Nel
1791,
il frate Guglielmo Della Valle redigeva un breve
opuscolo
introduttivo a quattro stampe di Francesco Mengardi
raffiguranti
alcuni brani copiati dagli affreschi – staccati
nell'Ottocento –
realizzati presso il chiostro maggiore del monastero
benedettino di
Santa Giustina a Padova.
In
questo
documento il Della Valle descrive meticolosamente i
soggetti
caratterizzanti i dipinti, che possono essere così
riassunti: nei
riquadri principali, le Storie
di
San Benedetto;
sopra queste scene, una lunetta tripartita con al
centro ritratti di
pontefici, imperatori e altri personaggi illustri che
scelsero di
consacrare la propria vita all'ordine benedettino e,
ai lati,
rispettivamente un episodio del Vecchio Testamento e
una vicenda
evangelica. Della Valle sottolinea inoltre la
ricchezza paesaggistica
che contraddistingue le scene principali, dove
appaiono monti, laghi,
fiumi, architetture, piramidi, obelischi
(Figg. 1-2)
Fig. 1 - Bernardo da Parenzo detto il Parentino, affresco staccato dall'ala meridionale del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina, 1489-1499/1500; Padova (Foto cortesia di Stefano Colonna)
Fig. 2 - Bernardo da Parenzo detto il Parentino, affresco staccato dall'ala meridionale del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina, 1489-1499/1500; Padova (Foto cortesia di Stefano Colonna)
E, ancora,
l'autore precisa che sopra alcune lunette sono dipinte
scene che,
imitando l'effetto del bassorilievo, illustrano
episodi mitologici,
mentre alla base delle Storie
di
San
Benedetto
sono riportati fregi con cartigli in cui sono narrate,
in latino a
caratteri gotici, le soprastanti gesta del santo.
Infine, tra un
riquadro e l'altro, gli elementi riprodotti dal
Mengardi: finti
pilastri a grisaille
arricchiti da una profusione di elementi
anticheggianti, come
mascheroni, trofei, mostri marini, candelabri,
geroglifici.
Il
Della
Valle attribuisce correttamente la paternità di questo
ciclo
pittorico padovano, realizzato negli ultimi anni del
Quattrocento
seguendo le prescrizioni iconografiche di Gasparo
Giordano da Pavia,
a quel tempo abate di Santa Giustina, allo
squarcionesco Bernardo da
Parenzo detto il Parentino, ma assegna la prosecuzione
degli
affreschi dipinti nel 1542-1549, dopo la morte di
quest'ultimo
sopraggiunta nel 1531, a «GIROLAMO PATAVINO» ,
identificandolo con Girolamo Campagnola, umanista e
notaio,
conoscitore e appassionato di arte, e padre del più
noto Giulio,
incisore di educazione giorgionesca.
Tuttavia,
il
Campagnola risultava già defunto nel 1522, dunque per
ragioni
innanzitutto cronologiche non può evidentemente essere
associato
alla seconda campagna pittorica di Santa Giustina,
oggi attribuita
pacificamente a Girolamo Tessari detto del Santo.
Inoltre, le notizie
su una presunta attività artistica di Girolamo
Campagnola appaiono
assai vaghe e lacunose. Ricordiamo a proposito di ciò
alcune fonti
autorevoli: il suo contemporaneo e conterraneo
Marcantonio Michiel
nega addirittura che il Nostro fosse un artista,
affermando
esplicitamente di non essere a conoscenza «di alcun
lavoro in
pittura d'esso Campagnola» ;
la veneziana Cassandra Fedele in un'epistola a lui
indirizzata
sembra limitarne l'ambito alla sola sfera giuridica ,
mentre certi suoi amici umanisti, come Egidio da
Viterbo e Matteo
Bosso ne sottolineano gli interessi esclusivamente
letterari; il
padovano Bernardino Scardeone designa invece Girolamo
soltanto come
poeta, ricordandone la stesura di alcune lodi in onore
della Vergine
.
E, anche laddove viene accennata una sua attività
artistica, come
nel caso della testimonianza del Vasari, l'aretino non
cita alcuna
opera specifica del Campagnola, ma si limita a
definirlo
lapidariamente «discepolo dello Squarcione» ,
annoverandolo tra i pittori attivi in Lombardia e
nella Marca
Trevigiana.
Inoltre,
se
escludiamo dal suo eventuale catalogo artistico le
opere che in
base alla valutazione di Silvio de Kunert venivano
considerate le più
probabili ascrivibili alla sua mano ,
ma che in seguito agli studi più recenti sono state
attribuite a
Bartolomeo Sanvito ,
il Girolamo Campagnola artista si riduce a nulla più
che un erudito
conoscitore di arte, come dimostra, peraltro, una
lettera in latino,
oggi perduta, e rivolta al filosofo epirota Niccolò
Leonico Tomeo,
suo amico e docente presso l'Ateneo patavino,
contenente una
digressione sulla tradizione artistica della città di
Padova dal
Trecento al primo Cinquecento .
Nonostante
il
panorama appena delineato possa scoraggiare il
tentativo di
indagare eventuali legami del Campagnola con gli
affreschi di Santa
Giustina, alcuni dei soggetti raffigurati esprimono la
stretta
vicinanza del suo artefice allo stesso ambiente
culturale frequentato
da Girolamo.
Mi
riferisco,
in particolare, a diversi medaglioni con immagini
fedelmente copiate da certe xilografie dell'Hypnerotomachia
Poliphili
e quindi riprodotti da Francesco Mengardi, nonché
descritti
letteralmente dal Della Valle nel suo opuscolo. Tre di
essi recano al
loro interno dei geroglifici: una bilancia con ai lati
una serpe e un
cane, che sormonta una cassa con un trofeo e, davanti
a questi
elementi, una spada con la punta rivolta verso l'alto
e una corona
infilata sopra, mentre sullo sfondo campeggia un disco
solare
(Figg. 3-4)
Fig. 3 - Francesco Mengardi, stampa raffigurante un geroglifico copiato dagli affreschi del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina a Padova, 1791 circa
Fig. 4 - Xilografia n. 89 dell'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499
;
un giovane soldato seduto che afferra un serpente e
sovrastato da una
grande àncora sulla quale poggia un'aquila con le ali
spiegate
(Figg. 5-6)
Fig. 5 - Francesco Mengardi, stampa raffigurante un geroglifico copiato dagli affreschi del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina a Padova, 1791 circa
Fig. 6 - Xilografia n. 93 dell'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499
;
un trofeo militare affiancato da un occhio e una
cometa, ornato da
una coppia di cornucopie e con due palme incrociate
collocate alla
sua base
(Figg. 7-8)
Fig. 7 - Francesco Mengardi, stampa raffigurante un geroglifico copiato dagli affreschi del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina a Padova, 1791 circa
Fig. 8 - Xilografia n. 94 dell'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499
.
Gli altri due riportano raffigurazioni simboliche del
motto «Festina
lente»: la prima costituita da un delfino avviluppato
a un'àncora
(Figg. 9-10)
Fig. 9 - Francesco Mengardi, stampa raffigurante un geroglifico copiato dagli affreschi del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina a Padova, 1791 circa
Fig. 10 - Xilografia n. 18 dell'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499
,
la seconda rappresentata dall'immagine di una donna
seduta con una
gamba in posizione di riposo e l'altra protesa in
avanti, e con un
paio di ali nella mano destra e una tartaruga sul
palmo della
sinistra
(Figg. 11-12)
Fig. 11 - Francesco Mengardi, stampa raffigurante un geroglifico copiato dagli affreschi del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina a Padova, 1791 circa
Fig. 12 - Xilografia n. 35 dell'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499
.
Non menzionato da Guglielmo Della Valle, ma
individuabile tra le
raffigurazioni di Francesco Mengardi, un tondo con due
coppie di
bizzarre figure: per metà elefanti e per metà formiche
con in mezzo
il caduceo di Mercurio e due vasi, uno vuoto e l'altro
con una
fiamma ardente
(Figg. 13-14)
Fig. 13 - Francesco Mengardi, stampa raffigurante un geroglifico copiato dagli affreschi del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina a Padova, 1791 circa
Fig. 14 - Xilografia n. 92 dell'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499
Inoltre,
sulla
fascia orizzontale che separa una delle scene
benedettine
originali dalla lunetta superiore, è raffigurata la
copia fedele del
Trionfo
di
Vertumno e Pomona,
ricalcata sulla base della corrispondente xilografia
illustrata nel
“Polifilo”
(Figg. 15-16)
Fig. 15 - Girolamo Campagnola (?), Trionfo di Vertumno e Pomona, affresco staccato; 1499/1500. Padova, ala meridionale del chiostro maggiore del monastero di S. Giustina. (Foto cortesia di Stefano Colonna)
Fig. 16 - Xilografia n. 66 dell'Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499
Questi
soggetti,
che rivelano una puntuale conoscenza dell'Hypnerotomachia
Poliphili,
sono i più prossimi al profilo intellettuale di
Girolamo Campagnola,
il quale doveva essere certamente in contatto con la
tipografia
veneziana di Aldo Manuzio, in cui, com'è noto, nel
1499 aveva
visto la luce il celebre capolavoro di Francesco
Colonna: ricordiamo
infatti che Giulio, figlio di Girolamo, nel 1515
disegnava caratteri
tipografici per l'officina aldina, e una circostanza
di questo
genere suggerisce l'eventualità che Girolamo
conoscesse l'editore,
forse anche da tempo anteriore alla stesura del
“Polifilo”, e che
verosimilmente si facesse promotore del talento
straordinariamente
precoce di Giulio presso la prestigiosa officina
letteraria del
Manuzio, così come d'altronde era solito fare anche
nei confronti
di altri umanisti coevi .
Questo, d'altra parte, non è l'unico degli scenari che
testimoniano la vicinanza del Campagnola alla
tipografia aldina,
perché un altro importante tramite che poteva
collegare Girolamo
alla sua tipografia doveva essere costituito anche dal
sopra
menzionato Niccolò Leonico Tomeo, poiché proprio negli
anni intorno
alla pubblicazione dell'Hypnerotomachia
Poliphili
questi introduceva presso il cenacolo letterario
aldino alcuni
umanisti inglesi, tra cui il prelato Cuthbert Tunstall
,
ed è lecito pensare che potesse fare altrettanto col
suo amico
Girolamo.
Rileviamo
inoltre
più di un'occasione di contatto tra Girolamo
Campagnola e
Francesco Colonna, signore di Palestrina e autore
dell'incunabolo
èdito nel 1499. In questo senso, fondamentale deve
essere stato il
ruolo del cardinale Raffaele Riario, del quale Giulio
Campagnola è
ricordato nel 1495 come «familiare» ,
poiché personaggio prossimo al Colonna sia sul piano
culturale, come
indica il suo appoggio all'Accademia Romana di
Pomponio Leto, cui
probabilmente apparteneva anche il prenestino, sia in
virtù di un
ampio intreccio parentale .
Non meno importante doveva essere in questa ottica la
figura
dell'umanista riminese Giovanni Aurelio Augurelli:
amico di Giulio
Campagnola ,
era un protetto di Bernardo Bembo – padre di Pietro –
il quale, a
sua volta, si trovava in rapporti di amicizia col
cardinale Giovanni
Colonna, cugino di Francesco.
È
quindi assolutamente probabile che Girolamo Campagnola
conoscesse un
testo come l'Hypnerotomachia
Poliphili
– e le relative xilografie – dunque, ammesso che abbia
coltivato
la professione artistica come sostiene il Vasari, non
faticheremmo a
immaginarlo lavorare al fianco del Parentino sulle
pareti del
chiostro di Santa Giustina.
Un
dettaglio
credo non irrilevante, che deporrebbe a favore della
presenza di Girolamo contemporanea a quella di
Bernardo Parentino
presso il cantiere benedettino, risiede nel fatto che
i medaglioni
decorati con le xilografie del “Polifilo” sono in
numero
equivalente, ossia cinque, a quello delle campate
dell'ala
meridionale – l'unica completata durante la prima
campagna
pittorica
– dipinte con le Storie
di
San Benedetto,
perciò questa corrispondenza suggerisce appunto che le
illustrazioni
tratte dall'opera del Colonna avrebbero potuto trovare
posto
proprio sugli altrettanti finti pilastri dipinti che
separavano le
scene narrative principali l'una dall'altra .
In
virtù
di queste osservazioni, possiamo perciò ipotizzare che
Girolamo Campagnola sia stato l'autore dei finti
pilastri con le
figure polifilesche, nonché dei finti bassorilievi
alla base e alla
sommità delle Storie
di
San Benedetto,
specialmente in ragione del fatto che secondo le
intenzioni della
committenza queste rappresentazioni dovevano essere
improntate a una
certa uniformità stilistica in relazione alle scene
dipinte dal
Parentino, obiettivo che poteva essere ragionevolmente
conseguito
allogando contemporaneamente il ciclo pittorico a due
pittori della
medesima estrazione, squarcionesca precisamente.
Ne
consegue
che la conclusione della prima campagna pittorica di
Santa
Giustina, finora fissata dalla critica al 1498, può
essere
leggermente posticipata a dopo la pubblicazione dell'Hypnerotomachia,
quindi intorno al 1499-1500.
Uno
dei
medaglioni disegnati dal Mengardi solleva tuttavia dei
dubbi. Vi
è raffigurato un vaso sopra un piedistallo al quale si
appoggiano
due putti che esibiscono un cartiglio con la data
«1544»,
evidentemente riferita all'anno di realizzazione
dell'affresco
originale, dunque collocabile chiaramente all'interno
della seconda
campagna decorativa di Santa Giustina e attribuibile
con certezza a
Girolamo del Santo oppure a uno dei suoi
collaboratori: questa
illustrazione richiama la xilografia del “Polifilo”
con scena di
Satiri
e
ninfe su un piedistallo di colonna .
Possiamo inoltre circoscrivere alla più recente delle
due imprese
pittoriche padovane anche altre illustrazioni di
Francesco Mengardi,
che non si attestano però come copie fedeli delle
xilografie
polifilesche del 1499, ma risultano piuttosto, come si
evince pure
dalle descrizioni di Guglielmo Della Valle, immagini
ad esse ispirate
.
La prima di queste raffigura tre donne che suonano un
non meglio
specificato strumento musicale riferito al dio Bacco,
ritratte nei
pressi di un «fronzuto Albero»
ed evoca la scena ritratta nella xilografia n. 20, con
Polifilo in
compagnia delle cinque ninfe, tra cui una che regge in
mano una
viola, vicini a un rigoglioso albero; la seconda, che
rappresenta le
tre Grazie, ognuna delle quali esibisce un oggetto
diverso –
rispettivamente una rosa, un dado e un ramoscello di
mirto
– ricorda invece la Fontana
delle
Tre Grazie,
dove tuttavia le dèe non reggono nulla in mano, nella
xilografia n.
23 dell'Hypnerotomachia
Poliphili
.
La
maggior
libertà con cui l'autore cinquecentesco di questi due
brani interpreta le illustrazioni che corredano
l'opera di
Francesco Colonna, rispetto all'aderenza, diremmo
pedissequa, che
invece denotano i cinque medaglioni del 1499-1500
copiati dal
Mengardi, rivela un approccio differente alle
xilografie del
“Polifilo”, che può essere a mio parere spiegato
teorizzando che
essi siano stati realizzati in un periodo temporale
sensibilmente
distante dalla pubblicazione del romanzo, perciò
durante la seconda
impresa pittorica, come appunto il medaglione datato
«1544». Credo
infatti che uno dei motivi che possa in qualche modo
chiarire una
tale discrepanza formale e iconografica tra i due
modelli originali e
le rispettive versioni affrescate sulle pareti del
chiostro, debba
essere ricercato in un raffreddamento della popolarità
e della
diffusione del “Polifilo” intorno alla metà del
Cinquecento ,
tale che in questo periodo la conoscenza del romanzo,
e ovviamente
del suo apparato figurativo, dovesse verosimilmente
avvenire
principalmente in maniera indiretta, per cui è
ragionevole ritenere
che l'autore delle illustrazioni affrescate nel
secondo ciclo
decorativo abbia assimilato le corrispondenti
xilografie in forma
mediata e ne abbia restituito sui muri di Santa
Giustina l'eco, più
che l'aspetto originale .
Tuttavia,
se
nella decorazione pittorica del 1542-1549 l'aderenza
alle
xilografie polifilesche risulta meno stringente, per
quanto riguarda
lo stile, Girolamo del Santo adotta un linguaggio
artistico
decisamente arcaico rispetto a quello più tipico della
metà del XVI
secolo, imitando volutamente il lessico del Parentino,
proprio per
garantire una certa omogeneità rispetto al ciclo
precedente. Questa
particolarità credo che abbia indotto in errore
Guglielmo Della
Valle, che nel 1791 attribuiva senza molti dubbi la
seconda campagna
pittorica allo squarcionesco Girolamo Campagnola,
dimostrando così
inconsapevolmente le spiccate qualità emulative del
Tessari.
In
conclusione,
possiamo dunque classificare gli affreschi padovani
come
segue.
Ala
meridionale
e primi riquadri dell'ala occidentale e dell'ala
orientale (1499/1500):
Bernardo
Parentino:
Storie
di
San Benedetto
nei riquadri principali; Ritratti
di
benedettini illustri,
Storie
del
Vecchio e del Nuovo Testamento
nelle lunette.
Girolamo
Campagnola
(?):
finti pilastri con medaglioni raffiguranti xilografie
dell'Hypnerotomachia
Poliphili;
bassorilievi con scene mitologiche alla base e alla
sommità delle
Storie
di
San Benedetto.
Ali
orientale,
settentrionale e occidentale (1542-1549):
Girolamo
Tessari
detto dal Santo:
Storie
di
San Benedetto
nei riquadri principali; Ritratti
di
benedettini illustri,
Storie
del
Vecchio e del Nuovo Testamento
nelle lunette.
Collaboratori
di
Girolamo del Santo:
finti pilastri con illustrazioni ispirate alle
xilografie
dell'Hypnerotomachia
Poliphili;
bassorilievi con scene mitologiche alla base e alla
sommità delle
Storie
di
San
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Esistenti in
Padova Cremona Milano Pavia Bergamo Crema e Venezia
scritta da un
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pubblicata e illustrata da D. Iacopo Morelli custode
della Regia
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SCARDEONE
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SCARDEONIJ,
canonici Patauini, De
antiquitate
vrbis Patauij, & claris ciuibus Patauinis,
libri
tres, in quindecim classes distincti. Eiusdem
appendix De sepulchris
insignibus exterorum Patauij iacentium,
Basileae,
apud
Nicolaum Episcopium iuniorem, 1560.
VASARI
1568
Giorgio
VASARI,
Le
vite
dei più eccellenti pittori, scultori e
architettori,
Firenze, Giunti, 1568.
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