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Alla scoperta delle bellezze del rione Pigna di Roma in monopattino  

Vittoria Sut
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Gennaio 2022, n. 925
http://www.bta.it/txt/a0/09/bta00925.html
Articolo presentato il 15 Novembre 2021, approvato il 16 Dicembre 2021 e pubblicato il 13 Gennaio 2022
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È davvero singolare e curioso che tra tutti i 22 rioni di Roma, il solo rione Pigna presenti come toponimo un oggetto così umile che stride con l'aspetto monumentale dello stesso, in luogo dei riferimenti ambientali utilizzati invece dagli altri rioni (Fig. 1).

Fig. 1 - Stemma del rione Pigna, 2013 (WIKIPEDIA, pubblico dominio, foto cortesia Vittoria Sut)
Fig. 1 - Stemma del rione Pigna, 2013
(WIKIPEDIA, pubblico dominio, foto cortesia Vittoria Sut)

È singolare in quanto la pigna, frutto così caratteristico lungo il litorale laziale, in questa zona non è affatto presente.

Il nome del rione deriva con ogni probabilità dalla monumentale scultura rappresentante il frutto delle conifere che fu ritrovata in questa zona, nello specifico all'interno della vasta area del Tempio di Iside e Serapide e che successivamente fu trasportata nel Cortile del Belvedere in San Pietro 1. La colossale scultura della pigna in bronzo è alta quasi 4 metri e Dante, nel XXXI canto dell'Inferno della Divina Commedia, la utilizza come unità di misura accomunando le sue dimensioni a quelle dell'enorme volto del gigante Nembrot: «La faccia sua mi parea lunga e grossa come la pina di San Pietro a Roma e a sua proporzione eran l'altre ossa». Un'altra accreditata origine del toponimo è quella che vuole la zona indicata per tutto il Medioevo come “regione della vigna” poi tramutatasi in “pigna” 2.

Nell'antichità questa zona era contrassegnata come “VII regione augustea” e ciò è stato accreditato sia dagli studi sia dagli scavi documentati nella Forma Urbis Marmorea 3. Via del Caravita e via del Seminario delimitano il rione dal lato nord e nel passato delineavano anche l'andamento dell'antica Acqua Vergine 4 che allora percorreva l'attuale via del Corso raggiungendo i Saepta 5, per alimentare le Terme di Agrippa. Alla sinistra dei Saepta vi erano il Pantheon, la Basilica di Nettuno e appunto le Terme.

Sull'attuale via del Gesù avremmo avuto il piacere di vedere il favoloso Tempio di Iside e Serapide 6, dal quale proviene la famosa pigna bronzea di cui abbiamo già trattato, oltre che il Pie' di Marmo e il busto di statua femminile attribuita alla divinità di Iside e nota ai romani come “Madama Lucrezia”, che incontreremo tra poco.

Dalla medesima area del Tempio, che doveva essere non solo molto vasta ma anche molto ricca a livello decorativo, provengono ben cinque obelischi: l'obelisco di San Macuto, originariamente proveniente da Heliopolis e che oggi sormonta la fontana in piazza della Rotonda, l'obelisco di Dogali oggi in via delle Terme di Diocleziano, l'obelisco del Faraone Apies in piazza della Minerva, l'obelisco nel Giardino di Boboli di Villa Medici a Firenze e infine, il più alto di tutti, l'obelisco di Domiziano che dalla seconda metà del Seicento sormonta la maestosa Fontana dei Fiumi di Gian Lorenzo Bernini in piazza Navona 7.

Ma iniziamo il nostro percorso.

Immettendoci da via del Corso su piazza Venezia vari sono gli itinerari percorribili utilizzando il monopattino – ultima novità in fatto di mobilità a Roma e prediletta soprattutto da giovanissimi, ambientalisti e turisti.

Prenderemo in esame quello che voltando a destra attraversa il rione Pigna, in assoluto il rione più monumentale di Roma poiché raccoglie una sovrabbondanza di palazzi nobiliari, di chiese e monumenti insigni di notevole interesse architettonico (Fig. 2).

Percorso attraverso il rione Pigna, Dati cartografici Google, 2021, Foto cortesia Vittoria Sut, © Google
Fig. 2 - Percorso attraverso il rione Pigna, Dati cartografici Google, 2021
Foto cortesia Vittoria Sut, © Google

Costeggiando le mura di Palazzo Venezia ci immetteremo in via del Plebiscito e ci addentreremo all'interno del rione Pigna passando per via della Gatta. Gireremo attorno all'immensa struttura del Collegio Romano per proseguire su via del Seminario e scendere fino al Pantheon. Da lì proseguiremo passando prima davanti alla Chiesa di Santa Maria Sopra Minerva e poi, voltando a sinistra su via di Santa Caterina da Siena, giungeremo davanti al Piè di Marmo. Da via di Santo Stefano del Cacco scenderemo in via del Gesù dove ammireremo, purtroppo solo da un oculo, l'orologio ad acqua nel cortile di Palazzo Berardi per poi terminare di fronte all'imponente Chiesa del Gesù. Proseguendo su Corso Vittorio arriveremo alla grande area sacra di Largo di Torre Argentina con i resti dei suoi quattro templi. Rientrando da Largo delle Stimmate e proseguendo su via dei Cestari, incontreremo sulla sinistra i resti delle Terme di Agrippa e sulla destra, precisamente in vicolo delle Ceste, la lapide in ricordo di Stefano Porcari, famoso sostenitore delle idee repubblicane a metà Quattrocento. Infine, approderemo nella deliziosa piazza della Pigna dove ammireremo la Chiesa di San Giovanni della Pigna e Palazzo Maffei Marescotti.

Iniziamo quindi il nostro itinerario proprio dalla monumentale piazza Venezia il cui attuale aspetto lo dobbiamo quasi interamente agli interventi di demolizione e ricostruzione realizzati tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento in seguito alla costruzione del Vittoriano dedicato al primo re d'Italia Vittorio Emanuele II. Il monumento è spesso identificato come l'Altare della Patria, che ne è la parte centrale e che accoglie dal 1921 il Milite Ignoto 8.

Alla sinistra dell'Altare della Patria, si apre la piccola Piazza San Marco caratterizzata da un grazioso giardino alberato a un angolo del quale è presente la Fontana della Pigna (Fig. 3)

Fig. 3 - Fontana della Pigna in piazza San Marco, Roma (foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 3 - Fontana della Pigna in piazza San Marco, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)

costruita nel 1927 dall'architetto Pietro Lombardi a ricordo della colossale pigna bronzea qui ritrovata 9. La fontana è collocata davanti alla Chiesa di San Marco famosa per il magnifico soffitto quattrocentesco a cassettoni dorati su fondo azzurro 10. Quest'ultima si inserisce all'interno di Palazzo Venezia (conosciuto anche come Palazzo Barbo o Palazzo San Marco). L'edificio fu adibito a palazzo apostolico da papa Paolo II (nato Marco Barbo) che ne fece ampliare la struttura 11. Nel 1564 papa Pio IV donò il palazzo alla Repubblica di Venezia per utilizzarlo come sede dei suoi ambasciatori ed oratori presso la Santa Sede, da cui ne derivò il nome del palazzo 12. Nel 1797 divenne la sede dell'ambasciata austriaca 13 presso la Santa Sede e dal 1916 passò allo Stato italiano in seguito ad espropriazione come rappresaglia per il bombardamento di Venezia da parte dell'esercito asburgico. Infine, nel 1929, Benito Mussolini pose qui la sede del proprio quartier generale fino al 1943, nella famosa Sala del Mappamondo 14. Fu proprio dal balcone di Palazzo Venezia che nel 1940 annunciò al popolo l'entrata in guerra dell'Italia contro Francia e Regno Unito. Oggi il Palazzo ospita il Museo Nazionale di Palazzo Venezia, la sede dell'Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell'Arte (INASA) e la Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte (BIASA).

Sempre nella piccola piazza San Marco, addossata ad un muro, troviamo la statua di Madama Lucrezia, una delle statue provenienti dal vicino tempio isideo di epoca romana (Fig. 4).

Fig. 4 - La statua parlante di Madama Lucrezia in piazza San Marco, Roma (foto 2018 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 4 - La statua parlante di Madama Lucrezia in piazza San Marco, Roma
(foto 2018 cortesia © Vittoria Sut)

Il nome deriverebbe da Lucrezia d'Alagno, nobildonna del XV secolo amante del re di Napoli Alfonso V di Aragona. Nel 1457 Lucrezia venne a Roma per richiedere al Papa la concessione del divorzio per Alfonso V, che però le venne rifiutato. Alla morte del re, il figlio Ferrante la cacciò da Napoli costringendola a vivere a Roma nel palazzetto adiacente alla statua. Non sembra che il culto fosse particolarmente vivo ma sappiamo che in occasione del primo maggio (alla festa del “Ballo dei Guitti” 15) o del 25 aprile (Festa di San Marco) veniva vestita e adornata come una vera dama 16.

Ma “saliamo in sella” al monopattino e continuiamo il nostro percorso su via del Plebiscito, un tempo Via Papalis, che deve il suo nome in ricordo del plebiscito che si tenne il 2 ottobre 1870 per l'annessione di Roma all'Italia. Partendo dall'angolo nord-ovest di piazza Venezia sin da subito notiamo lo splendido Palazzo Bonaparte costruito per la famiglia d'Aste nel 1660 da Giovanni Antonio de Rossi. Nel 1760 quest'ultimo fu acquistato dai marchesi Rinuccini di Firenze e nel 1818 da Letizia Ramolino, madre di Napoleone I, la quale vi dimorò fino alla sua morte avvenuta nel 1836. Nel 1972 esso divenne proprietà de Le Assicurazioni d'Italia. Sulla facciata barocca ammiriamo i vari piani la cui disposizione è ben proporzionata. Tra le finestre architravate e inferriate si apre il portale ottocentesco, rifacimento di quello originario del De Rossi, sul quale poggiava un balcone: oggi lo sovrasta una finestra con l'aquila napoleonica. Al secondo piano le finestre presentano un timpano triangolare con lati curvi decorati con teste di leone, lo stemma dei d'Aste. È inoltre interessante aggiungere una curiosità: dal salone d'angolo le finestre guardano sia su via del Corso sia su piazza Venezia e da qui Madama Letizia, divenuta ormai cieca, si faceva descrivere il traffico dalla dama di compagnia Rosa Mellini chiedendo inoltre se i passanti alzassero lo sguardo verso l'abitazione della madre dell'imperatore in segno di rispetto e ammirazione.

Poco dopo, sempre sulla destra, un altro magnifico palazzo ci appare: è Palazzo Grazioli (ex Palazzo dei Gottifredi) realizzato da Giacomo della Porta nel '500 la cui facciata presenta un piano terra in bugnato con finestroni muniti di inferriata ed è decorata da paraste con capitelli e al cui centro si apre un portone fiancheggiato da due colonne di ordine dorico di granito grigio sormontato da un balcone.

Voltando subito a destra e proseguendo nella piccola e lunga via della Gatta, si può ammirare la facciata del retro di Palazzo Grazioli sulla quale campeggia la targa in marmo e bronzo con il ritratto della Gloria che commemora l'impresa del sottotenente di vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere, medaglia d'oro al valor militare, caduto ad Al Khums (all'epoca Homs, in Libia) nel 1911 durante la guerra italo-turca, meglio nota come Guerra o Campagna di Libia. Proprio qui, sul cornicione tra il piano nobile e il secondo piano, si affaccia la piccola statuetta marmorea di una gatta di provenienza isidea dalla quale deriva l'intitolazione della via (Fig. 5).

Fig. 5 - Statua della Gatta in via della Gatta, Roma 
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 5 - Statua della Gatta in via della Gatta, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)

La tradizione vuole che la statua della gatta sia stata posta qui in ricordo di un medesimo animale che, avendo visto un bambino in pericolo sul cornicione di Palazzo Grazioli, miagolando avrebbe richiamato l'attenzione della madre che riuscì a salvarlo prima che precipitasse nel vuoto. Un'altra leggenda invece vuole che nella direzione dello sguardo della gatta sarebbe nascosto un tesoro, che però nessuno finora è riuscito ad individuare né sarebbe facile da cercare tra le fondamenta dei palazzi.

Da qui si accede in piazza del Collegio Romano, conosciuta anticamente come “piazza di Carmignano” dall'arco omonimo che serviva da accesso all'Iseo 17. La configurazione attuale si data al 1659 quando i Gesuiti comprarono Palazzo Salviati (situato davanti al Palazzo del Collegio Romano, ad angolo con Palazzo Doria Pamphilj) e lo demolirono per consentire l'allargamento e la sistemazione della piazza. Quest'ultima, ovviamente, prende il nome attuale dall'omonimo e imponente palazzo che fu costruito nel 1582 da Giuseppe Valeriani 18 su incarico di papa Gregorio XIII Boncompagni per volontà di Sant'Ignazio di Loyola (fondatore della Compagnia di Gesù). L'importanza della logica, metafisica, filosofia, matematica e delle principali lingue latina, greca ed ebraica oltre ovviamente alla teologia, insieme al fatto che venivano insegnate gratuitamente ai giovani meritevoli, fecero del Collegio un vero e proprio centro di sperimentazione accademico-scientifica famoso a livello internazionale 19.



Fig. 6 - Palazzo del Collegio Romano in piazza del Collegio Romano, Roma 
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 6 - Palazzo del Collegio Romano in piazza del Collegio Romano, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)

Il Palazzo del Collegio Romano (Fig. 6), la cui grandiosa facciata realizzata da Paolo Maruscelli interamente in mattoni ad esclusione del basamento e delle cornici di porte e finestre che sono invece realizzate in travertino, è diviso in tre corpi: uno centrale a tre piani e i due laterali a due piani, mentre sulla destra vediamo elevarsi una torre costruita nel 1787 per le osservazioni astronomiche. La parte centrale presenta alle estremità due grandiosi portali (quello di destra è murato) raffiguranti i draghi araldici dei Boncompagni, mentre al centro del piano superiore vi sono lo stemma di Gregorio XIII e la lapide che ricorda la fondazione del Palazzo, che recita: GREGORIUS XIII P.M. RELIGIONI AC BONIS ARTIBUS MDLXXXVIII. Il terzo piano presenta un orologio centrale che un tempo forniva l'ora esatta a tutti gli orologi di Roma. Nel 1870 il Palazzo fu confiscato dallo Stato italiano che inizialmente lo adibì a caserma e poi a sede del primo Liceo Ginnasio Statale dedicato all'archeologo Ennio Quirino Visconti. Inoltre, una parte del complesso palaziale è assegnato in uso sin dal 1975, data di istituzione, al Ministero della Cultura (MiC) ospitandone gli uffici centrali del Ministero e il Gabinetto del Ministro.

Altro elemento fondamentale di questo luogo è il complesso comprendente la chiesa ed il convento di Santa Marta, una struttura risalente al 1542 anno in cui Sant'Ignazio fece edificare il Rifugio di Santa Maria delle Grazie per accogliere le "malmaritate" ovvero «le donne coniugate in peccato pubblico senza timor d'Iddio et senza vergogna delli huomini» che volevano riabilitarsi. Nel 1872 il complesso fu confiscato dallo Stato italiano e la chiesa venne sconsacrata (con la conseguente distruzione di vari affreschi). Il monastero è ora sede del I Distretto di Polizia della città mentre la chiesa, che con una forte campagna di stampa fu salvata negli anni Sessanta dalla trasformazione in palestra, è ora sede di conferenze, convegni, mostre e concerti ed è di proprietà del Ministero della Cultura.

Di fronte al complesso del Collegio Romano sorge lo splendido Palazzo Doria Pamphilj portato in dote da Olimpia Aldrobrandini, nipote di papa Innocenzo X, durante il matrimonio con Camillo Pamphilj. Quest'ultimo, nel 1734, diede l'incarico all'architetto Gabriele Valvassori di costruire la magnifica facciata tardo barocca su via del Corso nonché quella che affaccia su piazza del Collegio Romano. Il Palazzo contiene una delle più note collezioni d'arte di Roma con capolavori di scultura e pittura dal XV al XVIII secolo di artisti famosi e famosissimi tra i quali, solo per citarne alcuni, Raffaello, Tiziano, Tintoretto, Guercino, Rubens, Velázquez. All'angolo tra il magnifico Palazzo Doria Pamphilj e via della Gatta troviamo, inclinata verso il basso probabilmente per agevolarne la visione, una piccola edicola con baldacchino di legno ricoperto di piombo del tipo a spicchi con pendagli che contiene un olio su tela raffigurante l'Immacolata che siede in cielo fra le nubi al di sotto della tradizionale falce di luna.

Alla destra del Collegio Romano, si affaccia un piccolo spicchio di Palazzo De Carolis, un tempo sede del Banco di Roma e oggi sede di rappresentanza dell'Unicredit. Il Palazzo prende il nome dal ricco mercante Livio De Carolis che incaricò l'architetto Alessandro Specchi di costruire la sua residenza. L'opera fu iniziata nel 1714 ma già nel 1748 gli eredi furono costretti a venderlo all'asta a causa delle difficoltà finanziarie familiari. L'edificio passò così alla Compagnia di Gesù. Dal 1830 al 1908 il Palazzo, già sede dell'ambasciata di Francia, divenne proprietà dei Boncompagni-Ludovisi i quali sul balcone centrale che si affaccia su via del Corso fecero costruire verso il 1845 un "bussolotto", una sorta di veranda riparata da persiane particolarmente apprezzata per assistere ai cortei carnevaleschi e alla Corsa dei Barberi. Il palazzo fu poi venduto nel 1908 al Banco di Roma che ne fece ristrutturare gli ambienti in stile Liberty al fine di adattarli ad ospitare gli uffici di rappresentanza su progetto dell'architetto Pio Piacentini.

Addossata ad un lato di Palazzo De Carolis, precisamente su via Lata, troviamo la “statua parlante” 20 del Facchino (Fig. 7).

Fig. 7 - La statua parlante del Facchino in via Lata, Roma (foto 2018 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 7 - La statua parlante del Facchino in via Lata, Roma
(foto 2018 cortesia © Vittoria Sut)

La scultura risale alla seconda metà del XVI secolo ed è opera di Jacopo Del Conte che la realizzò su incarico della Corporazione degli Acquaroli, ovvero coloro che raccoglievano l'acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta. Curioso è il motivo per cui il viso è quasi completamente sfigurato: per via del berretto e dell'abbigliamento da molti era ritenuto addirittura Martin Lutero e per questo preso a sassate dai passanti. Il suo ultimo nome deriva dalla foggia dell'abito e da un'epigrafe scomparsa che riconduceva alla Corporazione dei Facchini.

Ma risaliamo sul monopattino e proseguiamo il nostro percorso alla scoperta del rione Pigna immettendoci in via del Collegio Romano. Svoltando a sinistra entriamo in via del Caravita e fatti pochi metri siamo in una delle più suggestive piazze di Roma: piazza di Sant'Ignazio 21. Prima di ammirare la Chiesa vale la pena soffermarsi sull'impianto architettonico settecentesco della piazza, un gioco prospettico di quinte creato dall'architetto Filippo Raguzzini nel 1727-28. I tre edifici sono posti come quinta scenica come un vero e proprio teatro rococò e nascondono i passaggi laterali che corrono dietro l'edificio centrale. Quest'ultimo è oggi sede principale del Comando Carabinieri Nucleo Tutela Patrimonio Culturale (CC TPC).

Proprio su questa scenografica piazza si erge l'imponente Chiesa di Sant'Ignazio di Loyola inserita nell'imponente edificio del Collegio Romano, classico esempio del Barocco italiano non solo per la sua struttura e per le sue decorazioni ma anche e soprattutto per le straordinarie illusioni ottiche realizzate da Andrea del Pozzo, celebre autore di affreschi trompe-l'oeil (trad. “inganna l'occhio”). In origine il Collegio Romano comprendeva una Chiesa dedicata all'Annunziata ma che ben presto non si dimostrò più in grado di ospitare gli oltre 2000 studenti che qui si riversavano. I Gesuiti decisero così di realizzare una chiesa molto più grande della precedente. Tra i vari progetti venne scelto quello del professore di matematica del Collegio, Fra' Orazio Grassi, finanziato dal Cardinale Ludovico Ludovisi con addirittura 200.000 scudi (una cifra folle per l'epoca!), il cui monumento funebre è visibile all'interno della Chiesa. I lavori iniziarono nel 1626. Nel 1685 la Chiesa era quasi terminata, ma c'era un problema: mancava la cupola e soprattutto il denaro per realizzarla. Venne perciò chiamato il frate gesuita, nonché pittore, Andrea del Pozzo che grazie a uno straordinario stratagemma riuscì a realizzare la cupola. All'interno la Chiesa presenta una navata lunga addirittura 81,5 metri, larga 43 metri e alta 30 metri, ha la tipica forma a croce latina con presbiterio absidato e si arricchisce di sei cappelle laterali. L'edificio è stato più volte attribuito a vari architetti che hanno operato nella prima metà del XVII secolo a Roma: Domenichino, Girolamo Rainaldi, Alessandro Algardi. Appena varcata la soglia della Chiesa, sul pavimento si possono ammirare le particolari geometrie dei marmi che portano al centro della navata in cui formano un cerchio. Da questo preciso punto, alzando gli occhi al cielo, si può ammirare il fantastico affresco con la Gloria di Sant'Ignazio (1685), sempre di Andrea del Pozzo, che tramite l'effetto di “sfondamento” o “quadratura” del soffitto lo fa sembrare alto il doppio di quanto sia realmente offrendo agli occhi dello spettatore la simulazione prospettica di una seconda chiesa tridimensionale che “poggia” direttamente su quella reale. Quest'architettura simulata è articolata su due ordini: in quello superiore, che protende verso l'alto con un sinuoso movimento di colonne, archi e trabeazioni, è raffigurato al centro Sant'Ignazio che ascende al cielo sotto lo sguardo di Cristo crocifisso e quattro figure che simboleggiano i continenti allora conosciuti. Il dipinto rappresenterebbe perciò l'epopea dei Gesuiti nell'evangelizzazione dei quattro continenti.

Proseguendo nella navata centrale, verso l'altare, si incontra un tondo dorato nel marmo pavimentale. Se da quel punto si alza lo sguardo si può ammirare la splendida cupola di ben 13 metri di diametro. Ma ha qualcosa di strano! Ebbene sì, nasconde un artificio. La cupola è finta, il soffitto è piatto e al di sopra è stato applicato un dipinto prospettico su tela: è solo un'illusione ottica tridimensionale! Infatti, se da quel tondo sul pavimento ci si sposta lateralmente, la cupola assume tutt'altra prospettiva e perde completamente di significato. Questo ingegnoso espediente venne ideato dal Frate pittore per sopperire alla mancanza di fondi destinati alla costruzione della cupola. Ma si dice anche che siano stati gli stessi abitanti del quartiere Campo Marzio a non volerne la costruzione poiché con la sua altezza avrebbe oscurato il sole 22. Tra giochi e virtuosismi pittorici, la Chiesa di Sant'Ignazio a Roma si presenta perciò come una delle più rappresentative del Barocco, genere che tendeva a stupire l'osservatore con espedienti illusori e geniali.

Con gli occhi pieni di meraviglia ci reimmettiamo su via del Seminario e in un paio di accelerazioni arriviamo nella maestosa piazza della Rotonda.

Quest'area, un tempo popolata da numerosi cardinali 23 e famiglie nobili 24, è quella che più di tutte ha conservato il suo antico aspetto urbanistico risentendo in maniera minima dei grandi sconvolgimenti del periodo piemontese. La particolarità di questa zona è sicuramente la toponomastica che prende spunto da mestieri e industrie che qui avevano botteghe e edifici i cui rappresentanti spesso si stipavano con i loro banchi sotto l'imponente portico del Pantheon. Qui arrivavano anche i cosiddetti “Virtuosi”, degli antesignani dell'attuale manifestazione I cento pittori di via Margutta che esponevano e vendevano la loro arte più o meno dilettantesca 25. La Piazza era conosciuta sia dai romani che dagli avventori come la piazza in cui avvenivano le esecuzioni capitali e ciò non deve stupire poiché ad appena 100 metri si trova la Chiesa di Santa Maria Sopra Minerva, a quel tempo sede della Santa Inquisizione 26.

Qui trova spazio il Pantheon, soprannominato dai romani “Ritonna” (trad. Rotonda) uno degli edifici più emblematici di Roma tanto che famoso è l'antico detto «Chi va a Roma e nun vede la Ritonna, asino va e asino ritorna». L'iniziale edificio rettangolare che sottende l'odierno fu fatto costruire da Marco Vipsanio Agrippa, genero dell'Imperatore Augusto, intorno al 27 a.C. ma andò distrutto nell'incendio dell'80 d.C. per poi essere riedificato durante l'impero di Adriano, come testimoniano i marchi impressi sui mattoni fabbricati a mano. Ma che significa “Pantheon”? Ebbene la parola deriva dal greco antico “pan” e “theos” ovvero “dedicato a tutti gli Dei”. Sin dalla sua costruzione quindi l'edificio ebbe la funzione di luogo in cui adorare gli Dei ma l'imperatore Bisanzio Foca lo cedette in dono a papa Bonifacio IV che lo trasformò in chiesa cristiana dedicandolo alla Vergine Maria con il nome di Santa Maria ad Martyres. Nel 655 l'imperatore Costante II si appropriò delle tegole bronzee che decoravano la copertura per meri scopi statuari e solo cento anni più tardi papa Gregorio III la fece ripristinare utilizzando però delle semplici lamine di piombo, che ancora oggi la rivestono. Nel 1632, papa Urbano VIII Barberini, noto per aver derubato e manomesso monumenti antichi e medioevali di Roma, fece togliere tutto il rivestimento bronzeo delle travature del pronao allo scopo di fondere ben 80 cannoni per la fortezza di Castel Sant'Angelo e realizzare le famigerate (e splendide!) colonne tortili del baldacchino berniniano posto al centro della navata nella Basilica di San Pietro. A questa che si presentò all'epoca come una vera e propria depredazione, non poteva che rispondere una delle statue parlanti con la lingua più lunga, il Pasquino, e famosa è la sua “pasquinata” in merito: «Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini» 27. Per redimersi dal suo peccato, papa Urbano VIII regalò al malcapitato edificio i due campaniletti laterali fatti realizzare su disegno del Bernini ma che subito il sagace verbo romano ribattezzò “orecchioni” 28, abbattuti poi nel 1883. All'inizio del Settecento si deve la sistemazione sulla piazza dell'attuale fontana con l'obelisco mentre a metà Ottocento vennero abbattute tutte le piccole case che si addossavano all'edificio. Dal 1878 il Pantheon è il sacrario dei sovrani italiani, tra i quali Vittorio Emanuele II e Umberto I, marito di Margherita di Savoia alla quale, si pensa, venne dedicata la pizza margherita, appunto. Qui è inoltre sepolto il grande Raffaello Sanzio.

Si accede al Tempio tramite un imponente portico di otto colonne in granito sovrastate da capitelli corinzi di grande bellezza. L'interno è grandioso e la suggestione è ampliata dal grande diametro della cupola di oltre 43 metri, la più ampia al mondo 29. La cupola, realizzata con materiali sempre più leggeri via via che ci si avvicina all'oculo centrale, è decorata internamente da cassettoni che si restringono verso l'alto creando un incredibile effetto ottico. Proprio l'oculo centrale, di un diametro di ben 9 metri, secondo la credenza popolare serviva agli Dei per vegliare sui fedeli all'interno del Pantheon e la forza della potenza divina è certamente avvalorata dallo sfolgorante fascio di luce che penetra nell'edificio. Sempre all'oculo è legata la tradizione che viene riproposta ogni anno grazie ai Vigili del Fuoco. In occasione della Pentecoste, e cioè nel cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, alla fine della messa i Vigili lasciano cadere dei petali di rosa dall'oculo centrale dal grande effetto scenografico. Si tratta naturalmente di una rappresentazione religiosa volta a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo sulla Madonna e sugli Apostoli raccolti nel Cenacolo. Non dobbiamo dimenticare infatti che il monumento romano è in realtà anche una basilica cristiana consacrata alla Vergine 30. La tradizione proviene probabilmente dai “Rosalia”, una festa pagana che prevedeva il rendere omaggio alle tombe dei cari defunti adornandole di ghirlande e petali di rose e violette.

Varie sono le leggende legate al Pantheon ma ne riporteremo solo due. La prima riguarda la cupola ed è narrata nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze, la quale racconta che sin da subito ci si rese conto della difficoltà di innalzare una cupola così ampia e pesante; perciò, si pensò di costruire non solo la struttura sottostante ma addirittura un intero basamento pieno di calcestruzzo e monete e via via che la cupola cresceva di larghezza veniva inserito altro “ricco” conglomerato. Una volta terminata la cupola e verificata la sua stabilità, i cittadini furono invitati a scavarne il riempimento per rendere agibile e fruibile il Tempio il prima possibile; ogni moneta trovata durante lo scavo, potevano tenerla. Potete immaginare quale fu l'afflusso per questo compito.

La seconda leggenda riguarda la posizione affossata del tempio rispetto alla strada ed è legata al medico e alchimista salernitano Pietro Bailardo. Quest'ultimo era solito spassarsela affermando di essere l'emissario del Diavolo e si serviva di un libro fornitogli dal Diavolo stesso, dietro cessione della sua anima, intitolato Il Libro del Comando. Ma essendo un comune mortale anche per lui venne l'ora della dipartita e spaventato dall'evento decise di effettuare tre pellegrinaggi beneauguranti: Gerusalemme, San Giacomo di Galizia e il Pantheon. Proprio uscendo da quest'ultimo, il Bailardo si trovò di fronte il Diavolo venuto a reclamare la sua anima. Ma Bailardo gli diede un pugno di noci e si rintanò nel Pantheon cominciò a pregare con foga sentitamente pentito. Il Diavolo infuriato dalla beffa girò varie volte attorno al Pantheon e tanta fu la rabbia con la quale corse che scavò il fossato che ancora oggi circonda l'edificio 31.

Di fronte al Pantheon, al centro della piazza, troviamo la fontana in marmo bigio africano disegnata da Giacomo della Porta e scolpita da Leonardo Sormani nel 1575. Questa è a pianta mistilinea e sorge su una piattaforma a gradini adorna di maschere e delfini zampillanti acqua (gli attuali sono del restauro del 1880), al centro si innalza il piccolo obelisco di Ramses II 32 posto qui nel 1711 per volere di Clemente XI che lo fece trasferire dalla vicina piazza di San Macuto.

E dopo una lunga ma dovuta sosta dinanzi a uno dei più belli ed importanti monumenti di Roma, risaliamo in sella al nostro monopattino e prendiamo via della Minerva. Ed ecco che in pochi metri ci troviamo in piazza della Minerva nella quale si affaccia maestosa la Chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

Ma prima di entrare nella straordinaria Chiesa, vale la pena ricordare che piazza della Minerva si trova nella zona più bassa della città e che frequentemente veniva allagata dall'esondazione del vicino Tevere che, scorrendo limaccioso fino a qui, ristagnava per giorni e giorni data anche l'inefficienza fognaria. Sulla facciata della Chiesa stessa sono ancora oggi ben visibili le lapidi che ricordano il livello delle acque raggiunto durante le piene del Tevere con tanto di limite, data e gravità del fenomeno. Queste esondazioni, con tutti i disagi che provocavano, sparirono con la costruzione degli argini del Tevere nel 1870, meglio conosciuti come i “muraglioni”.

La Chiesa di Santa Maria Sopra Minerva prende il nome dal tempietto a forma circolare dedicato alla Minerva Calcidica eretto da Domiziano attorno all'80 d.C. L'antica chiesa non aveva ovviamente la forma attuale ed era molto più piccola. Le sue origini risalgono ai tempi di papa Zaccaria (741-752) il quale la affidò a un gruppo di suore basiliane provenienti da Costantinopoli. Intorno alla metà del XIII secolo la Chiesa fu concessa ai Domenicani (che tutt'ora risiedono nell'annesso convento) e nel 1280 si iniziò la costruzione di un nuovo edificio. I progettisti furono Fra' Sisto Fiorentino e Fra' Ristoro da Campi (gli stessi religiosi che progettarono Santa Maria Novella a Firenze). Durante il pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303) vennero stanziate delle ingenti somme di denaro per incrementare la costruzione della Chiesa ma i lavori si interruppero nel settantennio in cui il papato si trasferì ad Avignone. Nel 1453 il Prefetto di Roma, il conte Francesco Orsini, finanziò la costruzione della facciata; l'attuale configurazione risale al Seicento. Terminante con un coronamento orizzontale, essa riporta tre portali marmorei sormontati ognuno da un'ampia finestra circolare, risalenti questi ultimi al Quattrocento. Dello stesso periodo annoveriamo la costruzione delle volte nella navata centrale fatte costruire dal cardinale domenicano Giovanni Torquemada 33. L'interno della Chiesa è diviso in tre navate coperte da volte a crociera, con abside e transetto; le grandi colonne che separano le navate sono state, purtroppo, ricoperte da un rivestimento marmoreo durante il restauro ottocentesco. Numerosissime sono le opere contenute al suo interno, tra le quali annoveriamo la Cappella dell'Annunziata di Carlo Maderno con la splendida Annunciazione di Antoniazzo Romano, la Cappella Carafa con gli affreschi di Filippino Lippi realizzati nel 1489, il Cristo risorto di Michelangelo, i monumenti funebri di Leone X e Clemente VII disegnati da Antonio da Sangallo il Giovane, il monumento funebre di Maria Raggi del Bernini e quelli di Silvestro Aldobrandini e Luisa Dati (genitori di Clemente VII) realizzati da Giacomo della Porta. Troviamo inoltre la tomba dell'illustre pittore rinascimentale Beato Angelico e le reliquie di Santa Caterina da Siena, morta a Roma nel 1380.

Al centro della piazza che porta il nome della Chiesa, troviamo il grazioso monumento noto come “Pulcin della Minerva”, composto da un obelisco egizio del VI sec. a.C. rinvenuto nel 1665 nell'area isidea e sostenuto da un elefantino marmoreo; la struttura venne ideata da Gian Lorenzo Bernini e scolpita da Ercole Ferrata nel 1667. Alla base del monumento vi sono due lapidi, quella che guarda la piazza recita: «Questo antico obelisco, monumento della Pallade egiziana, scavato dalla Terra ed eretto nella Piazza già di Minerva e ora della Madre di Dio, Alessandro VII dedicò alla Divina Sapienza nel 1667». Mentre l'iscrizione che guarda la Chiesa si dice dettata direttamente da Urbano VIII, che riferendosi a sé stesso: «Chiunque tu sia che vedi nell'obelisco le figure scolpite dal sapiente Egitto sostenute dall'elefante, il più forte degli animali, sappi che è proprio di una robusta mente alimentare una solida sapienza». Il Palazzo che si eleva dinanzi alla Chiesa di Santa Maria sopra Minerva è quello dell'Accademia Ecclesiastica, risalente ai primi del Cinquecento, voluto da Mario Peruschi che per costruirlo contrasse così tanti debiti che fu costretto a venderlo quasi subito. Il primo acquirente fu Marcantonio Colonna, lo acquistò poi Clemente XI che nel 1706 lo destinò all'Accademia dei nobili ecclesiastici. Avvenuta la chiusura dell'Accademia per mancanza di fondi, papa Pio VI lo ripristinò aggiungendo le facoltà di diritto, teologia e storia. La facciata è reduce dei restauri compiuti nel 1878 ma sul fianco destro è ancora visibile il vecchio edificio grazie alle porte del pian terreno. Dando le spalle alla facciata della Chiesa, l'edificio sulla sinistra è Palazzo Fonseca, famiglia oriunda del Portogallo, già sede dell'Albergo della Minerva celebre per aver ospitato Pio IX, Stendhal e il liberatore dell'Argentina Josè de San Martin (Fig. 8).

Fig. 8 - Piazza della Minerva, Roma 2021 
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 8 - Piazza della Minerva, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)

Fiancheggiando Santa Maria Sopra Minerva sul lato destro ci ritroviamo in via di Santa Caterina da Siena che, all'angolo con via di Santo Stefano del Cacco, prende il nome di via del Piè di Marmo proprio in onore del gigantesco piede di marmo residuo di una colossale statua di epoca romana 34 (Fig. 9).

Fig. 9 - Pie' di Marmo in via Santo Stefano del Cacco, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 9 - Pie' di Marmo in via Santo Stefano del Cacco, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)

Il piede, scolpito in un unico blocco di marmo con la sua base, è composto principalmente da due grandi frammenti e indossa la crepida, tipica calzatura di origine greca formata da un sandalo con suola con un bordo rialzato che lascia scoperto il malleolo e presenta dei fori per il passaggio dei lacci che fissavano la calzatura al piede.

Addentrandoci nella stretta via di Santo Stefano del Cacco e voltando subito a destra, ci ritroviamo in via del Gesù proprio davanti Palazzo Berardi che custodisce nel cortile il secondo orologio ad acqua di Roma 35 realizzato dal frate domenicano ligure appassionato di orologi Giovanni Battista Embriaco.

Qualche spinta ed eccoci nella scenica piazza del Gesù dove si affacciano l'omonima chiesa, Palazzo Altieri e Palazzo Cenci-Bolognetti. Nell'antichità sull'area occupata dalla Piazza fino a piazza del Collegio Romano sorgeva la Porticus Divorum, una grande area porticata con due tempietti che Domiziano eresse in onore del padre Vespasiano e del fratello Tito. Nel 1570 l'area fu bonificata e venne sistemata la fogna detta “Minerbae et Camilliani”, in riferimento a piazza della Minerva e alla già citata piazza del Collegio Romano. Prima dell'edificazione della Chiesa, quest'area era occupata da un'altra chiesa, nettamente più piccola, dedicata a Santa Maria della Strada e la piazza era denominata Forum Alteriorum o anche Platea de Alteriis, nome dovuto al vicino Palazzo Altieri (via del Plebiscito, 49) precedentemente posseduto dalla famiglia Astalli.

Su piazza del Gesù si narra un'antica e strana storia dovuta al fatto curioso che sia sempre molto ventosa. A raccontarcela è lo scrittore francese Stendhal secondo cui un giorno il Diavolo e il Vento, passeggiando per la città, si fermarono davanti alla Chiesa del Gesù. Il Diavolo disse al compagno che avrebbe avuto da fare nella Chiesa e di aspettarlo fuori. Ma da lì non uscì mai più e si dice che il Vento, da allora, sia rimasto nella piazza ad attendere il suo ritorno facendo avanti e indietro impaziente: da qui le correnti di vento che caratterizzano la piazza. Due sono le possibili interpretazioni di questo brevissimo aneddoto: c'è chi ritiene che Stendhal l'abbia raccontato per alludere alle capacità di conversione dei Gesuiti che sarebbero riusciti a convertire persino il demonio. Altri pensano che la storia fosse raccontata per denigrare il potente Ordine dei Gesuiti, titolare della Chiesa, accusandolo di essere tanto corrotto da riuscire a trattenere tra le sue fila di proseliti addirittura il Diavolo. Entrando in Chiesa, però, viene da pensare che il Diavolo sia rimasto affascinato dalla ricchezza dei suoi affreschi, dei suoi stucchi, delle sue decorazioni e delle sue illusioni prospettiche tanto da rimanere all'interno. Ovviamente, data la conformazione della piazza, è chiaro il motivo della ventosità. Si trova infatti al centro di cinque strade: via del Plebiscito, via del Gesù, Corso Vittorio Emanuele II, via Celsa e via d'Aracoeli.

Ma c'è anche un'altra leggenda che in pochi conoscono, legata proprio alla straordinarietà e alla bellezza della Chiesa del Gesù. La storia narra di come Lucifero vedendo la magnificenza della Chiesa se ne ingelosì terribilmente a tal punto da desiderare di distruggerla. Così, arrivò a notte fonda su un carro demoniaco trainato dal Vento ma alla vista della Chiesa rimase nuovamente affascinato dall'incredibile bellezza tanto che si dimenticò di distruggerla ma soprattutto di scappare prima dell'arrivo dell'Alba. Al sopraggiungere delle prime luci di quest'ultima, Lucifero non solo alla fine non distrusse la Chiesa ma nella fretta di scappare si dimenticò di portare con sé il Vento che da allora è ancora nella piazza ad attendere il suo ritorno.

La Chiesa del Santissimo Nome di Gesù all'Argentina, questo il vero nome della meglio conosciuta Chiesa del Gesù, fu costruita tra il 1568 e il 1584 dal Vignola su commissione del cardinale Alessandro Farnese. Per la facciata venne incaricato Giacomo della Porta che portò a termine la costruzione modificandone anche la cupola, ora poggiante su un tamburo ottagonale caratterizzato da otto riquadrature. È costruita secondo i rigidi canoni dell'architettura barocca della Controriforma e rappresentò un modello strutturale che influenzò anche molte altre chiese europee. L'interno si presenta a croce latina, con una grande unica navata sulla quale si aprono le cappelle, tra le quali ricordiamo quella di Sant'Ignazio costruita dall'artista gesuita Andrea del Pozzo tra il 1696 e il 1700 in onore appunto di Ignazio di Loyola, soldato che si convertì al servizio della Chiesa nel 1521 dopo essere stato ferito in battaglia e fondatore, inoltre, dell'Ordine dei Gesuiti (Compagnia di Gesù). Tra il 1670 e il 1683 sono stati dipinti da Giovanni Battista Gaulli, detto Il Baciccia, la cupola dove troviamo figure di Profeti, Evangelisti e Dottori della Chiesa, l'abside e la volta della navata con lo spettacolare affresco del Trionfo del Nome di Gesù, realizzato con un nuovo e straordinario effetto di prospettiva aerea che sfonda la volta oltre la cornice dorata sorretta da angeli in stucco e dalla quale si librano gruppi di figure. Il ciclo pittorico della volta della navata, datato 1685, è impensabile senza il completamento a stucco del ticinese Ercole Antonio Raggi e, come vogliono le ultime ipotesi avanzate, la regia di Gian Lorenzo Bernini per l'intero impianto. Ad oggi è unanimemente considerato il capolavoro di Giovan Battista Gaulli per il vorticoso e vertiginoso moto dei personaggi che traboccano illusionisticamente dalla cornice, creando un unicum tra pittura, scultura e architettura tipicamente barocche.

Uscendo nuovamente sulla piazza, spalle alla Chiesa, troviamo sulla sinistra Palazzo Cenci-Bolognetti edificato nel 1737 e la cui facciata è stata realizzata da Ferdinando Fuga, fu sede della Democrazia Cristiana dal 1942. Alla destra invece sorge Palazzo Altieri le cui vastissime dimensioni ne favorirono gli usi più svariati: sede commerciale, set cinematografico, sede delle medie inferiori del Liceo Visconti (detta “Il Viscontino”), fino a divenire l'abitazione dell'attrice Anna Magnani e dello scrittore Carlo Levi, che vi fa riferimento nel romanzo L'orologio (1950). Attualmente è la sede dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI).

Siamo così giunti su Corso Vittorio Emanuele II e lo attraverseremo fermandoci a Largo di Torre Argentina.

Il Corso anticamente denominato “nuova via Nazionale” in quanto prosecuzione della stessa, venne intitolata al re d'Italia con delibera del Consiglio Comunale il 25 giugno 1886. Corso Vittorio, come è conosciuto dai romani, attraversa pressoché in linea retta il cosiddetto “quartiere del Rinascimento” ovvero i rioni Pigna, Sant'Eustachio, Parione e Ponte congiungendo piazza Venezia a piazza Pasquale Paoli, che a sua volta si affaccia su Ponte Vittorio Emanuele II che la collega al Lungotevere Vaticano e al quartiere di Borgo, quindi a Castel Sant'Angelo e a San Pietro nonché al rione Prati. Spalle a piazza del Gesù, il primo palazzo che si presenta ai nostri occhi è Palazzo Celsi (sulla sinistra) la cui struttura originaria risale alla fine del ‘500 quando i Celsi lo fecero costruire da un architetto che non li soddisfò pienamente tanto che nel 1678 fecero rinnovare la facciata da Giovanni Antonio De Rossi. Uno volta estinta la famiglia dei Celsi, il palazzo passò ai Viscardi che vi apportarono alcune modifiche; successivamente ne furono proprietari i Giannelli e nell'Ottocento i conti Mercatili Bernetti che lo innalzarono di un piano. Il pianterreno si apre con un enorme e imponente portale tra due colonne ioniche decorato con una conchiglia e sovrastato da una loggia. Il cornicione è molto sporgente e presenta numerose decorazioni di aquile e spade incrociate, simboli araldici dei Viscardi.

Proseguendo, al civico 24, troviamo Palazzo Ruggeri, antica famiglia di origine meridionale presente a Roma sin dal Quattrocento. L'edificio venne costruito nel 1588 per volere di Pompeo Ruggeri su progetto di Giacomo della Porta ma, successivamente, Silvio Ruggeri lo rifinì all'interno e ne fece rielaborare la facciata verso i primi del Seicento legando il Palazzo alla Compagnia del Salvatore e a quella degli Orfani. Dopo l'estinzione della famiglia Ruggeri, il Palazzo fu venduto ai Boadile e ai primi del Novecento ai Serafini. L'edificio è rivestito in cortina laterizia e si sviluppa su quattro piani. Al pianterreno si apre un grande portale architravato lungo il quale vi sono due mensole con protomi leonine e sull'architrave appare l'iscrizione “POMPEIUS ROGERIUS”, ovvero Pompeo Ruggeri committente delle pitture dei saloni e della loggia attribuite ai fratelli Giovanni e Cherubino Alberti. Tra le finestre del piano ammezzato possiamo ammirare un ovale che racchiude l'immagine della Madonna con Bambino, mentre nel cortile interno vi è un portico la cui decorazione a foglie d'acanto riporta il motivo araldico dei Ruggeri, una testa di bue.

Su questo tratto di Corso Vittorio Emanuele II che arriva fino all'imbocco con Largo di Torre Argentina, si prospettano altre due magnifiche facciate di edifici che però hanno l'ingresso sulle vie laterali, ovvero quella del Collegio Calasanziano e del Palazzo Nobili Vitelleschi.

Siamo giunti alla splendida Area Sacra di Largo di Torre Argentina, uno dei più estesi complessi archeologici di Roma su cui si ergono quattro templi di età compresa fra il III e il II secolo a.C. e che custodisce il basamento di tufo della Curia di Pompeo, luogo secondo fonti antiche dell'assassinio di Giulio Cesare negli idi di marzo del 44 a.C. Dopo l'anno Mille venne qui allestito il “Calcarario”, una sorta di fucina permanente utilizzata per ridurre in calce e frammenti i marmi. Con ogni probabilità all'interno di questa fucina vennero demoliti molti dei monumenti che costellavano questa zona e che ad oggi non più visibili, ciò che vediamo oggi infatti è frutto degli scavi effettuati tra il 1926 e il 1929 diretti da Giuseppe Marchetti Longhi che per realizzarli fece demolire un intero quartiere 36. Guardando l'Area da via di San Nicola de' Cesarini e partendo dall'edificio all'estrema sinistra si nota prima il tempio dei Lari, a fianco le latrine davanti alle quali sorge il Tempio di Feronia, proseguendo con lo sguardo verso destra si nota il circolare Tempio della Fortuna, alcuni uffici e infine il grande Tempio di Giuturna con i portici. Seppur ben visibile dall'esterno fino ad oggi non era possibile scendere all'interno dell'Area Sacra, ma grazie al mecenatismo della maison Bulgari 37 dalla metà di maggio 2021 hanno preso avvio i lavori di realizzazione di una passerella che renderà fruibile gli scavi. Si conformerà così al criterio di “accessibilità allargata”, grazie alla realizzazione di camminamenti in quota illuminati di notte con suggestive luci LED che consentiranno ai visitatori una fruizione in tutta sicurezza. «L'Area Sacra di Largo Argentina è uno dei siti archeologici più suggestivi, immerso nel cuore della città […] Sarà realizzato un vero e proprio percorso in sicurezza fra gli antichi splendori: i visitatori potranno letteralmente camminare nella storia», ha dichiarato l'ex Sindaca Virginia Raggi a tal proposito.

Da qui rimontiamo sul nostro monopattino e ci addentriamo nuovamente nel rione Pigna attraverso largo delle Stimmate e proseguendo su via dei Cestari. Sulla sinistra, precisamente in via dell'Arco della Ciambella, sono ancora oggi visibili in piccola parte le vestigia delle famose Terme di Agrippa: queste vennero distrutte dall'apertura della via nel 1621 per volere di papa Gregorio XV (Fig. 10).

Fig. 10 - Resti delle Terme di Agrippa in via dell'Arco della ciambella, Roma (foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 10 - Resti delle Terme di Agrippa
in via dell'Arco della ciambella, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)

La parte ancora visibile è a forma circolare e forse il toponimo della via proviene proprio da questa caratteristica.

Sulla destra, un poco più avanti, si apre il piccolo vicolo delle Ceste. Addossata alla parete sopra un portale troviamo la lapide in ricordo di Stefano Porcari 38 (Fig. 11),

Fig. 11 - Lapide di Stefano Porcari in Vicolo delle Ceste, Roma (foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Fig. 11 - Lapide di Stefano Porcari
in Vicolo delle Ceste, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)

famoso sostenitore delle idee repubblicane a metà Quattrocento contro il potere papale che ricorda «lamentando la servitù della patria levò in tempi di oppressione un grido di libertà». Lui e i suoi alleati progettarono di prendere il Castel Sant'Angelo, imprigionare papa Nicolò V e dichiarare finito lo Stato pontificio. Tuttavia, tradito da alcuni dei suoi stessi alleati, fu arrestato poco dopo, imprigionato a Castel Sant'Angelo e impiccato. Il suo corpo non fu mai trovato, forse fu gettato nel Tevere o sepolto clandestinamente nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina, dove la famiglia aveva una cappella.

Ed eccoci giunti nella piccola e deliziosa piazza della Pigna dove possiamo ammirare la Chiesa di San Giovanni della Pigna, restaurata nel 2007 in occasione della nomina di “chiesa degli italiani nel mondo”. La facciata è  “a capanna” in un semplice  stile barocco. Il cornicione, recante un'iscrizione in  lingua latina  ricorda la passata presenza all'interno della chiesa dell'Arciconfraternita della Pietà verso i carcerati. L'interno della Chiesa è sfarzoso ed è a  navata unica coperta con volta a botte lunettata. A fare da contraltare alla Chiesa, troviamo Palazzo Maffei Marescotti ideato nel 1580 da Giacomo della Porta su incarico del cardinale Marcantonio Maffei.
L'edificio passò a varie famiglie per tornare poi nuovamente nelle mani dei Maffei nel 1865 che lo fecero ampliare da Ferdinando Fuga. Acquistato nel 1865 dalla Banca Romana di Bernardo Tanlongo venne poi acquisito nel 1906 direttamente dal Vaticano che ne fece la sede del Vicariato di Roma facendo completare la facciata su via dei Cestari in stile neorinascimentale da Antonio Sarti.
Da quando il Vicariato venne trasferito all'interno di Palazzo di San Callisto (1964), Palazzo Maffei Marescotti ospita altre associazioni cattoliche ed è sede dell'Opera Romana Pellegrinaggi.

Ed eccoci giunti al termine del nostro itinerario che vede l'addentrarsi del visitatore all'interno del grandioso rione Pigna attraverso edifici, palazzi e chiese testimoni silenti dell'avvicendarsi dei secoli in questa parte del centro di Roma, forse la più autentica giunta fino a noi.

Non ci resta che parcheggiare ora il nostro monopattino e continuare il percorso all'insegna dei sapori e degli odori provenienti dalle piccole ma animate osterie e trattorie che riempiono di vita il rione Pigna.

                    
                    
                    
                    

NOTE

1 Ad oggi la colossale pigna bronzea è situata nel nicchione Belvedere all'interno del cortile omonimo posto all'interno dei Palazzi Vaticani in Città del Vaticano.

2 AA. VV., 1989, p. 651.

3 Anche conosciuta come Forma Urbis Severiana o Forma Urbis Romae, era una pianta della città di Roma antica incisa su lastre di marmo realizzata tra il 203 d.C. e il 211 d.C. e collocata in una delle aule del Tempio della Pace. WIKIPEDIA 2021, ad vocem.

4 Le sorgenti erano nell'ager Lucullanus all'ottavo miglio della via Collatina. Fu condotta fino al centro di Roma per volere del console Marco Vipsanio Agrippa nel 19 a.C. per alimentare le terme da lui costruite al Pantheon e per abbellire i suoi giardini in Campo Marzio.

5 Superficie rettangolare attorniata da portici compresa tra via del Seminario, via della Minerva e via dei Cestari. In quest'area in periodo repubblicano si riunivano i comizi che provvedevano all'elezione delle più alte cariche pubbliche.

6 Il tempio fu eretto probabilmente intorno al 43 a.C. all'apice del culto isideo. Quest'ultimo subì delle persecuzioni sotto Augusto e Tiberio. Sotto Caligola il Tempio venne nuovamente consacrato e nell'80 d.C. l'Iseo fu reso ancora più sfarzoso da Domiziano.

7 Provengono dalla zona anche alcune statue di sacerdoti egizi, oggi ai Musei Capitolini, e la statua del Babbuino, popolarmente detta Il Cacco (da macaco) oggi ai Musei Vaticani, che ha dato il nome alla Chiesa di Santo Stefano detta appunto “del Cacco”. Cfr. AA. VV. 1989, pp. 653-654.

8 Il Vittoriano conserva i resti del Milite Ignoto in ricordo dei soldati caduti senza degna sepoltura vegliati incessantemente da due militari e da una fiamma sempre accesa. Il 4 novembre 2021 si è celebrato il centenario del Milite Ignoto culminata nell'arrivo a Roma del Treno della Memoria, riedizione del convoglio speciale che nel 1921 trasportò la salma di un soldato da Aquileia a Roma.

9 La Fontana della Pigna in piazza San Marco fa parte di una serie di dieci fontanelle rionali commissionate dal Governatorato di Roma all'architetto e scultore Pietro Lombardi (1894-1984) nel 1925 e inaugurate il 28 ottobre 1927, anniversario della Marcia su Roma. Con questo progetto, il Governatorato intendeva rimpiazzare i “nasoni” in ghisa, ritenuti al tempo antiestetici e inadatti ai luoghi di pregio della città. Ispirata nella forma, come le altre della serie, al rione omonimo, la Fontana della Pigna è realizzata interamente in travertino. Si compone di una pigna posta al centro di un calice formato da una corona di grandi foglie collocato in un pozzo circolare inserito a sua volta in una piccola vasca quadrangolare. Quattro colonnette ne delimitano l'area. L'acqua sgorga da due bocchette contrapposte e dalla sommità della pigna. I lavori di restauro terminati nel 2017 ne hanno ripristinato l'originaria bellezza. cfr. TURISMO ROMA.

10 Insieme a quello della Basilica di Santa Maria Maggiore, è l'unico soffitto quattrocentesco esistente nelle chiese di Roma. POCINO 2009, p. 204.

11 TOURING CLUB ITALIANO 2021, p.189.

12  BARBERINI/DE ANGELIS D'OSSAT/SCHIAVON 2015.

13 Dal 1867 divenne poi la sede dell'Ambasciata dell'Impero Austro-Ungarico.

14 DE FELICE 1996, p. 52.

15 Termine proveniente dal gergo romano, i Guitti erano coppie di uomini e donne mendicanti o artisti di strada.

16 Oggi la statua si trova addossata ad un angolo di Palazzo Venezia. Cfr. SUT 2018, Le sei statue parlanti di Roma.

17 AA. VV. 1989, p. 703.

18 Ibidem. Il progetto dell'edificio fu realizzato da Bartolomeo Ammannati, ma per problemi finanziari e opportunità interne alla Compagnia dei Gesuiti l'opera di costruzione fu assegnata al Valeriani.

19 Tra questi, in qualità di professore di matematica, fisica e lingue orientali, vi fu Athanasius Kircher (1602-1680) considerato il più grande erudito del Seicento e da alcuni paragonato per il talento inventivo addirittura a Leonardo Da Vinci. Scrisse di ottica, della natura della luce, delle scienze naturali, di fisica, matematica, musica ma soprattutto si occupò dell'origine del linguaggio e delle lingue antiche, divenendo uno dei principali sinologi occidentali ed è noto ancora oggi per essere stato il fondatore dell'egittologia. Cfr. BERTONATI 2015.

20 Le “statue parlanti” sono probabilmente la migliore espressione della romanità antica: verace, satirica, sfacciata e irriverente, soprattutto nei confronti del potere e delle sue ostentazioni. Posizionate in vari luoghi del centro della Capitale, le statue parlanti nacquero in epoca pontificia quando il popolo cominciò ad appendere al collo di queste sculture cartelli con scritte satiriche, invettive e dialoghi umoristici mirati a deridere vari personaggi pubblici, tra i quali spesso anche il Papa, ovviamente rigorosamente di autori anonimi. Originariamente dovevano essere molte di più, ma solo sei sono giunte a noi e sono ancora visibili oltre al Facchino su via Lata: Madama Lucrezia in piazza San Marco (della quale abbiamo già trattato), l'Abate Luigi al lato della Chiesa di Sant'Andrea della Valle, il Babuino lungo l'omonima via, il Marforio nel cortile dei Musei Capitolini e il più famoso, il Pasquino situato alle spalle di piazza Navona. Cfr. SUT 2018, Le sei statue parlanti di Roma.

21 Nello specifico piazza Sant'Ignazio fa parte del III rione, ma la Chiesa di Sant'Ignazio fa invece parte del IX, il rione Pigna appunto.

22 SUT 2021.

23 Ricordiamo i cardinali Rangoni, Spoletino, Casanate, Maffei ed Estense. AA. VV. 1989, p. 676.

24 Ibidem. Annoveriamo gli Orsini, i Colonna, i Capocci, i Frangipane, i Porcari, i Capodiferro e gli Strozzi.

25 Ibidem.

26 Ibidem.

27 Trad. “Quello che non fecero i Barbari, lo fecero i Barberini”.

28 AA. VV. 1989, p. 697.

29 Il diametro della cupola della Basilica di San Pietro misura solamente un metro di meno.

30 Questa particolare tradizione non è però un'invenzione odierna. La Pentecoste, infatti, è anche chiamata “Pascha rosatum” o “Pasqua rosata” proprio per l'abitudine diffusa, in particolare al centro-sud dell'Italia, di far cadere petali di rosa sui fedeli, in MARINO 2016.

31 WIKIPEDIA 2021, ad vocem Pantheon.

32 L'obelisco in granito rosso al centro della piazza è stato realizzato all'epoca di Ramses II e fu fatto portare da Heliopolis a Roma da Domiziano che lo fece collocare come decorazione dell'Iseo Campense. Ritrovato nel 1373 presso la piazza di San Macuto (da cui il nome di "obelisco Macuteo") venne spostato davanti al Pantheon nel 1711 per volere di papa Clemente XI e collocato al di sopra della fontana di Giacomo Della Porta. Complessivamente raggiunge i 14,52 metri di altezza. Cfr. AA. VV. 1989, p. 697.

33 Zio del più temuto Tommaso di Torquemada capo dell'Inquisizione spagnola che tra il 1483 e il 1492 aveva istruito o fatto istruire migliaia di processi a carico di sospetti "conversos", detti spregiativamente "marranos": si trattava di quegli ebrei che, a dispetto della formale conversione al Cristianesimo, continuavano segretamente a praticare i riti propri dell'Ebraismo. In ragione della loro ampia potenza economica erano, a suo giudizio, un pericolo per la stabilità religiosa dei reali spagnoli.

34 La sua lunghezza di 123 centimetri riconduce ad una altezza della statua originale di oltre 8 metri.

35 Il primo e più famoso si trova al Pincio e la sua costruzione risale al 1872. SUT 2018, Il magico orologio ad acqua del Pincio.

36 Giuseppe Marchetti Longhi fu uno strenuo sostenitore della fruibilità degli scavi archeologici e si batté affinché non venissero intaccati dagli intensi lavori urbanistici successivi.

37 Bulgari S.p.A. nel 2019 aveva stipulato una convenzione con Roma Capitale destinando € 500.000 al restauro della Scalinata di Trinità dei Monti e la restante quota alla realizzazione di opere che permettessero la fruibilità dell'Area Sacra di Largo di Torre Argentina da parte del pubblico. I lavori, affidati dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali all'Impresa Biagioli S.r.l., aggiudicataria dell'appalto, dureranno 1 anno, a decorrere dalla data di consegna dell'area di cantiere ovvero maggio 2021.

38 La famiglia Porcari si vantava di discendere da Marco Porcio Catone, politico, generale e scrittore romano vissuto tra il III e il II sec. a. C.

                                
                                
                                

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SUT 2018, Le sei statue parlanti di Roma

Vittoria Sut, Le sei statue parlanti di Roma, in “RomaToday”, Roma, City News, 06 gennaio 2018.

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(ultima consultazione 31/10/2021)


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https://it.wikipedia.org/wiki/Forma_Urbis_Severiana

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https://it.wikipedia.org/wiki/Pantheon_(Roma)#Leggende_popolari_e_curiosit%C3%A0

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DOCUMENTI

Comunicato Stampa Campidoglio, al via i lavori per l'apertura al pubblico dell'Area Sacra di Largo Argentina, sito web Roma Capitale.

Link

(ultima consultazione 09/05/2021)

                            
                            
                            
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