Quando dalla
strada che fa angolo con via Oslavia guardai in
su, verso quelle che sarebbero state le nostre
finestre, mi si strinse il cuore a vederle così
piccole e in fila tra tante altre; noi eravamo
abituati in una casa dove le finestre, irregolari,
affacciavano sulla campagna.
Elica
Balla, Con
Balla, Milano,
1984-1986.
A 150 anni dalla
nascita di Giacomo Balla (Torino, 18 luglio 1871)
grande interprete della stagione futurista, Roma gli
rende omaggio aprendo le porte di Casa Balla e del
Bal Tik Tak. Due aperture certamente
“straordinarie”, avvenute a ridosso della crisi
pandemica, perché fatalità ha voluto che questi due
luoghi rivedessero la luce proprio in un tempo
accarezzato dall'ombra, quasi a memento
di
quanto l'arte possa essere taumaturgica e
terapeutica.
Luce 1, del
resto, è il nome di una delle figlie di Balla, che
insieme alla sorella Elica 2, più
piccola di qualche anno, ha vissuto con il padre al
quarto piano della casa di Via Oslavia 39 b (Fig. 1)
Fig. 1 – Prospetto esterno di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
nel noto quartiere della Vittoria, uno dei più
residenziali della Capitale. La famiglia vi si
trasferì nel 1929 e qui rimase per tutta la vita a
seguito della demolizione della precedente dimora in
via Nicolò Porpora, un'antica struttura conventuale
affacciata sul verde di Villa Borghese. Per questo
motivo, il trasloco nella nuova abitazione non fu
indolore e spesso la nostalgia albergò nei pensieri
delle giovani Luce ed Elica, intimorite dall'austero
palazzo, dal panorama sulle imponenti architetture
del Ventennio, dai riflessi plumbei e dai ritmi
serrati di un rione in piena espansione edilizia. I
loro timori diventano comprensibili quando, varcata
la soglia di casa, con la celebre targa
“FUTURBALLA”, la vista si apre sui palazzi di fronte
(Fig. 2),
Fig. 2 – Panorama dal salone di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
sul viale sottostante, sul cielo che
appare prepotente tra le mansarde e le verande degli
ultimi piani e, ascoltando il rumore del traffico,
si coglie la frenesia della vita che scorre al di
sotto. Un instante dopo la finestra si chiude, i
grigi prospetti e il caos cittadino abbandonano in
campo, trionfa il colore. Si è dentro un capolavoro,
questo è evidente. L'opera d'arte totale, tanto
acclamata dai libri, ora è sotto i nostri piedi:
possiamo attraversarla, toccarla, carpire l'insieme,
gustare ogni singolo dettaglio.
Il rassicurante
confine tra vita reale e vita professionale sembra
svanire in questa casa: la fusione tra arte e vita è
compiuta, finendo per invadere ogni campo, dalla
moda, al design, fino alla cucina. Così, il
Manifesto sulla
Ricostruzione Futurista dell'Universo, sottoscritto da
Balla e Depero nel 1915, non rimane una chimera
declamata ad alta voce ma diventa piuttosto modus vivendi et operandi nel singolare
percorso di questi artisti.
«Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo
realizzare questa fusione totale per ricostruire
l'universo rallegrandolo, cioè ricreandolo
integralmente. Daremo scheletro e carne
all'invisibile, all'impalpabile, all'imponderabile,
all'impercettibile. Troveremo degli equivalenti
astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi
dell'universo, poi li combineremo insieme, secondo i
capricci della nostra ispirazione, per formare dei
complessi plastici che metteremo in moto 3».
Due elementi colpiscono di questo
Manifesto, del quale esiste solo la versione in
italiano. In primis il suo nucleo concettuale, l'idea di
“rallegrare” l'universo. Ai Futuristi il merito di
aver individuato quel connubio tra arte e gioia, per
nulla scontato, e di averlo descritto, perseguito, a
partire da una attenta ricerca terminologica,
scegliendo un verbo forse insolito per una
dichiarazione poetica. In secundis la descrizione dei materiali del complesso
plastico, preannuncio all'arte polimaterica poi
teorizzata da Enrico Prampolini. 4
«La costruzione materiale del complesso
plastico. Mezzi necessari: fili metallici, di
cotone, lana, seta, d'ogni spessore, colorati. Vetri
colorati, carteveline, celluloidi, reti metalliche,
trasparenti d'ogni genere, coloratissimi tessuti,
specchi, lamine metalliche, stagnole colorate, e
tutte le sostanze sgargiantissime 5».
Dalla teoria alla
pratica: a ben guardare in casa Balla questi
materiali ci sono tutti, e sono anche coloratissimi,
come recita il Manifesto. Tessuti, vetri colorati,
carte veline, celluloidi, a cui si aggiungono
maioliche, ceramiche, boiserie lignee e naturalmente
tele di svariate dimensioni. Ogni centimetro di
questo spazio mimetico e cangiante sembra ricordarci
che Balla ha vissuto, o meglio vive ancora, in
questo luogo. E lo fa attraverso i pennelli, le
cravatte, le scarpe, i vestiti, i piatti e tutti gli
oggetti che lo hanno accompagnato nel trantran
quotidiano, sparsi con nonchalance
nei
vari ambienti. Perché, lungi dal volere essere un
museo - i Futuristi se ne sarebbero ben guardati -
l'appartamento di Via Oslavia è stato da sempre, e
continua a essere, un luogo vivo e deputato
all'accoglienza. Balla non solo vi riceveva i suoi
amici ma usava la dimora alla stregua di un moderno
showroom
dove
esporre opere, arredi e oggetti, che pur
appartenendo a una dimensione intima e domestica,
restavano comunque dei manufatti artistici, spesso
replicabili, anticipando così la serialità del
design contemporaneo. Ma ciò che rende questa casa
fuori dagli schemi, diversa dunque da ogni altra
residenza d'artista, è che qui avviene ciò che non
ti aspetti.
Non ti aspetti che al quarto piano di un
severo e ordinario edificio al centro di Roma, nel
1929, l'idea di abitazione fosse stata travolta e
trasformata dall'onda futurista. E per di più non ti
aspetti di entrare in una casa ferma nel tempo,
ossia fuori dal tempo, già contemporanea. Così,
percorso l'atrio e salite le scale, distratti dai
rumori e dagli odori che invadono i pianerottoli,
oggi come un tempo, tutto appare normale, familiare,
consueto, nulla sembra stupire lo sguardo, nulla
sembra tradire la presenza di FUTURBALLA. Varcata la
porta di ingresso le certezze vengono meno. Aboliti
miroir e consolle, assenti carta da parati, stucchi e mobili
in stile, ciò che rimane della tipica casa borghese
è la configurazione planimetrica: il lungo
corridoio, la teoria di stanze e i servizi posti in
un'ala dedicata. Per il resto non esistono
convenzioni e gerarchie in questo luogo, ogni
ambiente è trattato allo stesso modo e ogni
materiale, dal più povero al più innovativo,
concorre a creare un'opera di “cosmesi globale” per
dirla con Alessandro Mendini 6.
Balla, infatti, è
stato molto più di un pittore. Nel corso della sua
lunga vita si è occupato di decorazione,
scenografia, moda, design, con piglio avanguardista,
declinato sempre in un allegro caleidoscopio di
forme e colori. Tutto nell'appartamento di via
Oslavia è stato concepito ad
hoc
da lui e dalle giovani figlie, artiste e designer,
forse offuscate dall'astro paterno. La
casa
è quindi un manifesto, non solo del Futurismo ma
della lunga ricerca intrapresa dai suoi illustri
inquilini, che include anche la loro personale
visione dell'architettura e del design, l'arte
dell'abitare. Ma non basta.
La
sterminata
bibliografia e critica balliana si è forse poco
soffermata sulle novità progettuali presenti
nella dimora futurista, alcune delle quali
trovano oggi piena applicazione nell'ambito
dell'interior design:
arredi a scomparsa, materiali di recupero,
impiego del colore per caratterizzare gli
ambienti. Esclusa la planimetria il concept della
casa è infatti modernissimo. A partire dal
corridoio (Fig. 3)
Fig. 3 – Corridoio di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
interamente rivestito da una
fitta trama decorativa che, come un nastro
continuo, mimetizza la porta d'ingresso,
incornicia l'appendiabiti (Fig. 4)
Fig. 4 – Dettaglio del corridoio di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
e inquadra
una serie di vani contenitori. Un effetto
scatola, ottenuto dipingendo pareti e soffitto
con gli stessi colori, utilizzando telai
recuperati da una precedente scenografia 7. Qui
trovano posto librerie a giorno e armadiature a
scomparsa (Fig. 5)
Fig. 5 – Attaccapanni nel corridoio di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
utili certamente a ospitare
oggetti della vita quotidiana ma funzionali
anche a occultare le tubature impiantistiche,
mal tollerate da Balla. Una soluzione che forse
il grande Le Corbusier, fautore degli impianti a
vista, avrebbe in prima battuta bocciato, ma poi
digerito, considerata la presenza di alcuni
mobili totalmente incassati nella parete, in
linea con quanto descritto nel suo celebre Manuale
dell'Abitazione 8. Scelta
condivisa anche dal nostro Gio Ponti che in
questo appartamento, oltre agli arredi, avrebbe
di sicuro apprezzato le mattonelle in ceramica
lucida, di un lilla sgargiante, presenti nel living (Fig.
6).
Fig. 6 – Salone di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
Rivestimento reiterato in bagno (Fig. 7)
Fig. 7 – Bagno di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
con un
acceso verde-turchese, alternato a una fascia di
piastrelle a motivi e linee geometriche.
A queste colorate
ceramiche, nel resto degli ambienti, fa da
contraltare un pavimento in marmette di
graniglia, molto in voga negli interni borghesi
del tempo. La grigia pavimentazione originale
presente nel corridoio, in cucina e nelle camere
da letto, viene dunque mantenuta ma ravvivata
dalla presenza di colorati tappeti, con un
vivace camouflage che caratterizza
tutti gli ambienti. Un impeto creativo che non
si arresta, coinvolgendo ogni angolo, oggetto,
centimetro di questa casa-atelier, come mostra
la camera di Luce (Fig. 8).
Fig. 8 – Camera di Luce, Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
Una stanza calda e
luminosa, affacciata su un terrazzo, dove il
particolare pattern decorativo a motivi
astratti viene reiterato dal soffitto agli
arredi, invadendo perfino le ante interne del
guardaroba. Opera di design sartoriale, come
mostrano anche la serie di complementi d'arredo,
in particolare i cavalletti (Fig. 9)
Fig. 9 – Cavalletti nel salone di Casa Balla
Roma, 2021, (Foto cortesia © Bibiana Borzì)
e i
tavolini (Fig. 10),
Fig. 10 – Tavolini nel salone di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
alcuni dei quali con base
antropomorfa, realizzati con un ingegnoso gioco
di incastri (senza viti né collanti) e con
materiali di recupero, tra cui semplici canne di
bambù. Oggetti precursori del contemporaneo
filone green dell'architettura e
del disegno industriale, non solo dal punto di
vista della ricerca materica, ma per la loro
estetica, funzionalità e replicabilità.
Ritratto
di
una casa per certi versi anti lecorbusieriana,
considerata la spasmodica presenza di decori,
tappeti, mobili colorati, creati tutti dalla
matita di Balla, come emerge da una serie di
disegni e studi firmati dall'artista. A questo
elenco vanno aggiunti gli apparati
illuminotecnici presenti nell'appartamento,
realizzati con profili e materiali
attualissimi, tra cui il plexiglas, che
ritroviamo negli originali paralumi del
corridoio (Fig. 11)
Fig. 11 – Paralume nel corridoio di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
in perfetto pendant
con la trama decorativa delle pareti. Oppure
con semplici fili di metallo, come nel caso
della lampada da soffitto della camera di Luce
(Fig. 12),
Fig. 12 – Lampada da soffitto nella camera di Luce, Casa Balla
Roma, 2021, (Foto cortesia © Bibiana Borzì)
quasi nello stile del compianto
Ingo Maurer 9
che ritorna anche nella produzione di lampade
fatte con la carta. Una produzione
caratterizzata da materiali semplici e
facilmente reperibili per rispondere al
bisogno repentino di creare oggetti, effimeri
in certi casi ma non per questo meno poetici.
La
luce dunque, nelle sue diverse declinazioni,
si conferma centrale nella poliedrica ricerca
balliana, d'altronde avvalorata dallo spirito
futurista. Se in opere quali Compenetrazioni
iridescenti
(1912) o Lampada
ad
arco
(1909-11) si indaga la natura della radiazione
luminosa, sia artificiale che naturale –
partendo ad esempio da un soggetto
banale
come una lampadina –
in Via Oslavia la scelta di materiali lucidi,
riflettenti, trasparenti, è funzionale a
creare suggestivi effetti di luce. Effetti che
insieme al colore contribuiscono ad ampliare o
ridurre la percezione spaziale, escamotage
assai noto ai contemporanei architetti
d'interni. Ciò è evidente nello studiolo della
casa, un piccolo pensatoio ottenuto sfruttando
la parte terminale del corridoio, un ambiente
suggestivo e raccolto nel quale viene meno il
limes
tra pareti e soffitto. È un motivo decorativo
astratto, legato al tema della velocità, a
invadere ogni centimetro di questo spazio: un
fiume in piena che non si arresta ma finisce
per travolgere muri, mobili, oggetti del menage
quotidiano,
dal
paralume, ai vetri della finestra, agli
stipiti delle porte. Così anche wallpaper,
fili elettrici e tubature dell'acqua vengono
ricoperti e occultati dal colore, con la
medesima operazione di “cosmesi globale” già
utilizzata nel corridoio. Qui il rosso prevale
sugli altri toni con un impatto visivo molto
forte: il risultato è un'area a tratti
claustrofobica, quasi una novella fucina di
Efesto, antro privato dell'artista.
Significativa inoltre è la presenza di
materiali eterogenei, circostanza che ha
notevolmente impegnato i restauratori 10
coinvolti nel ripristino di quest'opera d'arte
totale. Infatti, per far fronte alla varietà
dei supporti (carta, legno, vetro, ecc…)
presenti nel suo pensatoio, Balla ha
utilizzato medium pittorici diversi, come
tempere e smalti, che evidenziano anche la
volontà di sperimentare tecniche innovative
per l'epoca, come nel caso dei leganti a base
di oleoresine. Egli, d'altro canto, era molto
legato a questo ambiente, che viene smontato
dal vecchio appartamento ai Parioli per essere
riadattato ai nuovi spazi di Via Oslavia:
pochi metri quadrati affollati da libri,
barattoli, pennelli, quadri, pastelli, piccoli
busti, appartenuti all'artista e ancora
esposti con quel vivace disordine che si
conviene ai luoghi vissuti. Cuore pulsante
della casa nel quale, insieme agli oggetti
della memoria, tutt'altro che cimeli, possiamo
ancora godere di fiori futuristi.
Straordinario
esempio
di home decor,
contemporanei sotto ogni aspetto, dai materiali
all'astrazione geometrica, i fiori-scultura sono
lontani anni luce dalla caducità della natura
pur mantenendo le stesse funzioni della flora
reale: colorare, decorare, arredare, in sintesi
migliorare la percezione estetica dell'ambiente.
Leggeri ed essenziali si oppongono a una visione
botanica di stampo romantico, configurandosi
come unica alternativa possibile al cattivo
gusto dilagante. Sboccia la flora plastica
futurista.
«Creazione
di
una flora plastica futurista
Stabilito ormai che i fiori fornitici dalla
natura non ci interessano più, noi futuristi
per rallegrare, vivificare e decorare i nostri
quadri e i nostri ambienti abbiamo iniziato la
creazione di una flora plastica
originalissima
assolutamente inventata
coloratissima
profumatissima
e soprattutto inesauribile per la infinita
varietà degli esemplari.
Il pittore futurista Depero ha già dato
esempio di tali flore fantastiche andando
oltre la stilizzazione del fiore, dipingendo
con la tecnica verista e costruendo
plasticamente fiori inesistenti in natura.
Tuttora continuiamo a costruire plasticamente
la nostra flora colorandola violentemente e
profumandola coi più intensi profumi.
I fiori futuristi col dinamismo delle loro
forme e la sintesi dei colori combinate nelle
più originali trovate costituiscono una delle
più interessanti affermazioni del futurismo
nell'arte decorativa 11».
Alla
realizzazione
di questi fiori plastici, in legno e plexiglas,
parteciparono anche le figlie dell'artista, la
cui collaborazione va estesa ad arredi, arazzi e
complementi che caratterizzano gli interni di
casa Balla. Oggetti costruiti spesso con
materiali poveri e riciclati, testimoni silenti
di quel voler uscire dalle ristrettezze del
quadro, oltre che economiche, per abbracciare
ogni ambito della vita, ivi compresi la moda 12 e il
design. In questa direzione vanno letti i
tappeti, caratterizzati da ampie e vivaci
campiture cromatiche, e gli abiti - opere d'arte
prêt-à-porter -
dinamici, aggressivi, urtanti ma soprattutto
gioiosi, per stessa ammissione del loro
stilista.
Balla
firmerà
il Manifesto del Vestito
Antineutrale
(1914)
solo
di un anno precedente al già citato Manifesto
per la Ricostruzione
Futurista dell'Universo, poi a
partire dal 1920 circa si dedicherà al disegno
di vestiti, panciotti, cravatte, borsette,
cappelli. Pezzi unici 13
autoprodotti insieme alle figlie, che riprendono
nei modelli e nei tessuti le linee tese e veloci
della
sua pittura. Abiti con un appeal anticonvenzionale che conferiscono
movimento all'anatomia umana, cuciti con stoffe di
forme e colori diversi per sfuggire alla monotonia
del nero.
«Oggi vogliamo abolire:
-
Tutte
le tinte neutre, “carine”, sbiadite, fantasia,
semioscure e umilianti.
-
Tutte
le tinte e le foggie pedanti, professorali e
teutoniche. I disegni a righe, a quadretti, a
puntini diplomatici.
-
I
vestiti da lutto, nemmeno adatti per i becchini.
Le morti eroiche non devono essere compiante, ma
ricordate con vesti rosse.
-
L'equilibrio
mediocrista, il cosiddetto buongusto e la
cosiddetta armonia di tinte e di forme, che
frenano gli entusiasmi e rallentano il passo.
-
La
simmetria nel taglio, le linee statiche, che
stancano, deprimono, contristano, legano i
muscoli; l'uniformità di goffi risvolti e tutte
le cincischiature. I bottoni inutili. I colletti
e i polsini inamidati 14».
Il
vincolo
di tutela posto a Casa Balla a partire dal 2004,
insieme una serie di interventi di restauro e
messa in sicurezza, ha permesso di conservare
questo immenso patrimonio rendendolo nuovamente
fruibile al pubblico, come certamente il suo
padrone di casa avrebbe voluto. Destino
fatalmente condiviso da un altro luogo della
memoria balliana, per anni dimenticato, sepolto
al di sotto di controsoffitti,
carta da parati e strati di intonaco: il leggendario Bal
Tik Tak, primo cabaret futurista della Capitale,
che negli anni Venti del Novecento allietava i
suoi ospiti a ritmo di jazz.
Un
ritrovamento inatteso ed eccezionale quello
avvenuto al piano terra di Via Milano 24 a
pochi passi da Via Nazionale, dove, in seguito
alla ristrutturazione di locali destinati ad
accogliere spazi museali della Banca d'Italia
15,
nel 2017 sono riaffiorati circa 80 metri
quadrati di pitture parietali credute
irrimediabilmente perdute. Come avvenuto in
Via Oslavia, Balla si trovò davanti una tela
bianca, il che gli permise di intervenire con
grande autonomia inventiva, considerata anche
la destinazione d'uso di questo spazio,
ricavato all'interno del giardino di Villa
Hüffer. Se a inaugurare il night
club
capitolino,
nel
1921, fu Marinetti in persona, decorazione e
arredi 16
vennero affidati a Balla, il più votato
insieme a Depero a realizzare interventi di
carattere architettonico-decorativo.
L'ingresso al locale
era
stato pensato con un'eccentrica insegna
luminosa, formata da lettere maiuscole
danzanti che componevano il nome “BALTIKTAK”.
Frenesia, danza e movimento, erano infatti in
linea con lo spirito del luogo, dove per la
prima volta si concretizzava «la nuova arte
decorativa futurista. Forza, dinamismo,
giocondità, italianità, originalità» 17.
Un
trionfo di fiamme e colori, o meglio un enfer joyeux,
come
mostrano
le pitture del pian terreno: campiture a tinte
vivaci e forme geometriche che accoglievano i
visitatori del night
proiettandoli
in un ambiente accesso e caotico, ideale per
scatenati balli notturni. Scene infernali che
ritroviamo pochi mesi dopo al Cabaret del Diavolo 18, firmato stavolta da Fortunato Depero,
celebre per gli arredi fantasiosi e per i decori
con diavoli danzanti armati di forconi.
Tutto
questo
accadeva nella Roma anni Venti, divenuta capitale
dell'arte e della musica d'avanguardia, come
mostrano la serie di teatri e cabaret sorti
proprio in quel periodo, dal Teatro degli
Indipendenti al Cabaret della Gallina a Tre Zampe.
E ancor oggi nel salotto di Via Oslavia un
manifesto dedicato a una mostra di Giacomo Balla
(Fig. 13),
Fig. 13 – Dettaglio del salone di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
presso la Casa d'Arte Bragaglia 19 in via dei Condotti, sembra riportarci a
quelle imprevedibili e rumorose notti futuriste,
rischiarate da bagliori elettrici. Bagliori che
insieme a sinfonie contemporanee erano di casa al
Bal Tik Tak, creando una sintesi perfetta con
arredi e decori firmati dall'artista. Un universo
sinestetico, dove arte, musica, architettura,
design, erano frutto di una stessa poetica
dirompente e dissacrante, controcorrente rispetto
agli schemi del vivere borghese. A tutto ciò va
aggiunta una buona dose di immaginazione che
certamente servì alla famiglia Balla per
affrontare il trasloco nel nuovo quartiere della
Vittoria. Ed è con questo spirito, forse, che Luce
ed Elica ribattezzarono la “stanza dei rumori”
(Fig. 14)
Fig. 14 – Stanza dei rumori, Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
il piccolo vano privo di affacci esterni
annesso alla cucina (Fig. 15):
Fig. 15 – Cucina di Casa Balla, Roma, 2021
(Foto cortesia © Bibiana Borzì)
un ambiente anonimo
e banale, ceduto dal confinante palazzo in cambio
di una finestra. Un camerino angusto, reso
invivibile dal frastuono degli adiacenti impianti
- da qui “stanza dei rumori”- che solo un animo
futurista avrebbe potuto ironicamente riabilitare,
anche grazie a un divertente gioco di parole.
Perché del resto gli interni firmati da Balla
funzionano quasi come novelle wunderkammer, scrigni delle meraviglie nei quali
tutto appare curioso, bizzarro, magico, prezioso.
Spazi unici, dove bandita la noia è di casa la
vita.
NOTE
1 Figlia maggiore di
Giacomo Balla, nasce Lucia (Roma 20 dicembre 1904 –
30 aprile 1994), ribattezzata Luce in seguito
all'avvento del Futurismo. Non frequentò la scuola
ma ebbe dei precettori privati. Fin da bambina
mostrò interesse per l'arte, la decorazione e il
cucito, che eserciterà per tutta la vita all'interno
della casa paterna, traducendo in arazzi, tappetti e
ricami gli studi e i disegni del padre.
2 Elica Balla (Roma,
30 ottobre 1914 – 14 gennaio 1993), condivide con
la sorella la formazione e l'amore per l'arte. Pur
conducendo una vita riservata, riuscì ad
affermarsi come artista con lo pseudonimo di
“Ballelica”, partecipando da pittrice futurista a
numerose mostre (tra cui: XVII° Biennale di
Venezia, Trentatré artisti
futuristi, Galleria Pesaro,
Milano, 1929, Mostra futurista di aeropittura e
scenografia, Galleria Pesaro, 1931). Tra il
1947 e il 1950 scriverà il saggio, Luce
sulle stelle (pubblicato nel
1985), per cui realizzerà le illustrazioni. È stata inoltre
autrice di un prezioso testo biografico Con Balla (edito tra il
1984 e il 1986), tre volumi grazie ai quali è
possibile ripercorrere la vita della famiglia
Balla e la storia della Capitale all'epoca del
secondo conflitto mondiale.
6 Architetto, designer
di arredi e di abiti, scenografo, scrittore, art director, Alessando Mendini
(1931-2019) si è sempre dichiarato erede del
Futurismo: ciò emerge chiaramente dalle sue opere,
colorate, decorative, con forme sorprendenti, nelle
quali l'immaginazione prevale quasi
sempre sulla funzione. Nella sua costante
sperimentazione, progettuale, materica, teorica, è
inevitabile scorgere la strada già attraversata dal
più anziano maestro Giacomo Balla.
7 «Il rivestimento si
era pensato di farlo nel corridoio per contenere,
negli armadi di poco spessore, tutti quei vari
oggetti e strumenti necessari ai lavori di papà e
cioè colori, carte, inchiostri, fotografie dei
quadri, ferri da falegnami, barattoli di colore,
ecc…, ecc…, nonché impicci di vario genere. Il
rivestimento lo fece in seguito Enrico, un falegname
che lavorava sulla terrazza e che venne per molti
anni in casa nostra a lavorare. Per questo
rivestimento e anche per le cornici che faceva fare
mio padre sono stati adoperati telai sui quali erano
tese belle stoffe per lo scenario creato da mio
padre nel 1917 per “Feu d'artifice” di Stravinskij»,
BALLA E. 1984,
voll. II, p.
342. Per i documenti
relativi allo spettacolo "Feu d'artifice",
realizzato da Balla al Teatro Costanzi di Roma il
12 aprile 1917, Cfr. GIGLI 2006.
8 Cfr. LE CORBUSIER
1923.
9 Ingo Maurer (1932-
2019) è stato un designer e imprenditore tedesco,
specializzato nel settore dell'illuminotecnica. Noto
per le sue creazioni, ha ricevuto diversi
riconoscimenti internazionali, come: il Premio di
Design da parte della città di Monaco di Baviera
(1999), il premio Georg Jensen a Copenaghen (2003),
e non ultimo il Compasso d'Oro (ADI) nel 2011.
10 Casa Balla, abitata
dalle figlie dell'artista fino al 1994 (anno della
morte di Luce) è stata dichiarata di interesse
culturale dal Ministero nel 2004. Un primo
intervento di restauro è stato condotto
dall'Istituto Centrale per il Restauro.
Successivamente, la Soprintendenza Speciale di Roma
e gli eredi, con il sostegno della Banca d'Italia,
hanno promosso ulteriori lavori. La recente mostra,
Casa
Balla. Dalla casa all'universo e ritorno, 17 giugno 2021- 21
novembre 2021,
allestita
dal MAXXI (Roma) in collaborazione con la
Soprintendenza Speciale di Roma, ha restituito
questo luogo alla pubblica fruizione. Oltre alla
visita della casa, il progetto comprende una mostra
tematica ospitata nella galleria 5 del MAXXI. Qui,
accanto a mobili, oggetti, abiti, firmati da Giacomo
Balla, provenienti da importanti collezioni, sono
esposte opere inedite, create ad
hoc
per l'occasione da artisti e designer contemporanei,
riuscito escamotage che mette in evidenza
la modernità della poetica balliana. A dialogare con
il maestro futurista: Ila Bêka & Louise Lemoine,
Carlo Benvenuto, Alex Cecchetti, Jim Lambie,
Emiliano Maggi, Leonardo Sonnoli, Space Popular e
Cassina con un tavolo disegnato da Patricia
Urquiola. Cfr. DARDI, PIETROMARCHI 2021.
13 Molti di questi abiti
sono oggi conservati presso la collezione
Coen-Pieroni (Pescara) e la collezione
Biagiotti-Cigna (Guidonia) che raccoglie il più
importante insieme
dedicato
alla moda futurista, con circa trecento opere di
Giacomo Balla. Nucleo di questa collezione, fondata
dalla stilista Laura Biagiotti e dal marito Gianni
Cigna, è il corpus
di
disegni realizzati dall'artista per l'abbigliamento,
come: i bozzetti dei primi vestiti e tessuti
futuristi (1913-14), gli studi per gli accessori di
moda (giacche, completi maschili e femminili,
cravatte, scarpe, borsette, ventagli, foulard,
sciarpe, gilet, tessuti, ricami, applicazioni),
nonché i manufatti originali realizzati all'epoca.
Altro insieme di grande interesse è rappresentato da
studi e opere di arte applicata: mobili, arazzi,
paralumi, tappeti, ceramiche, che confermano il
poliedrico interesse di Balla verso ogni aspetto del
quotidiano. La collezione conserva anche la Porta dello
studiolo rosso
di Giacomo Balla, recentemente esposta al MAXXI, in
occasione della mostra
Casa Balla. Dalla casa all'universo e ritorno, Cfr.
BENZI 1996.
15 L'attuale complesso
immobiliare è stato acquisito dalla Banca d'Italia
tra il 2000 e il 2002, con l'intento di ospitare lo
spazio museale del “Centro per l'educazione
monetaria e finanziaria della Banca d'Italia”,
intitolato a Carlo Azeglio Ciampi.
16 «Per quel che
riguarda i mobili Balla crea per il Bal Tik Tak,
frequentato da un pubblico eterogeneo, che vi si
reca per ballare e per trascorrervi il tempo libero,
il bancone, il botteghino della Cassa, il mobile
guardaroba, alcune vetrine e i pannelli per il palco
dell'orchestra, decorati con note musical» in RUTA
2014, p.
190.
18 «Nel 1922, nei
sotterranei dell'Hotel Élite et des Etrangers in Via
Basilicata 13, era stato aperto il Cabaret del
Diavolo,
uno dei più stravaganti ritrovi romani di proprietà
di Gino Gori, il quale intendeva farne il punto di
incontro di scrittori, pittori e intellettuali e
aveva puntato sulla creatività di Depero,
chiamandolo a decorarne e ad arredarne gli interni.
Le tre sale, denominate Inferno, Purgatorio e
Paradiso, avevano ognuna una specificità cromatica e
tipologica: i mobili del Paradiso, ad esempio, erano
azzurri, quelli del Purgatorio verdi e quelli
dell'Inferno rossi. L'illuminazione era
bianco-rosa-azzurrina con immagini di angeli e
cherubini nel Paradiso, bianco-verde con una coorte
di anime verdi nel Purgatorio, e rossa con diavoli e
dannati avvolti dalle fiamme nell'Inferno. Il locale
era sede della Brigata
degli Indiavolati,
composta da poeti e artisti» in MONDELLO 2019, p.
103.
19
Sostenuta dallo studio fotografico dei fratelli
Bragaglia, la galleria fu crocevia di artisti di
nazionalità diversa, fungendo anche da luogo di
aggregazione: proprio a causa del fracasso
futurista, mal gradito ai residenti di Via Condotti,
la galleria venne trasferita nelle grandi cantine di
Palazzo Tittoni e Vassalli che conservavano le terme
pubbliche romane di Settimio Severo.
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