È
davvero singolare e curioso che tra tutti i 22 rioni
di Roma, il solo
rione Pigna presenti come toponimo un oggetto così
umile che stride
con l'aspetto monumentale dello stesso, in luogo dei
riferimenti
ambientali utilizzati invece dagli altri rioni
(Fig. 1).
Fig. 1 - Stemma del rione Pigna, 2013 (WIKIPEDIA, pubblico dominio, foto cortesia Vittoria Sut)
È singolare
in quanto la pigna, frutto così caratteristico lungo
il litorale
laziale, in questa zona non è affatto presente.
Il
nome del rione deriva con ogni probabilità dalla
monumentale
scultura rappresentante il frutto delle conifere che
fu ritrovata in
questa zona, nello specifico all'interno della vasta
area del
Tempio di Iside e Serapide e che successivamente fu
trasportata nel
Cortile del Belvedere in San Pietro.
La colossale scultura della pigna in bronzo è alta
quasi 4 metri e
Dante, nel XXXI canto dell'Inferno della Divina
Commedia, la
utilizza come unità di misura accomunando le sue
dimensioni a quelle
dell'enorme volto del gigante Nembrot: «La faccia sua
mi parea
lunga e grossa come la pina di San Pietro a Roma e a
sua proporzione
eran l'altre ossa». Un'altra accreditata origine del
toponimo è
quella che vuole la zona indicata per tutto il
Medioevo come “regione
della vigna” poi tramutatasi in “pigna”.
Nell'antichità
questa
zona era contrassegnata come “VII regione augustea” e
ciò
è stato accreditato sia dagli studi sia dagli scavi
documentati
nella Forma Urbis Marmorea.
Via del Caravita e via del Seminario delimitano il
rione dal lato
nord e nel passato delineavano anche l'andamento
dell'antica
Acqua Vergine
che allora percorreva l'attuale via del Corso
raggiungendo i
Saepta,
per alimentare le Terme di Agrippa. Alla sinistra dei
Saepta
vi erano il Pantheon, la Basilica di Nettuno e appunto
le Terme.
Sull'attuale
via
del Gesù avremmo avuto il piacere di vedere il
favoloso Tempio
di Iside e Serapide,
dal quale proviene la famosa pigna bronzea di cui
abbiamo già
trattato, oltre che il Pie' di Marmo e il busto di
statua femminile
attribuita alla divinità di Iside e nota ai romani
come “Madama
Lucrezia”, che incontreremo tra poco.
Dalla
medesima area del Tempio, che doveva essere non solo
molto vasta ma
anche molto ricca a livello decorativo, provengono ben
cinque
obelischi: l'obelisco di San Macuto, originariamente
proveniente da
Heliopolis e che oggi sormonta la fontana in piazza
della Rotonda,
l'obelisco di Dogali oggi in via delle Terme di
Diocleziano,
l'obelisco del Faraone Apies in piazza della Minerva,
l'obelisco
nel Giardino di Boboli di Villa Medici a Firenze e
infine, il più
alto di tutti, l'obelisco di Domiziano che dalla
seconda metà del
Seicento sormonta la maestosa Fontana dei Fiumi di
Gian Lorenzo
Bernini in piazza Navona.
Ma
iniziamo il nostro percorso.
Immettendoci
da
via del Corso su piazza Venezia vari sono gli
itinerari
percorribili utilizzando il monopattino – ultima
novità in fatto
di mobilità a Roma e prediletta soprattutto da
giovanissimi,
ambientalisti e turisti.
Prenderemo
in esame quello che voltando a destra attraversa il
rione Pigna, in
assoluto il rione più monumentale di Roma poiché
raccoglie una
sovrabbondanza di palazzi nobiliari, di chiese e
monumenti insigni di
notevole interesse architettonico (Fig. 2).
Fig. 2 - Percorso attraverso il rione Pigna, Dati cartografici Google, 2021
Foto cortesia Vittoria Sut, © Google
Costeggiando le mura di
Palazzo Venezia ci immetteremo in via del Plebiscito e
ci
addentreremo all'interno del rione Pigna passando per
via della
Gatta. Gireremo attorno all'immensa struttura del
Collegio Romano
per proseguire su via del Seminario e scendere fino al
Pantheon. Da
lì proseguiremo passando prima davanti alla Chiesa di
Santa Maria
Sopra Minerva e poi, voltando a sinistra su via di
Santa Caterina da
Siena, giungeremo davanti al Piè di Marmo. Da via di
Santo Stefano
del Cacco scenderemo in via del Gesù dove ammireremo,
purtroppo solo
da un oculo, l'orologio ad acqua nel cortile di
Palazzo Berardi per
poi terminare di fronte all'imponente Chiesa del Gesù.
Proseguendo
su Corso Vittorio arriveremo alla grande area sacra di
Largo di Torre
Argentina con i resti dei suoi quattro templi.
Rientrando da Largo
delle Stimmate e proseguendo su via dei Cestari,
incontreremo sulla
sinistra i resti delle Terme di Agrippa e sulla
destra, precisamente
in vicolo delle Ceste, la lapide in ricordo di Stefano
Porcari,
famoso sostenitore delle idee repubblicane a metà
Quattrocento.
Infine, approderemo nella deliziosa piazza della Pigna
dove
ammireremo la Chiesa di San Giovanni della Pigna e
Palazzo Maffei
Marescotti.
Iniziamo
quindi il nostro itinerario proprio dalla monumentale
piazza Venezia
il cui attuale aspetto lo dobbiamo quasi interamente
agli interventi
di demolizione e ricostruzione realizzati tra la fine
dell'Ottocento e l'inizio
del Novecento in seguito
alla costruzione del Vittoriano dedicato al primo
re
d'Italia Vittorio Emanuele II. Il monumento è
spesso
identificato come l'Altare della Patria, che ne è la
parte centrale
e che accoglie dal 1921 il Milite Ignoto.
Alla
sinistra dell'Altare della Patria, si apre la piccola
Piazza San
Marco caratterizzata da un grazioso giardino alberato
a un angolo del
quale è presente la Fontana della Pigna (Fig. 3)
Fig. 3 - Fontana della Pigna in piazza San Marco, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
costruita nel 1927
dall'architetto Pietro Lombardi a ricordo della
colossale pigna
bronzea qui ritrovata.
La fontana è collocata davanti alla Chiesa di San
Marco famosa per
il magnifico soffitto quattrocentesco a cassettoni
dorati su fondo
azzurro.
Quest'ultima si inserisce all'interno di Palazzo
Venezia
(conosciuto anche come Palazzo Barbo o Palazzo San
Marco). L'edificio
fu adibito a palazzo apostolico da papa Paolo II (nato
Marco Barbo)
che ne fece ampliare la struttura.
Nel 1564 papa Pio IV donò il palazzo
alla Repubblica di
Venezia per utilizzarlo come sede dei suoi
ambasciatori ed
oratori presso la Santa Sede, da cui ne derivò il nome
del palazzo.
Nel 1797 divenne la sede
dell'ambasciata austriaca
presso la Santa Sede e dal 1916 passò
allo Stato
italiano in seguito ad espropriazione come
rappresaglia per il
bombardamento di Venezia da parte dell'esercito
asburgico. Infine,
nel 1929, Benito Mussolini pose qui la sede
del proprio
quartier generale fino al 1943, nella famosa Sala del
Mappamondo.
Fu proprio dal balcone di Palazzo Venezia che nel 1940
annunciò al
popolo l'entrata in guerra dell'Italia contro Francia
e Regno
Unito. Oggi il Palazzo ospita il Museo Nazionale di
Palazzo Venezia,
la sede dell'Istituto Nazionale di Archeologia e
Storia dell'Arte
(INASA) e la Biblioteca di Archeologia e Storia
dell'Arte (BIASA).
Sempre
nella piccola piazza San Marco, addossata ad un muro,
troviamo la
statua di Madama Lucrezia, una delle statue
provenienti dal vicino
tempio isideo di epoca romana (Fig. 4).
Fig. 4 - La statua parlante di Madama Lucrezia in piazza San Marco, Roma
(foto 2018 cortesia © Vittoria Sut)
Il nome
deriverebbe da
Lucrezia d'Alagno, nobildonna del XV secolo amante del
re di Napoli
Alfonso V di Aragona. Nel 1457 Lucrezia venne a Roma
per richiedere
al Papa la concessione del divorzio per Alfonso V, che
però le venne
rifiutato. Alla morte del re, il figlio Ferrante la
cacciò da Napoli
costringendola a vivere a Roma nel palazzetto
adiacente alla statua.
Non sembra che il culto fosse particolarmente vivo ma
sappiamo che in
occasione del primo maggio (alla festa del “Ballo dei
Guitti”)
o del 25 aprile (Festa di San Marco) veniva vestita e
adornata come
una vera dama.
Ma
“saliamo in sella” al monopattino e continuiamo il
nostro
percorso su via del Plebiscito, un tempo Via
Papalis, che deve
il suo nome in ricordo del plebiscito che si tenne il
2 ottobre 1870
per l'annessione di Roma all'Italia. Partendo
dall'angolo
nord-ovest di piazza Venezia sin da subito notiamo lo
splendido
Palazzo Bonaparte costruito per la famiglia d'Aste nel
1660 da
Giovanni Antonio de Rossi. Nel 1760 quest'ultimo fu
acquistato dai
marchesi Rinuccini di Firenze e nel 1818 da Letizia
Ramolino, madre
di Napoleone I, la quale vi dimorò fino alla sua morte
avvenuta nel
1836. Nel 1972 esso divenne proprietà de Le
Assicurazioni d'Italia.
Sulla facciata barocca ammiriamo i vari piani la cui
disposizione è
ben proporzionata. Tra le finestre architravate e
inferriate si apre
il portale ottocentesco, rifacimento di quello
originario del De
Rossi, sul quale poggiava un balcone: oggi lo sovrasta
una finestra
con l'aquila napoleonica. Al secondo piano le finestre
presentano
un timpano triangolare con lati curvi decorati con
teste di leone, lo
stemma dei d'Aste. È inoltre interessante aggiungere
una
curiosità: dal salone d'angolo le finestre guardano
sia su via del
Corso sia su piazza Venezia e da qui Madama Letizia,
divenuta ormai
cieca, si faceva descrivere il traffico dalla dama di
compagnia Rosa
Mellini chiedendo inoltre se i passanti alzassero lo
sguardo verso
l'abitazione della madre dell'imperatore in segno di
rispetto e
ammirazione.
Poco
dopo, sempre sulla destra, un altro magnifico palazzo
ci appare: è
Palazzo Grazioli (ex Palazzo dei Gottifredi)
realizzato da Giacomo
della Porta nel '500 la cui facciata presenta un piano
terra in
bugnato con finestroni muniti di inferriata ed è
decorata da paraste
con capitelli e al cui centro si apre un portone
fiancheggiato da due
colonne di ordine dorico di granito grigio sormontato
da un balcone.
Voltando
subito a destra e proseguendo nella piccola e lunga
via della Gatta,
si può ammirare la facciata del retro di Palazzo
Grazioli sulla
quale campeggia la targa in marmo e bronzo con il
ritratto della
Gloria che commemora l'impresa del sottotenente di
vascello
Riccardo Grazioli Lante della Rovere, medaglia d'oro
al valor
militare, caduto ad Al Khums (all'epoca Homs, in
Libia) nel 1911
durante la guerra italo-turca, meglio nota come Guerra
o Campagna di
Libia. Proprio qui, sul cornicione tra il piano nobile
e il secondo
piano, si affaccia la piccola statuetta marmorea di
una gatta di
provenienza isidea dalla quale deriva l'intitolazione
della via
(Fig. 5).
Fig. 5 - Statua della Gatta in via della Gatta, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
La tradizione vuole che la statua della
gatta sia stata
posta qui in ricordo di un medesimo animale che,
avendo visto un
bambino in pericolo sul cornicione di Palazzo
Grazioli, miagolando
avrebbe richiamato l'attenzione della madre che riuscì
a salvarlo
prima che precipitasse nel vuoto. Un'altra leggenda
invece vuole
che nella direzione dello sguardo della gatta sarebbe
nascosto un
tesoro, che però nessuno finora è riuscito ad
individuare né
sarebbe facile da cercare tra le fondamenta dei
palazzi.
Da
qui si accede in piazza del Collegio Romano,
conosciuta anticamente
come “piazza di Carmignano” dall'arco omonimo che
serviva da
accesso all'Iseo.
La configurazione attuale si data al 1659 quando i
Gesuiti comprarono
Palazzo Salviati (situato davanti al Palazzo del
Collegio Romano, ad
angolo con Palazzo Doria Pamphilj) e lo demolirono per
consentire
l'allargamento e la sistemazione della piazza.
Quest'ultima,
ovviamente, prende il nome attuale dall'omonimo e
imponente palazzo
che fu costruito nel 1582 da Giuseppe Valeriani
su incarico di papa Gregorio XIII Boncompagni per
volontà di
Sant'Ignazio di Loyola (fondatore della Compagnia di
Gesù).
L'importanza della logica, metafisica, filosofia,
matematica e
delle principali lingue latina, greca ed ebraica oltre
ovviamente
alla teologia, insieme al fatto che venivano insegnate
gratuitamente
ai giovani meritevoli, fecero del Collegio un vero e
proprio centro
di sperimentazione accademico-scientifica famoso a
livello
internazionale.
Fig. 6 - Palazzo del Collegio Romano in piazza del Collegio Romano, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Il
Palazzo del Collegio Romano (Fig. 6), la cui grandiosa
facciata
realizzata da Paolo Maruscelli interamente in mattoni
ad esclusione
del basamento e delle cornici di porte e finestre che
sono invece
realizzate in travertino, è diviso in tre corpi: uno
centrale a tre
piani e i due laterali a due piani, mentre sulla
destra vediamo
elevarsi una torre costruita nel 1787 per le
osservazioni
astronomiche. La parte centrale presenta alle
estremità due
grandiosi portali (quello di destra è murato)
raffiguranti i draghi
araldici dei Boncompagni, mentre al centro del piano
superiore vi
sono lo stemma di Gregorio XIII e la lapide che
ricorda la fondazione
del Palazzo, che recita: GREGORIUS XIII P.M. RELIGIONI
AC BONIS
ARTIBUS MDLXXXVIII. Il terzo piano presenta un
orologio centrale che
un tempo forniva l'ora esatta a tutti gli orologi di
Roma. Nel 1870
il Palazzo fu confiscato dallo Stato italiano che
inizialmente lo
adibì a caserma e poi a sede del primo Liceo Ginnasio
Statale
dedicato all'archeologo Ennio Quirino Visconti.
Inoltre, una parte
del complesso palaziale è assegnato in uso sin dal
1975, data di
istituzione, al Ministero della Cultura (MiC)
ospitandone gli uffici
centrali del Ministero e il Gabinetto del Ministro.
Altro
elemento fondamentale di questo luogo è il complesso
comprendente la
chiesa ed il convento di Santa Marta, una struttura
risalente al 1542
anno in cui Sant'Ignazio fece edificare il Rifugio di
Santa Maria
delle Grazie per accogliere le "malmaritate" ovvero
«le
donne coniugate in peccato pubblico senza timor
d'Iddio et senza
vergogna delli huomini» che volevano riabilitarsi. Nel
1872 il
complesso fu confiscato dallo Stato italiano e la
chiesa venne
sconsacrata (con la conseguente distruzione di vari
affreschi). Il
monastero è ora sede del I Distretto di Polizia della
città mentre
la chiesa, che con una forte campagna di stampa fu
salvata negli anni
Sessanta dalla trasformazione in palestra, è ora sede
di conferenze,
convegni, mostre e concerti ed è di proprietà del
Ministero della
Cultura.
Di
fronte al complesso del Collegio Romano sorge lo
splendido Palazzo
Doria Pamphilj portato in dote da Olimpia
Aldrobrandini, nipote di
papa Innocenzo X, durante il matrimonio con Camillo
Pamphilj.
Quest'ultimo, nel 1734, diede l'incarico
all'architetto
Gabriele Valvassori di costruire la magnifica facciata
tardo barocca
su via del Corso nonché quella che affaccia su piazza
del Collegio
Romano. Il Palazzo contiene una delle più note
collezioni d'arte
di Roma con capolavori di scultura e pittura dal XV al
XVIII secolo
di artisti famosi e famosissimi tra i quali, solo per
citarne alcuni,
Raffaello, Tiziano, Tintoretto, Guercino, Rubens,
Velázquez.
All'angolo tra il magnifico Palazzo Doria Pamphilj e
via della
Gatta troviamo, inclinata verso il basso probabilmente
per agevolarne
la visione, una piccola edicola con baldacchino di
legno ricoperto di
piombo del tipo a spicchi con pendagli che contiene un
olio su tela
raffigurante l'Immacolata che siede in cielo fra le
nubi al
di sotto della tradizionale falce di luna.
Alla
destra del Collegio Romano, si affaccia un piccolo
spicchio di
Palazzo De Carolis, un tempo sede del Banco di Roma e
oggi sede di
rappresentanza dell'Unicredit. Il Palazzo prende il
nome dal ricco
mercante Livio De Carolis che incaricò
l'architetto Alessandro
Specchi di costruire la sua residenza. L'opera fu
iniziata
nel 1714 ma già nel 1748 gli eredi furono
costretti a venderlo
all'asta a causa delle difficoltà finanziarie
familiari. L'edificio
passò così alla Compagnia di Gesù. Dal 1830 al
1908 il
Palazzo, già sede dell'ambasciata di Francia, divenne
proprietà dei
Boncompagni-Ludovisi i quali sul balcone centrale che
si affaccia su
via del Corso fecero costruire verso il 1845 un
"bussolotto",
una sorta di veranda riparata da persiane
particolarmente apprezzata
per assistere ai cortei carnevaleschi e
alla Corsa dei Barberi.
Il palazzo fu poi venduto nel 1908 al Banco
di Roma che ne
fece ristrutturare gli ambienti in stile Liberty al
fine di adattarli
ad ospitare gli uffici di rappresentanza su progetto
dell'architetto Pio Piacentini.
Addossata
ad un lato di Palazzo De Carolis, precisamente su via
Lata, troviamo
la “statua parlante”
del Facchino (Fig. 7).
Fig. 7 - La statua parlante del Facchino in via Lata, Roma
(foto 2018 cortesia © Vittoria Sut)
La scultura risale alla
seconda metà
del XVI secolo ed è opera di Jacopo Del Conte che la
realizzò su
incarico della Corporazione degli Acquaroli,
ovvero coloro che
raccoglievano l'acqua dalle fontane pubbliche per
rivenderla porta
a porta. Curioso è il motivo per cui il viso è quasi
completamente
sfigurato: per via del berretto e dell'abbigliamento
da molti era
ritenuto addirittura Martin Lutero e per
questo preso a
sassate dai passanti. Il suo ultimo nome deriva dalla
foggia
dell'abito e da un'epigrafe scomparsa che riconduceva
alla Corporazione dei Facchini.
Ma
risaliamo sul monopattino e proseguiamo il nostro
percorso alla
scoperta del rione Pigna immettendoci in via del
Collegio Romano.
Svoltando a sinistra entriamo in via del Caravita e
fatti pochi metri
siamo in una delle più suggestive piazze di Roma:
piazza di
Sant'Ignazio.
Prima di ammirare la Chiesa vale la pena soffermarsi
sull'impianto
architettonico settecentesco della piazza, un gioco
prospettico di
quinte creato dall'architetto Filippo Raguzzini nel
1727-28. I tre
edifici sono posti come quinta scenica come un vero e
proprio teatro
rococò e nascondono i passaggi laterali che corrono
dietro
l'edificio centrale. Quest'ultimo è oggi sede
principale del
Comando Carabinieri Nucleo Tutela Patrimonio Culturale
(CC TPC).
Proprio
su questa scenografica piazza si erge l'imponente
Chiesa di
Sant'Ignazio di Loyola inserita nell'imponente
edificio
del Collegio Romano, classico esempio
del Barocco italiano
non solo per la sua struttura e per le sue decorazioni
ma anche e
soprattutto per le straordinarie illusioni
ottiche realizzate
da Andrea del Pozzo, celebre autore di
affreschi trompe-l'oeil (trad.
“inganna
l'occhio”). In origine il Collegio Romano comprendeva
una Chiesa dedicata all'Annunziata ma che
ben presto non
si dimostrò più in grado di ospitare gli oltre 2000
studenti che
qui si riversavano. I Gesuiti decisero così
di realizzare
una chiesa molto più grande della precedente. Tra i
vari progetti
venne scelto quello del professore di matematica del
Collegio,
Fra' Orazio Grassi, finanziato dal Cardinale
Ludovico
Ludovisi con addirittura 200.000 scudi (una cifra
folle per
l'epoca!), il cui monumento funebre è visibile
all'interno della
Chiesa. I lavori iniziarono nel 1626. Nel 1685 la
Chiesa era quasi
terminata, ma c'era un problema: mancava la
cupola e
soprattutto il denaro per realizzarla. Venne perciò
chiamato il
frate gesuita, nonché pittore, Andrea del Pozzo
che grazie a
uno straordinario stratagemma riuscì a realizzare la
cupola.
All'interno la Chiesa presenta una navata lunga
addirittura
81,5 metri, larga 43 metri e alta 30 metri, ha la
tipica forma
a croce latina con presbiterio
absidato e si
arricchisce di sei cappelle laterali. L'edificio è
stato più volte
attribuito a vari architetti che hanno operato nella
prima metà del
XVII secolo a Roma: Domenichino, Girolamo
Rainaldi, Alessandro Algardi. Appena varcata la
soglia della
Chiesa, sul pavimento si possono ammirare le
particolari geometrie
dei marmi che portano al centro della navata in
cui formano
un cerchio. Da questo preciso punto, alzando gli
occhi al cielo,
si può ammirare il fantastico affresco con la Gloria
di
Sant'Ignazio (1685), sempre di Andrea
del Pozzo, che
tramite l'effetto di “sfondamento” o “quadratura” del
soffitto lo fa sembrare alto il doppio di quanto sia
realmente
offrendo agli occhi dello spettatore
la simulazione prospettica
di una seconda chiesa tridimensionale che
“poggia”
direttamente su quella reale. Quest'architettura
simulata è
articolata su due ordini: in quello superiore, che
protende verso
l'alto con un sinuoso movimento di colonne, archi e
trabeazioni, è
raffigurato al centro Sant'Ignazio che
ascende al cielo
sotto lo sguardo di Cristo crocifisso e
quattro figure che
simboleggiano i continenti allora
conosciuti. Il dipinto
rappresenterebbe perciò l'epopea dei
Gesuiti nell'evangelizzazione
dei quattro continenti.
Proseguendo
nella navata centrale, verso l'altare, si
incontra un tondo
dorato nel marmo pavimentale. Se da quel punto si alza
lo sguardo si
può ammirare la splendida cupola di ben 13
metri di
diametro. Ma ha qualcosa di strano! Ebbene sì,
nasconde
un artificio. La cupola è finta,
il soffitto è
piatto e al di sopra è stato applicato
un dipinto
prospettico su tela: è solo un'illusione ottica
tridimensionale!
Infatti, se da quel tondo sul pavimento ci si sposta
lateralmente, la
cupola assume tutt'altra prospettiva e perde
completamente di
significato. Questo ingegnoso
espediente venne ideato dal
Frate pittore per sopperire alla mancanza di fondi
destinati alla
costruzione della cupola. Ma si dice anche che siano
stati gli stessi
abitanti del quartiere Campo Marzio a non
volerne la
costruzione poiché con la sua altezza avrebbe oscurato
il sole.
Tra giochi e virtuosismi pittorici,
la Chiesa di
Sant'Ignazio a Roma si presenta perciò come una
delle più
rappresentative del Barocco, genere che tendeva
a stupire
l'osservatore con espedienti illusori e geniali.
Con
gli occhi pieni di meraviglia ci reimmettiamo su via
del Seminario e
in un paio di accelerazioni arriviamo nella maestosa
piazza della
Rotonda.
Quest'area,
un tempo popolata da numerosi cardinali
e famiglie nobili,
è quella che più di tutte ha conservato il suo antico
aspetto
urbanistico risentendo in maniera minima dei grandi
sconvolgimenti
del periodo piemontese. La particolarità di questa
zona è
sicuramente la toponomastica che prende spunto da
mestieri e
industrie che qui avevano botteghe e edifici i cui
rappresentanti
spesso si stipavano con i loro banchi sotto
l'imponente portico del
Pantheon. Qui arrivavano anche i cosiddetti
“Virtuosi”, degli
antesignani dell'attuale manifestazione I cento
pittori di via
Margutta che esponevano e vendevano la loro arte
più o meno
dilettantesca.
La Piazza era conosciuta sia dai romani che dagli
avventori come la
piazza in cui avvenivano le esecuzioni capitali e ciò
non deve
stupire poiché ad appena 100 metri si trova la Chiesa
di Santa Maria
Sopra Minerva, a quel tempo sede della Santa
Inquisizione.
Qui
trova spazio il Pantheon, soprannominato dai romani
“Ritonna”
(trad. Rotonda) uno degli edifici più emblematici di
Roma tanto che
famoso è l'antico detto «Chi va a Roma e nun vede la
Ritonna,
asino va e asino ritorna». L'iniziale edificio
rettangolare che
sottende l'odierno fu fatto costruire da Marco
Vipsanio Agrippa,
genero dell'Imperatore Augusto, intorno al 27 a.C. ma
andò
distrutto nell'incendio dell'80 d.C. per poi essere
riedificato
durante l'impero di Adriano, come testimoniano i
marchi impressi
sui mattoni fabbricati a mano. Ma che significa
“Pantheon”?
Ebbene la parola deriva dal greco antico “pan” e
“theos”
ovvero “dedicato a tutti gli Dei”. Sin dalla sua
costruzione
quindi l'edificio ebbe la funzione di luogo in cui
adorare gli Dei
ma l'imperatore Bisanzio Foca lo cedette in dono a
papa Bonifacio
IV che lo trasformò in chiesa cristiana dedicandolo
alla Vergine
Maria con il nome di Santa Maria ad Martyres. Nel 655
l'imperatore
Costante II si appropriò delle tegole bronzee che
decoravano la
copertura per meri scopi statuari e solo cento anni
più tardi papa
Gregorio III la fece ripristinare utilizzando però
delle semplici
lamine di piombo, che ancora oggi la rivestono. Nel
1632, papa Urbano
VIII Barberini, noto per aver derubato e manomesso
monumenti antichi
e medioevali di Roma, fece togliere tutto il
rivestimento bronzeo
delle travature del pronao allo scopo di fondere ben
80 cannoni per
la fortezza di Castel Sant'Angelo e realizzare le
famigerate (e
splendide!) colonne tortili del baldacchino berniniano
posto al
centro della navata nella Basilica di San Pietro. A
questa che si
presentò all'epoca come una vera e propria
depredazione, non
poteva che rispondere una delle statue parlanti con la
lingua più
lunga, il Pasquino, e famosa è la sua “pasquinata” in
merito:
«Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini».
Per redimersi dal suo peccato, papa Urbano VIII regalò
al
malcapitato edificio i due campaniletti laterali fatti
realizzare su
disegno del Bernini ma che subito il sagace verbo
romano ribattezzò
“orecchioni”,
abbattuti poi nel 1883. All'inizio del Settecento si
deve la
sistemazione sulla piazza dell'attuale fontana con
l'obelisco
mentre a metà Ottocento vennero abbattute tutte le
piccole case che
si addossavano all'edificio. Dal 1878 il Pantheon è il
sacrario
dei sovrani italiani, tra i quali Vittorio Emanuele II
e Umberto I,
marito di Margherita di Savoia alla quale, si pensa,
venne dedicata
la pizza margherita, appunto. Qui è inoltre sepolto il
grande
Raffaello Sanzio.
Si
accede al Tempio tramite un imponente portico di otto
colonne in
granito sovrastate da capitelli corinzi di grande
bellezza. L'interno
è grandioso e la suggestione è ampliata dal grande
diametro della
cupola di oltre 43 metri, la più ampia al mondo.
La cupola, realizzata con materiali sempre più leggeri
via via che
ci si avvicina all'oculo centrale, è decorata
internamente da
cassettoni che si restringono verso l'alto creando un
incredibile
effetto ottico. Proprio l'oculo centrale, di un
diametro di ben 9
metri, secondo la credenza popolare serviva agli Dei
per vegliare sui
fedeli all'interno del Pantheon e la forza della
potenza divina è
certamente avvalorata dallo sfolgorante fascio di luce
che penetra
nell'edificio. Sempre all'oculo è legata la tradizione
che viene
riproposta ogni anno grazie ai Vigili del Fuoco. In
occasione della
Pentecoste, e cioè nel cinquantesimo giorno dopo la
Pasqua, alla
fine della messa i Vigili lasciano cadere dei petali
di rosa
dall'oculo centrale dal grande effetto scenografico.
Si tratta
naturalmente di una rappresentazione
religiosa volta a
simboleggiare la discesa dello Spirito Santo sulla
Madonna e sugli
Apostoli raccolti nel Cenacolo. Non dobbiamo
dimenticare infatti che
il monumento romano è in realtà anche una basilica
cristiana
consacrata alla Vergine.
La tradizione proviene probabilmente dai “Rosalia”,
una festa
pagana che prevedeva il rendere omaggio alle tombe dei
cari defunti
adornandole di ghirlande e petali di rose e violette.
Varie
sono le leggende legate al Pantheon ma ne riporteremo
solo due. La
prima riguarda la cupola ed è narrata nella Leggenda
Aurea di
Jacopo da Varazze, la quale racconta che sin da subito
ci si rese
conto della difficoltà di innalzare una cupola così
ampia e
pesante; perciò, si pensò di costruire non solo la
struttura
sottostante ma addirittura un intero basamento pieno
di calcestruzzo
e monete e via via che la cupola cresceva di larghezza
veniva
inserito altro “ricco” conglomerato. Una volta
terminata la
cupola e verificata la sua stabilità, i cittadini
furono invitati a
scavarne il riempimento per rendere agibile e fruibile
il Tempio il
prima possibile; ogni moneta trovata durante lo scavo,
potevano
tenerla. Potete immaginare quale fu l'afflusso per
questo compito.
La
seconda leggenda riguarda la posizione affossata del
tempio rispetto
alla strada ed è legata al medico e alchimista
salernitano Pietro
Bailardo. Quest'ultimo era solito spassarsela
affermando di essere
l'emissario del Diavolo e si serviva di un libro
fornitogli dal
Diavolo stesso, dietro cessione della sua anima,
intitolato Il
Libro del Comando. Ma essendo un comune mortale
anche per lui
venne l'ora della dipartita e spaventato dall'evento
decise di
effettuare tre pellegrinaggi beneauguranti:
Gerusalemme, San Giacomo
di Galizia e il Pantheon. Proprio uscendo da
quest'ultimo, il
Bailardo si trovò di fronte il Diavolo venuto a
reclamare la sua
anima. Ma Bailardo gli diede un pugno di noci e si
rintanò nel
Pantheon cominciò a pregare con foga sentitamente
pentito. Il
Diavolo infuriato dalla beffa girò varie volte attorno
al Pantheon e
tanta fu la rabbia con la quale corse che scavò il
fossato che
ancora oggi circonda l'edificio.
Di
fronte al Pantheon, al centro della piazza, troviamo
la fontana in
marmo bigio africano disegnata da Giacomo della Porta
e scolpita da
Leonardo Sormani nel 1575. Questa è a pianta
mistilinea e sorge su
una piattaforma a gradini adorna di maschere e delfini
zampillanti
acqua (gli attuali sono del restauro del 1880), al
centro si innalza
il piccolo obelisco di Ramses II
posto qui nel 1711 per volere di Clemente XI che lo
fece trasferire dalla vicina piazza di San Macuto.
E
dopo una lunga ma dovuta sosta dinanzi a uno dei più
belli ed
importanti monumenti di Roma, risaliamo in sella al
nostro
monopattino e prendiamo via della Minerva. Ed ecco che
in pochi metri
ci troviamo in piazza della Minerva nella quale si
affaccia maestosa
la Chiesa di Santa Maria sopra Minerva.
Ma
prima di entrare nella straordinaria Chiesa, vale la
pena ricordare
che piazza della Minerva si trova nella zona più bassa
della città
e che frequentemente veniva allagata dall'esondazione
del vicino
Tevere che, scorrendo limaccioso fino a qui,
ristagnava per giorni e
giorni data anche l'inefficienza fognaria. Sulla
facciata della
Chiesa stessa sono ancora oggi ben visibili le lapidi
che ricordano
il livello delle acque raggiunto durante le piene del
Tevere con
tanto di limite, data e gravità del fenomeno. Queste
esondazioni,
con tutti i disagi che provocavano, sparirono con la
costruzione
degli argini del Tevere nel 1870, meglio conosciuti
come i
“muraglioni”.
La
Chiesa di Santa Maria Sopra Minerva prende il nome dal
tempietto a
forma circolare dedicato alla Minerva Calcidica eretto
da Domiziano
attorno all'80 d.C. L'antica chiesa non aveva
ovviamente la forma
attuale ed era molto più piccola. Le sue origini
risalgono ai tempi
di papa Zaccaria (741-752) il quale la affidò a un
gruppo di suore
basiliane provenienti da Costantinopoli. Intorno alla
metà del XIII
secolo la Chiesa fu concessa ai Domenicani (che
tutt'ora risiedono
nell'annesso convento) e nel 1280 si iniziò la
costruzione di un
nuovo edificio. I progettisti furono Fra' Sisto
Fiorentino e Fra'
Ristoro da Campi (gli stessi religiosi che
progettarono Santa Maria
Novella a Firenze). Durante il pontificato di
Bonifacio VIII
(1294-1303) vennero stanziate delle ingenti somme di
denaro per
incrementare la costruzione della Chiesa ma i lavori
si interruppero
nel settantennio in cui il papato si trasferì ad
Avignone. Nel 1453
il Prefetto di Roma, il conte Francesco Orsini,
finanziò la
costruzione della facciata; l'attuale configurazione
risale al
Seicento. Terminante con un coronamento orizzontale,
essa riporta tre
portali marmorei sormontati ognuno da un'ampia
finestra circolare,
risalenti questi ultimi al Quattrocento. Dello stesso
periodo
annoveriamo la costruzione delle volte nella navata
centrale fatte
costruire dal cardinale domenicano Giovanni Torquemada.
L'interno della Chiesa è diviso in tre navate coperte
da volte a
crociera, con abside e transetto; le grandi colonne
che separano le
navate sono state, purtroppo, ricoperte da un
rivestimento marmoreo
durante il restauro ottocentesco. Numerosissime sono
le opere
contenute al suo interno, tra le quali annoveriamo la
Cappella
dell'Annunziata di Carlo Maderno con la splendida Annunciazione
di Antoniazzo Romano, la Cappella Carafa con gli
affreschi di
Filippino Lippi realizzati nel 1489, il Cristo
risorto di
Michelangelo, i monumenti funebri di Leone X e
Clemente VII disegnati
da Antonio da Sangallo il Giovane, il monumento
funebre di Maria
Raggi del Bernini e quelli di Silvestro Aldobrandini e
Luisa Dati
(genitori di Clemente VII) realizzati da Giacomo della
Porta.
Troviamo inoltre la tomba dell'illustre pittore
rinascimentale
Beato Angelico e le reliquie di Santa Caterina da
Siena, morta a Roma
nel 1380.
Al
centro della piazza che porta il nome della Chiesa,
troviamo il
grazioso monumento noto come “Pulcin della Minerva”,
composto da
un obelisco egizio del VI sec. a.C. rinvenuto nel 1665
nell'area
isidea e sostenuto da un elefantino marmoreo; la
struttura venne
ideata da Gian Lorenzo Bernini e scolpita da Ercole
Ferrata nel 1667.
Alla base del monumento vi sono due lapidi, quella che
guarda la
piazza recita: «Questo antico obelisco, monumento
della Pallade
egiziana, scavato dalla Terra ed eretto nella Piazza
già di Minerva
e ora della Madre di Dio, Alessandro VII dedicò alla
Divina Sapienza
nel 1667». Mentre l'iscrizione che guarda la Chiesa si
dice
dettata direttamente da Urbano VIII, che riferendosi a
sé stesso:
«Chiunque tu sia che vedi nell'obelisco le figure
scolpite dal
sapiente Egitto sostenute dall'elefante, il più forte
degli
animali, sappi che è proprio di una robusta mente
alimentare una
solida sapienza». Il Palazzo che si eleva dinanzi alla
Chiesa di
Santa Maria sopra Minerva è quello dell'Accademia
Ecclesiastica,
risalente ai primi del Cinquecento, voluto da Mario
Peruschi che per
costruirlo contrasse così tanti debiti che fu
costretto a venderlo
quasi subito. Il primo acquirente fu Marcantonio
Colonna, lo acquistò
poi Clemente XI che nel 1706 lo destinò all'Accademia
dei nobili
ecclesiastici. Avvenuta la chiusura dell'Accademia per
mancanza di
fondi, papa Pio VI lo ripristinò aggiungendo le
facoltà di diritto,
teologia e storia. La facciata è reduce dei restauri
compiuti nel
1878 ma sul fianco destro è ancora visibile il vecchio
edificio
grazie alle porte del pian terreno. Dando le spalle
alla facciata
della Chiesa, l'edificio sulla sinistra è Palazzo
Fonseca, famiglia
oriunda del Portogallo, già sede dell'Albergo della
Minerva
celebre per aver ospitato Pio IX, Stendhal e il
liberatore
dell'Argentina Josè de San Martin (Fig. 8).
Fig. 8 - Piazza della Minerva, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Fiancheggiando
Santa
Maria Sopra Minerva sul lato destro ci ritroviamo in
via di
Santa Caterina da Siena che, all'angolo con via di
Santo Stefano
del Cacco, prende il nome di via del Piè di Marmo
proprio in onore
del gigantesco piede di marmo residuo di una colossale
statua di
epoca romana
(Fig. 9).
Fig. 9 - Pie' di Marmo in via Santo Stefano del Cacco, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
Il piede, scolpito in un unico blocco di
marmo con la sua
base, è composto principalmente da due grandi
frammenti e indossa la
crepida, tipica calzatura di origine greca formata da
un sandalo con
suola con un bordo rialzato che lascia scoperto il
malleolo e
presenta dei fori per il passaggio dei lacci che
fissavano la
calzatura al piede.
Addentrandoci
nella
stretta via di Santo Stefano del Cacco e voltando
subito a
destra, ci ritroviamo in via del Gesù proprio davanti
Palazzo
Berardi che custodisce nel cortile il secondo orologio
ad acqua di
Roma
realizzato dal frate domenicano ligure appassionato di
orologi
Giovanni Battista Embriaco.
Qualche
spinta ed eccoci nella scenica piazza del Gesù dove si
affacciano
l'omonima chiesa, Palazzo Altieri e Palazzo
Cenci-Bolognetti.
Nell'antichità sull'area occupata dalla Piazza fino a
piazza del
Collegio Romano sorgeva la Porticus Divorum,
una grande area
porticata con due tempietti che Domiziano eresse in
onore del padre
Vespasiano e del fratello Tito. Nel 1570 l'area fu
bonificata e
venne sistemata la fogna detta “Minerbae et
Camilliani”, in
riferimento a piazza della Minerva e alla già citata
piazza del
Collegio Romano. Prima dell'edificazione della Chiesa,
quest'area
era occupata da un'altra chiesa, nettamente più
piccola, dedicata
a Santa Maria della Strada e la piazza era
denominata Forum
Alteriorum o anche Platea de Alteriis,
nome dovuto al
vicino Palazzo Altieri (via del Plebiscito,
49)
precedentemente posseduto dalla famiglia Astalli.
Su piazza
del
Gesù si narra un'antica e strana
storia dovuta al
fatto curioso che sia sempre molto ventosa. A
raccontarcela è lo
scrittore francese Stendhal secondo cui un
giorno il Diavolo
e il Vento, passeggiando per la città, si fermarono
davanti
alla Chiesa del Gesù. Il Diavolo disse al
compagno che avrebbe
avuto da fare nella Chiesa e di aspettarlo fuori. Ma
da lì non uscì
mai più e si dice che il Vento, da allora, sia rimasto
nella piazza
ad attendere il suo ritorno facendo avanti e indietro
impaziente: da
qui le correnti di vento che caratterizzano la piazza.
Due sono le
possibili interpretazioni di questo brevissimo
aneddoto: c'è chi
ritiene che Stendhal l'abbia raccontato per
alludere
alle capacità di conversione dei Gesuiti che
sarebbero riusciti
a convertire persino il demonio. Altri pensano che la
storia fosse
raccontata per denigrare il potente Ordine dei
Gesuiti, titolare
della Chiesa, accusandolo di essere tanto corrotto da
riuscire a
trattenere tra le sue fila di proseliti addirittura il
Diavolo.
Entrando in Chiesa, però, viene da pensare che il
Diavolo sia
rimasto affascinato dalla ricchezza dei suoi
affreschi, dei
suoi stucchi, delle sue decorazioni e delle sue
illusioni
prospettiche tanto da rimanere all'interno.
Ovviamente, data
la conformazione della piazza, è chiaro il motivo
della ventosità.
Si trova infatti al centro di cinque strade: via
del Plebiscito,
via del Gesù, Corso Vittorio Emanuele II, via Celsa e
via
d'Aracoeli.
Ma
c'è anche un'altra leggenda che in pochi
conoscono,
legata proprio alla straordinarietà e alla bellezza
della Chiesa
del Gesù. La storia narra di come Lucifero vedendo la
magnificenza
della Chiesa se ne ingelosì terribilmente a tal punto
da desiderare
di distruggerla. Così, arrivò a notte fonda su un
carro demoniaco
trainato dal Vento ma alla vista della Chiesa
rimase
nuovamente affascinato dall'incredibile bellezza tanto
che si
dimenticò di distruggerla ma soprattutto di scappare
prima dell'arrivo
dell'Alba. Al sopraggiungere delle prime luci di
quest'ultima,
Lucifero non solo alla fine non distrusse la Chiesa ma
nella fretta
di scappare si dimenticò di portare con sé il Vento
che da allora è
ancora nella piazza ad attendere il suo ritorno.
La
Chiesa del Santissimo Nome di Gesù all'Argentina,
questo il vero
nome della meglio conosciuta Chiesa del Gesù, fu
costruita tra il
1568 e il 1584 dal Vignola su commissione del
cardinale Alessandro
Farnese. Per la facciata venne incaricato Giacomo
della Porta che
portò a termine la costruzione modificandone anche la
cupola, ora
poggiante su un tamburo ottagonale caratterizzato da
otto
riquadrature. È costruita secondo i rigidi canoni
dell'architettura
barocca della Controriforma e rappresentò un modello
strutturale che
influenzò anche molte altre chiese europee. L'interno
si presenta
a croce latina, con una grande unica navata sulla
quale si aprono le
cappelle, tra le quali ricordiamo quella di
Sant'Ignazio costruita
dall'artista gesuita Andrea del Pozzo tra il 1696 e il
1700 in
onore appunto di Ignazio di Loyola, soldato che si
convertì al
servizio della Chiesa nel 1521 dopo essere stato
ferito in battaglia
e fondatore, inoltre, dell'Ordine dei Gesuiti
(Compagnia di Gesù).
Tra il 1670 e il 1683 sono stati dipinti da Giovanni
Battista Gaulli,
detto Il Baciccia, la cupola dove troviamo figure di
Profeti,
Evangelisti e Dottori della Chiesa, l'abside e la
volta della
navata con lo spettacolare affresco del Trionfo
del Nome di Gesù,
realizzato con un nuovo e straordinario effetto di
prospettiva aerea
che sfonda la volta oltre la cornice dorata sorretta
da angeli in
stucco e dalla quale si librano gruppi di figure. Il
ciclo pittorico
della volta della navata, datato 1685, è impensabile
senza il
completamento a stucco del ticinese Ercole Antonio
Raggi e, come
vogliono le ultime ipotesi avanzate, la regia di Gian
Lorenzo Bernini
per l'intero impianto. Ad oggi è unanimemente
considerato il
capolavoro di Giovan Battista Gaulli per il vorticoso
e vertiginoso
moto dei personaggi che traboccano illusionisticamente
dalla cornice,
creando un unicum tra pittura, scultura e
architettura
tipicamente barocche.
Uscendo
nuovamente sulla piazza, spalle alla Chiesa, troviamo
sulla sinistra
Palazzo Cenci-Bolognetti edificato nel 1737 e la cui
facciata è
stata realizzata da Ferdinando Fuga, fu sede della
Democrazia
Cristiana dal 1942. Alla destra invece sorge Palazzo
Altieri le cui
vastissime dimensioni ne favorirono gli usi più
svariati: sede
commerciale, set cinematografico, sede delle medie
inferiori del
Liceo Visconti (detta “Il Viscontino”), fino a
divenire
l'abitazione dell'attrice Anna Magnani e dello
scrittore Carlo
Levi, che vi fa riferimento nel romanzo L'orologio
(1950).
Attualmente è la sede dell'Associazione Bancaria
Italiana (ABI).
Siamo
così giunti su Corso Vittorio Emanuele II e lo
attraverseremo
fermandoci a Largo di Torre Argentina.
Il
Corso anticamente denominato “nuova via Nazionale” in
quanto
prosecuzione della stessa, venne intitolata al re
d'Italia con
delibera del Consiglio Comunale il 25 giugno 1886.
Corso Vittorio,
come è conosciuto dai romani, attraversa pressoché in
linea retta
il cosiddetto “quartiere del Rinascimento” ovvero i
rioni Pigna,
Sant'Eustachio, Parione e Ponte congiungendo piazza
Venezia a
piazza Pasquale Paoli, che a sua volta si affaccia su
Ponte Vittorio
Emanuele II che la collega al Lungotevere Vaticano e
al quartiere di
Borgo, quindi a Castel Sant'Angelo e a San Pietro
nonché al rione
Prati. Spalle a piazza del Gesù, il primo palazzo che
si presenta ai
nostri occhi è Palazzo Celsi (sulla sinistra) la cui
struttura
originaria risale alla fine del ‘500 quando i Celsi lo
fecero
costruire da un architetto che non li soddisfò
pienamente tanto che
nel 1678 fecero rinnovare la facciata da Giovanni
Antonio De Rossi.
Uno volta estinta la famiglia dei Celsi, il palazzo
passò ai
Viscardi che vi apportarono alcune modifiche;
successivamente ne
furono proprietari i Giannelli e nell'Ottocento i
conti Mercatili
Bernetti che lo innalzarono di un piano. Il
pianterreno si apre con
un enorme e imponente portale tra due colonne ioniche
decorato con
una conchiglia e sovrastato da una loggia. Il
cornicione è molto
sporgente e presenta numerose decorazioni di aquile e
spade
incrociate, simboli araldici dei Viscardi.
Proseguendo,
al
civico 24, troviamo Palazzo Ruggeri, antica famiglia
di origine
meridionale presente a Roma sin dal Quattrocento.
L'edificio venne
costruito nel 1588 per volere di Pompeo Ruggeri su
progetto di
Giacomo della Porta ma, successivamente, Silvio
Ruggeri lo rifinì
all'interno e ne fece rielaborare la facciata verso i
primi del
Seicento legando il Palazzo alla Compagnia del
Salvatore e a quella
degli Orfani. Dopo l'estinzione della famiglia
Ruggeri, il Palazzo
fu venduto ai Boadile e ai primi del Novecento ai
Serafini.
L'edificio è rivestito in cortina laterizia e si
sviluppa su
quattro piani. Al pianterreno si apre un grande
portale architravato
lungo il quale vi sono due mensole con protomi leonine
e
sull'architrave appare l'iscrizione “POMPEIUS
ROGERIUS”,
ovvero Pompeo Ruggeri committente delle pitture dei
saloni e della
loggia attribuite ai fratelli Giovanni e Cherubino
Alberti. Tra le
finestre del piano ammezzato possiamo ammirare un
ovale che racchiude
l'immagine della Madonna con Bambino, mentre
nel cortile
interno vi è un portico la cui decorazione a foglie
d'acanto
riporta il motivo araldico dei Ruggeri, una testa di
bue.
Su
questo tratto di Corso Vittorio Emanuele II che arriva
fino
all'imbocco con Largo di Torre Argentina, si
prospettano altre due
magnifiche facciate di edifici che però hanno
l'ingresso sulle vie
laterali, ovvero quella del Collegio Calasanziano e
del Palazzo
Nobili Vitelleschi.
Siamo
giunti alla splendida Area Sacra di Largo di Torre
Argentina, uno dei
più estesi complessi archeologici di Roma su cui si
ergono quattro
templi di età compresa fra il III e il II secolo a.C.
e che
custodisce il basamento di tufo della Curia di Pompeo,
luogo secondo
fonti antiche dell'assassinio di Giulio Cesare negli
idi di marzo
del 44 a.C. Dopo l'anno Mille venne qui allestito il
“Calcarario”,
una sorta di fucina permanente utilizzata per ridurre
in calce e
frammenti i marmi. Con ogni probabilità all'interno di
questa
fucina vennero demoliti molti dei monumenti che
costellavano questa
zona e che ad oggi non più visibili, ciò che vediamo
oggi infatti è
frutto degli scavi effettuati tra il 1926 e il 1929
diretti da
Giuseppe Marchetti Longhi che per realizzarli fece
demolire un intero
quartiere.
Guardando l'Area da via di San Nicola de' Cesarini e
partendo
dall'edificio all'estrema sinistra si nota prima il
tempio dei
Lari, a fianco le latrine davanti alle quali sorge il
Tempio di
Feronia, proseguendo con lo sguardo verso destra si
nota il circolare
Tempio della Fortuna, alcuni uffici e infine il grande
Tempio di
Giuturna con i portici. Seppur ben visibile
dall'esterno fino ad
oggi non era possibile scendere all'interno dell'Area
Sacra, ma
grazie al mecenatismo della maison Bulgari
dalla metà di maggio 2021 hanno preso avvio i lavori
di
realizzazione di una passerella che renderà fruibile
gli scavi. Si
conformerà così al criterio di “accessibilità
allargata”,
grazie alla realizzazione di camminamenti in quota
illuminati di
notte con suggestive luci LED che consentiranno ai
visitatori una
fruizione in tutta sicurezza. «L'Area Sacra di Largo
Argentina è
uno dei siti archeologici più suggestivi, immerso nel
cuore della
città […] Sarà realizzato un vero e proprio percorso
in sicurezza
fra gli antichi splendori: i visitatori potranno
letteralmente
camminare nella storia», ha dichiarato l'ex Sindaca
Virginia Raggi
a tal proposito.
Da
qui rimontiamo sul nostro monopattino e ci addentriamo
nuovamente nel
rione Pigna attraverso largo delle Stimmate e
proseguendo su via dei
Cestari. Sulla sinistra, precisamente in via dell'Arco
della
Ciambella, sono ancora oggi visibili in piccola parte
le vestigia
delle famose Terme di Agrippa: queste vennero
distrutte dall'apertura
della via nel 1621 per volere di papa Gregorio XV
(Fig. 10).
Fig. 10 - Resti delle Terme di Agrippa in via dell'Arco della ciambella, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
La parte
ancora visibile è a forma circolare e forse il
toponimo della via
proviene proprio da questa caratteristica.
Sulla
destra, un poco più avanti, si apre il piccolo vicolo
delle Ceste.
Addossata alla parete sopra un portale troviamo la
lapide in ricordo
di Stefano Porcari
(Fig. 11),
Fig. 11 - Lapide di Stefano Porcari in Vicolo delle Ceste, Roma
(foto 2021 cortesia © Vittoria Sut)
famoso sostenitore delle idee repubblicane
a metà
Quattrocento contro il potere papale che ricorda
«lamentando la
servitù della patria levò in tempi di oppressione un
grido di
libertà». Lui e i suoi alleati progettarono di
prendere il Castel
Sant'Angelo, imprigionare papa Nicolò V e
dichiarare
finito lo Stato pontificio. Tuttavia, tradito da
alcuni dei suoi
stessi alleati, fu arrestato poco dopo, imprigionato a
Castel
Sant'Angelo e impiccato. Il suo corpo non fu mai
trovato, forse fu
gettato nel Tevere o sepolto
clandestinamente nella Chiesa
di Santa Maria in Traspontina, dove la famiglia
aveva una
cappella.
Ed
eccoci giunti nella piccola e deliziosa piazza della
Pigna dove
possiamo ammirare la Chiesa di San Giovanni della
Pigna, restaurata
nel 2007 in occasione della nomina di “chiesa degli
italiani nel
mondo”. La facciata è “a
capanna” in un semplice stile
barocco. Il cornicione, recante un'iscrizione in lingua
latina
ricorda la passata presenza all'interno della chiesa
dell'Arciconfraternita della Pietà verso i carcerati. L'interno della Chiesa
è sfarzoso ed è a navata unica coperta con volta a botte lunettata. A fare da contraltare alla Chiesa, troviamo Palazzo
Maffei Marescotti ideato nel 1580 da Giacomo della Porta su incarico del cardinale Marcantonio Maffei.
L'edificio passò a varie famiglie per tornare poi
nuovamente nelle
mani dei Maffei nel 1865 che lo fecero ampliare da
Ferdinando Fuga.
Acquistato nel 1865 dalla Banca Romana di Bernardo Tanlongo venne poi acquisito nel 1906 direttamente dal Vaticano che ne fece la sede del Vicariato di Roma facendo completare la facciata su via dei Cestari
in stile neorinascimentale da Antonio Sarti.
Da quando il Vicariato venne trasferito all'interno
di Palazzo di San Callisto (1964),
Palazzo Maffei Marescotti ospita altre associazioni
cattoliche ed è sede dell'Opera
Romana
Pellegrinaggi.
Ed
eccoci giunti al termine del nostro itinerario che
vede l'addentrarsi
del visitatore all'interno del grandioso rione Pigna
attraverso
edifici, palazzi e chiese testimoni silenti
dell'avvicendarsi dei
secoli in questa parte del centro di Roma, forse la
più autentica
giunta fino a noi.
Non
ci resta che parcheggiare ora il nostro monopattino e
continuare il
percorso all'insegna dei sapori e degli odori
provenienti dalle
piccole ma animate osterie e trattorie che riempiono
di vita il rione
Pigna.
NOTE
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