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Decostruttivismo e Liquidità  

Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 19 Gennaio 2022, n. 926
http://www.bta.it/txt/a0/09/bta00926.html
Articolo presentato il 27 Dicembre 2021, approvato il 18 Gennaio 2022 e pubblicato il 19 Gennaio 2022
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Non una semplice questione di semantica:
l'architettura post-post-moderna tra decostruttivismo e liquidità


È il 23 giugno del 1988, al MOMA (New York) si inaugura la mostra “Deconstructivist Architecture” 1, una mostra scioccante, che presenta al grande pubblico la nuova tendenza architettonico-stilistica che si contrappone, timidamente, ma con audacia, alle “arretrate” propensioni costruttive post-moderne e dell'International Style 2 (come è definito il Movimento Moderno negli States). Dalle colonne della rivista “Architectural Review” E. M. Farrelly, già nell'agosto del 1986, afferma che lo Stile Moderno è morto e che qualcosa di nuovo sta accadendo 3. La definizione Architettura Decostruttivista irrompe inaspettatamente e sorprendentemente sulla scena contemporanea statunitense e lancia il fenomeno su scala internazionale. Ma se nelle intenzioni di Philip Johnson 4 l'esposizione degli anni Trenta vuole definire ed annunciare, in opposizione alla retorica e alla prosopopea di stampo classicistico, un nuovo stile, the Modern Architecture, lo stesso non può dirsi a proposito della finalità della rassegna di fine anni Ottanta. Nella prefazione del catalogo, infatti, Johnson afferma: “(...) however delicious it would be to declare again a new style, that is not the case today. Deconstructivist architecture is not a new style. (...) Deconstructivist architecture represents no movement; it is not a creed. It has no “three rules” of compliance. It is not even “seven architects”. It is a confluence of a few important architects' work of the years since 1980 that shows a similar approach with very similar forms as an outcome” 5; il concetto di non unità d'intenti è poi ribadito anche da Mark Wingley 6, curatore junior della mostra, nel suo saggio-manifesto, nel quale scrive che la “Decostructivist Architecture is not an –ism” 7.

All'indomani dell'inaugurazione dell'esposizione nessuno sa cosa sia il Decostruttivismo 8, il termine è, infatti, introdotto al grande pubblico in quell'occasione. I curatori selezionano sette progetti di altrettanti giovani architetti 9 e - riferisce Diane Ghirardo 10- per definire l'evento i due cercano una voce che appaia il più possibile neutra ed innocua e si orientano sull'espressione Deconstructivist Architecture per i seguenti motivi: la parola “de-costruttivismo” richiama sia musicalmente che concettualmente le teorie della “de-costruzione” 11 del filosofo francese Jacques Derrida (1930-2004) 12, ed ha una certa assonanza con la corrente artistica russa degli anni Venti del ‘900, il Costruttivismo che per primo infrange l'unità, l'equilibrio e la gerarchia della composizione classica per creare una geometria instabile con forme pure, disarticolate e scomposte 13.

Così agendo la coppia ancora la nuova tendenza ad un'avanguardia storica e le fornisce quello spessore e quel consenso di natura etico-culturale che non lascia spazio alle sterili polemiche che normalmente seguono queste grandi presentazioni. Inoltre, per rafforzare questa continuità tra le due forme artistiche, alcuni lavori dei russi vengono anche inseriti nell'itinerario della mostra.

Nonostante i deboli nonché controversi riferimenti effettivamente esistenti tra i protagonisti della mostra e/o il pensiero filosofico di matrice derridiana e/o l'avanguardia russa, l'idea trasmessa dalla scelta del titolo, Deconstructivist Architecture, alla fine risulta convincente ed appropriata, in quanto tutte le opere esposte – almeno in apparenza – sono assimilate dal proposito di infrangere la tradizione ed evidenziano con risolutezza la discontinuità dal linguaggio architettonico moderno e post-moderno, che viene letteralmente frantumato nei progetti dei Sette 14.

È ancora la Gherardo ad informarci delle intenzioni degli organizzatori, ossia, il voler esporre e proporre soltanto progetti non realizzati ed irrealizzabili 15. A questa circostanza, si lega probabilmente la concezione, manifestata più o meno palesemente, in diverse occasioni, da alcuni esponenti, teorici e docenti del “movimento” 16, secondo la quale il Decostruttivismo, come tendenza, non prevedrebbe effettivamente una fase pratico-attuativa, piuttosto debba essere confinato nella progettualità della carta, come esercizio critico-speculativo sul suo destino e sul suo ruolo nel clima ostile della Post-modernità

A dispetto di questo pensiero, non unanimemente condiviso, l'Architettura Decostruttivista ha avuto fortuna e una discreta diffusione, soprattutto dopo l'introduzione della computer grafica, con molti ed interessanti contributi realizzati che hanno qualificato e, in certi casi, plasmato l'aspetto e l'urbanistica di molte città e zone di tutto il mondo, al punto da essere ritenuta da alcuni dei protagonisti la sola “vera architettura” dei tempi post-moderni.

Una modalità costruttiva che si caratterizza con una ricerca, spesso spasmodica, verso forme e strutture liberate dai precetti e dalla razionalità del Movimento Moderno; un'architettura esasperata, con fenditure spettacolari, volumi scomposti, decentramenti e vistose dissimmetrie; una disciplina nuova, nevrotica che sia espressione della sensibilità e dell'emotività contemporanea, ormai definitivamente instabili.

Al bando, dunque, quei valori di purezza, di unità geometrico-formale, di armonia compositiva e di solidità strutturale che da sempre forgiano l'idea stessa di architettura 17; il Decostruttivismo, come qualità intrinseca alla costruzione stessa, sfida, attraverso il de-costruire, la visione abituale di architettura e i suoi valori (armonia, unità, stabilità) 18. L'architetto decostruttivista, si legge nel manifesto di Wingley, mette in discussione e da parte le morfologie pure della tradizione architettonica, identifica e porta in superficie quei germi di un'impurità latente, con un'azione di rottura che ha caratteri di persuasività e garbatezza (gently coaxing) 19. Il compito dell'architetto, dunque, è quello di abdicare ai dettami consolidati della materia, ponendosi, però, non in conflitto con la disciplina, ma dialogando ed interrogando forma e struttura, così agendo egli perviene ad esiti che non sono mere frantumazioni o deformazioni della superficie (secondo Wingley operare in tal senso rimarrebbe sul piano dell'apparenza), ma sono, piuttosto, il risultato di modificazioni intrinseche degli elementi e volumi che tramutano radicalmente l'organismo intero in senso morfologico. Nelle parole del curatore la geometria irregolare e contorta che ne deriva è da intendersi come la nuova condizione strutturale, quella di un'architettura di smembramento, dislocazione, deformazione, deviazione e distorsione, piuttosto che di demolizione, smantellamento, decadimento, decomposizione e disintegrazione 20.

L'aspetto finale è quello di edifici costruiti con corpi frammentati, volumi giustapposti, superfici distorte, non rettilinee ed elementi architettonici variamente ed inverosimilmente dislocati. L'impressione e percezione generali sono di costruzioni imprevedibili dominate da un caos controllato; mancano armonia, coerenza, continuità e simmetria, nel senso più stretto dei termini, in realtà la nuova sensibilità, che si lega alla precarietà ed instabilità della società stessa, si basa sugli stessi valori a cui si danno valenze inedite: non vengono, cioè, meno i principi di armonia coerenza e continuità, ma si dà loro un significato e valore differente e divergente 21.

L'affermazione di questa architettura è stata preceduta da casi costruttivi, in cui i sette architetti protagonisti della mostra, anticipano certe derive 22.

Gli enunciati pratico-teorici, infatti, si ravvisano in svariati progetti antecedenti il 1988: Frank Gehry 23, per esempio, nel 1984 disegna l'edificio a forma di binocolo come ingresso per gli uffici della Chiat-Day Moyo (realizzato nel 1991, fig. 1)

Fig. 1 - C. Oldenburg, C. van Bruggen e F. Gehry,  Binoculars Building o Chiat - Day Building, 13,7 x 13,4 x 5,5 metri , telaio in acciaio con esterno in cemento verniciato / intonaco di cemento e interno in intonaco di gesso, 1991, Venice, (California)
Fig. 1 - C. Oldenburg, C. van Bruggen e F. Gehry
Binoculars Building o Chiat - Day Building, 13,7 x 13,4 x 5,5 metri
telaio in acciaio con esterno in cemento verniciato
intonaco di cemento e interno in intonaco di gesso
1991, Venice, (California)

e nel 1987 inizia la progettazione del Vitra Design Museum.

Sempre nell'84, l'architetto svizzero francesce Bernard Tschumi 24 è premiato per le sue proposte progettuali in cui riprende l'aforisma di Vasilij Kandiskij “punto linea superficie”, secondo una narrazione spaziale disarticolata che, per alcuni critici, si lega alle tecniche di montaggio sequenziale 25 del regista Lev Vladimirovič Kulešov 26. A partire dal 1985 Rem Koolhass 27 lavora su Villa dell'Ava (fig. 2a, 2b, 2c),

Fig. 2a, 2b, 2c - R. Koolhaas, Villa dell'Ava,  1985-1991, St Cloud Parigi (Francia)
Fig. 2a, 2b, 2c - R. Koolhaas, Villa dell'Ava, 1985-1991
St. Cloud, Parigi (Francia)

una casa unifamiliare, inserita in un contesto urbano densamente edificato, nella periferia di St Cloud a Parigi. Il suo lavoro evidenzia, fin da subito, un certo dualismo tra la poetica di Le Corbusier 28 (volume illuminato dalla luce) 29 e quella del “less is more” di Mies van der Rohe 30. Nello stesso anno inizia la collaborazione tra Tschumi e Peter Eisenman 31 per il Parc de la Villette di Parigi; i due elaborano un'estetica del disordine e del caos antesignana alla teoria decostruttivista raccontata in mostra. Nel 1987, Coop Himmerlb(l)au 32 progetta il teatro Ronacher di Vienna (fig. 3).

Fig. 3 - Coop Himmelblau,  Ronacher Theatre, schizzo progettuale, 1987, Vienna (Austria)
Fig. 3 - Coop Himmelblau, Ronacher Theatre
schizzo progettuale, 1987, Vienna (Austria)

E, nello stesso anno, Zaha Hadid 33, talentuosa allieva di Koolhaas, si aggiudica il concorso per il Peak, il complesso abitativo e ricreativo di Hong Kong, esposto nell'88 e caratterizzato da corpi di fabbrica longilinei precariamente assemblati lungo un pendio. Sempre nel 1987, Daniel Libeskind 34 è premiato per il progetto per il City Edge di Berlino 35.

Prima del 1988, dunque, già esistono i germi e i segni di questo sovversivo orientamento architettonico, ma solo con il congresso internazionale londinese, The International symposium on deconstruction, organizzato da Accademy Group e Tate Gallery e dibattuto alla Tate, il tema della decostruzione lato sensu diventa pubblico 36. Dal marzo al maggio di quell'anno, si affrontano questioni legate all'architettura, all'arte, alla filosofia e alla letteratura; le tematiche discusse diventano, poi, oggetto di una pubblicazione speciale della rivista “Architectural Design” (AD) che esce con un inserto-dossier intitolato Decostruction in architecture 37.

Nel giugno seguente, con la citata esposizione al MOMA, si assiste alla consacrazione su scala internazionale dell'Architettura decostruttivista; il testo critico contenuto in catalogo, firmato dal curatore junior Wingley, è da ritenersi il vero e proprio manifesto del nuovo spirito architettonico 38. La rassegna mette in luce una mentalità progettuale nuova, i cui temi dichiarati sono quelli del labirinto, dell'entropia, della delocalizzazione, dello smarrimento e della distorsione 39. La mancanza di simmetria e ordine costruttivo tradizionali crea, in fase di ideazione, un certo spaesamento e disorientamento, per cui gli architetti introducono l'uso dei Layer, la cui logica serve l'intento del costruire attraverso il “de-costruire”, lo step operativo, invece, è aiutato delle tecnologie informatiche, in grado di gestire e controllare tali complessità edilizie 40.

L'architettura decostruttivista, abbiamo detto, non è un nuovo stile 41 e, dichiara Wingley, non ha il fervore messianico del Movimento Moderno. I progetti denunciano una sensibilità architettonica diversa, in cui “il sogno della forma pura viene disturbato 42. La forma è stata contaminata. Il sogno è diventato una specie di incubo. È proprio l'abilità di disturbare il nostro pensiero sulla forma che rende queste opere de costruttiviste” 43.

Si tratta di “schegge fluttuanti, volumi accartocciati come fogli di carta da cestinare, grattacieli che rinunciano a puntare alle nuvole per contorcersi e afflosciarsi al suolo” 44.

A partire, dunque, da questi due eventi, simposio e rassegna, del 1988, lo sconcertante e sorprendente, nonché inatteso linguaggio architettonico, della nuova generazione di architetti 45, irrompe sulla scena internazionale come contrappunto insolente, spesso incomprensibile, al “vecchio”.

Tra la fine degli anni Ottanta e primi anni Novanta, gli, ancora poco noti, giovani architetti, pieni di entusiasmo e di idee innovative, lavorano in senso “de-costruttivo”. A questa modalità progettuale, dopo una sorta di processo rimarginativo delle “fratture” letterali e metaforiche del linguaggio architettonico, e, in cerca di una recuperata continuità armonica, si sostituisce una rinnovata sensibilità creativa, volta a maturare il superamento delle asperità di quell'agire divergente, che ha consentito l'emergere di “un'architettura nuovamente unitaria”, con ambizioni di movimento e fenomeno architettonico, definita da alcuni Post-decostruttivista 46 e da noi Architettura liquida 47.

Un linguaggio dimentico delle rotture, degli sgretolamenti e della frammentarietà delle forme, che annuncia il ritorno ad una spazialità continua, fatta di geometrie improbabili, strutture inusitate e superfici articolate che definiscono ambienti fluidi, che nella loro sorprendente complessità sono capaci di entrare in relazione con il contesto e con l'ambiente, a dispetto delle difficoltà e delle variabili presenti (direzioni, irregolarità ed eventuali ostacoli).

Con l'introduzione di questa nuova enfasi operativa, l'architettura va oltre il concetto di scomposizione, perpetrato dal linguaggio decostruttivistico, ed esplora la questione della “piega” 48 della superficie e dei volumi, come mezzo per “ri-costruire” l'unità, alla ricerca di un lessico che si avvicini ai profili presenti in natura approfondendone forme e geometrie 49. Greg Lynn 50, nel 1993, nel suo studio teorico sull'architettura e sulle eventuali novità strutturali, conseguibili solo e grazie all'impiego della grafica computerizzata nella progettazione, per la prima volta introduce la definizione Blob Architecture, ossia un'architettura assistita dalla tecnologia informatica, dove BLOB è l'acronimo di Binary Large Object 51.

Tra gli architetti che intraprendono questo percorso di superamento delle disgregazioni iniziali per imboccare la nuova strada delle ibridazioni con il mondo naturalistico c'è Eisenman 52: il lavoro per il Biocenter dell'Università di Francoforte (fig. 4)

Fig. 4 - P. Eisenmann, Biology Center for the J.W. Goethe University, , plastico,  1987, Frankfurt am Main (Germania)
Fig. 4 - P. Eisenmann, Biology Center for the J.W. Goethe University
plastico, 1987, Frankfurt am Main (Germania)

indica una tendenza a progettare figure disarticolate di piani e superfici, prospetti disarmonici e disgregati che rivelano una crisi attraverso un impietoso "disfacimento" dell'organismo architettonico tradizionale. Tale cifra stilistica è già abbandonata nella progettazione della Max Reinhardt Haus di Berlino (fig. 5)

Fig. 5 - P. Eisenmann, The Max Reinhardt Haus, plastico, 1992, Berlino (Germania)
Fig. 5 - P. Eisenmann, The Max Reinhardt Haus
plastico, 1992, Berlino (Germania)

in cui l'architetto prospetta un edificio, lontano dalle volumetrie euclidee dei solidi platonici, caratterizzato, invece, da “un'unica superficie triangolata, una mesh poligonale 54 che attraverso la propria configurazione assume le caratteristiche volumetriche dell'edificio finale” 55. La Haus si pone come momento iniziatico di questa nuova sensibilità architettonica, che esprime la necessità di ricucire le frammentazioni e le ferite inflitte all'architettura, e che si muove tra morbide e fluide superfici a doppia curvatura e piani spigolosi di reticoli, volti a definire l'oggetto in un dato spazio, facendo della struttura progettata un organismo unico e completo 56. Piegandosi, curvandosi e flettendosi i piani possono adattarsi alle caratteristiche dello spazio esterno, anche in chiave di sostenibilità energetica, come è molto di moda negli ultimi anni.

Analizzando opere, progetti e percorsi dei sette protagonisti della mostra newyorkese del 1988, possiamo rilevare come tutti, o quasi, gli architetti passano da una condizione iniziale tipicamente decostruttivistica alla successiva fase liquida degli anni Novanta del secolo scorso. Chiaramente le Architetture decostruttivistica e liquida non si esauriscono nei Sette del MOMA, già nell'88 si potevano includere altre figure che sperimentavano volumi e forme riconducibili al Decostruttivismo, basti pensare ai lavori giovanili di Jean Nouvel 57, uno dei rappresentanti dell'Architettura liquida. La sua ultima opera Museo nazionale del Qatar (fig. 6)

Fig. 6 - Jean Nouvel, Museo Nazionale del Qatar, plastico, 2003-2019 Doha (Qatar)
Fig. 6 - Jean Nouvel, Museo Nazionale del Qatar
plastico, 2003-2019, Doha (Qatar)

è un'opera iconica di liquidità del Post-Post-Modernismo. Il complesso museale si ispira alla forma della rosa del deserto, questa circostanza implica diverse valenze legate all'architettura in questione: in primis, l'edificio si inserisce armoniosamente nel contesto desertico, in quanto ripete la silhouette della tipica pietra locale e i colori dell'ambiente in cui nasce, ne consegue che la pianta non abbia carattere simmetrico, piuttosto un andamento irregolare 58 in quanto rinvia alla morfologia della roccia stessa; un complicato lavoro di computer grafica è stato necessario per l'esecuzione delle complesse strutture del multiforme fabbricato architettonico, le cui superfici curvano, flettono e realizzano profili non riconducibili alla geometria solida euclidea. Ampie zone finestrate sfruttano la luce naturale e mettono in comunicazione l'interno con l'esterno in un'ottica di compenetrazione ed armonizzazione tra architettura e paesaggio. Abbandonato il tradizionale concetto di facciata ritroviamo un elemento “attrattore” ad indicarci la zona d'ingresso. Insomma, una compagine esemplare della condizione liquida di certa architettura contemporanea.

Anche l'architetto canado-statunitense Gehry espone alla rassegna dell'88 e anche lui, che non si è mai identificato completamente nell'etichetta di artista decostruttivista 59, negli anni successivi intraprende un percorso che lo avvicina alla liquidità architettonica. A New York presenta il progetto di ampliamento e ristrutturazione che ha interessato la sua residenza privata di Santa Monica (California), a partire dal 1978 (fig. 7)

Fig. 7 - F. O. Gehry, Gehry House, 1978, Santa Monica-California (USA)
Fig. 7 - F. O. Gehry, Gehry House, 1978
Santa Monica, California (USA)

anno in cui acquista una tipica abitazione coloniale di periferia degli anni Venti. Con un'ardita ed eccentrica operazione di assemblaggio, utilizzando materiali diversi, l'architetto avvolge con un fabbricato ad andamento ad U la vecchia casina rosa, ancora oggi riconoscibile, sebbene fagocitata nella ristrutturazione. L'abitazione iniziale viene lentamente, ma radicalmente trasformata; una parziale decostruzione gli consente di alterare completamente l'aspetto della residenza senza che scompaia del tutto l'originario edificio. Un lavoro audace, innovativo, a tratti caotico e pieno di idee, dove le nozioni di nuovo, vecchio, grezzo e finito interagiscono e coesistono tra loro; l'impressione generale è di stravaganza al punto da etichettare l'architetto come eccentrico 60.

E se, in questa fase, prevale la frammentazione in parti e il dinamico riaggregarsi di queste schegge nel progetto, le parole chiave della sua azione progettuale e costruttiva sono assemblare, spaziare 61 e separare 62, ma, a partire dalla fine degli anni Ottanta, il Canadese comincia a sperimentare una diversa condizione di ricerca artistica: le masse e i volumi entrano in collisione e tentano una sorta di “ri-costruzione” attraverso addizioni, intersezioni e giustapposizioni. Nel Vitra Museum (fig. 8)

Fig. 8 - F. O. Gehry, Vitra Museum, 1987-1989, Weil am Rhein (Germania)
Fig. 8 - F. O. Gehry, Vitra Museum, 1987-1989
Weil am Rhein (Germania)

per esempio, alla ricerca di un carattere assoluto ed unico, assistiamo al tentativo di recupero e di ripresa della continuità architettonica persa: gli elementi costitutivi degli spazi, masse geometriche sinuose e dinamiche, pur rimanendo volumi e superfici distinti e separati, per mezzo di intersecazioni e confluenze mostrano una spazialità in via di ridefinizione e consolidamento. Questa tormentata ricerca di superamento della qualità di scheggia frammentata dell'Architettura decostruttivista in favore di superfici continue, ha come fine ultimo l'ambizione di creare, attraverso la fusione degli elementi, un involucro spaziale unico ed assoluto.

Le geometrie e le linee, nel tempo, si fondono e diventano sempre più flessuose e curve 63 fino alla liquefazione dei profili 64: i suoi progetti e le sue fabbriche conquistano, cioè, un carattere compiutamente universale fatto di un'unica superficie dinamica non più soggetta a fratture. Un nuovo volto architettonico in cui l'armonia esprime la logica sottesa del nuovo codice e non l'equilibrio delle forme dell'estetica classica.

E se Libeskind 65 continua a definirsi architetto decostruttivista, non significa che i suoi progetti non abbiano subito, anche solo inconsciamente, cambiamenti e trasfigurazioni in direzione di “ri-composizione” e “ri-costituzione” del senso di unitarietà perso nel fare decostruttivista. Il suo lavoro, pur mantenendo una certa vocazione alla frammentarietà, espressa attraverso la scelta di figure e forme particolarmente spigolose e violente, rivela, comunque, quella volontà, non necessariamente frutto di scelte consce, di operare all'interno della logica di un'architettura “ri-costituita” ed espressione di organismi universali, spesso aggressivi, distonici e distopici, ma percepibili sommariamente con quel carattere di unitarietà che contraddistingue la liquidità moderna in architettura. Si pensi, per esempio, al progetto City Edge di Berlino (fig. 9)

Fig. 9 - D. Libeskind, Berlin City Edge, Bauausstellung Site Model, 1987, Berlino (Germania)
Fig. 9 - D. Libeskind, Berlin City Edge
Bauausstellung Site Model, 1987, Berlino (Germania)

66, che diventa l'icona irrealizzata del Decostruttivismo, pensato per il rinnovamento e la riqualificazione del quartiere di Tiergarten (Berlino Ovest) 67. L'autore idea una struttura multifunzionale di 450 metri che modifica completamente l'orizzonte su cui si staglia. L'edificio risulta secante e tangente diversi altri volumi con cui non entra mai veramente in contatto o collisione. Tra l'89 e il '99 lavora al Museo ebraico di Berlino (fig. 10)

Fig. 10 - D. Libeskind, Museo Ebraico di Berlino, 1989-99, Berlino (Germania)
Fig. 10 - D. Libeskind, Museo Ebraico di Berlino 1989-99
Berlino (Germania)

caratterizzato da una pianta zig-zagante e da superfici metalliche, contrassegnate da ferite profonde e metaforiche, l'edificio evoca la tragedia della Shoa, e può essere ricompreso nell'itinerario precedentemente delineato, come esempio in cui si tenta una “ri-costituzione” del valore universale dell'organismo architettonico. Tale valenza è pienamente ravvisabile, invece, nelle Residenze Liberskind di City life (fig. 11)

Fig. 11 - D. Libeskind, Residenze Liberskin, 2004-2014, City life, Milano (Italia)
Fig. 11 - D. Libeskind, Residenze Liberskin, 2004-2014
City life, Milano (Italia)

in cui a dispetto della mancanza di fluidità, tipica, ma non necessaria dell'architettura liquida, l'architetto disegna un complesso geometricamente compatto, composto di elementi tra loro contrastanti nel colore, forma e andamento, ma integrati in un corpo architettonico percepito come struttura unica ed universale.

                        
                        
                        
                        

NOTE

1 Decostructivist Architecture, MOMA, Museum of Modern Art, New York (23 giugno-30 agosto 1988).

2 L'espressione International Style è coniata da H. R. Hitchcock e P. Johnson (cfr. nota 4) nel saggio The International Style: Architecture since 1922, scritto nel 1932, in occasione della prima mostra di architettura moderna tenuta nello stesso anno al MOMA (Museum of modern art di New York); essa indica il nuovo linguaggio architettonico espresso nelle opere di Le Corbusier, W. Gropius, L. Mies van der Rohe, F. Lloyd Wright e A. Aalto, fondato sul principio “less is more” e su formule basilari come semplicità, funzionalismo, uso di materiali d'avanguardia esemplarmente presenti nelle architetture degli artisti citati. Nel saggio gli autori auspicano l'affermazione e la diffusione di un lessico architettonico che sia internazionale, sollevato da qualsiasi regionalismo, e definito, appunto Stile Internazionale.

3 “(...) there is at last a New Spirit in architecture (...)”, cfr. FARERELLY 1986. La mostra evento, in effetti, è preceduta da una serie di situazioni che hanno in loro il germe della nuova tendenza (cfr. oltre).

4 Philip Cortelyou Johnson (8 luglio 1906 – 25 gennaio 2005), architetto statunitense del secolo scorso, ha teorizzato l'International Style e il Decostruttivismo in architettura. Accademico d'onore dell'Accademia delle arti del disegno, è stato il primo architetto a vincere il Premio Pritzker nel 1979. Egli è l'ideatore e il curatore principale delle due mostre fondamentali tenute al MOMA: Modern Architecture: International Exhibition, curata da Johnson con  Henry-Russell Hitchcock (9 febraio – 23 marzo 1932) e Decostructivist Architecture, curata da Johnson con Mark Antony Wigley (23 giugno – 30 agosto 1988).

5 Decostructivist Architecture 1988, p. 7.

6 Mark Antony Wigley (1956) storico e teorico dell'architettura nasce in Nuova Zelanda, si laurea all'Università di Auckland, quindi si trasferisce negli Stati Uniti dove conosce e collabora con l'architetto Johnson (cfr. nota 4), docente a Princeton, interessato al Post-strutturalismo derridiano (tendenza filosofica francese, degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, interessata alla radicalizzazione e al superamento, in ottica neomarxista, della prospettiva strutturalista in campo filosofico, psicoanalitico, politico, sociologico e nell'analisi del testo letterario), a lui si deve l'enunciazione ufficiale dei caratteri distintivi dell'Architettura decostruttivista (cfr. Decostructivist Architecture 1988, pp. 10-20). Dal marzo all'agosto dell'88, Wigley, scrive tre saggi dedicati al tema che confluiscono nella pubblicazione del 1993 (The Architecture of Deconstruction: Derrida's Haunt, Massachusetts MIT Press, Cambridge, 1993). È tra i critici viventi più accreditati sull'argomento.

7 Decostructivist Architecture 1988, p. 19.

8 In questo contesto ci permettiamo di usare il termine pur sapendo che non rappresenta un movimento né una nuova stagione stilistica (cfr. note 5 e 7).

9 In realtà, si tratta di sei talentuosi architetti, ancora sconosciuti al grande pubblico, oggi tutte archistar dello star system dell'architettura (Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha M. Hadid, Bernard Tschumi), ed un, allora piccolo, studio austriaco (Coop Himmelb(l)au); presentanto lavori rivoluzionari, eccentrici, eccessivi, ambigui, smisurati che attraverso la decostruzione danno vita ad un codice inedito.

10 Docente di architettura alla Southern California University, nella sua pubblicazione sull'architettura dopo il Modernismo, chiarisce le circostanze che hanno portato i due alla definizione del titolo della rassegna (cfr. GHIRARDO 1996). 

11 Il collegamento, però, risulta essere piuttosto debole, soprattutto perché dei sette protagonisti della mostra solo Eisenman e Tschumi approfondiscono il rapporto tra l'architettura e la ricerca filosofica di Jacques  Derrida (cfr. nota 12). Eisenman, inoltre, pur essendo amico del francese, inizia a sperimentare una progettazione architettonica in senso“de-costruttivista” prima ancora di avvicinarsi al pensiero “de-costruzionistico”. Il suo approccio “de-costruttivista” si palesa come estensione del suo interesse per il formalismo radicale. Successivamente collabora fattivamente con il filosofo alla progettazione per il concorso del Parc de la Villette di Parigi, della collaborazione, iniziata nel 1985, abbiamo una straordinaria testimonianza (cfr. DERRIDA 1997). Nel volume si raccolgono documenti, trascrizioni di conversazioni, presentazioni, schizzi, progetti, modelli e disegni in cui si attestano vividi ed eccezionali momenti di genesi creativa. Dalla lettura del testo si comprende come sia Derrida che Eisenman, così come, vedremo oltre, Daniel Libeskind, sono interessati alla “metafisica della presenza”, che diventa, nella teoria dell'architettura decostruttivista, il tema principale attorno a cui deve ruotare l'ideazione.

Partendo dal presupposto che l'architettura sia un linguaggio comunicativo, essa deve comunicare la presenza di un luogo, pertanto la progettazione deve basarsi sulla dialettica tra presenza e assenza, tra solido e vuoto. In gran parte dei progetti di Eisenman, sia costruiti che non realizzati, possiamo cogliere questa dialettica, come può essere vista in molte delle costruzioni del cd decostruttivismo. Interessante il fatto che secondo Derrida, per meglio operare in senso “decostruzionistico” si debba partire da strutture narrative classiche, ossia, ogni “decostruttivismo architettonico” richiede l'esistenza di costruzioni archetipiche, su cui generare come per gioco la “de-costruzione architettonica”.

12 Docente dell'École Normale Supérieure di Parigi, ha contribuito a fondare il Collège International de Philosophie, ha, quindi, diretto, fino alla morte,  l'École des Hautes Études en Sciences Sociales della capitale francese. La sua attività filosofica è legata al concetto di “decostruzione”, che ha avuto grande diffusione e presa sul pensiero europeo della seconda metà del Novecento, in ambiti disciplinari molto diversi tra loro: dalla filosofia alla linguistica e alla psicoanalisi, dalla critica letteraria alla teoria politica e alla giurisprudenza, dagli studi religiosi, di genere e culturali alla teoria dei media e all'antropologia, e, non meno importante, all'architettura (ispirando il movimento decostruttivista). Ma sebbene il junior curator M. Wingley nel suo saggio di catalogo (Deconstructivist Architecture, in Deconstructivist Architecture 1988, pp. 10-20), evidenzia una certa sintonia d'intenti tra la filosofica decostruttiva e il movimento decostruttivista, il senior curator Ph. Johnson, invece, nella prefazione nega chiaramente che esista qualsivoglia legame con il pensiero derridiano (cfr. Deconstructivist Architecture 1988, pp 7-9).

13 Nelle intenzioni degli organizzatori della mostra il prefisso “de” anteposto a “costruttivismo” indica una deviazione dalla originaria corrente architettonica presa a riferimento. Wingley, nel suo saggio, scrive: “The projects can be called deconstructivist becouse they draw from Constructivism and yet constitute a radical deviation from it” (WINGLEY 1988, p. 16). E, a proposito del collegamento con l'avanguardia russa, Johnson in prefazione attesa: Since no forms come out of nowhere, but are inevitably related to previus forms, it is perhaps not strange that the new forms of deconstructivist architecture hark back to Russian Constructivism of the second and third decades of this century” (Decostructivist Architecture 1988, p. 7)

Anche in questo caso, come per la filosofia della “de-costruzione” di matrice derridiana (cfr. nota 11), il legame risulta essere infondato e debole in quanto è la sola Zaha Hadid a coltivare nel tempo un interesse per il Costruttivismo e, soprattutto, per il Suprematismo russi (cfr. COPPOLA 2016, p. 28).

14 COPPOLA 2016, p. 28.

15 Nella dichiarazione dei curatori (cfr. Deconstructivist architecture 1988) l'esposizione riguarderebbe sette progetti non realizzati, in verità, la Casa rosa o Gehry House (1977-78, Santa Monica - California), all'epoca dell'allestimento è già stata portata a termine, come intervento di ristrutturazione di una casetta coloniale degli anni Venti del ‘900.

16 Che non si tratti di un vero ed univoco movimento lo abbiamo già spiegato (cfr. nota 8).

17Architecture has always been a central cultural institution valued above alla for its provision of stability and order. This qualities are seen to arise from the geometric purit of its formal composition” (cfr. WINGLEY 1988, p. 10)

18Deconstruction gains all its force by challenging the very value of harmony, unity and stability proposing instead a different view of structure, the view that the flaws are intrinsic to the structure” (cfr. WINGLEY 1988, p. 11).

19 “The architect has always dreamed of pure form, of producing object from which all instability and disordere have been excluded. Buildings are constructed by taking simple geometric forms – cubes, cyundres, spere, cones, pyramids, and so on – and combining them into ensembles (...) prevent any one form from conflicting with another. No formi s permette to distort another, all potential conflict is resolved, the forms contribute harmoniously to a unified whole. This consonant geometric structure become the physical structure of the building: its formal purità is seen as guaranteeing structural stability. (...) Any deviation from the structural order, any impurity, is seen as threatening the formal values of harmony, unity, and stability, and is therefore insulated from the structure by being treated as mere ornamen. (...) The projects in this exhibition mark a different sensibilità (...) form has been contaminated. The dream has become a kind of night mare. It is the ability to disturb aour thinking about form that makes these projects deconstructive.”(cfr. WINGLEY 1988, p. 10); “ The deconstructive architect puts the pure form of the architectural tradition on the couch and identifies the symptoms of a repressed impurity. The impurity is drawn to the surface by a combination of gentle coaxing (...)” (cfr. WINGLEY 1988, p. 11).

20 “The form is distorting itself. Yet this internal distortion does not destroy the form. In a strange way, the form somehow remains intact. This i san architecture of disruption, dislocation, deflection, deviation, and distortion, rather than one of demolition, dismantling, decay, decomposition, or disintegration. It dispiace structure instead of destroying it” (cfr. WINGLEY 1988, p. 17).

21Deconstruction gains all its force by challenging the very value of harmony, unity and stability (...)” (cfr. WINGLEY 1988, p. 11).

22 La circostanza che i sette protagonisti della mostra dell'88, in tempi non sospetti avessero già portato avanti sperimentazioni in senso “de-costruttivo”, ha probabilmente indotto i due curatori a scegliere proprio gli architetti in questione.

23 Frank Owen Gehry, nato Ephraim Owen Goldberg, (Toronto, 28 febbraio 1929) è un architetto e accademico canadese naturalizzato statunitense. Noto per il suo approccio scultoreo e organico alla progettazione, è tra gli apripista della corrente architettonica decostruttivista, di cui è considerato uno dei massimi esponenti a livello mondiale. Per il suo interesse ampiamente manifestato per un processo di scomposizione dell'edificio in unità volumetriche poi riassemblate secondo criteri apparentemente illogici, che prediligono la linea obliqua, e ricorrendo spesso all'accostamento di materiali diversi e inusuali (dalla rete metallica, alla lamiera ondulata, fino alle complesse leghe a base di titanio) secondo pratiche che ricordano la tecnica del collage artistico, è tra i più influenti architetti della scena internazionale. Vive e lavora negli Stati Uniti, lo studio, da lui fondato, Gehry Partners, LLP , ha la sede principale a Los Angeles (CA).

24 Architetto svizzero (n. Losanna 1944) con doppia nazionalità (svizzera e francese). Tra i maggiori interpreti del decostruttivismo, è uno dei punti di riferimento dell'architettura internazionale. Il suo linguaggio eclettico, ispirato al Costruttivismo russo, è reso attuale da personali interpretazioni di tematiche della contemporaneità. Aggiudicandosi il concorso per il Parc du XXe siècle à la Villette a Parigi (1992-98), Tschumi ha realizzato il più esteso complesso architettonico decostruttivista. 

25 DELL'OSSO 2007, p. 113.

26 Lev Vladimirovič Kulešov (Tambov, 13 gennaio 1899 – Mosca, 29 marzo 1970) è considerato uno dei pionieri della scuola sovietica del montaggio.

27 Remment Koolhaas, conosciuto come Rem (Rotterdam, 17 novembre 1944) è un  architetto,  urbanista e saggista olandese, tra i più noti sulla scena internazionale.

28 Charles-Édouard Jeanneret-Gris, detto Le Coubusier (La Chaux-de-Fonds, 6 ottobre 1887 – Roccabruna, 27 agosto 1965), è stato un architetto, urbanista, pittore e designer svizzero naturalizzato francese. Tra le figure più influenti della storia dell'architettura contemporanea, viene ricordato assieme a Ludwig Mies van der Rohe, Frank Lloyd Wright, Walter Gropius e Alvar Aalto come maestro del Movimento Moderno. Pioniere nell'uso del calcestruzzo armato per l'architettura, è stato anche uno dei padri dell'urbanistica contemporanea.

29 Nella Villa dell'Ava è evidente il riferimento alla famosa casa-manifesto parigina di Le Corbusier (Villa Savoye, 1938-1931, Poissy, Parigi). Come l'edificio di Le Corbusier, l'abitazione è retta da pilotis, la facciata libera è modulata da finestre a nastro e la pianta libera è coperta da un tetto giardino.

Come a Poissy è presente un camminamento inclinato alle cui estremità ci sono gli ambienti domestici, ma a differenza della Villa il percorso non crea un ideale senso di continuità tra interno ed esterno, ma unisce trasversalmente i due distinti appartamenti che rimangono indifferenti tra loro. I cinque punti di Le Corbusier sono integrati da ulteriori elementi: senso di frammentazione e simultaneità (nei materiali come nella struttura), anticontestualità e tripartizione planimetrica (ripetuta nella tripartizione nell'alzato). La casa si riduce ad un “non luogo domestico”, in cui gli ambienti tradizionali della dimora, i servizi, la cucina e le camere da letto, sono una piccola parte rispetto all'intera superficie coperta (1350 mq).

30 Ludwig Mies van der Rohe (Aquisgrana, 27 marzo 1886 – Chicago, 17 agosto 1969) è stato un architetto e designer tedesco. Viene ricordato - assieme a Le Corbusier, Walter Gropius, Frank Lloyd Wright e Alvar Aalto - come maestro del Movimento Moderno. Tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso dirige la Bauhaus.

31 Peter Eisenman (Newark, 11 agosto 1932) è un architetto statunitense.

32 Dal 1968, Coop Himmelb(l)au (il nome deriva da un gioco di parole: parte da "himmelblau" (= celeste, colore del cielo) e mettendo fra parentesi la "l" gli si aggiunge il significato di "Himmelbau" (= costruzione, edificio, che sta in cielo)) è una cooperativa di architetti con sede principale a Vienna; è stata fondata da Wolf D. Prix, Helmut Swiczinsky e Michael Holzer. Nel 1988 è invitata ad esporre alla mostra Deconstructivist Architecture a New York e in quell'occasione trova, fin da subito, un certo feeling con gli altri architetti protagonisti (Zaha Hadid, Frank Owen Gehry, Peter Eisenman).

33 Zaha Hadid Mohammad (Baghdad, 31 ottobre 1950 – Miami, 31 marzo 2016) è stata un'architetta  e  designer irachena naturalizzata britannica.

34 Daniel Libeskind (Łódź, 12 maggio 1946) è un architetto di origini polacche, naturalizzato statunitense. È tra gli esponenti del Decostruttivismo, di cui è anche teorico.

35 Il progetto è uno dei sette che la mostra dell'88 espone.

36 Matteo Zambelli (dottore di ricerca in Ingegneria Edile (l'Università Politecnica delle Marche, Facoltà di Ingegneria di Ancona), ha insegnato “Architettura e Composizione Architettonica” presso le Facoltà di Ingegneria di Ancona e di Trento e attualmente insegna Storia dell'Architettura Contemporanea alla Facoltà di Ingegneria di Trento) a proposito del dibattimento “decostruzionismo o decostruttivismo?” interviene come segue: “per Decostruzionismo in genere si intende la «traduzione» architettonica delle teorie filosofiche di Jacques Derrida, mentre il Decostruttivismo nasce da una corrente del movimento moderno, il costruttivismo, di cui sarebbe una de-viazione, una de-formazione, da cui il «de» di de-costruttivismo.

Il Decostruzionismo ha avuto come momento celebrativo l' International Symposium on Deconstruction alla Tate Gallery di Londra, in collaborazione con l'Accademy Group, dal marzo al maggio del 1988. Il decostruttivismo ha avuto il suo battesimo ufficiale il 23 giugno 1988 al MOMA di New York con la mostra Deconstructivist Architecture curata da Mark Wigley e Philip Johnson

Nel simposio di Londra si parlava della decostruzione in rapporto non solo all'architettura, ma anche alle arti visive e alla letteratura. Nella mostra di New York si poneva il problema dell'architettura decostruttivista come tutto interno alla disciplina senza riconoscere nessun debito con la filosofia derridiana.

A Londra il numero degli architetti di cui si è parlato è stato molto ampio, mentre a New York solo di sette: Frank Gehry, Peter Eisenman, Rem Koolhaas, Zaha Hadid, Coop Himmelb(l)au, Daniel Libeskind, Bernard Tschumi. Gli esclusi da questo evento, secondo James Wines, sono stati molti e fra questi, oltre agli stessi SITE, Nigel Coates, Michele De Lucchi, Ugo La Pietra, Gianni Pettena, Tatsuhiko Kuramoto, Morphosis, Eric Owen Moss, Gaetano Pesce e Stanley Sai

Certo è che se è difficile pensare ad una traduzione architettonica della decostruzione filosofica è altrettanto poco credibile che il decostruttivismo si rifaccia semplicemente alle esperienze non realizzate del costruttivismo russo. Come il decostruzionismo architettonico aveva già degli architetti decostruttori, che stavano decomponendo la tradizione senza conoscere nulla di Jacques Derrida, così è altrettanto vero che il decostruttivismo è depositario di tutta una tradizione che parte dal Dadaismo fino ad arrivare al situazionismo, passando attraverso Duchamp, Hans Arp, Tristan Tzara, Kurt Schwitters fino ad arrivare a Guy Debord; quindi il suo debito è molto più ampio di quanto i curatori della mostra di New York abbiano voluto far credere.

Le due interpretazioni sono delle astrazioni, attraverso cui da una parte si cerca una dignitosa veste filosofica e dall'altra un solido riferimento all'architettura del passato prossimo.

Decostruzione e decostruttivismo saranno qui considerati sinonimi, perché è evidente che la decostruzione e il decostruttivismo presentano una forte convergenza verso le stesse tematiche di ricerca, e, poi, perché vero è che tutti, decostruzionisti e decostruttivisti, partecipano dello stesso spirito del tempo.

In “Deconstruction. A Student Guide” Jorge Glusberg distingue fra decostruzionisti consapevoli e decostruzionisti non derridiani o riluttanti, ma, infine, riconosciuta la comunanza di temi e di problematiche, assimila le due diverse declinazioni.

Claudio Roseti ne “La decostruzione e il decostruttivismo. Pensiero e forma dell'architettura” afferma che la sostanziale differenza fra la decostruzione e il decostruttivismo «consiste nella superiore entità dello spessore ideologico e concettuale attribuibile all'architettura decostruzionista che si origina da un progetto di pensiero dell'architettura», e che, senza un adesione cosciente e coerente alla decostruzione filosofica, si dà al decostruttivismo l'imputazione corrente di mero stilismo e anzi di moda, indotta dal plusvalore generalmente ascritto all'immagine attraverso l'uso di cifre stilistiche connotate da rischiose invenzioni plastiche che ostentano la loro deflagrante trasgressività e aggressività. In sintesi, per Roseti «non si dà decostruttivismo senza decostruzione» (cfr. ZAMBELLI, 2008, pp. 11-12).

37 Al suo interno sono presenti diversi testi enunciativi e articoli teorici di quanto dibattuto al simposio, scritti da storici e critici interessati alle novità (cfr. JENCKS 1988; PAPADAKIS 1988).

38 WINGLEY 1988.

39 WINGLEY 1988, p. 17.

40 Per l'Architettura liquida l'ingegneria informatica è una necessità, una conditio sine qua non non esisterebbe tale tipologia del costruire. La sua introduzione ha reso possibile la sua esistenza, per l'attuazione e la realizzazione delle idee “decostruttive”, prima, e liquide poi sono necessari calcoli ed algoritmi che vanno al di là delle capacità di calcolo umana. Non è un caso che i lavori costruttivisti russi siano rimasti tutti progetti irrealizzati; l'aiuto della programmazione virtuale rende possibili progetti che, in altri tempi, seppur concepibili e progettabili a livello disegnativo, non sarebbero mai potuti diventare costruzioni reali. Se, a partire dagli anni '90 del secolo scorso, si cominciano a creare certe “invenzioni” costruttive si deve ringraziare, dunque, l'introduzione dell'informatica negli studi di architettura. Lo stesso Gehry, che non ha mai avuto feeling con il mezzo tecnologico-digitale, in diverse interviste, ha dichiarato che ad un certo punto della sua carriera professionale ha dovuto arrendersi all'idea che l'informatica entrasse nel suo studio e che senza quel tipo di supporto le sue ideazioni non sarebbero diventate costruzioni reali. La tecnologia digitale stima e corregge pendenze, curvature, inclinazioni e pieghe dei muri che i calcoli umani non consentirebbero, o almeno non in tempi brevi. L'introduzione della tecnologia informatica ha, in qualche modo, evitato che si ripetesse, e non è detto che fosse possibile, la condizione di vitale e pericolosa sperimentazione che ha contrassegnato il Medioevo al nascere dello Stile Gotico: la nuova architettura, caratterizzata da inedite e ardite spinte verticali, innovazioni ed audaci soluzioni plastico-architettoniche mai viste e di difficile attuazione, si delinea, infatti, sperimentalmente nelle fabbriche delle cattedrali, a spese di vite umane; i crolli e le morti in cantiere, infatti, sono all'ordine del giorno. Al suo sorgere non ci sono né modelli né precedenti, il capomastro sperimenta, quindi, individuata la soluzione costruttiva giusta appunta su taccuini conservati gelosamente ciò che funziona. Così procedendo le sperimentazioni si trasformano progressivamente in modelli, codici e disegni, appuntati negli album dagli architetti o dai capimastri. I taccuini racchiudono e trasmettono le conoscenze, frutto di un approccio empirico, che si sono rivelate a seguito di esperienze varie, alcune delle quali faustamente negative, e che serviranno successivamente ed evitano errori fatali. Un esempio è il noto Carnet di Villard de Honnecourt (XIII secolo, Biblioteca Nazionale, Parigi, Ms Fr 19093).

41 Cfr. note 5 e 7.

42 Si tratta di un “disturbo” di natura psicologica che lo spettatore nutre messo di fronte a forme imprevedibili e decisamente sorprendenti, in cui fa fatica a credere.

43Deconstructivist architecture is not a new style. We arrogate to its development none of the messianic fervor of the modern movement, none of the exclusivity of that catholic and Calvinist cause. Deconstructivist architecture represents no movement; it is not a creed. It has no "three rules" of compliance. It is not even "seven architects." rules" of compliance. It is not even "seven architects." It is a confluence of a few important architects' work of the years since 1980 that shows a similar approach with very similar forms as an out come” (cfr. Decostructivist Architecture 1988, p. 11).

44 D'AMATO 2007, p. 11.

45 Quella da cui provengono le attuali archistar.

46 COPPOLA 2016.

47 È il 2012, e presso l'Università La Sapienza (Roma), il prof. Stefano Colonna, su incarico del manager della didattica, il Prof. Enrico Tizzano, della Facoltà di Lettere e Filosofia, tiene, per la prima volta, il corso “Classico, Anticlassico, Architettura Liquida” (2012-2013) per un modulo supplementare di Storia dell'Arte Contemporanea (per il Settore Scientifico Disciplinare L-ART/04, nonostante la Storia dell'Arte Contemporanea appartenga al settore L-ART/03). Negli anni accademici successivi (a partire dall' a.a. 2013-2014) il corso, concordato con il Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Storia dell'Arte Prof. Pio F. Pistilli, viene riproposto, a semestri alterni, per il modulo Museologia e Critica Artistica e del Restauro (L-ART/04), con continui aggiornamenti ed ampliamenti in termini di contenuti, casi di studio e teorizzazione. Attualmente si è appena concluso il corso per il modulo di Letteratura Artistica II, intitolato “Classico, Anticlassico, Architettura Liquida 5”. Nella relativa programmazione dipartimentale si legge che verranno “illustrate le opere d'arte e di architettura contemporanee ispirate ai concetti di Classico, Anticlassico ed Architettura Liquida. Per la dialettica Classico/Anticlassico si prenderanno in esame i testi fondamentali di Giulio Carlo Argan e di Zevi, mentre per la genesi dell'Architettura Liquida si partirà dalla storica definizione di Novak che dal Rinascimento arganiano ci proietta nel Cyberspazio tramite l'applicazione di algoritmi mentali di ispirazione informatica tipici della realtà virtuale. Saranno messi a confronto gli edifici rinascimentali, a partire da Brunelleschi, con quelli classicisti contemporanei e anche con i Musei degli Archistar affermati a livello internazionale: Calatrava, Foster, Fuksas, Gehry, Hadid, Koolhaas, Libeskind, Mendini, Niemeyer, Nouvel, Piano”. Per la prima volta in ambito accademico il prof. Colonna porta all'attenzione del pubblico universitario la propria teoria relativa alla nuova tendenza architettonica, che sta viepiù coinvolgendo una numero sempre crescente di giovani progettisti in tutto il mondo, e che è da lui definita Architettura liquida. Tale etichetta si lega, dal punto di vista storico, alla predisposizione anticlassica, di memoria arganiana (individuata dal critico negli anni Trenta del secolo scorso e ripresa dal professore Colonna), di certe architetture che sono espressione di un lessico architettonico archetipo che si muove in una direzione nuova (cfr. ARGAN 1930); da un punto di vista prettamente linguistico l'enunciato non è propriamente un'invenzione originale, riprende, infatti, l'espressione coniata nel 1993 (cfr. NOVAK 1993), utilizzata, però, in un contesto non fisico, ma pertinente ambienti di architettura virtuale; infine, l'analisi del fenomeno architettonico si collega alla teorie sociologica di Baumann (BAUMANN 2015) che teorizza la società liquida nei tempi post-moderni. Per approfondimenti si rinvia a: COLONNA 2014; COLONNA 2016; è, inoltre, in via di stampa il volume Architettura e Museologia Liquida. Ricerca ideata e coordinata da Stefano Colonna Sapienza Università di Roma, a cura di Alba Matilde Cavallari, Stefano Colonna, Michela Ramadori, Lisa Simonetti, Roma, Campisano Editore, 2022 (in corso di stampa). ISBN 978-88-85795-80-8 Con il patrocinio del Dipartimento SARAS - Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo e del BTA - Bollettino Telematico dell'Arte.

48 A proposito della piega Greg Lynn (cfr. nota 50) in un suo lavoro teorico (cfr. LYNN 1993) cerca un collegamento tra la ricerca formale dell'architettura contemporanea e il concetto filosofico di piega teorizzato da Gille Deleuze (cfr. DELEUZE 1988). Nel testo si afferma che il nuovo linguaggio architettonico, di recente apparizione, dopo essersi allontanato dalla pura rappresentazione storicista del Post-modernismo, ha intrapreso un percorso di allontanamento/superamento della ormai banale scomposizione decostruttivista, alla ricerca di una nuova armonia che si ispiri al mondo naturale. Nel suo libro Lynn raccoglie molti esempi architettonici sviluppati attraverso le tecniche di rappresentazione e modellazione digitale che consentono sviluppi costruttivi non ortogonali.

49 L'Architettura liquida, post-decostruttivista, si rifà a geometrie euclidee irregolari, geometrie non euclidee, per lo più iperboliche, e frattali (geometrie presenti in natura in modo disseminato), mentre il Costruttivismo russo e l'Architettura decostruttivista, seppur in maniera assolutamente non ortodossa, si richiamano ancora ai solidi platonici (in geometria solida, il termine indica solidi regolari e poliedri convessi regolari (tetraedro, esaedro, ottaedro, dodecaedro, icosaedro), può indicare anche poliedri convessi che hanno per facce poligoni regolari congruenti (cioè sovrapponibili) e che hanno spigoli e  vertici equivalenti).

50 Greg Lynn (n. 1964) è un architetto americano che ha fondato il proprio studio di architettura “the Greg Lynn FORM” (http://glform.com/); è professore di architettura alla UCLA School of the Arts and Architecture (Los Angeles, California). È co-fondatore e CEO della compagnia Piaggio Fast Forward di Boston (https://www.piaggiofastforward.com/). Vincitore di diversi premi ha pubblicato nel 1993 un testo in cui teorizza l'architettura BLOB (LYNN 1993).

51 Da cui Architettura Blob, Blob Architecture, Blobitettura, Blobbismo e Blobitecture, definizioni indicanti la tendenza artistico-architettonica contemporanea in cui le costruzioni hanno una forma organica, amebiforme, rigonfiata. Il termine deriva da un film del 1958 “Blob - Fluido mortale”.

Esempi riconducibili a questa tendenza sono: il Sage Gateshead (fig. 12)

Fig. 12 - N. Foster & partners,  Sage Gateshead, 1997-2004, Gateshead, North East England (UK)
Fig. 12 - N. Foster & partners, Sage Gateshead, 1997-2004
Gateshead, North East England (UK)

la Kunsthaus di Graz (Peter Cook e Colin Fournier, Graz (Austria), 2003),  la Biblioteca di Filologia della Libera Università di Berlino (Forester & partners, Berlino, 2005) ed il Selfridges Building di Birmingham (fig. 13).

Fig. 13 - J. Kaplický, A. Levete,  Selfridges Building, 1999-2003, Birmingham (UK)
Fig. 13 - J. Kaplický, A. Levete, Selfridges Building
1999-2003, Birmingham (UK)

L'espressione
Blob Architecture è coniata da Lynn per indicare i suoi esperimenti di progettazione digitale con un software grafico metaball, detto appunto BLOB (Binary Large Objects), per creare forme inusuali e geometricamente inedite (cfr. LYNN 1993). Inizia, però, ad avere credito solo a partire dal 2002, quando dalle colonne del “New York Times” W. Safire, nella rubrica “On language”, si lamenta del Blobbismo, indicato come stile architettonico eccessivo e disdicevole, di origine inglese, ed introduce i sinonimi Blobitettura o Blobitecture (cfr. SAFIRE 2002). Curiosamente, invece, il grande pubblico accoglie positivamente la definizione che finisce per indicare le costruzioni caratterizzate da forme curve, fluide e sinuose, nonché da geometrie non convenzionali ed inaspettate, rese possibili grazie all'uso di un software di progettazione, il BLOB.

Storicamente la Blobitettura affonda le sue radici nelle sperimentazioni di un gruppo di architetti britannici, gli Archigram, tra cui Peter Cook e Ron Herron, che, negli anni Sessanta a Londra, introducono l'idea di un'architettura “gonfiabile”, senza angoli e forme ammorbidite, in grado, illusionisticamente, di muoversi nello spazio.

52 Cfr. nota 31.

53 Progetto esposto nella mostra del 1988 al MOMA.

54 Il termine mesh in inglese significa letteralmente "maglia", "rete", in computer grafica, è un reticolo che definisce un oggetto nello spazio, composto da  vertici,  spigoli  e facce.

55 COPPOLA 2016, p. 29.

56 Un complesso, cioè, percepito come organismo unico e non frammentato e/o scomposto in tante parti, come è stata la tendenza dell'Architettura Decostruttivistica

57 Architetto e designer francese nato nel 1945. Nell'arco della sua carriera progetta e realizza moltissimi edifici. Tra i primi lavori ricordiamo: la Scuola Anna Franck (1978, Antony France) e l'Istituto del mondo arabo (1981-1987, Parigi). Mentre l'ultimo e splendido progetto è il Museo nazionale del Qatar (2019,  Doha).

58 Secondo un andamento non simmetrico, ma tipico del labirinto.

59 In diverse interviste, infatti, dichiara di non amare particolarmente la definizione di Architettura Decostruttivista, né di riconoscersi pienamente in quella enunciazione.

60 In diverse interviste l'architetto dichiara di aver passato anni di impopolarità presso il vicinato che non ha visto di buon occhio le trasformazioni continue cui ha sottoposto la sua residenza, in particolare non ama il fatto che abbia utilizzato, per il recinto esterno, materiali poveri come le reti metalliche e i pannelli di lamiera. Si è attirato l'inimicizia dei residenti al punto che al Comune di Santa Monica (CA) sono pervenute lettere e petizioni per far abbattere la casa ed uno dei residenti ha, addirittura, racconta il Canadese, addestrato il cane a fare i bisogni sul suo muro d'ingresso! (cfr. Prospettive su F. Gehry, documentario sull'artista girato e uscito nel 2015).

61 Nel senso di dare alle forme e allo spazio un aspetto narrativo ed evocativo.

62 Secondo la logica di esaltare le separazioni tra le componenti architettoniche che contribuiscono al fabbricato (si veda per esempio la Clinica ed istituto di psichiatria Yale (1985-89, New Haven).

63 L'esempio più emblematico di questa fase è il Guggenheim Museum di Bilbao (fig. 14)

Fig. 14 - F. O. Gehry, Guggenheim Museum, 1997, Bilbao (Spagna)
Fig. 14 - F. O. Gehry, Guggenheim Museum, 1997
Bilbao (Spagna)

caratterizzato da corpi di fabbrica indipendenti, vere e proprie “monadi”, perfettamente amalgamate in un unico edificio qualificato da linee fluide ed innovative.

64 Ciò avviene, per esempio, nell'edificio dell'Università di Economia di Sidney il Dr Chau Chak Wing Building (fig. 15).

Fig. 15 - F. O. Gehry, Guggenheim Museum, 1997, Bilbao (Spagna)
Fig. 15 - F. O. Gehry, Dr Chau Chak Wing Building
2012-2014, Sidney (Australia)

65 Cfr. nota 34.

66 Il progetto, risale al 1987, e precede la caduta del Muro di Berlino (1989), vince il primo premio del concorso “IBA City Edge Competition”.

67 L'area, che ha subito gravi danni durante la seconda guerra mondiale, negli anni Ottanta è diventata teatro di spaccio tra i giovani e degrado urbano.

                          
                          
                          
                          

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