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Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
I modelli iconografici post tridentini e la loro diffusione (1563-1650)
 

Luigi Agus
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 26 Settembre 2021, n. 922
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00922.html
Articolo presentato il 29 Agosto 2021, approvato il 30 Agosto e pubblicato il 26 Settembre 2021
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Tra i vari episodi narrati nei martirologi relativi ai santi dei primi secoli, un ruolo particolarmente rilevante ha quello che vede protagonista Sant'Agata chiusa in una oscura prigione con i seni appena mutilati, che riceve la salvifica visita di San Pietro, la cui rappresentazione iconografica si intensifica in particolar modo dopo il Concilio di Trento con dipinti di formato ridotto, destinati soprattutto alla devozione privata.

Si tratta di opere che fanno riferimento ad un episodio tratto dal martirologio della santa patrona di Catania, tramandatoci attraverso gli Acta Sanctorum, in cui sono raccolti, a cura di Jean Bolland, i testi dei tre manoscritti più attendibili – due in lingua greca e uno in latino, a loro volta trascrizioni di testi risalenti probabilmente al VI secolo – che narrano la vicenda ambientata in Sicilia nel 251, durante la persecuzione decretata dall'imperatore Decio 1.

Agata, una ragazza convertita al cristianesimo e appartenente ad una famiglia facoltosa, rifiutando le lusinghe del governatore Quinziano, che la affidò inizialmente alla libertina Afrodisia, venne invitata ad abiurare la propria fede e sacrificare agli dei. Al suo rifiuto venne imprigionata e poi torturata alle mammelle che gli vennero, infine, amputate. Lo stesso governatore ordinò quindi di imprigionare la ragazza «et iussit ut nulli liceret medicorum introire ad eam; et neque panem neque aquam ei ministrare» 2. Mentre si trovava in carcere, «circa mediam noctem», entrò nella cella un vecchio «quem antecedebat puer luminis portitor», il quale si presentò come un medico che intendeva curarla, in quanto testimone della tortura da lei subita. Agata rifiutò perché «medicinam carnalem meo corpori numquam exhibui, et turpe est, ut quod tamdiu ab ineunte aetate mea conservavi nunc perdam»; alché il vecchio insistette sostenendo di essere anch'egli cristiano, ma lei continuò a rifiutare le cure, ribadendo che «quia habeo salvatorem Dominum Jesum Christum, qui verbo curat omnia, et sermo eius solus restaurat universa: hic si vult, potest me salvam facere». Udite tali parole, il vecchio finalmente le rivelò di essere l'apostolo Pietro inviato direttamente dall'Altissimo, con queste parole: «et me ipse misit ad te: nam et ego Apostolus eius sum; et in nomine eius scias te esse salvandam», pronunciate le quali scomparve 3.

Dell'episodio in questione, che nella prima metà del XVII secolo «diventa un tema prediletto in pittura per le possibilità che offriva all'artista di sperimentare interpretazioni teatrali e ricche di pathos» 4, sono state individuate sei principali tipologie differenti relative alla produzione che va dalla conclusione del Concilio Tridentino fino alla metà del Seicento: Sant'Agata addormentata mentre Pietro entra nella sua cella, intimorita e sorpresa quando si accorge dell'inaspettata visita, pudica e con sguardo dimesso che rifiuta le cure dell'apostolo, dialogante mentre instaura quasi una disputa teologica, assorta o addormentata che si lascia curare e infine in estasi mistica mentre si rimette all'Altissimo.

Tipi iconografici a cui è possibile aggiungerne un settimo, corrispondente alla santa rimasta ormai sola nella sua cella attorniata da angeli e immersa pienamente nella grazia divina. Tutte, pur interpretando il medesimo soggetto iconografico 5 – che trae comunque origine dalla tradizione iniziata con la duecentesca tavola reliquiario di Sant'Agata di Cremona, dove «si assiste per la prima volta ad un trattamento narrativo della vicenda della santa» 6 – si focalizzano su differenti passaggi della narrazione del martirologio agatino, il primo dei quali è senza alcun dubbio quello che vede la santa ancora addormentata, mentre Pietro entra nella sua cella.

Di questo particolare momento, che focalizza l'attenzione su quel «circa mediam noctem», quindi alla collocazione temporale in cui si svolge l'intero episodio, sono state rintracciate solo due interpretazioni, entrambe di scuola napoletana. Si tratta di un dipinto di Antonio di Bellis della Pinacoteca di Capodimonte di Napoli (cm. 145 x 137) 7, dove la santa è accovacciata con la destra sul seno, mentre un putto la accarezza dolcemente per svegliarla e Pietro sopraggiunge indicandola (fig. 1) e di una tela di Battistello Caracciolo della Collezione Credito Bergamasco di Bergamo (cm. 157,5 x 123,5) 8,

Fig. 1 - Antonio di Bellis, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 145 x 137, Napoli, Capodimonte (1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 1 - Antonio di Bellis, Sant'Agata in carcere
visitata da San Pietro
, olio su tela,
cm. 145 x 137, Napoli, Capodimonte (1650 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

dove invece Agata è sdraiata immersa in un profondo sonno, mentre l'apostolo, guidato da un angelo che regge una fiaccola e dalla luce divina che lo sovrasta, le si approssima con discrezione.

Al successivo risveglio della santa e alla conseguente sorpresa per l'inaspettata visita, fanno riferimento una serie di quattro opere di varia estrazione e provenienza. La prima in ordine cronologico è la grande tela data a Paolo o Benedetto Caliari della chiesa di San Pietro Martire di Murano (cm. 166,37 x 207,1), dipinta tra il 1566 e il 1567 per la chiesa di Santa Maria degli Angeli, dove la santa è ritratta seduta su un lato della cella, mentre l'anziano Pietro avanza preceduto da un angelo che regge una grande fiaccola (fig. 2).

Fig. 2 - Paolo o Benedetto Caliari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 166,37 x 207,1, Murano, Chiesa di San Pietro Martire (1566-1567) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 2 - Paolo o Benedetto Caliari, Sant'Agata in carcere
visitata da San Pietro
, olio su tela, cm. 166,37 x 207,1,
Murano, Chiesa di San Pietro Martire (1566-1567)
(Foto cortesia Luigi Agus)

Dipinto che servì certamente quale modello compositivo per molte delle successive versioni a figura intera, come alcune dell'Orbetto, grazie soprattutto all'acquaforte di Giovanni Battista Fontana, incisa già nel 1569 (cm. 27 x 21,4) (fig. 3) e ampiamente diffusa 9.

Fig. 3 - Giovanni Battista Fontana, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, acquaforte, cm. 21,4 x 27, Vienna, Albertina (1569) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 3 - Giovanni Battista Fontana, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro,
acquaforte, cm. 21,4 x 27, Vienna, Albertina (1569)
(Foto cortesia Luigi Agus)

Successivi sono un inedito olio su tela dato ad un seguace di Honthorst della Lamport Hall (Lamport, Gran Bretagna, cm. 74 x 47), in cui l'angelo è rappresentato di spalle in controluce (fig. 4),

Fig. 4 - Gerrit van Honthorst (seguace di), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 47 x 74, Lamport, Lamport Hall (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 4 - Gerrit van Honthorst (seguace di), Sant'Agata in carcere
visitata da San Pietro
, olio su tela, cm. 47 x 74, Lamport, Lamport Hall (1630-1640)
(Foto cortesia Luigi Agus)

una tela con la santa distesa, Pietro e l'angelo provenienti da sinistra, del siciliano Giovan Battista Quagliata in collezione privata romana (dimensioni sconosciute), visibile da una vecchia immagine in bianco e nero della Fototeca Zeri di Bologna 10 e infine la grande tela (cm. 201 x 133,5) della chiesa di Sant'Antonino di Quattro Castella (RE), dipinta da Sisto Badalocchio verso il 1614-15, dove la santa appare seduta a sinistra mentre si copre pudicamente con un velo i seni mutilati osservando con sguardo smarrito Pietro che proviene da sinistra preceduto da un angelo che regge una candela 11.

Agata, dopo l'iniziale sorpresa, oppone un rifiuto alle cure offerte da Pietro affinché «ut quod tamdiu ab ineunte aetate mea conservavi nunc perdam», assumendo quindi un atteggiamento pudico, con lo sguardo dimesso, mentre l'Apostolo le si approssima indicando il suo seno, a volte scoperto, altre coperto, perché «quia potest curam salutis tua mamilla suscipere» 12. A fermare tale istante sono certamente le due note versioni dipinte da Giovanni Lanfranco, ormai riconosciute autografe, una a Roma a Palazzo Corsini (cm. 93,5 x 114), con la santa a sinistra, Pietro a destra e l'angelo che regge il vasetto degli unguenti, l'altra alla Galleria Nazionale di Parma (cm. 100 x 132,6) (fig. 5),

Fig. 5 - Giovanni Lanfranco, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 100 x 132,6, Parma, Galleria Nazionale (1613-1614) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 5 - Giovanni Lanfranco, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 100 x 132,6, Parma, Galleria Nazionale (1613-1614)
(Foto cortesia Luigi Agus)

che invece vede l'angelo indicare il seno ferito e l'apostolo tenere il vasetto con la sinistra 13, a cui si rifanno diverse altre opere di distinti autori. Particolarmente vicine alle versioni di Lanfranco, sono le numerose repliche uscite dalla bottega di Simon Vouet (fig. 6) 14,

Fig. 6 - Simon Vouet, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 129,8 x 183,2, Stati Uniti, Collezione Privata(1624 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 6 - Simon Vouet, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 129,8 x 183,2, Stati Uniti, Collezione Privata (1624 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

dove Pietro con la destra indica il seno seminudo della santa con un gesto della mano ripreso in controparte dall'Adamo della Sistina di Michelangelo, certamente mutuato dalla Vocazione di San Matteo di Caravaggio a San Luigi dei Francesi a Roma 15; un olio su tela attribuito a Francesco Guarino in collezione privata (cm. 114 x 128,5), venduto all'asta il primo dicembre 2002, dove l'angelo è ridotto ad un piccolo putto alato che si rivolge incuriosito a Pietro, il quale indica il seno mutilo di Agata; un altro attribuito recentemente a Giovan Francesco Guerrieri da Massimo Pulini ed Erich Schleier (cm. 103,5 x 144), ma venduto precedentemente come anonimo caravaggesco romano 16, con l'angelo ricciuto che guarda la santa col braccio destro sollevato e infine un'altra tela ancora, passata all'asta il 28 ottobre del 1993, dove invece l'angelo si rivolge all'apostolo, data all'ambito di Massimo Stanzione (cm. 96.5 x 124.5), attualmente in collezione privata. Una soluzione differente, soprattutto per effetto della disposizione invertita dei personaggi, con la santa quindi a destra e Pietro a sinistra accompagnato dall'angelo alla sua destra e un altro personaggio alla sua sinistra, è quella proposta da Iacopo Vignali, realizzata assieme ad altri tre dipinti per la Spezieria di San Marco a Firenze tra il 1623 e il 1630, oggi alla Galleria Palatina (cm. 134 x 162), di cui esiste una replica custodita al Museo Pushkin di Mosca (cm. 143 x 172) (fig. 7) 17

Fig. 7 - Iacopo Vignali (ambito), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 143 x 172, Mosca, Museo Pushkin (1640-1660) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 7 - Iacopo Vignali (ambito), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 143 x 172, Mosca, Museo Pushkin (1640-1660)
(Foto cortesia Luigi Agus)

e due versioni tra loro similari di Giovanni Martinelli, di cui una al Prado di Madrid (cm. 109 x 88) 18, che però non prevedono l'angelo che regge la fiaccola. Per terminare con la serie di opere che rappresentano questo specifico momento, occorre citare alcune opere di Alessandro Turchi detto l'Orbetto, realizzate su vari supporti, in cui l'angelo, che regge una fiaccola e il vasetto di unguenti, segue Pietro che si approssima ad Agata, seduta su una panca a sinistra, alcune volte a seno nudo, altre vestita, custodite rispettivamente a Baltimora (The Walters Art Museum, cm. 34 x 49) (fig. 8),

Fig. 8 - Alessandro Turchi detto l'Orbetto, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su ardesia, cm. 34 x 49, Baltimora, The Walters Art Museum (1645 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 8 - Alessandro Turchi detto l'Orbetto, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su ardesia, cm. 34 x 49, Baltimora, The Walters Art Museum (1645 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

Roma (Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, cm. 31 x 45,5) e Strasburgo (Musée des Beaux-Arts, cm. 34,5 x 47,5), a cui si aggiunge quella di Macerata (Palazzo Bonaccorsi, cm. 33 x 43), che invece vede la santa a destra, coperta solo da una stola, con Pietro in controluce che si china verso di lei di spalle, seguito da un angelo che regge una fiaccola e un putto alato che regge il vasetto degli unguenti 19.

L'iniziale pudore agatino, si scioglie in un dialogo che ha il sapore quasi di una disputa teologica, allorquando Pietro si presenta come un medico cristiano: «et ego christianus sum, et novi medicinam: nolo, me verearis». Un colloquio che a questo punto si centra sul fatto che lei non prova alcun timore in quanto il suo corpo è lacerato e l'uomo è avanzato nell'età, concludendo con un ringraziamento a Dio e sottolineando come «corpus meum medicamenta ab homine facta numquam accedent» 20. Su tale dialogo sono incentrate diverse opere, che riprendono i due protagonisti in vari atteggiamenti e posture, a volte solo in compagnia dell'angelo che regge la fiaccola, altre volte con molti più personaggi, che rendono più concitata la scena, altre ancora dove Pietro si presenta come una apparizione o visione onirica. Dopo la Riforma Tridentina, le prime rappresentazioni che riprendono il dialogo tra i due sono la pala commissionata a Federico Zuccari nel 1597 dai Fabbricieri per l'altare di Sant'Agata del duomo milanese (cm. 280 x 160 circa) 21, di cui esiste anche un disegno preparatorio già noto e passato recentemente sul mercato antiquario (cm. 24 x 12,5) 22, che vede la santa in piedi a destra con lo sguardo rivolto in alto e Pietro che proviene da sinistra accompagnato dall'angelo (figg. 9 e 10)

Fig. 9 - Federico Zuccari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 280 x 160 circa, Milano, Duomo (1597) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 9 - Federico Zuccari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 280 x 160 circa, Milano, Duomo (1597)
(Foto cortesia Luigi Agus)



Fig. 10 - Federico Zuccari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, inchiostro e acquerello su carta, cm. 24 x 12,5, Collezione privata (1597 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 10 - Federico Zuccari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
inchiostro e acquerello su carta, cm. 24 x 12,5, Collezione privata (1597 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

– da cui deriva probabilmente una tela tardo cinquecentesca custodita presso la chiesa di Santa Maria Maggiore a Ravenna (cm 220 x 120 circa) 23 – e un dipinto già attribuito a Bernardino Campi della Pinacoteca Civica Tosio-Martinengo di Brescia, databile tra il 1550 e il 1574 (cm. 50,3 x 42,7) 24, che invece vede la santa genuflessa con un libro tra le mani, mentre in fondo alla cella le guardie sono sprofondate nel sonno. Sempre con un libro in mano è in una tela custodita al Musée des Beaux-Arts di Le Havre (cm. 151 x 117), attribuita tradizionalmente a Ludovico Carracci sulla base di una firma forse apocrifa, ma più recentemente data a Lorenzo Garbieri, che si può ipotizzare riprese un perduto modello di Ludovico documentato nel 1620 tra i dipinti posseduti a Angelo Michele Risi 25, con Agata accovacciata mentre indica il seno e Pietro seduto che la guarda a mani giunte. Un'opera, quella di Carracci, che nel Seicento dovette essere abbastanza nota, se anche a fine secolo Donato Creti ne riprese puntualmente la composizione in un disegno lumeggiato a biacca (fig. 11), oggi al Louvre (cm. 42,3 x 29,1) 26.

Fig. 11 - Donato Creti, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, inchiostro, acquerello e biacca su carta, cm. 42,3 x 29,1, Parigi,Louvre (fine XVII secolo) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 11 - Donato Creti, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
inchiostro, acquerello e biacca su carta, cm. 42,3 x 29,1, Parigi,Louvre (fine XVII secolo)
(Foto cortesia Luigi Agus)

Altrettanto intimo e riservato è il dialogo tra i due ripreso in un dipinto su tavola di Giulio Cesare Procaccini, custodito al Musée d'Art Roger-Quilliot di Clermont-Ferrand (cm. 63,5 x 46) 27, dove Agata appare in primo piano con il viso incorniciato da una folta capigliatura riccioluta, mentre si volta di scatto per intercettare lo sguardo di Pietro, che sopraggiunge da dietro con una piccola pisside in mano e una tela di Giovanni Martinelli in collezione privata (cm. 80 x 65), con Agata a destra col torso leggermente avvitato mentre Pietro le si rivolge con l'indice sollevato 28. Una soluzione simile, ma con i protagonisti ripresi a parti invertite con la martire che pudicamente copre il seno mutilo e un angioletto che regge una fiaccola è quella di un dipinto recentemente attribuito a Bernardo Cavallino del Musée municipal Frédéric Blandin di Nevers (cm. 72 x 105) 29. Molto vicina, ma con la santa adolescente a seno nudo, è la composizione adottata in una tela, battuta all'asta nel 2017, di Pietro Novelli (cm. 92,8 x 72,4) 30, il quale ripropone sempre l'apostolo a destra, ma in piedi, e la martire seduta che lo guarda torcendo il busto, in altre tre tele: una custodita presso l'Accademia di San Fernando di Madrid, ma proveniente dal Convento de los Carmelitas Descalzos de San Hermenegildo della stessa città (cm. 158 x 129), già data a Vaccaro 31; una passata più volte all'asta e ora in collezione privata bolognese (cm. 195 x 147) (fig. 12) 32

Fig. 12 - Pietro Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 195 x 147, Bologna, collezione privata (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 12 - Pietro Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 195 x 147, Bologna, collezione privata (1630-1640)
(Foto cortesia Luigi Agus)

e infine in un'altra, che sembrerebbe derivare dal trittico di Ragusa, custodita presso la collezione dei Conti di Schömborn a Pommersfelden (cm. 130 x 100) 33. Ugualmente intimo è il dialogo fermato da Pacecco de Rosa in una tela attualmente sul mercato antiquario (cm. 100,3 x 76,2), che vede un angioletto in primo piano che porge una preziosa pisside dorata ad Agata, la quale si copre pudicamente il seno reciso mentre si volta verso Pietro che le sta alle spalle con le chiavi in mano 34. Più articolata e arricchita da altri personaggi, che fanno probabilmente riferimento ad un passo del martirologio in cui si fa cenno ai custodi che fuggono e ai compagni di prigionia di Agata 35, è la composizione di due disegni di Giacomo Cavedone, uno al Louvre (cm. 25,5 x 40) (fig. 13)

Fig. 13 - Giacomo Cavedone, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, gessetto e acquerello su carta, cm. 25,5 x 40, Parigi, Louvre(1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 13 - Giacomo Cavedone, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
gessetto e acquerello su carta, cm. 25,5 x 40, Parigi, Louvre(1630-1640)
(Foto cortesia Luigi Agus)

e l'altro, già nella collezione Lambert Krahe, al Kunstmuseum di Dusseldorf (cm. 26,8 x 41, 4) 36, forse bozzetti per un perduto dipinto, che dovette avere un discreto successo, visto che ancora a fine secolo Luca Giordano ne riprese quasi per intero la scena in un disegno (fig. 14), oggi all'Hermitage di San Pietroburgo (cm. 26,5 x 41,5) 37,

Fig. 14 - Luca Giordano, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, penna e acquerello su carta, cm. 26,5 x 41,5, San Pietroburgo,Hermitage (1680 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 14 - Luca Giordano, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
penna e acquerello su carta, cm. 26,5 x 41,5, San Pietroburgo,Hermitage (1680 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

mentre in tempi più ravvicinati sembrerebbe aver ispirato anche un ancor più affollato dipinto su rame (cm. 66,5 x 58) attribuito a Giovan Giacomo Sementi, almeno per la posa di Agata e del soldato alle sue spalle che fugge, passato più volte sul mercato antiquario 38. Il dialogo tra Agata e Pietro è infine rappresentato come una visione della martire in una tela di Ascanio Manenti del 1616, custodita nella chiesa di San Pietro Martire a Rieti, con la santa in piedi estasiata (cm 230 x 153) 39; in un disegno di Francesco Albani, oggi al Louvre (cm. 44,2 x 32,6) (fig. 15), dove è invece distesa a terra 40

Fig. 15 - Francesco Albani, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, penna e inchiostro bruno lumeggiato con biacca su carta, cm. 44,2 x 32,6, Parigi, Louvre (1630-1650) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 15 - Francesco Albani, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
penna e inchiostro bruno lumeggiato con biacca su carta, cm. 44,2 x 32,6, Parigi, Louvre (1630-1650)
(Foto cortesia Luigi Agus)

e infine come visione onirica in un dipinto dato a Giovanni Bilivert (olio su tela, cm. 83 x 69), transitato nel mercato antiquario nel 2006 e attualmente in collezione privata, dove Pietro si presenta entro una nube luminosa con una pisside in mano.

Il martirologio non fa esplicito cenno circa la modalità con cui Agata fu sanata. Da una parte infatti sembrerebbe che l'intervento di Pietro fosse stato determinante nel processo di cura: «et in nomine eius scias te esse salvandam»; dall'altra si precisa che la santa si rese conto dell'avvenuta guarigione solo dopo che l'apostolo «ab oculis eius sublatus est» e aver recitato una preghiera 41. Una lacuna narrativa, che gli artisti hanno riempito con due soluzioni iconografiche distinte: una che prevede Pietro che opera direttamente la guarigione della martire e l'altra che invece riprende Agata in estasi che rivolge lo sguardo verso l'alto, mentre l'apostolo la osserva estasiato.

Nella prima tipologia iconografica si possono distinguere due diverse soluzioni: una con la santa che rivolge lo sguardo al cielo e l'altra dove invece è ripresa in stato di semi incoscienza. Alla prima soluzione appartengono un grande dipinto (cm. 215 x 215) di Francesco Guarino e bottega, realizzato per la parrocchiale di Sant'Agata Irpina, come parte di una serie che illustra la vita della santa sistemata nel soffitto della parrocchiale, dove Pietro è intento ad operare sul seno con alcuni strumenti circondato dai compagni di cella della martire 42; un piccolo olio su ardesia (cm. 24,5 x 31,5) di Jacques Stella in collezione privata con la santa sdraiata mentre Pietro procede a curarla affondando una mano in un vasetto di unguenti retto da un angelo che illumina la scena con una torcia 43 e la tela di Pietro Novelli facente parte del trittico della chiesa dei Cappuccini di Ragusa (cm. 205 x 128), commissionato nel 1635 da Niccolò Placido Branciforte, Signore di Leonforte 44, dove invece l'apostolo è intento a curare i seni di Agata con un telo, mentre lei, seduta a sinistra con le mani legate dietro la schiena, lo guarda quasi fosse una visione divina. Una composizione che ebbe forse una complicata genesi, principiata probabilmente dall'osservazione della pala milanese di Zuccari (fig. 9), come sembrerebbe dimostrare quello che è ritenuto il disegno preparatorio del dipinto (New York, Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum, cm. 22,8 x 15,2) (fig. 16) 45

Fig. 16 - Pietro Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, inchiostro a acquerello su carta, cm. 22,8 x 15,2, New York, CooperHewitt, Smithsonian Design Museum (1634-1635) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 16 - Pietro Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
inchiostro a acquerello su carta, cm. 22,8 x 15,2
New York, CooperHewitt, Smithsonian Design Museum (1634-1635)
(Foto cortesia Luigi Agus)

, in cui la scena è in controparte con Agata in piedi che rivolge lo sguardo al cielo, popolato da putti e cherubini che circondano la luce divina, eliminati nella stesura definitiva, ma presenti nella tela meneghina. Alla seconda soluzione, che vede la martire in stato di semi incoscienza e Pietro intento a curare le sue mammelle con alcuni ferri chirurgici, appartengono quattro opere: una tela attribuita a Jacques Stella di piccolo formato (cm. 24,5 x 31,5) passata recentemente all'asta 46, in cui la santa è raffigurata sdraiata al centro confortata da un angelo; tre repliche del medesimo soggetto di Simone Pignoni, di cui quella del Civico Museo Sartorio di Trieste a seno nudo (cm. 102 x 85), mentre le altre (fig. 17) a seno coperto 47;

Fig. 17 - Simone Pignoni, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 147 x 110, Collezione privata (1649) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 17 - Simone Pignoni, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 147 x 110, Collezione privata (1649)
(Foto cortesia Luigi Agus)

un dipinto dato ad anonimo fiorentino (cm. 82,5 x 100), venduto all'asta nel 2016 48, con l'angelo che sorregge la martire con la testa reclinata all'indietro e infine una tela della bottega di Giovanni Bilivert (cm. 111 x 82,5) apparsa sul mercato antiquario recentemente 49, con Agata sprofondata nel sonno.

Alla seconda tipologia iconografica appartengono un dipinto dato ad anonimo veneto di inizio Seicento di proprietà dell'A.S.S.T. Papa Giovanni XXIII di Bergamo (dimensioni sconosciute) 50, dove la santa solleva lo sguardo al cielo che si apre sulla sua testa, mentre l'apostolo si approssima indicando in alto la luce divina, seguito da un angelo in controluce che regge una fiaccola, la tela di Giulio Cesare Procaccini della Collezione Longhi di Firenze (cm. 37,5 x 51,5) 51, con la santa seduta a terra sorretta dagli angeli, che si affida completamente all'azione risanatrice mediata dall'apostolo, di cui esiste una replica su tavola presso il Musée Calvet di Avignone (cm. 58,2 x 74,5) (fig. 18) 52

Fig. 18 - Giulio Cesare Procaccini e aiuti, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su legno, cm. 58,2 x 74,5, Avignone, Musée Calvet (1610-20) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 18 - Giulio Cesare Procaccini e aiuti, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su legno, cm. 58,2 x 74,5, Avignone, Musée Calvet (1610-20)
(Foto cortesia Luigi Agus)

e infine un problematico gruppo di sei opere 53, tutte certamente derivanti da un unico prototipo con la santa a sinistra dallo sguardo estatico mentre è confortata da un angelo che regge una candela e Pietro che le si accosta con il vasetto degli unguenti e la destra sollevata, una al Museo dei Cappuccini di Caltagirone (cm. 110 x 115) (fig. 19);

Fig. 19 - Anonimo romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 100 x 115, Caltagirone, Chiesa dei Cappuccini(1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 19 - Anonimo romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 100 x 115, Caltagirone, Chiesa dei Cappuccini(1635-1650 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

due in collezione privata, una passata all'asta nel 1988 (cm. 97 x 126) (fig. 20)

Fig. 20 - Anonimo romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 97 x 126, Collezione privata (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 20 - Anonimo romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 97 x 126, Collezione privata (1635-1650 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

e l'altra a due aste tenutesi nel 1999 e nel 2002 (cm. 76,2 x 101); una nell'aula capitolare della cattedrale di Cagliari (cm. 100 x 126) (fig. 21),

Fig. 21 - Anonimo sardo attivo a Roma (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 100 x 126, Cagliari, Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 21 - Anonimo sardo attivo a Roma (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 100 x 126, Cagliari, Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

e infine le altre due rispettivamente nel Museu de Montserrat in Catalogna (cm. 102 x 127) e nel Musée des Beaux-Arts di Nantes (cm. 78 x 102) (fig. 22).



Fig. 22 - Anonimo romano, (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 78 x 102, Nantes, Musée des Beaux-Arts (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 22 - Anonimo romano, (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 78 x 102, Nantes, Musée des Beaux-Arts (1635-1650 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

Sempre riferibile al momento di guarigione miracolosa di Agata è la tela urbinate ideata da Federico Barocci, ma dipinta da Alessandro Vitali nel 1598 (cm. 253 x 178) 54, dove la santa è ritratta in contemplazione della luce divina circondata da putti che si apre sopra di lei, mentre l'apostolo lascia la cella guidato da un ragazzo con una torcia in mano (fig. 23):

Fig. 23 - Alessandro Vitali, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 253 x 178, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche (1598) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 23 - Alessandro Vitali, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
olio su tela, cm. 253 x 178, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche (1598)
(Foto cortesia Luigi Agus)

si tratta dell'istante in cui Pietro scompare dalla sua vista e lei si dedica alla preghiera, a seguito della quale scopre di essere stata miracolosamente guarita. Un momento a cui segue nuovamente la solitudine della cella, dove tuttavia la santa è confortata da figure celesti che la circondano, come avviene, ad esempio, nel dipinto di Paolo Gismondi della chiesa di Sant'Agata dei Goti a Roma (cm. 500 x 600 circa, 1633-36) 55 o nella tela di anonimo fiorentino custodita nella chiesa di Sant'Agata, già parte dell'omonimo convento agostiniano, oggi parte dell'Ospedale Militare di Firenze (cm. 194 x 178) 56.

Entro il ridotto gruppo di opere che ritraggono la santa in estasi, quelle del gruppo di Caltagirone, Cagliari, Montserrat, Nantes, ecc. sono senza dubbio le più interessanti da un punto di vista compositivo, per l'utilizzo da una parte del lume di notte, che occorre a dare maggiore enfasi alla scena, e dall'altra per la compostezza classica delle figure, che al contrario trasmette un senso quasi di serenità esistenziale. Un trattamento per opposti che sembra attentamente studiato per favorire la concentrazione durante la preghiera, quasi una «visione» ignaziana 57, un instrumentum fidei, che porta alla meditazione attraverso i tratti fondanti del buio e della solitudine 58: il primo costruito artificialmente attraverso l'illuminazione prodotta dal solo moccolo retto dall'angelo, la seconda invece richiamata dal fondo uniformemente ocra, da cui sembra emergere appena il manto di Pietro e su cui sembrano modellate le figure.

L'opera catatina (fig. 19), già assegnata ad anonimo seicentesco 59, è stata attribuita da Sergio Benedetti al senese Francesco Rustici, detto Rustichino 60, mentre più recentemente Alvise Spadaro ha proposto di individuare in questa tela una replica anonima di un ipotetico perduto dipinto di Caravaggio, forse eseguito per fra' Bonaventura Secusio attorno al 1609, in memoria della madre Agata Mainardi 61. Ipotesi, quest'ultima, pur affascinante e suggestiva che deve essere respinta per tre principali motivazioni. La prima, non del tutto dirimente, è che di un tale ipotetico prototipo non abbiamo alcuna traccia documentale; la seconda, molto più legata all'opera, riguarda la composizione stessa della tela, in cui i tre personaggi, morbidamente modellati dalla calda atmosfera rarefatta dell'ambiente, paiono come sospesi in una dimensione atemporale, quasi estatica, così distante dal potente dinamismo plastico delle forme, costantemente colto in istantanea da Caravaggio; infine la terza, a mio avviso dirimente, riguarda l'uso della luce “a lume notturno” come unica fonte, che non sembra essere stata mai utilizzata dal Merisi 62, che adottava invece una illuminazione naturale proveniente dall'esterno opportunamente direzionata 63. Mai quindi il pittore lombardo avrebbe costruito una scena in questo modo, così come gli è del tutto estraneo l'uso della luce artificiale interna, che invece ha una ben più antica e distinta tradizione, originata dalla pittura fiamminga quattrocentesca di Geertgen tot Sint Jans o addirittura Hugo van der Goes 64, e che interessò, a diverso titolo, molti artisti dell'Italia settentrionale e poi i cosiddetti “caravaggisti nordici”, tra cui Honthorst, anticipati da altri d'origine centro europea come Cobergher, Winghe, Mijtens e soprattutto Elsheimer 65, e solo marginalmente il Rustichino e altri italiani, evidentemente affascinati dalle soluzioni luministiche “settentrionali”, piuttosto che dallo stesso Merisi. Resta dunque l'attribuzione al Rustichino di Benedetti, il quale molto probabilmente, aveva in mente, pur non menzionandola, la replica passata all'asta nel 1988 con la stessa assegnazione (fig. 20) 66, per la quale Roberto Contini nel 1993 propose il poco convincente nome di Paolo Guidotti 67.

Diverso è invece il caso delle opere di Cagliari (fig. 21) e Montserrat, che hanno avuto vicende attributive più complesse e, fino a tempi recenti, slegate dalle altre. La prima è menzionata per la prima volta nel 1856 da Giovanni Spano, che la descrisse come facente parte di un gruppo di quattro dipinti, che attribuì a Gherardo delle Notti: un Cristo al Pretorio, un Gesù davanti ad Anna (cm. 110 x 140) (fig. 24)

Fig. 24 - Anonimo sardo attivo a Roma, Gesù davanti ad Anna, olio su tela, cm. 110 x 140, Cagliari, Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 24 - Anonimo sardo attivo a Roma, Gesù davanti ad Anna
olio su tela, cm. 110 x 140, Cagliari, Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)

e una Maria Maddalena (cm. 100 x 125) 68. Dei quattro, ancora documentati nel 1861 69, sono ancora in situ gli ultimi tre, mentre il primo risulta irrintracciabile 70. Nonostante ciò, fino ad oggi, questo piccolo corpus omogeneo non è mai stato considerato nel suo insieme, mentre è stata sempre presa in esame la Sant'Agata, che la Scano, rigettando la tradizionale attribuzione a Honthorst 71 già confutata dalla Barroero 72 e attraverso un confronto con la replica di Montserrat – per la quale era stata avanzata l'improponibile attribuzione ad Artemisia Gentileschi 73 – dava ad un anonimo napoletano «vicino alla Gentileschi durante il suo lungo soggiorno nella città partenopea» 74. Un'attribuzione rimasta incontestata fino a tempi recenti 75, quando chi scrive, considerando nel loro insieme i tre dipinti e attraverso l'associazione tra la tela sarda, quella di Montserrat e quella di Caltagirone, che era stata già attribuita a Rustici, sottolineava come queste ultime, pur di diversa mano, potessero essere considerate derivazioni da un unico prototipo, frutto di una reinterpretazione delle opere di medesimo soggetto di Lanfranco, Vignali e Vouet a cui si sommano «talune notazioni dipendenti strettamente dalla lezione reniana», che «rinviano all'ambiente emiliano, più che a quello napoletano» 76. Suggerimenti che rimasero inascoltati, tanto che il dipinto sardo, successivamente, veniva nuovamente associato all'ambito di Rustici per vicinanza con le altre repliche note, a questo punto tutte ascritte alla sua cerchia 77. Un ambito che potrebbe essere indicato forse per la Sant'Agata curata da San Pietro, almeno per quanto riguarda la soluzione iconografica, mentre difficilmente varrebbe per gli altri due dipinti, realizzati evidentemente dalla stessa mano. La Santa Maria Maddalena in estasi, ritratta in forme abbondanti avvolte da un'ampia veste bruna scollata, è mollemente adagiata a terra su un fianco, con la sinistra poggiata su un teschio e la destra che regge una croce, con un angelo che le si accosta reggendo una candela con cui illumina la scena. L'altro dipinto, di dimensioni leggermente maggiori rispetto ai primi due, è dominato dalle figure di Anna e Cristo, che si affrontano davanti ad un ragazzo in controluce, che regge un lume e si volta verso lo spettatore, mentre tre sgherri li attorniano, uno dei quali «vestito con cojetto e cinturino alla sarda» 78. Osservazione di cui non si è mai tenuto conto, ma che autorizzerebbe a pensare ad un autore di origine sarda che traduceva in vernacolo, iconografie a lui note, probabilmente attraverso disegni o incisioni, al momento irrintracciabili.

Sempre ad Honthorst era assegnata la tela spagnola quando venne acquistata nel 1917 dall'Abate Marcet a Roma, assieme ad un San Sebastiano curato da Sant'Irene, poi assegnata a Giovanni Battista Spinelli 79. Successivamente venne proposta l'attribuzione ad Artemisia Gentileschi 80, subito abbandonata dagli studi successivi, che invece, sottolineando la bassa qualità del dipinto, confutavano anche quella storica al pittore fiammingo in favore di un anonimo romano 81, quindi al Rustici o al suo ambito 82. Ambito a cui è stata assegnata, fin da subito, l'ulteriore replica apparsa per la prima volta in un'asta nel 1999 83, quindi una seconda volta nel 2002, dove tuttavia era stata indicata erroneamente come un martirio di Sant'Agnese 84.

L'ultima delle repliche che è stato possibile rintracciare è quella, del tutto sconosciuta agli studi italiani, del Musée des Beaux-Arts di Nantes in Francia (fig. 22), proveniente dalla collezione del diplomatico francese François Cacault, che quasi certamente la acquistò in Italia durante la sua permanenza nella qualità di ambasciatore, tra Napoli, Roma e la Toscana, attualmente attribuita a Paolo Guidotti o al suo ambito, sulla base della proposta di Roberto Contini per l'irrintracciabile replica venduta nel 1988 (fig. 20) già menzionata 85, mentre precedentemente era assegnato ad anonimo italiano 86.

Le sei repliche appena elencate, dimostrano come questa composizione abbia avuto un discreto successo, almeno pari se non oltre quelle più note di Vouet e dell'Orbetto. Un buon esito forse dovuto proprio a quel trasporto estatico della santa che sottende un dialogo diretto con il trascendente, mediato da Pietro, ideale personificazione della Chiesa. Una soluzione iconografica che porta a «movere gli animi de' riguardanti» 87 attraverso «lo essempio di persone sante, che per servire a Dio hanno scacciato da sé i vizii, avuto in orrore le iniquità e superato tutte le difficoltà del mondo, abbracciando la pietà, la carità, la pudicizia, la giustizia e la vera ubidienza della legge di Dio; e questo con tanto ardore e zelo, che, per non stare pure un momento fuori della grazia sua, sono andati con grandissima prontezza alli rasori, alle croci, alle fiamme ardenti et ad ogni sorte d'acerbissimi supplicii» 88. Supplizio che Agata offre direttamente al Padre Celeste – da cui riceve consolazione, calore e luce attraverso il suo stesso messaggero – mostrando pudicamente la mammella orrendamente mutilata dai suoi aguzzini: atteggiamento atto a sottolineare il suo ruolo entro la schiera di coloro i quali «sono stati tabernacoli in terra dello spirito celeste e vasi puri della grazia divina» 89. Una “narrazione” che pur non presentando una interpretazione letterale del testo, risulta comunque trattata con assoluto «giudicio e verisimilitudine», tanto da «movere il cuore et eccitare divozione», e di conseguenza classificabile non come «temeraria», ma perfettamente ortodossa, secondo i canoni tridentini per come meglio esplicitati dal Paleotti e a cui il nostro dipinto sembra perfettamente aderire 90.

Adesione non solo formale, ma anche sostanziale, che tuttavia non spiega completamente un tale significativo numero di repliche, tutte di diversa mano, ma nessuna qualitativamente così elevata da poterla indicare quale prototipo, tanto da far pensare ad un'unica provenienza d'ambito, più che di bottega, forse nemmeno riconducibile al «gentile caravaggesco» Rustichino, che parrebbe al momento il candidato più attendibile. Si tratterebbe infatti di soggettive interpretazioni derivanti da una comune matrice iconografica, di cui quella cagliaritana (fig. 21) pare distaccarsi maggiormente e suggerire una personalità, pur non eccezionalmente dotata, certamente ben distinguibile, che riesce a giocare tutto su toni uniformemente caldi, con accenti cromatici gialli, utilizzati anche come punti luminosi, al contrario di quanto avviene, ad esempio, in quella di Montserrat, dove i colori sono più saturi, le ombre più nette e i contorni più definiti; nel luminoso dipinto catatino (fig. 19), modulato attraverso vellutate morbidezze chiaroscurali o ancora nel più tetro dipinto di Nantes dove i contorni appaiono segnati quasi calligraficamente, come avviene nella scolastica e quasi monotonale tela venduta nel 2002.

Guardando all'opera di Caltagirone o a quella venduta all'asta nel 1988 (figg. 19 e 20), che tra le sei appaiono di qualità più elevata, sembra complesso immaginarle quali repliche di una non documentata tela di Rustici: mancherebbe infatti quell'accento drammatico determinato da un naturalismo che rifiuta ogni idealizzazione presente ad esempio nella Morte di Lucrezia e nella Maria Maddalena morente degli Uffizi. Al contrario il gruppo sembrerebbe derivare da un prototipo realizzato attraverso un attento studio dei repertori dell'arte classica, mutuati da forme ancora debitrici dei virtuosistici scorci sperimentati nel secondo Cinquecento, ripresi magistralmente dagli emiliani a Roma, a cominciare da Carracci.

Il particolare punto di vista della testa della santa, infatti, sembra ispirato, ma in controparte, a quello della figura mollemente adagiata a terra, in basso a destra, del Trionfo di Bacco e Arianna della Galleria Farnese, identificata da Bellori come la «Venere vulgare e terrena» 91. Molto simile è la definizione dell'unico occhio visibile: sgranato, con iride e pupilla rivolti verso l'alto, che lasciano spazio alla sclera in basso, calligraficamente definita dalla palpebra inferiore; quasi sovrapponibile è l'arcata sopraciliare, così come l'attaccatura dei fluenti capelli ondulati, mentre qualche lieve differenza la si avverte nella posizione del naso – che tuttavia è sempre greco – e delle labbra – serrate quelle della Venere e socchiuse quelle di Sant'Agata – determinate esclusivamente dal fatto che la santa presenta una più accentuata rotazione del capo.

Se la particolare posizione della testa della santa sembra trarre origine dagli arditi scorci anatomici sperimentati in area emiliana a partire da Correggio e Parmigianino, poi diffusi a Roma da Carracci, Cigoli, Lanfranco e Domenichino; la postura del busto con la mano destra che scosta la camicia e incornicia il seno mutilo pare più un riadattamento di modelli utilizzati per la raffigurazione di personaggi mitologici femminili come Lucrezia Romana o Niobe, non a caso la stessa posa, ma in controparte, la ritroviamo in una incisione di Gérard de Laireisse del 1668 (cm. 12,8 x 10,2) 92 raffigurante la figlia di Tantalo disperata dopo essere stata punita con la morte dei suoi figli, per l'affronto che aveva fatto agli dei (fig. 25).

Fig. 25 - Gérard de Laireisse, Niobe punita per il suo orgoglio, acquaforte, cm. 12,8 x 10,2, Amsterdam, Rijksmuseum (1668) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 25 - Gérard de Laireisse, Niobe punita per il suo orgoglio
acquaforte, cm. 12,8 x 10,2, Amsterdam, Rijksmuseum (1668)
(Foto cortesia Luigi Agus)

Un'incisione certamente successiva rispetto al gruppo dei nostri dipinti, che tuttavia sembra derivare da un'altra di Aegidius Sadeler II, raffigurante però Lucrezia Romana (19,5x14,2) (fig. 26) 93,

Fig. 26 - Aegidius Sadeler II (da Hans von Aachen), Suicidio di Lucrezia Romana, acquaforte, cm. 19,5 x 14,2, MAH Musée d'art et d'histoire, Ginevra (ante 1629) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 26 - Aegidius Sadeler II (da Hans von Aachen), Suicidio di Lucrezia Romana
acquaforte, cm. 19,5 x 14,2, MAH Musée d'art et d'histoire, Ginevra (ante 1629)
(Foto cortesia Luigi Agus)

tratta da un dipinto di Hans von Aachen, di cui sono note varie repliche, riprodotta a sua volta a china da un appena undicenne Joachim von Sandrart il giovane nel 1679 94. Si tratta di soggetti tutti derivanti da una reinterpretazione della scultura classica, come ad esempio l'Arianna o Cleopatra dei Musei Vaticani, dipendente da un originale ellenistico della scuola di Pergamo del II secolo a.C., la cui posa viene di volta in volta adattata e rifunzionalizzata in virtù di una più o meno accentuata drammatizzazione.

La particolare attenzione verso i modelli classici, unitamente agli evidenti spunti emiliani e all'adesione piena ai dettami tridentini farebbero propendere per una idea compositiva sviluppata da un artista nordico attivo a Roma risalente almeno ai primi anni Trenta del Seicento, ossia successiva rispetto alla straordinaria impresa di Lanfranco e Domenichino a Sant'Andrea della Valle. Ipotesi che potrebbe avere indiretta conferma, sia con la tradizionale assegnazione ad Honthorst dei dipinti di Cagliari e Montserrat; sia con l'iscrizione ad inchiostro, frutto probabilmente di un'antica catalogazione, «Prima Scola di Caravaggio Stomer Siciliano», che si legge a sinistra del traverso superiore del telaio originale del dipinto di Caltagirone 95; sia infine con la documentata provenienza da Roma delle tele di Montserrat e Nantes. A questi primi dati andrebbe aggiunta la constatazione che l'opera catatina e quella passata all'asta nel 1988 (figg. 19 e 20), con quei passaggi chiaroscurali morbidi e l'atmosfera soffusa, appaiono più come il risultato di una traslitterazione accademicamente impostata delle soffici e morbidezze rubensiane. Impostazione che ritroviamo solo in parte nelle altre repliche, evidentemente frutto di interpretazioni di distinte sensibilità artistiche, alcune con una propensione per tonalità più tenebrose e contrasti meno marcati – com'è il caso del dipinto passato all'asta nel 2002 o quello di Montserrat – altre con una tendenza a delineare i contorni ed esasperare i toni drammatici, come ad esempio si vede a Cagliari e Nantes.

Si tratta, in tutti i casi, di un fenomeno di replicazione, che essendo attuato da diversi artisti minori in un ambiente abbastanza ristretto, testimonia di una certa fama del prototipo originale, realizzato certamente da un artista noto e riconosciuto soprattutto per la sua capacità di accordare la naturalezza con la «maniera antica», come Joachim von Sandrart 96. Non a caso nell'inventario di Camillo Massimo, redatto nel 1640, è menzionata una «Sant'Agata [che] visita San Pietro in carcere» a lume di notte di un certo «Giovacchino», ormai identificato con Sandrart. Opera che, a seguito di un periodo di oblio dell'artista olandese a Roma, passò erroneamente per Gherardo (delle Notti) nell'inventario Massimo redatto nel 1677 97. Identificazione che trova una corrispondenza con l'ottocentesca attribuzione dei dipinti di Montserrat e Cagliari, frutto probabilmente di una tradizione più antica dovuta all'errata identificazione del prototipo, oggi disperso 98, nell'inventario fatto redigere, alla morte di Carlo Camillo Massimo, dal fratello ed erede Fabio Camillo 99.

Il prototipo, da considerarsi ormai perduto, sarebbe stato quindi realizzato da Sandrart durante il suo documentato soggiorno a Roma tra il 1629 e il 1635, molto probabilmente quando risiedeva a Palazzo Giustiniani, dove svolse l'attività di disegnatore e appaltatore presso altri artisti almeno a partire dal 1632 100, ma a cui si ritiene abbia avuto accesso fin dal 1629 101. In questa composizione, infatti, si ritroviamo echi di quell'essenziale passaggio, soprattutto per l'idea di tradurre pittoricamente la scultura con quello che è stato definito «effetto Pigmalione», secondo un esercizio fortemente raccomandato da Vincenzo Giustiniani nella sua lettera sulla scultura 102, rilevabile, come si è argomentato, nell'impostazione anatomica della santa. Così come ritroviamo suggestioni emiliane e nordiche derivanti molto probabilmente dall'osservazione di alcuni dipinti della collezione Giustiniani, come il ciclo con la Vergine, Cristo e i dodici apostoli di Francesco Albani (Naumburg, Moritzkirche) 103, il San Carlo Borromeo di Giovanni Lanfranco (Berlino, Gemäldegalerie) 104 – soprattutto per le tonalità ovattate e l'idea di riprodurre la santa in estasi mistica – e la Lavanda dei piedi di Dirck van Baburen (Berlino, Gemäldegalerie) 105 per gli effetti naturalistici e l'atteggiamento estasiato di Pietro.

Gli aggiornamenti romani appena indicati si sommano, naturalmente, ad una solida e composita base nordica, che sembra confermare definitivamente l'ipotesi avanzata. Dalla già richiamata Lucrezia Romana di Sadeler II, incisore di cui Sandrart fu allievo dal 1622 al 1624 a Praga 106; alla tecnica di illuminazione notturna di chiara ascendenza honthorstiana, puntualmente descritta nel suo trattato 107, dove appunta anche che fu stretto collaboratore del pittore olandese a Utrecht, col quale si recò in Inghilterra dove incontrò Orazio Gentileschi e infine il vago richiamo a Rubens, artista che conobbe nei Paesi Bassi e con cui si recò in visita alle province del nord 108.

Se è possibile, in base alle argomentazioni fino ad ora esposte, ipotizzare che il disperso prototipo fosse stato realizzato da Sandrart tra il 1632 e il 1635 circa per Camillo Massimo, più complesso è individuare gli autori delle sei repliche, quasi certamente databili agli anni Quaranta e comunque non oltre la metà del XVII secolo, termine ultimo normalmente indicato per la pittura a “lume di notte” 109. La loro qualità non omogenea, le difformità cromatiche, alcuni dettagli differenti, ma soprattutto le distinte impostazioni stilistiche, farebbero propendere per un ristretto gruppo di artisti gravitanti attorno ai Giustiniani o all'Accademia di San Luca, per la quale Sandrart risulta pagare i tributi almeno dal 1629 110. Una tale diffusione capillare in un ambiente ristretto, ma di alto livello, testimonia il successo di una soluzione iconografica maturata attraverso la rielaborazione delle principali precedenti, come quelle di Lanfranco, Vouet, Orbetto e Procaccini, con un processo di idealizzazione basato su repertori classici, parzialmente smorzato da un naturalismo honthorstiano ormai codificato, tanto da poter essere indicata come la più prossima, non solo alle indicazioni di Paleotti, ma anche a quelle contenute nelle Instructiones di Carlo Borromeo 111.

                        
                        
                        
                        

NOTE

1 Zito 1996a, pp. 40-41.

2 Zito 1996b, p. 57.

3 Ivi, p. 58.

4 Carratù 2011, p. 35.

5 La notazione Iconclass è unica per tutte queste scene, anche se in alcuni casi aggiunge altri soggetti, come gli angeli o altri personaggi, ma non ci permette di individuare i singoli istanti della vicenda. Il codice univoco è: 11HH(AGATHA)63, la cui descrizione è: St. Agatha is miraculously healed in prison by St. Peter.

6 Carratù 2011, p. 23.

7 Causa 2007, p. 144; Dipinti 2008, pp. 78-79; Capobianco 2015, p. 78.

8 De Pascale-Rossi 2000, p. 38.

9 Larcher Crosato 1990, pp. 257-258.

10 Il dipinto, la cui foto è catalogata nella Fototeca Zeri di Bologna (scheda 52024), era segnalato nel 1947 nella Collezione Mandolesi di Roma recante una firma falsa di Stanzione. Si potrebbe trattare del «San Pietro che visita Sant'Agata in carcere», menzionato da de Vito 1983, pp. 8-9, che tuttavia non ne precisa la collocazione, quindi da de Gennaro 1985, p. 39, nota 4.

11 Ghilardi 1994, pp. 54-57; Pirondini 2004, p. 131; Loda 2011a, p. 81; Loda 2011b, pp. 225-226.

12 Zito 1996b, p. 58.

13 Negro 2011, pp. 49-65.

14 La prima notizia di un'opera di Vouet con questo soggetto è relativa ad un dipinto su rame di piccolo formato descritto da Antonio della Cornia nell'inventario del 1635 del Duca di Savoia, come «S. Pietro che va a mendicar Santa Agata, con un angelo, mezze figure in rame. Di Monsù Voet. Mediocre.», poi identificato con quello passato più volte all'asta e assegnato alla cerchia del pittore francese (olio su rame, cm 30,5x42,8, Christie's, Londra, 18 dicembre 1987, lotto 287; Christie's il 13 maggio 1988, lotto 147; Millon, Maison de ventes aux enchères, Parigi, 26 giugno 2013, lotto 1). La miglior versione nota, tuttavia, sembrerebbe essere quella custodita attualmente in una collezione privata newyorkese (olio su tela, cm 129,8x183,2), già passata all'asta nel 2018 (Sotheby's, Londra, 6 dicembre 2018, lotto 181) e collegata ad altre due repliche documentate nel 1974 nelle collezioni private londinesi di Christopher Gibbs e Julius Weitzner. Repliche da cui deriverebbe quella della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis di Palermo (olio su tela, cm 145x194), proveniente dal Collegio dei Gesuiti al Cassaro; una più modesta custodita al Museo Pepoli di Trapani (olio su tela, cm 128x180) e un'altra ancora (olio su tela, cm 149,7x176,8), battuta ad un'asta nel 2005 (Christie's, Asta 3058, lotto 99, 17-18/11/2005). Nicolson 1989, vol. I, p. 210; Anna Barricelli, in: Abbate 1990, pp. 172-175; Whitfield 2008, pp. 66–69; Bresc Bautier et all 1991, p. 53; Schleier 2008, pp. 72-73; Clark-Whitfield 2010, pp. 110-115; Loire 2011, pp. 202-203, 227-228.

15 Abbate 1990, p. 172.

16 Asta Pandolfini 15/05/2018, lotto 23; attualmente presso Altomani & Sons, Milano.

17 Mastropierro 1973, pp. 24, 78; Gregori 1989, pp. 315, foto a p. 299.

18 Baldassari 2004, pp. 152-153.

19 Alle quattro versioni menzionate, rispettivamente a Macerata (olio su lavagna); Baltimora (olio su ardesia); Roma (olio su tela) e Strasburgo (olio su rame), citate da Scaglietti Kelescian 1999, p. 130 e Rossella Vodret, in: Mochi Onori-Vodret 2008, p. 435, sono state recentemente individuate altre due opere: una tela (cm. 34 x 47,5), transitata sul mercato antiquario (Babuino Roma, 23-26 febbraio 2005, lotto 285) e un'altra (cm. 36 x 46) assegnata erroneamente a Bernardo Cavallino (Im Kinsky Wien, 17 aprile 2007, lotto 38), che potrebbero tuttavia corrispondere all'esemplare un tempo presso la Galleria Liechtenstein di Vienna, citato dalla Scaglietti Kelescian (Loda 2011b, p. 222, nota 17). A queste si deve aggiungere una piccola tela (cm. 33,5 x 43) custodita nella Pinacoteca Civica alla Villa Reale di Monza, un tempo attribuita ad Honthorst (Caramel 1981, pp. 31-32, 95-96)

20 Zito 1996b, p. 58.

21 Andreatta 2020.

22 Acidini Lucinat 1998, tomo II, p. 199; Artcurial, Asta 3034, 23 marzo 2017.

23 Viroli 1991, p. 272.

24 Passamani 1988, p. 79.

25 Brogi 2001, vol. I, p. 270, immagine: vol. II, foto 286; Loda 2011a, p. 81.

26 Inventario 6298, mm 423x291.

27 Inventario 3996.

28 Fototeca Zeri, scheda n. 52107, Attribuzione R. Longhi e G. Ewald; Baldassari 2004, pp. 152-153.

29 Porzio 2012, pp. 49-53; Forgione 2013, p. 63, nota 2. Per questa tela, già attribuita ad anonimo napoletano, poi a Francesco Guarini, sono stati proposti anche i nomi di Nicolò de Simone e Antonio de Bellis «colto in un momento di accorata sintonia con Bernardo Cavallino» (Farina 2012, p. 10)

30 Olio su tela, cm 92.8x72.4, Bonhams, Londra, asta del 6 dicembre 2017.

31 Pérez-Sánchez 1965, p. 465; Pérez-Sánchez 1985, p. 342.

32 Asta Semenzato, Milano, 4 maggio 1989, n. 59; Asta Sotheby's, Londra, 15 novembre 1967, n. 110; Vincenzo Abbate, scheda II.50, in: Novelli 1990, pp. 286-287.

33 di Stefano 1989, p. 312; Maria Grazia Paolini, scheda II.52, in: Novelli 1990, pp. 290-291.

34 Attualmente presso Arcuti Fine Art di Gianluca Arcuti, Roma.

35 «Custodes carceris fugerent, et carcerem apertum derelinquerent. Tunc dicebant S. Agathae personae quae ibi erant incluse, ut abiret», Zito 1996b, p. 60.

36 Nicosetta Roio, Appendice, in: Negro-Roio 1996, p. 188.

37 Penna e acquerello su carta, cm 26,5 x 41,5 (1680 ca.), proveniente dalla collezione del conte Cobenzl di Bruxelles, 1768. Ėrmitaž 1974, p. 27; Ferrari-Scavizzi 2003, p. 108; PHILLIPS 2018, p. 326, che nega l'attribuzione a Cavedone associando i tre disegni e dandoli ad anonimo.

38 Asta Poulain Le Fur, Parigi, 30 novembre 1998, lotto 54; Loda 2011a, p. 81. Più recentemente ritornato all'asta presso Dorotheum, Parigi, 15 ottobre 2013, lotto 598.

39 Del Frate 2003, p. 16.

40 Penna e inchiostro bruno lumeggiato con biacca (1630-50); Puglisi 1999, p. 229; Weston Lewis 2006, p. 319.

41 Zito 1996b, p. 58.

42 Lattuada 2013, pp. 152-153.

43 L'opera, di cui oggi non si conosce l'ubicazione, era segnalata nel 1984 nella collezione Oberlin (Ohio). Rosenberg 1982, p. 35.

44 di Stefano 1989, pp. 263-264; Vincenzo Scuderi, Scheda II.26, in: Novelli 1990, p. 232.

45 Santina Grasso, scheda III.21, in: Novelli 1990, p. 390.

46 Asta Il Ponte, n. 474, del 9 giugno 2020, lotto 134, cm 40,5x57,5.

47 Olio su tela, Proveniente dalla collezione del conte Segré-Sartorio di Trieste; Olio su tela, cm 147x110, Dorotheum, Vienna, asta 25/04/2017, lotto 81; Olio su tela di formato ottagonale, cm 119.8 x 98.4, Christie's, Londra, Asta 7 ottobre 2020, lotto 106. Baldassari 2008, p. 120.

48 Gonnelli, Firenze, asta n. 21 del 12-13 dicembre 2016, lotto 189.

49 Dorotheum, Vienna, asta 18/12/2017, lotto 142; Cantelli 1983, p. 24.

50 Patrizia Iorio, Sant'Agata in carcere curata miracolosamente da San Pietro, scheda in: “Lombardia Beni Culturali”, 2009 (modificata il 17/09/2020), disponibile in: http://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/3o270-00063/ (consultato il 12/02/2021, ore 22.30).

51 Fondazione 1980, pp. 113-114; Longhi 1991, pp. 194, 212.

52 Inventario 895.1, acquistata dall'abate Maurin nel 1895. Malgouyres-Sénéchal 1998, p. 40.

53 Cinque dei sei dipinti sono citati per la prima e unica volta in Loda 2011b, p. 222, mentre il sesto, come si vedrà più avanti, non risulta mai citato in nessuna pubblicazione italiana. Devo un sentito ringraziamento ad Alessandro Nesi, Marco Antonio Scanu e Angelo Loda per la collaborazione nel reperire la bibliografia e le immagini.

54 Negroni 1979, pp. 89-92.

55 Vitaliano 1997, p. 272.

56 De Palo 1961; Fantozzi Micali-Roselli 2000, p. 67.

57 Per tale concetto si veda: Barthes 1971, p. XVII; Corrain 1996, p. 102.

58 Corrain 1996, p. 102.

59 Ragona 1989, p. 69.

60 Sergio Benedetti, Scheda 51, in: Algrandi 2008, pp. 307-308.

61 Spadaro 2012, pp. 217-221.

62 Unici due esempi in cui Caravaggio utilizza una luce artificiale interna sono Le Sette Opere di Misericordia del Pio Monte di Misericordia a Napoli, dove è visibile un personaggio in fondo che regge una fiaccola e La cattura di Cristo della National Gallery of Ireland di Dublino. Proprio quest'ultimo dipinto, datato 1602, è stato indicato come un punto di svolta importante verso il genere di dipinti a lume di notte” della prima metà del XVII secolo in quanto presenta alcune caratteristiche che poi saranno presenti nella pittura notturna, come lo spazio “ridotto” e la luce «valorizzante», determinata da un agente luminoso effettivamente rappresentato (Corrain 1996, p. 24). Tuttavia, pur presentando tali caratteristiche, che per altro si ritrovano già in altre opere precedenti (la mezza figura, ad esempio nella pittura veneta e la luce artificiale in quella fiamminga già nel XV secolo), il dipinto di Merisi è costruito attraverso una luce naturale a cui si somma solo in parte quella della lanterna: una caratteristica questa che nega di fatto l'idea stessa del “lume di notte”, che al contrario presuppone la sola illuminazione interna attraverso una luce riflessa naturale, come quella lunare, una artificiale, come candele, fanali, lanterne o una trascendente, come la luce prodotta da angeli o da Cristo.

63 2010, p. 16.

64 Panofsky 1953, p. 287; Winkler 1964, p. 155.

65 La rappresentazione del notturno in pittura pare fosse abbastanza diffusa già alla fine del terzo quarto del ‘400 a Gand e da là si diffuse prima a Bruges e poi ad Anversa. Nel secolo successivo diviene «una tappa obbligata nell'esperienza pittorica di molti artisti», soprattutto dell'Italia settentrionale (Corrain 1996, p. 16) e nella città capitolina, soprattutto per la presenza di artisti nordici, già definiti in senso dispregiativo “romanisti” e quindi non sempre adeguatamente considerati (Dacos 1995, p. 17). Una svolta decisiva a Roma si ebbe tuttavia grazie ai paesaggisti come il tedesco Adam Elsheimer, «artista influente nell'ambiente dei Fiamminghi di Roma», che costruì la sua reputazione «riuscendo ad eseguire in formato ridotto eleganti, moderne e spesso poetiche composizioni figurative di carattere monumentale» (Meijer 1995, p. 45).

66 Asta Finarte Roma, n. 663 del 22 novembre 1988, lotto n. 268. Nel medesimo catalogo d'asta compare una tela a “lume di notte” raffigurante San Pietro visitato in carcere dall'angelo (cm 124x172), ugualmente data a Francesco Rustici (lotto 242). Attribuzione che non ebbe alcun seguito successivo e che anche in questa sede non si condivide, posto che il dipinto in questione, più che alla mano del senese, andrebbe assegnato all'ambito del problematico pittore francese Trophine Bigot per le strette assonanze compositive e stilistiche che presenta con Gesù alla bottega di San Giuseppe della Royal Collection dell'Hampton Court Palace.

67 Contini 1993, p. 121.

68 Spano 1856, pp. 32-33.

69 Spano 1861, p. 56.

70 Scano 1991, p. 137, scheda 110.

71 Delogu 1966, p. 142.

72 Barroero 1992, p. 134.

73 Laplana-Ribera 1979, p. 31.

74 Scano 1991, p. 137, scheda 110.

75 La medesima attribuzione è ripresa in Porcu 1997, p. 65.

76 Agus 2015, p. 48.

77 Maccherini 2010, p. 637, nota 50; Loda 2011a, p. 79; Loda 2011b, p. 222.

78 Spano 1861, p. 56.

79 Barroero 1992, pp. 9-10, 54, 134.

80 Laplana-Ribera 1979, p. 31.

81 Barroero 1992, p. 134.

82 Pulini 2005, p. CXXXI; Maccherini 2010, p. 636; Loda 2011a, p. 79; Loda 2011b, p. 222.

83 Asta Phillips, Londra 26 ottobre 1999.

84 Asta Sotheby's New York, 5 giugno 2002, lotto 110. Successivamente citata da Loda 2011a, p. 79; Loda 2011b, p. 222.

85 Sarrazin 1994, p. 335.

86 Catalogue 1876, p. 139; Inventaire 1887, tomo X, p. 123.

87 Paleotti 1582, p. 75v.

88 Ivi, pp. 73r-v.

89 Ivi, p. 91r.

90 Per tale concetto si veda: Paleotti 1582, pp. 107v-109v.

91 Bellori 1976, p. 62.

92 Roy 1992, p. 418, cat. 44.

93 Hoop Scheffer 1980, p. 40, cat. 146.

94 Mazzetti di Pietralata 2011, p. 244, la quale, per errore, indica come fonte il Parmigianino.

95 Spadaro 1987, p. 3; Spadaro 2012, p. 219, nota 33.

96 Nel suo trattato, Sandrart riferiva con orgoglio che i suoi colleghi romani lo avessero elogiato perché nei suoi quadri la «Natürlichkeit mit der Antichen Manier darinnen concertiret». Ebert Schifferer 2001, pp. 60, 64 nota 56.

97 Mazzetti di Pietralata 2005, p. 64.

98 Il dipinto molto probabilmente non venne alienato assieme a parte del patrimonio Massimo nel 1678 e rimase forse nel palazzo alle Quattro Fontane, che venne acquistato con i rimanenti arredi dal cardinale Francesco Nerli, che successivamente lo cedette agli Albani, i quali trasferirono un lotto di opere d'arte nella villa sulla Salaria nel Settecento, tuttavia solo in un inventario del 1818 ritroviamo una Sant'Agata, data però a Cagnacci, custodita presso il palazzo urbinate. Mazzetti di Pietralata 2011, p. 16, nota 49.

99 L'inventario è pubblicato in: Buonocore 1996, pp. 91-157.

100 Mazzetti di Pietralata 2005, p. 63.

101 Ebert Schifferer 2001, p. 61.

102 Mazzetti di Pietralata 2001, pp. 173-174.

103 Silvia Danesi Squarzina, Scheda C1, in: Danesi Squarzina 2001, pp. 256-259.

104 Erich Schleier, Scheda C8, in: Danesi Squarzina 2001, pp. 272-273.

105 Silvia Danesi Squarzina, Scheda D6, in: Danesi Squarzina 2001, pp. 256-259.

106 Mazzetti di Pietralata 2011, p. 28.

107 «Allorché si voglia rappresentare una scena notturna […] la luce del fuoco si propaga sulle cose […] che sono naturalmente colorate dal fuoco e più esse sono vicine [al fuoco] più esse partecipano della sua luce rossa e si stagliano bene. […] Ma più le cose si allontanano dal fuoco, allora più sfuggono alla sua luce e si perdono nel colore della notte, nero e scuro. Così le figure disposte davanti al fuoco devono stagliarsi scure e nere, perché ricevono la loro origine dall'oscurità della notta, non dal fuoco. Ma le forme poste di fianco devono essere semi oscure, semi fiammeggianti rosseggianti. Quelle che sono viste a partire dal fuoco devono essere interamente illuminate dalla luce riflessa delle fiamme, contrastando con il fondo bruno e oscuro. […] In questo ambito, la notte di Raffaello non è stata superata, l'angelo guida San Pietro fuori dalla prigione e tutto è meravigliosamente illuminato dalla luce. Bassano ha dipinto molte notti che sono buone cose. Gerhard van Honthorst era specialista nelle notti e negli effetti della luce riflessa, come si vede nei suoi dipinti di Santa Maria della Scala. Egli ne ha fatti molti ancora a Utrecht, al tempo in cui io ero suo allievo […]». Sandrart 1675, p. 81; citato, già tradotto, in: Corrain 1996, p. 31, nota 93.

108 Mazzetti di Pietralata 2011, p. 28.

109 Corrain 1996, p. 31.

110 Mazzetti di Pietralata 2005, p. 63.

111 «Sacrarum imaginum expressio tota prototypi dignitati et sanctitati, apte ac decore, corporis habitu, statu et ornatu respondeat», Borromeo 1577, p. 43.

                
                
                
                
            

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PALEOTTI 1582

Gabriele Paleotti, Discorso sopra le imagini sacre et profane, Bologna 1582.

PANOFSKY 1953

Erwin Panofsky, Early netherlandish painting, New York-London 1953.

PASSAMANI 1988

Bruno Passamani, Guida della Pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia, Brescia 1988.

PHILLIPS 2018

Catherine Phillips, Giacomo Cavedone: Drawings from the Cobenzl Collection, now in the Hermitage, in: “Master drawings”, 56 (2018), pp. 317-334.

PIRONDINI 2004

Massimo Pirondini, Sisto Badalocchio, Manerba del Garda 2004.

Pérez-Sánchez 1965

Alfonso Emilio Pérez-Sánchez, Pintura italiana del siglo XVII en España, Madrid 1965.

Pérez-Sánchez 1985

Alfonso Emilio Pérez-Sánchez, in: Pintura napolitana de Caravaggio a Giordano, Madrid 1985.

PERI 1996

Vittorio Peri (ed.), Agata. La santa di Catania, Gorle (BG) 1996.

PORCU 1997

Eugenio Porcu, La Cattedrale di Cagliari, Cagliari 1997

PORZIO 2012

Giuseppe Porzio, La Sainte Agathe en prison du musée de Nevers et les débuts deBernardo Cavallino, in: “Revue du Louvre”, 5 (2012), pp. 49-53.

PUGLISI 1999

Catherine R. Puglisi, Francesco Albani, New Haven 1999.

PULINI 2005

Massimo Pulini, Metamorfosi romane: cambio di nome per quindici dipinti caravaggeschi toscani, in: Pierluigi Carofano (ed.), Luce e ombra: caravaggismo e naturalismo nella pittura toscana delSeicento, Pisa 2005, pp. CXXV-CXXXIV.

RAGONA 1989

Antonino Ragona, I Cappuccini in Caltagirone, Storia, arte e fede nel convento del Servo di Dio Padre Innocenzo Marcinò, Genova 1989.

ROSENBERG 1982

Pierre Rosenberg, France in the Golden Age: a postcript, in: “Metropolitan Museum Journal”, 17 (1982), pp. 23-46.

ROY 1992

Alain Roy, Gérard de Lairesse (1640-1711), Paris 1992.

SANDRART 1675

Joachim von Sandrart, Teutsche Academie der Bau-Bild-und Mahlerey Künste, I, libro terzo, Peltzer, München 1675.

SARRAZIN 1994

Béatrice Sarrazin, Catalogue raisonné des peintures italiennes du Musée des Beaux-Arts deNantes, Paris 1994.

SCAGLIETTI KELESCIAN 1999

Daniela Scaglietti Kelescian (ed.), Alessandro Turchi detto l'Orbetto 1578-1649, Catalogo della mostra, Verona 1999

SCANO 1991

Maria Grazia Scano, Pittura e scultura del ‘600 e ‘700. Storia dell'Arte in Sardegna, Nuoro 1991.

SCHLEIER 2008

Erich Schleier, Les commanditaires de Vouet à Rome, in: Simon Vouet (les années italiennes 1613/1627), Nantes-Besançon 2008, pp. 66-80.

SPADARO 1987

Alvise Spadaro, Ancora Caravaggio in Sicilia, in: “Il Girasole”, Novembre-Dicembre 1987, p. 3.

SPADARO 2012

Alvise Spadaro, Caravaggio in Sicilia. Il percorso smarrito, Acireale-Roma 2012.

SPANO 1856

Giovanni Spano, Guida del duomo di Cagliari, Cagliari 1856.

SPANO 1861

Giovanni Spano, Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari 1861.

VIROLI 1991

Giordano Viroli, I dipinti d'altare della diocesi di Ravenna, Bologna 1991.

VODRET 2012

Rossella Vodret, Caravaggio: la bottega del genio. Le ragioni di una mostra, in: Claudio Falcucci (ed.), Caravaggio. La bottega del genio, Roma 2010.

VITALIANO 1997

Tiberia Vitaliano, Paolo Gismondi, in: Anna Lo Bianco (ed.), Pietro da Cortona 1597-1669, Milano 1997, pp. 271-274.

WESTON LEWIS 2006

Aidan Weston-Lewis, Francesco Albani disegnatore: some addition and clarification, in: “Master Drawings”, 44, No. 3 (2006), pp. 299-332.

WHITFIELD 2008

Clovis Whitfield, Exhibition at Partridge Fine Art, Londra 2008.

WINKLER 1964

Friedrich Winkler, Das Werk des Hugo van der Goes, Berlin 1964.

ZITO 1996a

Gaetano Zito, Il contesto storico del martirio di Agata, in: PERI 1996, pp. 13-47.

ZITO 1996b

Gaetano Zito (ed.), Atti del martirio, in: PERI 1996, pp. 49-65.

                        
                        
                        
                        

DIDASCALIE IMMAGINI

Fig. 1 - Antonio di Bellis, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 145 x 137, Napoli, Capodimonte (1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 2 - Paolo o Benedetto Caliari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 166,37 x 207,1, Murano, Chiesa di San Pietro Martire (1566-1567) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 3 - Giovanni Battista Fontana, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, acquaforte, cm. 21,4 x 27, Vienna, Albertina (1569) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 4 - Gerrit van Honthorst (seguace di), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 47 x 74, Lamport, Lamport Hall (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 5 - Giovanni Lanfranco, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 100 x 132,6, Parma, Galleria Nazionale (1613-1614) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 6 - Simon Vouet, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 129,8 x 183,2, Stati Uniti, Collezione Privata (1624 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 7 - Iacopo Vignali (ambito), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 143 x 172, Mosca, Museo Pushkin (1640-1660) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 8 - Alessandro Turchi detto l'Orbetto, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su ardesia, cm. 34 x 49, Baltimora, The Walters Art Museum (1645 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 9 - Federico Zuccari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 280 x 160 circa, Milano, Duomo (1597) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 10 - Federico Zuccari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, inchiostro e acquerello su carta, cm. 24 x 12,5, Collezione privata (1597 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 11 - Donato Creti, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, inchiostro, acquerello e biacca su carta, cm. 42,3 x 29,1, Parigi, Louvre (fine XVII secolo) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 12 - Pietro Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 195 x 147, Bologna, collezione privata (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 13 - Giacomo Cavedone, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, gessetto e acquerello su carta, cm. 25,5 x 40, Parigi, Louvre (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 14 - Luca Giordano, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, penna e acquerello su carta, cm. 26,5 x 41,5, San Pietroburgo, Hermitage (1680 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 15 - Francesco Albani, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, penna e inchiostro bruno lumeggiato con biacca su carta, cm. 44,2 x 32,6, Parigi, Louvre (1630-1650) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 16 - Pietro Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, inchiostro a acquerello su carta, cm. 22,8 x 15,2, New York, CooperHewitt, Smithsonian Design Museum (1634-1635) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 17 - Simone Pignoni, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 147 x 110, Collezione privata (1649) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 18 - Giulio Cesare Procaccini e aiuti, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su legno, cm. 58,2 x 74,5, Avignone, Musée Calvet (1610-20) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 19 - Anonimo romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 100 x 115, Caltagirone, Chiesa dei Cappuccini (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 20 - Anonimo romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 97 x 126, Collezione privata (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 21 - Anonimo sardo attivo a Roma (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 100 x 126, Cagliari, Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 22 - Anonimo romano, (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 78 x 102, Nantes, Musée des Beaux-Arts (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 23 - Alessandro Vitali, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 253 x 178, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche (1598) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 24 - Anonimo sardo attivo a Roma, Gesù davanti ad Anna, olio su tela, cm. 110 x 140, Cagliari, Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 25 - Gérard de Laireisse, Niobe punita per il suo orgoglio, acquaforte, cm. 12,8 x 10,2, Amsterdam, Rijksmuseum (1668) (Foto cortesia Luigi Agus)

Fig. 26 - Aegidius Sadeler II (da Hans von Aachen), Suicidio di Lucrezia Romana, acquaforte, cm. 19,5 x 14,2, MAH Musée d'art et d'histoire, Ginevra (ante 1629) (Foto cortesia Luigi Agus)


                      
                    
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