Tra
i
vari episodi narrati nei martirologi relativi ai santi
dei primi secoli, un ruolo particolarmente rilevante
ha quello che vede protagonista Sant'Agata chiusa in
una oscura prigione con i seni appena mutilati, che
riceve la salvifica visita di San Pietro, la cui
rappresentazione iconografica si intensifica in
particolar modo dopo il Concilio di Trento con dipinti
di formato ridotto, destinati soprattutto alla
devozione privata.
Si
tratta
di opere che fanno riferimento ad un episodio tratto
dal martirologio della santa patrona di Catania,
tramandatoci attraverso gli Acta
Sanctorum,
in cui sono raccolti, a cura di Jean Bolland, i testi
dei tre manoscritti più attendibili – due in lingua
greca e uno in latino, a loro volta trascrizioni di
testi risalenti probabilmente al VI secolo – che
narrano la vicenda ambientata in Sicilia nel 251,
durante la persecuzione decretata dall'imperatore
Decio.
Agata,
una ragazza convertita al cristianesimo e appartenente
ad una famiglia facoltosa, rifiutando le lusinghe del
governatore Quinziano, che la affidò inizialmente alla
libertina Afrodisia, venne invitata ad abiurare la
propria fede e sacrificare agli dei. Al suo rifiuto
venne imprigionata e poi torturata alle mammelle che
gli vennero, infine, amputate. Lo stesso governatore
ordinò quindi di imprigionare la ragazza «et iussit ut
nulli liceret medicorum introire ad eam; et neque
panem neque aquam ei ministrare».
Mentre si trovava in carcere, «circa mediam noctem»,
entrò nella cella un vecchio «quem antecedebat puer
luminis portitor», il quale si presentò come un medico
che intendeva curarla, in quanto testimone della
tortura da lei subita. Agata rifiutò perché «medicinam
carnalem meo corpori numquam exhibui, et turpe est, ut
quod tamdiu ab ineunte aetate mea conservavi nunc
perdam»; alché il vecchio insistette sostenendo di
essere anch'egli cristiano, ma lei continuò a
rifiutare le cure, ribadendo che «quia habeo
salvatorem Dominum Jesum Christum, qui verbo curat
omnia, et sermo eius solus restaurat universa: hic si
vult, potest me salvam facere». Udite tali parole, il
vecchio finalmente le rivelò di essere l'apostolo
Pietro inviato direttamente dall'Altissimo, con queste
parole: «et me ipse misit ad te: nam et ego Apostolus
eius sum; et in nomine eius scias te esse salvandam»,
pronunciate le quali scomparve.
Dell'episodio
in
questione, che nella prima metà del XVII secolo
«diventa un tema prediletto in pittura per le
possibilità che offriva all'artista di sperimentare
interpretazioni teatrali e ricche di pathos»,
sono state individuate sei principali tipologie
differenti relative alla produzione che va dalla
conclusione del Concilio Tridentino fino alla metà del
Seicento: Sant'Agata addormentata mentre Pietro entra
nella sua cella, intimorita e sorpresa quando si
accorge dell'inaspettata visita, pudica e con sguardo
dimesso che rifiuta le cure dell'apostolo, dialogante
mentre instaura quasi una disputa teologica, assorta o
addormentata che si lascia curare e infine in estasi
mistica mentre si rimette all'Altissimo.
Tipi
iconografici
a cui è possibile aggiungerne un settimo,
corrispondente alla santa rimasta ormai sola nella sua
cella attorniata da angeli e immersa pienamente nella
grazia divina. Tutte, pur interpretando il medesimo
soggetto iconografico
– che trae comunque origine dalla tradizione iniziata
con la duecentesca tavola reliquiario di Sant'Agata di
Cremona, dove «si assiste per la prima volta ad un
trattamento narrativo della vicenda della santa»
– si focalizzano su differenti passaggi della
narrazione del martirologio agatino, il primo dei
quali è senza alcun dubbio quello che vede la santa
ancora addormentata, mentre Pietro entra nella sua
cella.
Di
questo
particolare momento, che focalizza l'attenzione su
quel «circa mediam noctem», quindi alla collocazione
temporale in cui si svolge l'intero episodio, sono
state rintracciate solo due interpretazioni, entrambe
di scuola napoletana. Si tratta di un dipinto di
Antonio di Bellis della Pinacoteca di Capodimonte di
Napoli (cm. 145 x 137),
dove la santa è accovacciata con la destra sul seno,
mentre un putto la accarezza dolcemente per svegliarla
e Pietro sopraggiunge indicandola (fig. 1) e di una
tela di Battistello Caracciolo della Collezione
Credito Bergamasco di Bergamo (cm. 157,5 x 123,5),
Fig. 1 - Antonio di Bellis, Sant'Agata in carcere
visitata da San Pietro, olio su tela,
cm. 145 x 137, Napoli, Capodimonte (1650 circa)
(Foto cortesia Luigi Agus)
dove invece Agata è sdraiata immersa in un profondo
sonno, mentre l'apostolo, guidato da un angelo che
regge una fiaccola e dalla luce divina che lo
sovrasta, le si approssima con discrezione.
Al
successivo
risveglio della santa e alla conseguente sorpresa per
l'inaspettata visita, fanno riferimento una serie di
quattro opere di varia estrazione e provenienza. La
prima in ordine cronologico è la grande tela data a
Paolo o Benedetto Caliari della chiesa di San Pietro
Martire di Murano (cm. 166,37 x 207,1), dipinta tra il
1566 e il 1567 per la chiesa di Santa Maria degli
Angeli, dove la santa è ritratta seduta su un lato
della cella, mentre l'anziano Pietro avanza preceduto
da un angelo che regge una grande fiaccola (fig. 2).
Fig. 2 - Paolo o Benedetto Caliari, Sant'Agata in carcere
visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 166,37 x 207,1, Murano, Chiesa di San Pietro Martire (1566-1567) (Foto cortesia Luigi Agus)
Dipinto che servì certamente quale modello compositivo
per molte delle successive versioni a figura intera,
come alcune dell'Orbetto, grazie soprattutto
all'acquaforte di Giovanni Battista Fontana, incisa
già nel 1569 (cm. 27 x 21,4) (fig. 3) e ampiamente
diffusa.
Fig. 3 - Giovanni Battista Fontana, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, acquaforte, cm. 21,4 x 27, Vienna, Albertina (1569) (Foto cortesia Luigi Agus)
Successivi sono un inedito olio su tela dato ad un
seguace di Honthorst della Lamport Hall (Lamport, Gran
Bretagna, cm. 74 x 47), in cui l'angelo è
rappresentato di spalle in controluce (fig. 4),
Fig. 4 - Gerrit van Honthorst (seguace di), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro, olio su tela, cm. 47 x 74, Lamport, Lamport Hall (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
una
tela con la santa distesa, Pietro e l'angelo
provenienti da sinistra, del siciliano Giovan Battista
Quagliata in collezione privata romana (dimensioni
sconosciute), visibile da una vecchia immagine in
bianco e nero della Fototeca Zeri di Bologna
e infine la grande tela (cm. 201 x 133,5) della chiesa
di Sant'Antonino di Quattro Castella (RE), dipinta da
Sisto Badalocchio verso il 1614-15, dove la santa
appare seduta a sinistra mentre si copre pudicamente
con un velo i seni mutilati osservando con sguardo
smarrito Pietro che proviene da sinistra preceduto da
un angelo che regge una candela.
Agata,
dopo
l'iniziale sorpresa, oppone un rifiuto alle cure
offerte da Pietro affinché «ut quod tamdiu ab ineunte
aetate mea conservavi nunc perdam», assumendo quindi
un atteggiamento pudico, con lo sguardo dimesso,
mentre l'Apostolo le si approssima indicando il suo
seno, a volte scoperto, altre coperto, perché «quia
potest curam salutis tua mamilla suscipere».
A fermare tale istante sono certamente le due note
versioni dipinte da Giovanni Lanfranco, ormai
riconosciute autografe, una a Roma a Palazzo Corsini
(cm. 93,5 x 114), con la santa a sinistra, Pietro a
destra e l'angelo che regge il vasetto degli unguenti,
l'altra alla Galleria Nazionale di Parma (cm. 100 x
132,6) (fig. 5),
Fig. 5 - Giovanni Lanfranco, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 100 x 132,6, Parma, Galleria Nazionale (1613-1614) (Foto cortesia Luigi Agus)
che invece vede l'angelo indicare il
seno ferito e l'apostolo tenere il vasetto con la
sinistra,
a cui si rifanno diverse altre opere di distinti
autori. Particolarmente vicine alle versioni di
Lanfranco, sono le numerose repliche uscite dalla
bottega di Simon Vouet (fig. 6),
Fig. 6 - Simon Vouet, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 129,8 x 183,2, Stati Uniti, Collezione Privata (1624 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
dove Pietro con la destra indica il seno seminudo
della santa con un gesto della mano ripreso in
controparte dall'Adamo della Sistina di Michelangelo,
certamente mutuato dalla Vocazione
di
San Matteo
di Caravaggio a San Luigi dei Francesi a Roma;
un olio su tela attribuito a Francesco Guarino in
collezione privata (cm. 114 x 128,5), venduto all'asta
il primo dicembre 2002, dove l'angelo è ridotto ad un
piccolo putto alato che si rivolge incuriosito a
Pietro, il quale indica il seno mutilo di Agata; un
altro attribuito recentemente a Giovan Francesco
Guerrieri da Massimo Pulini ed Erich Schleier (cm.
103,5
x
144), ma venduto precedentemente come anonimo
caravaggesco romano,
con l'angelo ricciuto che guarda la santa col braccio
destro sollevato e infine un'altra tela ancora,
passata all'asta il 28 ottobre del 1993, dove invece
l'angelo si rivolge all'apostolo, data all'ambito di
Massimo Stanzione (cm. 96.5 x 124.5), attualmente in
collezione privata. Una soluzione differente,
soprattutto per effetto della disposizione invertita
dei personaggi, con la santa quindi a destra e Pietro
a sinistra accompagnato dall'angelo alla sua destra e
un altro personaggio alla sua sinistra, è quella
proposta da Iacopo Vignali, realizzata assieme ad
altri tre dipinti per la Spezieria di San Marco a
Firenze tra il 1623 e il 1630, oggi alla Galleria
Palatina (cm. 134 x 162), di cui esiste una replica
custodita al Museo Pushkin di Mosca (cm. 143 x 172)
(fig. 7)
Fig. 7 - Iacopo Vignali (ambito), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 143 x 172, Mosca, Museo Pushkin (1640-1660) (Foto cortesia Luigi Agus)
e due
versioni
tra loro similari di Giovanni Martinelli, di cui una
al Prado di Madrid (cm. 109 x 88),
che però non prevedono l'angelo che regge la fiaccola.
Per terminare con la serie di opere che rappresentano
questo specifico momento, occorre citare alcune opere
di Alessandro Turchi detto l'Orbetto, realizzate su
vari supporti, in cui l'angelo, che regge una fiaccola
e il vasetto di unguenti, segue Pietro che si
approssima ad Agata, seduta su una panca a sinistra,
alcune volte a seno nudo, altre vestita, custodite
rispettivamente a Baltimora (The Walters Art Museum,
cm. 34 x 49) (fig. 8),
Fig. 8 - Alessandro Turchi detto l'Orbetto, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su ardesia, cm. 34 x 49, Baltimora, The Walters Art Museum (1645 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Roma (Galleria Nazionale d'Arte
Antica di Palazzo Barberini, cm. 31 x 45,5) e
Strasburgo (Musée des Beaux-Arts, cm. 34,5 x 47,5), a
cui si aggiunge quella di Macerata (Palazzo
Bonaccorsi, cm. 33 x 43), che invece vede la santa a
destra, coperta solo da una stola, con Pietro in
controluce che si china verso di lei di spalle,
seguito da un angelo che regge una fiaccola e un putto
alato che regge il vasetto degli unguenti.
L'iniziale
pudore agatino, si scioglie in un dialogo che ha il
sapore quasi di una disputa teologica, allorquando
Pietro si presenta come un medico cristiano: «et ego
christianus sum, et novi medicinam: nolo, me
verearis». Un colloquio che a questo punto si centra
sul fatto che lei non prova alcun timore in quanto il
suo corpo è lacerato e l'uomo è avanzato nell'età,
concludendo con un ringraziamento a Dio e
sottolineando come «corpus meum medicamenta ab homine
facta numquam accedent».
Su tale dialogo sono incentrate diverse opere, che
riprendono i due protagonisti in vari atteggiamenti e
posture, a volte solo in compagnia dell'angelo che
regge la fiaccola, altre volte con molti più
personaggi, che rendono più concitata la scena, altre
ancora dove Pietro si presenta come una apparizione o
visione onirica. Dopo la Riforma Tridentina, le prime
rappresentazioni che riprendono il dialogo tra i due
sono la pala commissionata a Federico Zuccari nel 1597
dai Fabbricieri per l'altare di Sant'Agata del duomo
milanese (cm. 280
x
160 circa),
di cui esiste anche un disegno preparatorio già noto e
passato recentemente sul mercato antiquario (cm. 24 x
12,5),
che vede la santa in piedi a destra con lo sguardo
rivolto in alto e Pietro che proviene da sinistra
accompagnato dall'angelo (figg. 9 e 10)
Fig. 9 - Federico Zuccari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 280 x 160 circa, Milano, Duomo (1597) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 10 - Federico Zuccari, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro inchiostro e acquerello su carta, cm. 24 x 12,5, Collezione privata (1597 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
– da cui
deriva probabilmente una
tela
tardo cinquecentesca custodita presso la chiesa di
Santa Maria Maggiore a Ravenna (cm 220 x 120 circa)
– e un
dipinto
già attribuito a Bernardino Campi della Pinacoteca
Civica Tosio-Martinengo di Brescia, databile tra il
1550 e il 1574 (cm. 50,3 x 42,7),
che invece vede la santa genuflessa con un libro tra
le mani, mentre in fondo alla cella le guardie sono
sprofondate nel sonno. Sempre con un libro in mano è
in una tela custodita al Musée des Beaux-Arts di Le
Havre (cm. 151 x 117), attribuita tradizionalmente a
Ludovico Carracci sulla base di una firma forse
apocrifa, ma più recentemente data a Lorenzo Garbieri,
che si può ipotizzare riprese un perduto modello di
Ludovico documentato nel 1620 tra i dipinti posseduti
a Angelo Michele Risi,
con Agata accovacciata mentre indica il seno e Pietro
seduto che la guarda a mani giunte. Un'opera, quella
di Carracci, che nel Seicento dovette essere
abbastanza nota, se anche a fine secolo Donato Creti
ne riprese puntualmente la composizione in un disegno
lumeggiato a biacca (fig. 11), oggi al Louvre (cm.
42,3 x 29,1).
Fig. 11 - Donato Creti, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro inchiostro, acquerello e biacca su carta, cm. 42,3 x 29,1, Parigi,Louvre (fine XVII secolo) (Foto cortesia Luigi Agus)
Altrettanto intimo e riservato è il dialogo tra i due
ripreso in un dipinto su tavola di Giulio Cesare
Procaccini, custodito al Musée d'Art Roger-Quilliot di
Clermont-Ferrand (cm. 63,5 x 46),
dove Agata appare in primo piano con il viso
incorniciato da una folta capigliatura riccioluta,
mentre si volta di scatto per intercettare lo sguardo
di Pietro, che sopraggiunge da dietro con una piccola
pisside in mano e una tela di Giovanni Martinelli in
collezione privata (cm. 80 x 65), con Agata a destra
col torso leggermente avvitato mentre Pietro le si
rivolge con l'indice sollevato.
Una soluzione simile, ma con i protagonisti ripresi a
parti invertite con la martire che pudicamente copre
il seno mutilo e un angioletto che regge una fiaccola
è quella di un dipinto recentemente attribuito a
Bernardo Cavallino del Musée municipal Frédéric
Blandin di Nevers (cm. 72 x 105).
Molto vicina, ma con la santa adolescente a seno nudo,
è la composizione adottata in una tela, battuta
all'asta nel 2017, di Pietro Novelli (cm. 92,8 x 72,4),
il quale ripropone sempre l'apostolo a destra, ma in
piedi, e la martire seduta che lo guarda torcendo il
busto, in altre tre tele: una custodita presso
l'Accademia di San Fernando di Madrid, ma proveniente
dal Convento de los Carmelitas Descalzos de San
Hermenegildo della stessa città (cm. 158 x 129), già
data a Vaccaro;
una passata più volte all'asta e ora in collezione
privata bolognese (cm. 195 x 147) (fig. 12)
Fig. 12 - Pietro Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 195 x 147, Bologna, collezione privata (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
e infine in un'altra, che sembrerebbe derivare dal
trittico di Ragusa, custodita presso la collezione dei
Conti di Schömborn a Pommersfelden (cm. 130 x 100).
Ugualmente intimo è il dialogo fermato da Pacecco de
Rosa in una tela attualmente sul mercato antiquario
(cm. 100,3 x 76,2), che vede un angioletto in primo
piano che porge una preziosa pisside dorata ad Agata,
la quale si copre pudicamente il seno reciso mentre si
volta verso Pietro che le sta alle spalle con le
chiavi in mano.
Più articolata e arricchita da altri personaggi, che
fanno probabilmente riferimento ad un passo del
martirologio in cui si fa cenno ai custodi che fuggono
e ai compagni di prigionia di Agata,
è la composizione di
due
disegni di Giacomo Cavedone, uno al Louvre (cm. 25,5 x
40) (fig. 13)
Fig. 13 - Giacomo Cavedone, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro gessetto e acquerello su carta, cm. 25,5 x 40, Parigi, Louvre(1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
e l'altro, già
nella
collezione Lambert Krahe, al Kunstmuseum di Dusseldorf
(cm. 26,8 x 41, 4),
forse bozzetti per un perduto dipinto, che dovette
avere un discreto successo, visto che ancora a fine
secolo Luca Giordano ne riprese quasi per intero la
scena in un disegno (fig. 14), oggi all'Hermitage di
San Pietroburgo (cm. 26,5 x 41,5),
Fig. 14 - Luca Giordano, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro penna e acquerello su carta, cm. 26,5 x 41,5, San Pietroburgo,Hermitage (1680 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
mentre in tempi più ravvicinati sembrerebbe aver
ispirato anche un ancor più affollato dipinto su rame
(cm. 66,5 x 58) attribuito a Giovan Giacomo Sementi,
almeno per la posa di Agata e del soldato alle sue
spalle che fugge, passato più volte sul mercato
antiquario.
Il dialogo tra Agata e Pietro è infine rappresentato
come una visione della martire in una tela
di
Ascanio Manenti del 1616, custodita nella chiesa di
San Pietro Martire a Rieti, con la santa in piedi
estasiata (cm 230 x 153);
in un disegno di Francesco Albani, oggi al Louvre (cm.
44,2 x 32,6) (fig. 15), dove è invece distesa a terra
Fig. 15 - Francesco Albani, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro penna e inchiostro bruno lumeggiato con biacca su carta, cm. 44,2 x 32,6, Parigi, Louvre (1630-1650) (Foto cortesia Luigi Agus)
e infine come visione onirica in un dipinto dato a
Giovanni Bilivert (olio su tela, cm. 83 x 69),
transitato nel mercato antiquario nel 2006 e
attualmente in collezione privata, dove Pietro si
presenta entro una nube luminosa con una pisside in
mano.
Il
martirologio
non fa esplicito cenno circa la modalità con cui Agata
fu sanata. Da una parte infatti sembrerebbe che
l'intervento di Pietro fosse stato determinante nel
processo di cura: «et in nomine eius scias te esse
salvandam»; dall'altra si precisa che la santa si rese
conto dell'avvenuta guarigione solo dopo che
l'apostolo «ab oculis eius sublatus est» e aver
recitato una preghiera.
Una lacuna narrativa, che gli artisti hanno riempito
con due soluzioni iconografiche distinte: una che
prevede Pietro che opera direttamente la guarigione
della martire e l'altra che invece riprende Agata in
estasi che rivolge lo sguardo verso l'alto, mentre
l'apostolo la osserva estasiato.
Nella
prima
tipologia iconografica si possono distinguere due
diverse soluzioni: una con la santa che rivolge lo
sguardo al cielo e l'altra dove invece è ripresa in
stato di semi incoscienza. Alla prima soluzione
appartengono un
grande dipinto (cm. 215 x 215) di Francesco Guarino e
bottega, realizzato per la parrocchiale di Sant'Agata
Irpina, come parte di una serie che illustra la vita
della santa sistemata nel soffitto della parrocchiale,
dove Pietro è
intento ad operare sul seno con alcuni strumenti
circondato dai compagni di cella della martire;
un piccolo olio su ardesia (cm. 24,5 x 31,5) di
Jacques Stella in collezione privata con la santa
sdraiata mentre Pietro procede a curarla affondando
una mano in un vasetto di unguenti retto da un angelo
che illumina la scena con una torcia
e la tela di Pietro Novelli facente parte del trittico
della chiesa dei Cappuccini di Ragusa (cm. 205 x 128),
commissionato nel 1635 da Niccolò Placido Branciforte,
Signore di Leonforte,
dove invece l'apostolo è intento a curare i seni di
Agata con un telo, mentre lei, seduta a sinistra con
le mani legate dietro la schiena, lo guarda quasi
fosse una visione divina. Una composizione che ebbe
forse una complicata genesi, principiata probabilmente
dall'osservazione della pala milanese di Zuccari (fig.
9), come sembrerebbe dimostrare quello che è ritenuto
il disegno preparatorio del dipinto (New York, Cooper
Hewitt, Smithsonian Design Museum, cm. 22,8 x 15,2)
(fig. 16)
Fig. 16 - Pietro Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro inchiostro a acquerello su carta, cm. 22,8 x 15,2 New York, CooperHewitt, Smithsonian Design Museum (1634-1635) (Foto cortesia Luigi Agus)
,
in cui la scena è in controparte con Agata in piedi
che rivolge lo sguardo al cielo, popolato da putti e
cherubini che circondano la luce divina, eliminati
nella stesura definitiva, ma presenti nella tela
meneghina. Alla seconda soluzione, che vede la martire
in stato di semi incoscienza e Pietro intento a curare
le sue mammelle con alcuni ferri chirurgici,
appartengono quattro opere: una tela attribuita a
Jacques Stella di piccolo formato (cm. 24,5 x 31,5)
passata recentemente all'asta,
in cui la santa è raffigurata sdraiata al centro
confortata da un angelo; tre repliche del medesimo
soggetto di Simone Pignoni, di cui quella del Civico
Museo Sartorio di Trieste a seno nudo (cm. 102 x 85),
mentre le altre (fig. 17) a seno coperto;
Fig. 17 - Simone Pignoni, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 147 x 110, Collezione privata (1649) (Foto cortesia Luigi Agus)
un
dipinto
dato ad anonimo fiorentino (cm. 82,5 x 100), venduto
all'asta nel 2016,
con l'angelo che sorregge la martire con la testa
reclinata all'indietro e infine una
tela
della bottega di Giovanni Bilivert (cm. 111 x 82,5)
apparsa sul mercato antiquario recentemente,
con Agata sprofondata nel sonno.
Alla
seconda
tipologia iconografica appartengono
un dipinto dato ad anonimo veneto di inizio Seicento
di proprietà dell'A.S.S.T. Papa Giovanni XXIII di
Bergamo (dimensioni sconosciute),
dove la santa solleva lo sguardo al cielo che si apre
sulla sua testa, mentre l'apostolo si approssima
indicando in alto la luce divina, seguito da un angelo
in controluce che regge una fiaccola, la tela di
Giulio Cesare Procaccini della Collezione Longhi di
Firenze (cm. 37,5 x 51,5),
con la santa seduta a terra sorretta dagli angeli, che
si affida completamente all'azione risanatrice mediata
dall'apostolo, di cui esiste una replica su tavola
presso il Musée Calvet di Avignone (cm. 58,2 x 74,5)
(fig. 18)
Fig. 18 - Giulio Cesare Procaccini e aiuti, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su legno, cm. 58,2 x 74,5, Avignone, Musée Calvet (1610-20) (Foto cortesia Luigi Agus)
e infine un problematico gruppo di sei opere,
tutte certamente derivanti da un unico prototipo con
la santa a sinistra dallo sguardo estatico mentre è
confortata da un angelo che regge una candela e Pietro
che le si accosta con il vasetto degli unguenti e la
destra sollevata, una al Museo
dei
Cappuccini di
Caltagirone (cm.
110 x 115) (fig. 19);
Fig. 19 - Anonimo romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 100 x 115, Caltagirone, Chiesa dei Cappuccini(1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
due in collezione privata, una
passata all'asta nel 1988 (cm. 97 x 126) (fig. 20)
Fig. 20 - Anonimo romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 97 x 126, Collezione privata (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
e
l'altra a due aste tenutesi nel 1999 e nel 2002 (cm.
76,2 x 101); una nell'aula capitolare della cattedrale
di Cagliari (cm. 100 x 126) (fig. 21),
Fig. 21 - Anonimo sardo attivo a Roma (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 100 x 126, Cagliari, Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
e infine le
altre due rispettivamente nel Museu de Montserrat in
Catalogna (cm. 102 x 127) e nel Musée des Beaux-Arts
di Nantes (cm. 78 x 102) (fig. 22).
Fig. 22 - Anonimo romano, (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 78 x 102, Nantes, Musée des Beaux-Arts (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Sempre
riferibile
al momento di guarigione miracolosa di Agata è la tela
urbinate
ideata da Federico Barocci, ma dipinta da Alessandro
Vitali nel 1598 (cm. 253 x 178),
dove la santa è ritratta in contemplazione della luce
divina circondata da putti che si apre sopra di lei,
mentre l'apostolo lascia la cella guidato da un
ragazzo con una torcia in mano (fig. 23):
Fig. 23 - Alessandro Vitali, Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro olio su tela, cm. 253 x 178, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche (1598) (Foto cortesia Luigi Agus)
si tratta
dell'istante in cui Pietro scompare dalla sua vista e
lei si dedica alla preghiera, a seguito della quale
scopre di essere stata miracolosamente guarita. Un
momento a cui segue nuovamente la solitudine della
cella, dove tuttavia la santa è confortata da figure
celesti che la circondano, come avviene, ad esempio, nel
dipinto
di Paolo Gismondi della chiesa di Sant'Agata dei Goti
a Roma (cm. 500 x 600 circa, 1633-36)
o nella tela di anonimo fiorentino custodita nella
chiesa di Sant'Agata, già parte dell'omonimo convento
agostiniano, oggi parte dell'Ospedale Militare di
Firenze (cm. 194 x 178).
Entro
il
ridotto gruppo di opere che ritraggono la santa in
estasi, quelle del gruppo di Caltagirone, Cagliari,
Montserrat, Nantes, ecc. sono senza dubbio le più
interessanti da un punto di vista compositivo, per
l'utilizzo da una parte del lume di notte, che occorre
a dare maggiore enfasi alla scena, e dall'altra per la
compostezza classica delle figure, che al contrario
trasmette un senso quasi di serenità esistenziale. Un
trattamento per opposti che sembra attentamente
studiato per favorire la concentrazione durante la
preghiera, quasi una «visione» ignaziana,
un instrumentum
fidei,
che porta alla meditazione attraverso i tratti
fondanti del buio e della solitudine:
il primo costruito artificialmente attraverso
l'illuminazione prodotta dal solo moccolo retto
dall'angelo, la seconda invece richiamata dal fondo
uniformemente ocra, da cui sembra emergere appena il
manto di Pietro e su cui sembrano modellate le figure.
L'opera
catatina
(fig. 19), già assegnata ad anonimo seicentesco,
è stata attribuita da Sergio Benedetti al senese
Francesco Rustici, detto Rustichino,
mentre più recentemente Alvise Spadaro ha proposto di
individuare in questa tela una replica anonima di un
ipotetico perduto dipinto di Caravaggio, forse
eseguito per fra' Bonaventura Secusio attorno al 1609,
in memoria della madre Agata Mainardi.
Ipotesi, quest'ultima, pur affascinante e suggestiva
che deve essere respinta per tre principali
motivazioni. La prima, non del tutto dirimente, è che
di un tale ipotetico prototipo non abbiamo alcuna
traccia documentale; la seconda, molto più legata
all'opera, riguarda la composizione stessa della tela,
in cui i tre personaggi, morbidamente modellati dalla
calda atmosfera rarefatta dell'ambiente, paiono come
sospesi in una dimensione atemporale, quasi estatica,
così distante dal potente dinamismo plastico delle
forme, costantemente colto in istantanea da
Caravaggio; infine la terza, a mio avviso dirimente,
riguarda l'uso della luce “a lume notturno” come unica
fonte, che non sembra essere stata mai utilizzata dal
Merisi,
che adottava invece una illuminazione naturale
proveniente dall'esterno opportunamente direzionata.
Mai quindi il pittore lombardo avrebbe costruito
una scena in questo modo, così come gli è del tutto
estraneo l'uso della luce artificiale interna, che
invece ha una ben più antica e distinta tradizione,
originata dalla pittura fiamminga quattrocentesca di
Geertgen tot Sint Jans o addirittura Hugo van der Goes,
e che interessò, a diverso titolo, molti artisti
dell'Italia settentrionale e poi i cosiddetti
“caravaggisti nordici”, tra cui Honthorst, anticipati
da altri d'origine centro europea come Cobergher,
Winghe, Mijtens e soprattutto Elsheimer,
e solo marginalmente il Rustichino e altri italiani,
evidentemente affascinati dalle soluzioni luministiche
“settentrionali”, piuttosto che dallo stesso Merisi.
Resta dunque l'attribuzione al Rustichino di
Benedetti, il quale molto probabilmente, aveva in
mente, pur non menzionandola, la replica passata
all'asta nel 1988 con la stessa assegnazione (fig. 20),
per la quale Roberto Contini nel 1993 propose il poco
convincente nome di Paolo Guidotti.
Diverso
è
invece il caso delle opere di Cagliari (fig. 21) e
Montserrat, che hanno avuto vicende attributive più
complesse e, fino a tempi recenti, slegate dalle
altre. La prima è menzionata per la prima volta nel
1856 da Giovanni Spano, che la descrisse come facente
parte di un gruppo di quattro dipinti, che attribuì a
Gherardo delle Notti: un Cristo
al
Pretorio,
un Gesù
davanti
ad Anna
(cm. 110 x 140) (fig. 24)
Fig. 24 - Anonimo sardo attivo a Roma, Gesù davanti ad Anna olio su tela, cm. 110 x 140, Cagliari, Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
e una Maria
Maddalena
(cm. 100 x 125).
Dei quattro, ancora documentati nel 1861,
sono ancora in
situ
gli ultimi tre, mentre il primo risulta
irrintracciabile.
Nonostante ciò, fino ad oggi, questo piccolo corpus
omogeneo non è mai stato considerato nel suo insieme,
mentre è stata sempre presa in esame la Sant'Agata,
che la Scano, rigettando la tradizionale attribuzione
a Honthorst
già confutata dalla Barroero
e attraverso un confronto con la replica di Montserrat
– per la quale era stata avanzata l'improponibile
attribuzione ad Artemisia Gentileschi
– dava ad un anonimo napoletano «vicino alla
Gentileschi durante il suo lungo soggiorno nella città
partenopea».
Un'attribuzione rimasta incontestata fino a tempi
recenti,
quando chi scrive, considerando nel loro insieme i tre
dipinti e attraverso l'associazione tra la tela sarda,
quella di Montserrat e quella di Caltagirone, che era
stata già attribuita a Rustici, sottolineava come
queste ultime, pur di diversa mano, potessero essere
considerate derivazioni da un unico prototipo, frutto
di una reinterpretazione delle opere di medesimo
soggetto di Lanfranco, Vignali e Vouet a cui si
sommano «talune notazioni dipendenti strettamente
dalla lezione reniana», che «rinviano all'ambiente
emiliano, più che a quello napoletano».
Suggerimenti che rimasero inascoltati, tanto che il
dipinto sardo, successivamente, veniva nuovamente
associato all'ambito di Rustici per vicinanza con le
altre repliche note, a questo punto tutte ascritte
alla sua cerchia.
Un ambito che potrebbe essere indicato forse per la Sant'Agata
curata
da San Pietro,
almeno per quanto riguarda la soluzione iconografica,
mentre difficilmente varrebbe per gli altri due
dipinti, realizzati evidentemente dalla stessa mano.
La Santa
Maria
Maddalena in estasi,
ritratta in forme abbondanti avvolte da un'ampia veste
bruna scollata, è mollemente adagiata a terra su un
fianco, con la sinistra poggiata su un teschio e la
destra che regge una croce, con un angelo che le si
accosta reggendo una candela con cui illumina la
scena. L'altro dipinto, di dimensioni leggermente
maggiori rispetto ai primi due, è dominato dalle
figure di Anna e Cristo, che si affrontano davanti ad
un ragazzo in controluce, che regge un lume e si volta
verso lo spettatore, mentre tre sgherri li attorniano,
uno dei quali «vestito con cojetto e cinturino alla
sarda».
Osservazione di cui non si è mai tenuto conto, ma che
autorizzerebbe a pensare ad un autore di origine sarda
che traduceva in vernacolo, iconografie a lui note,
probabilmente attraverso disegni o incisioni, al
momento irrintracciabili.
Sempre
ad
Honthorst era assegnata la tela spagnola quando venne
acquistata nel 1917 dall'Abate Marcet a Roma, assieme
ad un San
Sebastiano
curato da Sant'Irene,
poi assegnata a Giovanni Battista Spinelli.
Successivamente venne proposta l'attribuzione ad
Artemisia Gentileschi,
subito abbandonata dagli studi successivi, che invece,
sottolineando la bassa qualità del dipinto,
confutavano anche quella storica al pittore fiammingo
in favore di un anonimo romano,
quindi al Rustici o al suo ambito.
Ambito a cui è stata assegnata, fin da subito,
l'ulteriore replica apparsa per la prima volta in
un'asta nel 1999,
quindi una seconda volta nel 2002, dove tuttavia era
stata indicata erroneamente come un martirio di
Sant'Agnese.
L'ultima
delle
repliche che è stato possibile rintracciare è quella,
del tutto sconosciuta agli studi italiani, del Musée
des Beaux-Arts di Nantes in Francia (fig. 22),
proveniente dalla collezione del diplomatico francese
François Cacault, che quasi certamente la acquistò in
Italia durante la sua permanenza nella qualità di
ambasciatore, tra Napoli, Roma e la Toscana,
attualmente attribuita a Paolo Guidotti o al suo
ambito, sulla base della proposta di Roberto Contini
per l'irrintracciabile replica venduta nel 1988 (fig.
20) già menzionata,
mentre precedentemente era assegnato ad anonimo
italiano.
Le
sei
repliche appena elencate, dimostrano come questa
composizione abbia avuto un discreto successo, almeno
pari se non oltre quelle più note di Vouet e
dell'Orbetto. Un buon esito forse dovuto proprio a
quel trasporto estatico della santa che sottende un
dialogo diretto con il trascendente, mediato da
Pietro, ideale personificazione della Chiesa. Una
soluzione iconografica che porta a «movere gli animi
de' riguardanti»
attraverso «lo essempio di persone sante, che per
servire a Dio hanno scacciato da sé i vizii, avuto in
orrore le iniquità e superato tutte le difficoltà del
mondo, abbracciando la pietà, la carità, la pudicizia,
la giustizia e la vera ubidienza della legge di Dio; e
questo con tanto ardore e zelo, che, per non stare
pure un momento fuori della grazia sua, sono andati
con grandissima prontezza alli rasori, alle croci,
alle fiamme ardenti et ad ogni sorte d'acerbissimi
supplicii».
Supplizio che Agata offre direttamente al Padre
Celeste – da cui riceve consolazione, calore e luce
attraverso il suo stesso messaggero – mostrando
pudicamente la mammella orrendamente mutilata dai suoi
aguzzini: atteggiamento atto a sottolineare il suo
ruolo entro la schiera di coloro i quali «sono stati
tabernacoli in terra dello spirito celeste e vasi puri
della grazia divina».
Una “narrazione” che pur non presentando una
interpretazione letterale del testo, risulta comunque
trattata con assoluto «giudicio e verisimilitudine»,
tanto da «movere il cuore et eccitare divozione», e di
conseguenza classificabile non come «temeraria», ma
perfettamente ortodossa, secondo i canoni tridentini
per come meglio esplicitati dal Paleotti e a cui il
nostro dipinto sembra perfettamente aderire.
Adesione
non
solo formale, ma anche sostanziale, che tuttavia non
spiega completamente un tale significativo numero di
repliche, tutte di diversa mano, ma nessuna
qualitativamente così elevata da poterla indicare
quale prototipo, tanto da far pensare ad un'unica
provenienza d'ambito, più che di bottega, forse
nemmeno riconducibile al «gentile caravaggesco»
Rustichino, che parrebbe al momento il candidato più
attendibile. Si tratterebbe infatti di soggettive
interpretazioni derivanti da una comune matrice
iconografica, di cui quella cagliaritana (fig. 21)
pare distaccarsi maggiormente e suggerire una
personalità, pur non eccezionalmente dotata,
certamente ben distinguibile, che riesce a giocare
tutto su toni uniformemente caldi, con accenti
cromatici gialli, utilizzati anche come punti
luminosi, al contrario di quanto avviene, ad esempio,
in quella di Montserrat, dove i colori sono più
saturi, le ombre più nette e i contorni più definiti;
nel luminoso dipinto catatino (fig. 19), modulato
attraverso vellutate morbidezze chiaroscurali o ancora
nel più tetro dipinto di Nantes dove i contorni
appaiono segnati quasi calligraficamente, come avviene
nella scolastica e quasi monotonale tela venduta nel
2002.
Guardando
all'opera
di Caltagirone o a quella venduta all'asta nel 1988
(figg. 19 e 20), che tra le sei appaiono di qualità
più elevata, sembra complesso immaginarle quali
repliche di una non documentata tela di Rustici:
mancherebbe infatti quell'accento drammatico
determinato da un naturalismo che rifiuta ogni
idealizzazione presente ad esempio nella Morte
di
Lucrezia
e nella Maria
Maddalena
morente
degli Uffizi. Al contrario il gruppo sembrerebbe
derivare da un prototipo realizzato attraverso un
attento studio dei repertori dell'arte classica,
mutuati da forme ancora debitrici dei virtuosistici
scorci sperimentati nel secondo Cinquecento, ripresi
magistralmente dagli emiliani a Roma, a cominciare da
Carracci.
Il
particolare
punto di vista della testa della santa, infatti,
sembra ispirato, ma in controparte, a quello della
figura mollemente adagiata a terra, in basso a destra,
del Trionfo
di
Bacco e Arianna
della Galleria Farnese, identificata da Bellori come
la «Venere vulgare e terrena».
Molto simile è la definizione dell'unico occhio
visibile: sgranato, con iride e pupilla rivolti verso
l'alto, che lasciano spazio alla sclera in basso,
calligraficamente definita dalla palpebra inferiore;
quasi sovrapponibile è l'arcata sopraciliare, così
come l'attaccatura dei fluenti capelli ondulati,
mentre qualche lieve differenza la si avverte nella
posizione del naso – che tuttavia è sempre greco – e
delle labbra – serrate quelle della Venere e socchiuse
quelle di Sant'Agata – determinate esclusivamente dal
fatto che la santa presenta una più accentuata
rotazione del capo.
Se la
particolare posizione della testa della santa sembra
trarre origine dagli arditi scorci anatomici
sperimentati in area emiliana a partire da Correggio e
Parmigianino, poi diffusi a Roma da Carracci, Cigoli,
Lanfranco e Domenichino; la postura del busto con la
mano destra che scosta la camicia e incornicia il seno
mutilo pare più un riadattamento di modelli utilizzati
per la raffigurazione di personaggi mitologici
femminili come Lucrezia Romana o Niobe, non a caso la
stessa posa, ma in controparte, la ritroviamo in una
incisione di Gérard de Laireisse del 1668 (cm.
12,8
x 10,2)
raffigurante la figlia di Tantalo disperata dopo
essere stata punita con la morte dei suoi figli, per
l'affronto che aveva fatto agli dei (fig. 25).
Fig. 25 - Gérard de Laireisse, Niobe punita per il suo orgoglio acquaforte, cm. 12,8 x 10,2, Amsterdam, Rijksmuseum (1668) (Foto cortesia Luigi Agus)
Un'incisione certamente successiva rispetto al gruppo
dei nostri dipinti, che tuttavia sembra derivare da
un'altra di Aegidius Sadeler II, raffigurante però Lucrezia
Romana
(19,5x14,2)
(fig. 26),
Fig. 26 - Aegidius Sadeler II (da Hans von Aachen), Suicidio di Lucrezia Romana acquaforte, cm. 19,5 x 14,2, MAH Musée d'art et d'histoire, Ginevra (ante 1629) (Foto cortesia Luigi Agus)
tratta da un dipinto di Hans von Aachen, di cui sono
note varie repliche, riprodotta a sua volta a china da
un appena undicenne Joachim von Sandrart il giovane
nel 1679.
Si tratta di soggetti tutti derivanti da una
reinterpretazione della scultura classica, come ad
esempio l'Arianna
o Cleopatra
dei Musei Vaticani, dipendente da un originale
ellenistico della scuola di Pergamo del II secolo
a.C., la cui posa viene di volta in volta adattata e
rifunzionalizzata in virtù di una più o meno
accentuata drammatizzazione.
La
particolare
attenzione verso i modelli classici, unitamente agli
evidenti spunti emiliani e all'adesione piena ai
dettami tridentini farebbero propendere per una idea
compositiva sviluppata da un artista nordico attivo a
Roma risalente almeno ai primi anni Trenta del
Seicento, ossia successiva rispetto alla straordinaria
impresa di Lanfranco e Domenichino a Sant'Andrea della
Valle. Ipotesi che potrebbe avere indiretta conferma,
sia con la tradizionale assegnazione ad Honthorst dei
dipinti di Cagliari e Montserrat; sia con l'iscrizione
ad inchiostro, frutto probabilmente di un'antica
catalogazione, «Prima Scola di Caravaggio Stomer
Siciliano», che si legge a sinistra del traverso
superiore del telaio originale del dipinto di
Caltagirone;
sia infine con la documentata provenienza da Roma
delle tele di Montserrat e Nantes. A questi primi dati
andrebbe aggiunta la constatazione che l'opera
catatina e quella passata all'asta nel 1988 (figg. 19
e 20), con quei passaggi chiaroscurali morbidi e
l'atmosfera soffusa, appaiono più come il risultato di
una traslitterazione accademicamente impostata delle
soffici e morbidezze rubensiane. Impostazione che
ritroviamo solo in parte nelle altre repliche,
evidentemente frutto di interpretazioni di distinte
sensibilità artistiche, alcune con una propensione per
tonalità più tenebrose e contrasti meno marcati –
com'è il caso del dipinto passato all'asta nel 2002 o
quello di Montserrat – altre con una tendenza a
delineare i contorni ed esasperare i toni drammatici,
come ad esempio si vede a Cagliari e Nantes.
Si
tratta,
in tutti i casi, di un fenomeno di replicazione, che
essendo attuato da diversi artisti minori in un
ambiente abbastanza ristretto, testimonia di una certa
fama del prototipo originale, realizzato certamente da
un artista noto e riconosciuto soprattutto per la sua
capacità di accordare la naturalezza con la «maniera
antica», come Joachim von Sandrart.
Non a caso nell'inventario di Camillo Massimo, redatto
nel 1640, è menzionata una «Sant'Agata [che] visita
San Pietro in carcere» a lume di notte di un certo
«Giovacchino», ormai identificato con Sandrart. Opera
che, a seguito di un periodo di oblio dell'artista
olandese a Roma, passò erroneamente per Gherardo
(delle Notti) nell'inventario Massimo redatto nel 1677.
Identificazione che trova una corrispondenza con
l'ottocentesca attribuzione dei dipinti di Montserrat
e Cagliari, frutto probabilmente di una tradizione più
antica dovuta all'errata identificazione del
prototipo, oggi disperso,
nell'inventario fatto redigere, alla morte di Carlo
Camillo Massimo, dal fratello ed erede Fabio Camillo.
Il
prototipo,
da considerarsi ormai perduto, sarebbe stato quindi
realizzato da Sandrart durante il suo documentato
soggiorno
a Roma tra il 1629 e il 1635, molto probabilmente
quando risiedeva a Palazzo Giustiniani, dove svolse
l'attività di disegnatore e appaltatore presso altri
artisti almeno a partire dal 1632,
ma a cui si ritiene abbia avuto accesso fin dal 1629.
In questa composizione, infatti, si ritroviamo echi di
quell'essenziale passaggio, soprattutto per l'idea di
tradurre pittoricamente la scultura con quello che è
stato definito «effetto
Pigmalione»,
secondo un esercizio fortemente raccomandato da
Vincenzo Giustiniani nella sua lettera sulla scultura,
rilevabile, come si è argomentato, nell'impostazione
anatomica della santa. Così come ritroviamo
suggestioni emiliane e nordiche derivanti molto
probabilmente dall'osservazione di
alcuni
dipinti della collezione Giustiniani, come il ciclo
con la Vergine,
Cristo
e i dodici apostoli
di Francesco Albani (Naumburg, Moritzkirche),
il San
Carlo
Borromeo
di Giovanni Lanfranco (Berlino, Gemäldegalerie)
– soprattutto per le tonalità ovattate e l'idea di
riprodurre la santa in estasi mistica – e la Lavanda
dei
piedi
di Dirck van Baburen (Berlino, Gemäldegalerie)
per gli effetti naturalistici e l'atteggiamento
estasiato di Pietro.
Gli
aggiornamenti
romani appena indicati si sommano, naturalmente, ad
una solida e composita base nordica, che sembra
confermare definitivamente l'ipotesi avanzata. Dalla
già richiamata Lucrezia
Romana
di Sadeler II, incisore di cui Sandrart fu allievo dal
1622 al 1624 a Praga;
alla tecnica di illuminazione notturna di chiara
ascendenza honthorstiana, puntualmente descritta nel
suo trattato,
dove appunta anche che fu stretto collaboratore del
pittore olandese a Utrecht, col quale si recò in
Inghilterra dove incontrò Orazio Gentileschi e infine
il vago richiamo a Rubens, artista che conobbe nei
Paesi Bassi e con cui si recò in visita alle province
del nord.
Se
è
possibile, in base alle argomentazioni fino ad ora
esposte, ipotizzare che il disperso prototipo fosse
stato realizzato da Sandrart tra il 1632 e il 1635
circa per Camillo Massimo, più complesso è individuare
gli autori delle sei repliche, quasi certamente
databili agli anni Quaranta e comunque non oltre la
metà del XVII secolo, termine ultimo normalmente
indicato per la pittura a “lume di notte”.
La loro qualità non omogenea, le difformità
cromatiche, alcuni dettagli differenti, ma soprattutto
le distinte impostazioni stilistiche, farebbero
propendere per un ristretto gruppo di artisti
gravitanti attorno ai Giustiniani o all'Accademia di
San Luca, per la quale Sandrart risulta pagare i
tributi almeno dal 1629.
Una tale diffusione capillare in un ambiente
ristretto, ma di alto livello, testimonia il successo
di una soluzione iconografica maturata attraverso la
rielaborazione delle principali precedenti, come
quelle di Lanfranco, Vouet, Orbetto e Procaccini, con
un processo di idealizzazione basato su repertori
classici, parzialmente smorzato da un naturalismo
honthorstiano ormai codificato, tanto da poter essere
indicata come la più prossima, non solo alle
indicazioni di Paleotti, ma anche a quelle contenute
nelle Instructiones
di Carlo Borromeo.
NOTE
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DIDASCALIE IMMAGINI
Fig. 1 -
Antonio
di Bellis, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 145 x 137, Napoli, Capodimonte
(1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 2 -
Paolo
o Benedetto Caliari, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 166,37 x 207,1, Murano, Chiesa
di San Pietro Martire (1566-1567) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 3 -
Giovanni
Battista Fontana, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
acquaforte, cm. 21,4 x 27, Vienna, Albertina
(1569) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 4 -
Gerrit
van Honthorst (seguace di), Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 47 x 74, Lamport, Lamport Hall
(1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 5 -
Giovanni
Lanfranco, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 100 x 132,6, Parma, Galleria
Nazionale (1613-1614) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 6 -
Simon
Vouet, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 129,8 x 183,2, Stati Uniti,
Collezione Privata (1624 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 7 -
Iacopo
Vignali (ambito), Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 143 x 172, Mosca, Museo
Pushkin (1640-1660) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 8 -
Alessandro
Turchi detto l'Orbetto, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su ardesia, cm. 34 x 49, Baltimora, The
Walters Art Museum (1645 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 9 -
Federico
Zuccari, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 280 x 160 circa, Milano, Duomo
(1597) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 10 -
Federico
Zuccari, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
inchiostro e acquerello su carta, cm. 24 x 12,5,
Collezione privata (1597 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 11 - Donato
Creti, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
inchiostro, acquerello e biacca su carta, cm.
42,3 x 29,1, Parigi, Louvre (fine XVII secolo) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 12 - Pietro
Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 195 x 147, Bologna, collezione
privata (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 13 -
Giacomo
Cavedone, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
gessetto e acquerello su carta, cm. 25,5 x 40,
Parigi, Louvre (1630-1640) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 14 -
Luca
Giordano, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
penna e acquerello su carta, cm. 26,5 x 41,5,
San Pietroburgo, Hermitage (1680 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 15 -
Francesco
Albani, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
penna e inchiostro bruno lumeggiato con biacca
su carta, cm. 44,2 x 32,6, Parigi, Louvre
(1630-1650) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 16 -
Pietro
Novelli detto il Monrealese, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
inchiostro a acquerello su carta, cm. 22,8 x
15,2, New York, CooperHewitt, Smithsonian Design
Museum (1634-1635) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 17 -
Simone
Pignoni, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 147 x 110, Collezione privata
(1649) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 18 -
Giulio
Cesare Procaccini e aiuti, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su legno, cm. 58,2 x 74,5, Avignone, Musée
Calvet (1610-20) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 19 - Anonimo
romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 100 x 115, Caltagirone, Chiesa
dei Cappuccini (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 20 -
Anonimo
romano (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 97 x 126, Collezione privata
(1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 21 -
Anonimo
sardo attivo a Roma (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 100 x 126, Cagliari,
Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 22 - Anonimo
romano, (da Joachim von Sandrart), Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm.
78
x 102,
Nantes,
Musée
des Beaux-Arts (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 23 -
Alessandro
Vitali, Sant'Agata
in
carcere visitata da San Pietro,
olio su tela, cm. 253 x 178, Urbino, Galleria
Nazionale delle Marche (1598) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 24 -
Anonimo
sardo attivo a Roma, Gesù
davanti
ad Anna,
olio su tela, cm. 110 x 140, Cagliari,
Cattedrale, Aula capitolare (1635-1650 circa) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 25 - Gérard
de Laireisse, Niobe
punita
per il suo orgoglio,
acquaforte, cm. 12,8 x 10,2, Amsterdam,
Rijksmuseum (1668) (Foto cortesia Luigi Agus)
Fig. 26 -
Aegidius
Sadeler II (da Hans von Aachen), Suicidio
di
Lucrezia Romana,
acquaforte, cm. 19,5 x 14,2, MAH Musée d'art et
d'histoire, Ginevra (ante 1629) (Foto cortesia Luigi Agus)
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