e XIII secolo, raggiunsero un
forte potere economico e culturale, crebbero divenendo sempre più
influenti e ricchi e acquistarono territori in tutta Europa,
soprattutto in Francia ed in Italia, dove furono fondate le chiese e
le commende più importanti.
Anche
quando la Terra Santa fu nuovamente e definitivamente perduta, il
loro ordine continuò a prosperare e proseguirono la loro opera di
difesa dei pellegrini in Europa lungo le strade
che conducevano ai principali luoghi di culto del tempo: il Santuario
di San Giacomo di Compostela in Galizia (Spagna) e la Basilica di San
Pietro a Roma.
Le
immense ricchezze accumulate fecero di loro dei veri e propri
banchieri e, forse, anche le personalità più ricche e potenti
d’Europa a tal punto che molti sovrani (tra cui il re di Francia,
Filippo IV) ricorsero a loro per prestiti finanziari e si
indebitarono: i Templari sono stati, probabilmente, i precursori del
moderno sistema bancario con l’invenzione della "lettera di
cambio", antenata degli attuali assegni circolari, mentre le
loro sedi di reclutamento, sparse in tutta Europa, divennero una
sorta di antenate delle “multinazionali” moderne.
La
fine del loro ordine è intrisa di dati storici e dati romanzati ed è
probabilmente collegata all’antipatia e all’invidia suscitate nel
re di Francia, Filippo IV “il Bello” e ad ogni stratagemma da
parte sua per eliminarli. Il re, avendo sconfitto il papa Bonifacio
VIII ed essendo sempre alla ricerca di denaro, lanciò contro i
Templari accuse infamanti, come eresia, sodomia, idolatria, ma in
realtà il suo proposito era quello di impossessarsi dei loro beni e
allo stesso tempo ridurre il potere della Chiesa e affermare la
supremazia imperiale.
Il
13 ottobre 1307, per ordine del Re, vennero arrestati centinaia di
cavalieri dell’ordine dei Templari di Francia; essi vennero trovati
nelle loro abitazioni e tra loro c’erano il Gran Maestro Jacques De
Molay e Geoffrey de Charnay, ex tesoriere del regno di Francia.
Altri cavalieri
furono bruciati sul rogo, altri ancora vennero condannati alla
prigione a vita, ogni commanderia templare venne sciolta e molti,
sotto tortura, confessarono, mentendo, ogni tipo di nefandezza che i
loro persecutori gli attribuirono, arrivando ad abiurare la loro
fede.
Tutti
i loro beni furono confiscati: a tal proposito, studi recenti
avvalorano sempre più la teoria secondo la quale la vera causa della
fine dei templari sarebbe stata la volontà di impossessarsi del loro
patrimonio, tesi peraltro già sostenuta da Dante Alighieri nel canto
XX del Purgatorio.
A
questo proposito, il re di Francia riuscì a convincere persino il
papa di allora Clemente V che i templari fossero peccatori, eretici e
che si riunissero segretamente la notte per rinnegare Cristo, sputare
sulla croce e adorare un idolo chiamato Baphomet
(fig.05).
Pertanto, seguì la soppressione dell’ordine con la bolla Vox
in excelso
del 1312.
L’ultimo
rogo avvenne il 18 marzo 1314, giorno
in cui il
Gran Maestro dell’ordine, Jacques
de Molay, fu arso vivo con due seguaci, davanti alla cattedrale di
Parigi, sull'isola della Senna, detta dei Giudei
(fig.06).
Una
leggenda racconta che, prima di morire, il Gran Maestro invocò a
gran voce la giustizia divina e pronunciò una terribile maledizione
contro il Re ed il Papa, con queste parole: “aspetto
davanti al Tribunale di Dio il Re di Francia prima di trecento giorni
ed il papa Clemente V prima di quaranta giorni!”.
In
effetti, si verificò che meno di quaranta giorni dopo, nella notte
fra il 19 ed il 20 aprile, Clemente V, che da qualche tempo soffriva
di vomito irrefrenabile, morì a Roquemaure-sur-Rhône, nei dintorni
di Avignone. Nello stesso anno morì anche Filippo “il Bello”:
secondo alcuni per un male incurabile, secondo altri durante un
incidente di caccia per una caduta da cavallo. Non finì qui, perché,
in poco tempo, anche tutti i discendenti del re morirono per varie
cause e la famiglia di Filippo si estinse totalmente.
Oggi
gli storici sono sempre più convinti della falsità delle accuse
rivolte nei confronti dei Templari e non hanno dubbi sulla loro
innocenza: anche la Chiesa, a quei tempi, si rese conto dell'errore
nella condanna e di essere stata manipolata dal re francese, ma fu
troppo tardi.
I
Templari furono così eliminati e considerati ribelli al re e nemici
del regno di Francia, ma la loro tragica fine ha continuato ad
affascinare e interrogare storici e studiosi di ogni tempo.
I
templari nella provincia di Caserta
Nella
provincia di Caserta, non sono molti i resti delle strutture
appartenute ai cavalieri templari. Tuttavia, le fonti rinvenute e
trattate in questa sede testimonierebbero la loro presenza e autorità
in molte città, non ubicate casualmente, ma lungo importanti e
antichi assi viari. Infatti, la disponibilità e la vicinanza di una
viabilità funzionale hanno favorito la penetrazione e la diffusione
dell’ordine cavalleresco nel territorio casertano. In particolare,
la via Appia e soprattutto la via Latina (o Casilina) sono state
fondamentali per gli spostamenti di carattere politico e ancor di più
religioso durante l’epoca medievale, perché esse erano collegate
sia a Roma che al sud Italia, da dove ci si poteva tranquillamente
imbarcare verso l’Oriente e la Palestina.
Inoltre,
lungo il loro percorso sorgevano chiese, conventi, ospedali, stazioni
di sosta che davano ristoro e ospitalità ai pellegrini e che, per la
maggior parte dei casi, erano di proprietà dell’ordine dei
cavalieri templari.
A
tal proposito, sono interessanti anche le testimonianze lasciate da
alcuni pellegrini originari del territorio casertano. Esisteva un
certo Nicola de Martoni, notaio di Carinola, che il 17 giugno 1394
intraprese un pellegrinaggio partendo da Gaeta verso i luoghi santi,
in compagnia di altri gentiluomini locali, tra i quali, Antoniazzo di
Aspello della città di Sessa, Corbello de Dyano di Teano e un certo
Perreco, forse anch'egli di Teano.
In
questo modo, il notaio è stato considerato un testimone interessante
perché ha fornito importanti dettagli da un punto di vista storico e
geografico, descrivendo nel suo diario i luoghi attraversati e
facendo spesso riferimenti alla sua terra d’origine e ad altri
centri campani, come Carinola, Capua, Sessa, Teano, Napoli, Alife.
Alcune di queste città hanno, chi più chi meno, restituito tracce
della presenza templare e ci sono anche delle fonti antiche in
merito, che sono però ancora in fase di valutazione scientifica.
La
via Latina (o Casilina) servì a collegare Casilinum,
il porto fluviale dell’antica Capua, alla capitale e la sua fama
iniziò nel momento in cui il tracciato della via Appia passò in
secondo piano perché divenne impraticabile a causa dell’abbandono
delle città da essa attraversate, del proliferare delle zone
paludose e acquitrinose e delle distruzioni operate dai Saraceni nel
corso del IX secolo. Il percorso della via Latina attraversava tutta
la zona a nord est della provincia di Caserta e, prima
di arrivare a Roma, serviva a raggiungere anche il monastero di Monte
Cassino, altro importante punto di riferimento per la spiritualità
cristiana.
Il
punto di partenza della strada era Capua. I documenti e i resti
architettonici testimoniano la presenza
di cavalieri templari in città.
Nel
2014, lo studioso Michele Di Iorio ha presentato un articolo on line
dal titolo, I
Templari in Campania,
nel quale ha fornito alcune informazioni in merito, sottolineando di
aver consultato i Registri Svevi, le Regesta Angioine, gli Archivi
storici massonici di Roma e il Fondo Fusco conservato nella
Biblioteca Nazionale di Napoli.
Ha
menzionato alcuni “precettori”, che sarebbero stati responsabili
della conduzione di alcune commanderie templari capuane: fra’
Giovanni avrebbe diretto la commenda, nata il 7 giugno 1231;
fra’ Matteo
d’Isernia ne avrebbe diretta un’altra nel 1283, che nel frattempo
aveva acquisito altre proprietà, tra cui terre e fattorie a
Casalnuovo.
Nel
1255 il potere delle sedi capuane sarebbe cresciuto così tanto da
ottenere anche la direzione delle commende minori di Maddaloni,
Teano, Gaeta, Venafro e Piedimonte Matese, che includevano chiese,
castelli, ospedali e fattorie.
Il
13 ottobre 1307, giornata storica durante la quale iniziarono gli
arresti dei cavalieri templari da parte del re Filippo IV,
rappresentò una data significativa anche per i templari capuani, che
vennero perseguitati. Cinquanta di loro sarebbero fuggiti con armi e
bestiame, dirigendosi verso Teano. A loro si sarebbero aggiunti i
fuggitivi di Gaeta e Maddaloni e tutti insieme si sarebbero nascosti
in una masseria nei pressi di Roccamonfina. I loro beni,
registrati in
documenti, scritti in latino e su pergamene miniate, sarebbero stati
oggetto di continui spostamenti, infatti all’inizio sarebbero stati
portati nel castello Caracciolo a Volla, dove sarebbero rimasti fino
al 1776, per poi essere trasferiti in una stanza segreta detta di
“Santa Caterina” a Castelnuovo insieme ad armi, vesti e bandiere
templari in bauli di ferro almeno fino al 1918. Nel 1925 essi
sarebbero stati conservati a Villa Lebano di Trecase, vicino Torre
Annunziata fino al 1978, ma in realtà non sono mai stati trovati. Di
Iorio ha ribadito l’esistenza di tali documenti e ha menzionato la
stesura di inventari, fatta per conto del Regio Inquisitore,
l’arcivescovo di Neopatrasso, nell’aprile del 1308, nei quali
sono elencati i beni della domus templare di Capua, che per la
maggior parte sarebbero stati nascosti nelle campagne di
Roccamonfina.
Anche questi inventari non sono mai stati rinvenuti.
Benché
la testimonianza fornita da Di Iorio non sia stata accreditata dal
rinvenimento dei materiali menzionati, ha fornito comunque indizi
utili di ricerca agli studiosi e ha consentito di aprire dibattiti
sulla presenza dei cavalieri templari tra le province di Caserta e
Napoli.
Come
le fonti, anche i resti degli edifici, nei quali è attestata la
presenza dei templari a Capua, scarseggiano, ma non perché non ci
siano stati, ma forse perché, dopo la tragica soppressione del loro
ordine, i superstiti si mescolarono e mimetizzarono in altri ordini
religiosi e le loro proprietà passarono a questi, come quello dei
“Cavalieri Gerosolomitani”, noto anche come “Ordine dei
Cavalieri di Malta”, che ebbe a Capua una predominanza e avrebbe
lasciato tracce più evidenti.
Secondo
lo storico Paolo Affinito, sarebbero stati molti i cittadini capuani
ad aver partecipato come cavalieri durante le Crociate e, al loro
ritorno, la città sarebbe stata oggetto di una forte espansione
edilizia, sia all’interno che all’esterno delle mura. Siamo nel
periodo Normanno-Svevo (XI-XIII secolo), a cui risale la maggior
parte degli edifici storici: palazzi, ex conventi, ex ospedali, molto
probabilmente appartenuti ai templari e che tuttora si possono
ammirare.
A
tal proposito Affinito ha descritto alcuni luoghi che sarebbero
appartenuti agli ordini templare e gerosolomitano:
L’unico
luogo in cui si parla esplicitamente di proprietà templare è il
Borgo S. Terenziano, che esisteva dove ora sorge il rione noto come
“Fuori
Porta Roma”.
Vi erano una chiesetta, un ospedale e un convento, che furono poi
distrutti durante il XVI secolo perché ricoperti dalle
fortificazioni spagnole.
Anche Di Iorio aveva indicato l’esistenza di una piccola commenda
templare fuori le mura della città, con piccolo ospizio annesso
alla chiesa di San Terenziano.
Tale
chiesa è stata ricoperta, insieme al borgo omonimo, dalla chiesa
settecentesca di San Giuseppe (fig.07).
Gli
altri luoghi sono, invece, collegati alle proprietà dei “Cavalieri
Gerosolomitani”, come un ospedale,
che si sarebbe trovato nel Sobborgo di S. Giovanni, dove ora sorgono
il Castello delle “Pietre” e i resti delle chiese di S. Panfilo
e di S. Tommaso Apostolo, demolite durante il XVI secolo
(fig.08).
In
via S. Giovanni
ci
sono i resti
del
monastero
e della chiesa
di Gesù Gonfalone,
appartenuta ai Cavalieri di Malta. Del suo arredo interno è rimasta
solo una tela, attribuita all’artista Santafede, che raffigura il
Battesimo di Gesù con l’effige di Gian Vincenzo Carafa, il quale
è stato Priore dell’Ordine di Capua e anche colui che nel 1605
fece restaurare la suddetta chiesa.
Presso
il vicolo di S. Maria dei Franchi c’è un cortile, dove una
finestra bifora rappresenterebbe ciò che rimane del monastero
dei Cavalieri di S. Giovanni Gerosolomitano, con ingresso
dall’attuale via Pier della Vigna.
Corso
Gran Priorato di Malta ricorda il luogo ove sorgeva il palazzo
del Gran Priore
dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, quasi di fronte al palazzo
Giugnano, numero civico 19, la cui entrata si trovava lungo via Pier
della Vigna.
La
giornalista Rosa Conte ha confermato le teorie di Paolo Affinito
riguardo l’esistenza di sedi di diversi ordini di cavalieri a
Capua, tra cui quella dei Templari, esterna alle mura, presso la
chiesa di San Terenziano e quella dei «Cavalieri di San Giovanni di
Gerusalemme». Ella ha menzionato anche una “domus” appartenuta
all' Ordine dei Cavalieri di S. Lazzaro, da cui dipendevano le sedi
minori di Teano, Calvi e Maddaloni.
Questi cavalieri avrebbero avuto la loro sede nella chiesa di S.
Giovanni dè Landopoldi, che venne demolita nel’700 e che sorgeva
nell’attuale Piazza dei Giudici. Nella chiesa si svolgevano le
funzioni e i riti di investitura dei
cavalieri ad opera del Gran Maestro,
che
apparteneva ad una delle nobili famiglie capuane, gli Azzio. I
cavalieri giuravano di difendere la chiesa, gli orfani, le vedove,
gli oppressi e i lebbrosi.
Una
delle loro proprietà sarebbe stata la “Fontana Lazzaro”, una
sorgente naturale dalla tradizione millenaria, ubicata nella
cittadina di Liberi e vicina ad una grotta dedicata a San Michele
Arcangelo.
Proprio
qui essi difendevano i pellegrini dai ladroni e che venivano
per avere fertilità
grazie ai poteri balsamici di quelle acque, per far riposare e
abbeverare i cavalli e per godere dei miracoli che si verificavano di
frequente.
Una
delle fonti più antiche, che confermerebbe la presenza dei cavalieri
templari a Maddaloni, è rappresentata dalla testimonianza del
cronista dell’imperatore Federico II, Riccardo di S. Germano, il
quale avrebbe menzionato Sessa, Caiazzo, S. Agata e Maddaloni, date
in pegno al Papa e a sua volta consegnate al maestro della casa dei
cavalieri Teutonici. L’imperatore avrebbe avuto con loro un
rapporto molto amichevole, grazie all’intercessione del Papa, per
sanare i forti contrasti tra i Guelfi e Ghibellini dell’epoca.
Maddaloni
è una città dal lungo e lontano passato.
Anche
gli studi più recenti, condotti da Vincenzo Amato, Armando Pannone e
Pio Pannone, menzionano l’esistenza delle tracce dei cavalieri
templari.
La
città ha avuto un’intensa vita medievale, soprattutto da un punto
di vista religioso, infatti coesistettero vari ordini cavallereschi,
a cui appartenne una mansio,
ora inglobata nella chiesa di Santa Margherita. Questa sarebbe
appartenuta all’ordine templare e sarebbe persino una delle più
antiche chiese della città; ha avuto diverse fasi costruttive nel
corso del tempo a partire dal XIV secolo fino ai restauri del XVIII
secolo e poi del XIX secolo.
Non è improbabile che i templari siano stati a Maddaloni perché,
essendo attraversata dalla via Appia,
essa
sicuramente
aveva predisposto lungo il suo percorso la presenza di mansiones,
mutationes e
tabernae,
che
garantivano le soste per i viandanti diretti verso la Terra Santa.
Inoltre,
essi ritengono che alcuni membri delle famiglie nobiliari della città
avrebbero partecipato alla prima crociata (1096). Questo dato,
fornito dal personale del Museo Civico, in base ad antiche voci
popolari del posto, è tuttora oggetto di riscontro scientifico.
Anche
lo storico locale Pietro Vuolo sostiene che il territorio di
Maddaloni sia stato interessato dalla presenza dei Cavalieri
Templari. Egli riporta un atto notarile, datato 1 settembre 1269, nel
quale viene menzionata Letizia Guaderisio che vendette a Antonio
Gualterio un pezzo di terra in Castro
Magdalonis, a
patto che l’acquirente e i suoi eredi versassero, ogni anno, mezzo
tarì alla Chiesa della “Casa del Tempio”.
Questa commenda templare maddalonese, secondo Vuolo, dipendeva da S.
Maria dell’Aventino a Roma ed era situata lungo la via Appia,
percorsa da tanti pellegrini che trovavano rifugio nei vari ostelli
durante il loro viaggio verso la Terrasanta.
Si
ipotizza che la Casa del Tempio a Maddaloni sorgesse nell’attuale
congrega di S. Maria dé Commendatis, (in effetti, ci sarebbero due
riscontri, da un lato il toponimo Commendatis
ricorderebbe la “commenda” templare, dall’altro esisterebbe su
un lato dell’altare, l’immagine di un santo, forse un guerriero,
che regge il tempio con una croce rossa, tipico simbolo templare).
Nelle
vicinanze della chiesa, secondo gli studiosi Vincenzo Amato, Armando
Pannone e Pio Pannone, vi erano vasche per l’allevamento dei pesci,
molto consumati
dai Templari durante i periodi di astinenza dalle carni, nei periodi
precedenti al Natale e alla Pasqua. Da tali vasche deriverebbe il
toponimo dialettale “e
Pisciarelli”,
attribuito all’antico borgo dei Formali nel centro storico, lungo
la via che conduce alle torri di guardia, i cui resti tuttora
dominano l’abitato moderno di Maddaloni da
una delle pendici dei colli tifatini.
Una
delle attrazioni culturali del borgo medievale di Casertavecchia è
rappresentata sicuramente dal “Mastio”, la torre cilindrica,
costruita tra il 1225 e il 1238, durante la dominazione degli Svevi,
popolo di stirpe germanica, di cui Federico II fu l’esponente di
spicco nell’Italia meridionale.
A
tal proposito, l’imperatore soggiornò nel castello e, proprio
durante la sua costruzione, la sua vita si intrecciò esattamente con
quella dei cavalieri templari. Come tanti imperatori, anche Federico
II iniziò ad ambire ai beni e alle ricchezze che essi avevano
accumulato grazie ai servigi resi nel corso del tempo a favore dei
pellegrini. Infatti, egli alternò, talvolta momenti di coalizione
con loro, talvolta momenti di conflitti e disaccordi, perché,
trovandosi, spesso, in condizioni economiche precarie, fu costretto a
chiedere dei prestiti. In particolare, per garantire la prosecuzione
dei lavori di realizzazione della torre di Casertavecchia, egli si
trovò nella situazione di confiscare ai Templari ricchezze di ogni
specie.
Pertanto,
si può ben ritenere che, dietro la costruzione di molte magnifiche
opere architettoniche disseminate nell’Italia meridionale, si
nascondano i beni sottratti alle comunità templari del Sud che
furono gravemente danneggiate dalle ambizioni culturali e dalle manie
di grandezza imperiale. L’imperatore, negli stessi anni circa,
aveva fatto costruire, non molto lontano, a Capua, le due torri sul
fiume Volturno, le quali facevano parte della porta che costituiva
l’ingresso nord della città.
E’
molto probabile che siano state commissionate le stesse maestranze
per Capua e per Casertavecchia, in quanto le torri, cosiddette
“federiciane”, ricordano, per la tipologia costruttiva e tipi di
materiali utilizzati, tra cui il calcare chiaro e il tufo grigio
scuro, il “mastio” del borgo medievale
(fig.09).
Non
è da escludere che il territorio nei dintorni di Casertavecchia sia
stato frequentato da piccole comunità di cavalieri templari, sia per
l’importanza religiosa del luogo in qualità di sede vescovile, che
per la protezione da garantire ai pellegrini che andavano a visitare
l’eremo di San Vitaliano, che sorgeva in uno dei vicini casali,
Casola e che, secondo la leggenda, avrebbe fornito ospitalità al
vescovo-santo, Vitaliano.
Alife,
nota anticamente come Allifae,
è stata una colonia romana, sorta su un precedente insediamento
sannitico. Essa ha sempre dominato su un territorio molto fertile,
utilizzato fin da epoche remote per l’allevamento e per la
coltivazione dei cereali, degli ortaggi, dei vigneti e degli oliveti.
Lo
studioso locale Luigi Di Cosmo ha raccolto notizie storiche e ha
messo in risalto queste potenzialità ambientali, oltre alla
strategica posizione geografica, dovuta alla presenza di numerose vie
di comunicazione, tra cui il fiume Volturno, che attraversava la zona
e che anticamente era possibile navigare per un lungo tratto.
Egli si è concentrato su quella parte di territorio compresa tra le
città di Alife e San Salvatore Telesino e in particolare sull’area
“S. Pietro-S. Simeone”. Qui, nei pressi della “Selva di Alife”,
sarebbe esistito un convento dedicato a S. Pietro, risalente all’VIII
secolo e ancora esistente nel XII.
Nei
pressi vi sarebbe stato anche un insediamento ospedaliero del XIII
secolo, appartenente all’ordine
di S. Giovanni Gerosolimitano.
La sua presenza sarebbe stata confermata da un atto notarile che
menziona la domus
di
S. Simeone tra i beni del Priorato di Capua.
L’area
sarebbe stata occupata da un monastero di epoca longobarda e più
tardi da una commanderia templare e gerosolimitana, che testimoniano
come il territorio alifano fosse stato attraversato da un’importante
e intensa viabilità, elemento non trascurabile per confermare la
presenza dei cavalieri templari, che necessitavano della vicinanza a
vie di comunicazioni efficaci per i loro spostamenti.
La
viabilità alifana era garantita dalla vicinanza al fiume Volturno,
navigabile nell’antichità e ad un tratto della via Latina (o
Casilina), che proveniva da Teano, incrociava la strada che collegava
Venafrum
ad
Allifae
e poi proseguiva per Telesia
e Benevento. Ma, nel corso del tempo il territorio è stato devastato
da lavori agricoli intensivi, per cui non ci sono resti di mura o
fondamenta inerenti ad edifici tempari, ma la presenza di materiale
ceramico testimonia una frequentazione profonda e ininterrotta dal II
secolo a.C. fino al XV secolo. In particolare, questa frequentazione
avrebbe interessato il periodo dell’Alto Medioevo e avrebbe
riguardato la presenza di molte comunità monastiche, tra le quali vi
sarebbe stata anche quella templare.
Prata
Sannita sorge in una favorevole posizione geografica: ai piedi dei
monti del Matese, a controllo della valle del fiume Lete.
L'abbondanza di acqua, la ricchezza dei terreni coltivabili e le
montagne ricche di boschi hanno sicuramente favorito l'insediamento
umano fin da epoche remote.
Anche
in questo piccolo centro dell’Alto Casertano, ci sarebbero tracce
della presenza dei cavalieri templari. Nella piazza centrale del
paese, dedicata a San Pancrazio, si trova l'omonima Chiesa
parrocchiale (fig.10).
Essa
conserva una facciata molto interessante, che nasconderebbe un
lontano passato. Risulta molto alta, con tre piccoli leoni romanici
ai lati di tre nicchie semicircolari nella parte più elevata; un
rosone; una finestra tamponata e ancor prima occupata da un’antica
meridiana; il portale d’ingresso sormontato da un'edicola con ai
lati due soli sfolgoranti, che vengono annoverati tra i simboli più
diffusi appartenuti all’ordine dei Cavalieri Templari.
Dal momento che i primi lavori di costruzione della chiesa attuale
risalirebbero solamente al 1500, è probabile che l’edicola, con i
simboli prima menzionati, facesse parte di quei materiali di
reimpiego, provenienti da un luogo di culto più antico che sorgeva
in una zona non molto distante.
L’altro
edificio significativo del centro storico di Prata è rappresentato
dal castello, fatto ricostruire dai conti Pandone nel XV secolo, al
di sopra di un impianto precedente, risalente al IX secolo (fig.11).
Esso
ha avuto un importante ruolo strategico e militare, dominando e
sorvegliando buona parte della media valle del Volturno. Poi, è
divenuto un centro culturale, trasformandosi da fortezza in residenza
per alcuni importanti personaggi dell’epoca medievale, tra cui
l’imperatore Federico II, il duca Alfonso I d’Aragona e persino i
cavalieri templari.
Nei
sotterranei della cosiddetta “Torre Piccola”, oltre alle cantine,
vi è un piccolo vano circolare, utilizzato come prigione
sotterranea. La cosa interessante è che i detenuti hanno inciso
sulle pareti alcuni graffiti, con i quali hanno espresso le loro
emozioni, le loro paure, le loro speranze, ma soprattutto hanno
manifestato la propria identità.
Secondo
storici e studiosi, quali la giornalista Maria Stella Rossi, alcuni
di questi graffiti rappresenterebbero una chiara traccia della
presenza di cavalieri templari all’interno di questa segreta.
In
particolare, i simboli a loro attinenti sarebbero croci, profili di
cavalieri, un albero di acacia tra due torri e imbarcazioni, che
probabilmente richiamavano
il desiderio, da parte dei prigionieri (cavalieri o pellegrini), di
raggiungere i porti per imbarcarsi verso la Terrasanta.
Tracce
dei cavalieri templari tra simbologie e segni mistici
I
recenti studi, mirati ad analizzare specifici simboli rinvenuti in
alcuni edifici del territorio casertano e attribuiti alla presenza
dei cavalieri templari, stanno suscitando un forte interesse negli
storici e negli scienziati sia italiani che stranieri.
Uno
dei confronti più verosimili può essere fatto con quei simboli
individuati all’interno dell’abbazia del Goleto a Sant’Angelo
dei Lombardi, in provincia di Avellino e approfonditamente studiati
da Marco Di Donato.
L’abbazia
è sorta come monastero femminile nel XII secolo, al quale venne ben
presto affiancato un piccolo convento di monaci, il cui compito fu
quello di vigilare sull’economia dell’abbazia. Fu un luogo molto
attivo, frequentato da parecchi personaggi nobili della zona, che si
rivelarono molto devoti e che, in cambio di donazioni, speravano in
grazie e benevolenze. La struttura venne definitivamente abbandonata
nel 1807 per volere di Giuseppe Bonaparte, che ordinò la
soppressione degli ordini monastici.
Oggi
l’abbazia è ritornata a vivere, da una parte, grazie all’interesse
degli storici dell’arte, perché essa costituisce un capolavoro
dell’arte
romanica, dall’altra grazie ad appassionati e studiosi di simboli
medievali, quali il dottor Di Donato, che ha dedicato varie
pubblicazioni, anche recenti, al sito in questione e che ha
fortemente sostenuto la presenza dei cavalieri templari in loco.
I
simboli presenti tra le mura del Goleto sono svariati, ma in questa
sede saranno presi in considerazione sono quelli riscontrati anche in
alcune zone della provincia di Caserta:
Il
primo simbolo è il cosiddetto “Centro Sacro”, un quadrato nel
quale sono inscritti otto raggi che, partendo dal suo interno,
formano due croci greche. È un simbolo antichissimo, che starebbe
ad indicare l’origine delle cose e che veniva solitamente inciso
all’ingresso delle chiese. Molti storici ritengono che i Cavalieri
Templari lo utilizzassero per segnalare luoghi di culto dal
particolare interesse mistico.
Nel
territorio casertano, questo simbolo sarebbe stato individuato
all’interno della Basilica Benedettina di Sant’Angelo in Formis,
vicino Capua, come decorazione di un’acquasantiera (fig.12).
Pertanto, anche questo luogo potrebbe essere stato frequentato dai
cavalieri, sia per la presenza del simbolo appena descritto, che per
un’analogia con altri siti templari, cioè la venerazione del culto
di San Michele, a cui è dedicata proprio la basilica. L’Arcangelo,
sempre raffigurato come un guerriero con armatura, spada o lancia,
pronto a trafiggere il Male, sarebbe stato molto venerato dai
templari, i quali si sarebbero immedesimati nel suo ruolo di
protettore delle forze del Bene.
Il
culto di San Michele, quindi, costituirebbe un elemento essenziale
che accomuna i siti casertani dove sarebbe attestata la presenza
templare, come la sopra citata sede capuana di Sant’Angelo in
Formis, la Cattedrale di Casertavecchia e il Santuario di Maddaloni.
Molto
diffuse nell’abbazia
del Goleto sono anche sculture raffiguranti “figure zoomorfe”,
utilizzate nei luoghi religiosi medievali con scopo apotropaico,
cioè allontanare gli influssi negativi. Allo stesso modo
figure zoomorfe
decorano le facciate delle cattedrali di Sessa Aurunca, Carinola e
Casertavecchia, dove, in particolare, un’alta ghiera ricade su due
mensole raffiguranti due leoni che tengono tra le zampe un maiale e
un montone (fig.13).
Non
bisogna dare per scontato che la presenza di queste figure zoomorfe
confermi indissolubilmente la presenza templare, ma è interessante
sottolineare la somiglianza iconografica tra queste e il cosiddetto
“Bafometto”, riconosciuto in molti edifici di proprietà
templare. Esso rappresenterebbe una divinità pagana dalla testa
barbuta e le corna sul capo, che i Templari avrebbero venerato, tanto
da guadagnarsi l’accusa di eresia.
A
tal proposito, una delle sue raffigurazioni più singolari potrebbe
essere quella riscontrata su una delle pareti dell’Ospedaletto
Templare, ubicato in una frazione del comune di Semproniano, in
provincia di Grosseto, Rocchette di Fazio, avamposto dell’ordine
cavalleresco e famoso anche per una chiesa, di loro proprietà,
dedicata a Santa Cristina.
Si può notare un
capo dal volto barbuto, racchiuso all’interno di una cornice
quadrangolare e realizzato con pietra locale che raffigurerebbe
“Bafometto” (figg. 14 – 15).
NOTE