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Appunti su alcune invenzioni della produzione arlesiana: i Girasoli e l'Autoritratto con orecchio bendato di Van Gogh  
Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 27 Dicembre 2024, n. 970
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00970.html
Articolo presentato il 14 Dicembre 2024, accettato il 26 Dicembre 2024 e pubblicato il 27 Dicembre 2024
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Abstract

Il contributo analizza in un'ottica didattico-scientifica il contesto e le vicende personali del pittore che hanno condotto alla genesi e nascita delle due opere alla base della produzione arlesiana.
Sui Girasoli si attua una schematizzazione cronologica delle opere di identico, o simile, soggetto, distribuite e conservate nei vari musei del mondo.
Riguardo l'Autoritratto con benda si fornisce una diversa lettura iconologica rispetto a quanto finora recepito nella letteratura scientifica al riguardo.

Quando nel febbraio del 1888, Vincent Van Gogh (Zundert, 30 marzo 1853–Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) matura la decisione di lasciare Parigi, giuntovi appena due anni prima, nel 1886 1, il pittore è un uomo stanco, esasperato, ansioso, e nevrotico, i ritmi, lo stress e le dinamiche tipiche della metropoli lo fiaccano, e, nelle Lettere a Théo 2, confessa che “gli sembra quasi impossibile riuscire a lavorare a Parigi, a meno che tu non abbia un rifugio in cui riprenderti e ritrovare la tua pace mentale e la tua compostezza” 3 , nonché di sentirsi sull'orlo di “una paralisi” 4.

Il 20 febbraio arriva nel centro di Arles 5, il soggiorno è pensato come una tappa momentanea e ritemprante, nel fisico e nella mente; la meta finale è Marsiglia 6. Prende alloggio, nella locanda del paese, quindi, medita la decisione di rimanere nella località provenzale, affitta, per 15 franchi al mese, l'ala destra della famosa “casa gialla” 7,  sita al n. 2 di Place Lamartine, e sogna di creare l'Atelier du Midi 8, una società cenobita di pittori, un'alleanza di artisti in lotta per una pittura migliore ed innovativa, anelanti l'allontanamento dalla tradizione e dagli schemi tipici, frusti e vecchi della stanca arte accademica 9. Avviare la comunità di maestri indipendenti, capaci di fondare una nuova arte è considerata dallo stesso pittore un'utopia e, a capo della comune, Vincent vorrebbe mettere Gauguin 10. Aspira, dunque, a fondare un “piccolo studio”, un “avamposto necessario” a coloro, amici pittori, che lo avrebbero raggiunto al sud 11. L'utopica idea, “creeremo un'associazione di artisti” 12, è probabilmente il frutto di una riflessione operata dall'Olandese sull'ammirato maestro giapponese 歌川広重, Utagawa Hiroshige (1797–1858) 13, che, con l'altro protagonista della xilografia nipponica 葛 飾北斎, Katsushika Hokusai (1760–1849), costituisce un punto di riferimento fondamentale per l'arte del pittore 14. Quando nel febbraio del 1888, Vincent si reca in Provenza, lascia nell'appartamento parigino una collezione di migliaia di stampe 15, provenienti dall'Oriente, raccolte con abnegazione da lui e dal fratello Théo 16. Hiroshige, in tarda età, si ritira in un monastero buddista, un ritratto, realizzato da 歌川国貞, Utagawa Kunisada (1786–1865), ci restituisce il Giapponese nelle vesti di un monaco zen (Utagawa Kunisada, Ritratto di Hiroshige, stampa xilografica policroma, inchiostro e colore su carta, 36.2 x 24.4 cm, Metropolitan Museum of Art, New York). Verosimilmente Van Gogh conosce la stampa e può essersi convinto che i maestri giapponesi possano essere allo stesso tempo artisti e monaci, il cui lavoro si svolge nella serenità della comunità cenobita di monaci-artisti.

A Parigi, Van Gogh, Gauguin, Toulouse-Lautrec, Bernard, Seurat ed altri sono conosciuti come i pittori del petit boulevard, in contrapposizione agli ormai in via di affermazione Impressionisti, noti come i pittori del grand boulevard. L'epiteto deriva da una mostra, di poco successo, organizzata da Théo, presso il locale, Au Tambourin 17, di Agostina Segatori (1841-1919), la modella italiana, musa di Degas e di altri artisti, che dopo aver messo da parte un po' di denaro apre il Cafè che diviene luogo di incontro della generazione di artisti minori emergenti. Le nuove leve post-impressioniste si incontrano, discutono ed espongono le proprie teorie ed opere all'interno del ristorante e nella bottega di Père Tanguy, Julien François Tanguy (1825–1894), il mercante d'arte e gestore di un negozio di materiale per artisti, tra i primi a collezionare e vendere le tele degli Impressionisti. Per il suo atteggiamento amichevole e bonario è soprannominato Père, spesso accetta in deposito o in conto vendita quadri in cambio di materiale, colori, tele e pennelli; è tra i primi a credere nel lavoro di van Gogh e ad offrire i suoi quadri in distribuzione 18.

All'epoca gli Impressionisti, grazie soprattutto al lavoro instancabile di Paul Durant Ruel (1831-1922), dopo essere stati i ribelli “imbrattatele”, i rivoluzionari innovatori d'avanguardia, contro la pittura d'accademia, si avviano ad assumere il ruolo di nuovo establishment artistico-culturale e diventano l'obiettivo polemico delle nuove generazioni di artisti, tra cui i maestri del petit boulevard. Nel sognare di costituire una comune di pittori progressisti in cui si vive e si lavora insieme, in atelier o en plein air, nel sud della Francia, il Nostro ha in mente proprio loro. Van Gogh ricerca un sostegno, morale ed economico, che non giunge, dagli artisti del grand boulevard 19, e scrive ostinatamente ai suoi compagni del petit boulevard, chiedendo loro di trasferirsi nella cittadina provenzale; contatta Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901), Émile Henri Bernard (1868-1941) e altri, ma solo Paul Gauguin (1848–1903), grazie all'intercessione e all'accordo con il fratello Théo 20, raccoglie l'invito e lo raggiunge, per poi tirarsi “prudentemente indietro” 21.

In attesa dell'arrivo del maestro sintetista, l'Olandese inizia dei lavori nella casa presa in affitto per rendere l'abitazione il più accogliente possibile, vuole abbellire il suo studio con “una mezza dozzina di Girasoli dipinti” 22, e dare ai mobili bianchi gli effetti delle “vetrate delle chiese gotiche” 23, vuole anche decorare la stanza al secondo piano, quella che avrebbe ospitato Paul, per renderla “il più possibile simile al boudoir di una donna, molto artistico. Avrà pareti bianche – scrive il maestro - con una decorazione di grandi girasoli gialli, di mazzi da dodici o quattordici” 24.

I Girasoli in vaso diventano, quindi, il tema di una successione di dipinti, ad olio su tela, che Vincent realizza, nell'agosto del 1888, per decorare la “casa gialla”, dalle lettere capiamo che la serie avrebbe dovuto contare 11 tele 25, ne realizza, però, solo 4 (le cosiddette tele originarie, (Fig. 1),

Fig. 1 - Vaso con quindici girasoli, 1888, olio su tela, 92,1 x 73 cm., National Gallery, Londra. Foto cortesia di Giorgia Duò
Fig. 1 - Vaso con quindici girasoli
1888, olio su tela, 92,1 x 73 cm., National Gallery, Londra
Foto cortesia di Giorgia Duò

alle quali, nel gennaio del 1889, durante il soggiorno-ricovero a St Remy, si aggiungono altri 3 dipinti 26 (Fig. 2).



Fig. 2 - Vaso con quindici girasoli, 1889, olio su tela, 95 x 73 cm., Van Gogh Museum, Amsterdam. Foto cortesia di Giorgia Duò
Fig. 2 - Vaso con quindici girasoli
1889, olio su tela, 95 x 73 cm., Van Gogh Museum, Amsterdam
Foto cortesia di Giorgia Duò

Il soggetto, tra i più noti e riconducibili al maestro dal grande pubblico 27, è già stato oggetto di riflessione del maestro; durante il soggiorno parigino, infatti, dipinge, tra l'agosto e il settembre del 1887, 4 tele di andamento orizzontale, raffiguranti dei Girasoli recisi, distesi al suolo che sono certamente all'origine, delle prove arlesiane (Fig. 3).




Fig. 3 - Due Girasoli appassiti, 1887, olio su tela, 43,2 x 61 cm., Metropolitan Museum of Art, New York. Foto cortesia di Giorgia Duò
Fig. 3 - Due Girasoli appassiti
1887, olio su tela, 43,2 x 61 cm.
Metropolitan Museum of Art, New York
Foto cortesia di Giorgia Duò

Ma il nuovo schema compositivo, approntato da Van Gogh 28, potrebbe originare in parte da una decorazione simile realizzata dall'amico Bernard, il quale, in aprile, invia all'Olandese un “croquis” della sua invenzione 29. Dalle lettere apprendiamo che il maestro acquista un certo numero di cornici 30 e che incornicia lui stesso le tele raffiguranti i Girasoli 31.

Nelle intenzioni dell'artista l'impresa decorativa non ha mera funzione estetica, ma ha l'ambizione di voler riprodurre quelle sensazioni positive, vissute e percepite nel momento in cui è entrato in contatto con la luce ed i colori del sud della Francia, quindi, offrire al suo ospite in arrivo quel mix di emozioni e passione 32.

Ricevuti forse in dono da una contadina arlesiana che Vincent ritrae, i Girasoli sono un tipo di fiore che appassisce velocemente 33, pertanto, per cogliere, ricercare e realizzare l'aspetto voluto, il maestro deve lavorare molto rapidamente con esiti sperimentali estremi, tali da procurargli l'appellativo di pittore pazzo; per la provinciale e culturalmente chiusa mentalità del borgo provenzale, infatti, solo un folle, incapace di stendere il colore correttamente ed accademicamente, può dichiararsi artista.

Il particolare risultato, sensibilmente innovativo, e caratterizzato, abbiamo detto, dall'uso diffuso e predominante di toni diversi del colore giallo 34, combinati con i complementari e con il verde veronese, è il prodotto di una stesura rapida, materica, rivoluzionaria, che risulta, per l'epoca, che da poco ha accettato la sintetica pennellata impressionista, difficile da comprendere o gradire. A ciò si aggiunga il dettaglio iconografico, altrettanto incomprensibile, per il pubblico del tempo, dei fiori non rigogliosi, ma in via di disfacimento, appassiti e brutti, che carica il quadro di un dualistico e tormentato stato, specchio dell'anima interiore dell'autore, in bilico tra la malinconica tristezza della sfioritura, allusiva alla morte, e la positiva gioia del colore giallo e della lucentezza cromatica delle tinte ad olio, che il pittore ha trovato nel sud della Francia 35.

L'iconico tema vangoghiano dei Girasoli è affrontato dal maestro in tre diversi periodi (A-C), in 11 documentati quadri (due dei quali persi):

    A) Giugno-settembre 1887, 4 tele realizzate a Parigi, di formato orizzontale, raffiguranti dei Girasoli recisi 36:

    1. Quattro girasoli appassiti, 1887., olio su tela, 60 x 100 cm, Museo Kröller-Müller, Otterlo (1887., olio su tela, 60 x 100 cm, Museo Kröller-Müller, Otterlo)

    2. Due Girasoli appassiti, 1887, olio su tela, 43,2 x 61 cm, Metropolitan Museum of Art, New York (fig. 3);

    3. Due Girasoli recisi, 1887, olio su tela, 50 x 60 cm, Kunstmuseum, Berna;

    4. Due Girasoli recisi in verde, 1887, olio su tela, 21 x 27 cm, Van Gogh Museum, Amsterdam.


    B) Agosto-settembre 1888, le cd 4 tele originarie (delle 11 pensate), le sole firmate 37, realizzate ad Arles. Di una di queste (a), passata alla fine dell'800 nella raccolta privata di un riservato collezionista statunitense, se ne sono perse le tracce e non sappiamo attualmente dove sia conservata; una seconda opera (b) è acquistata, dopo la morte di Johanna Bonger, dal milionario-imprenditore nipponico 山本顧彌太, Koyata Yamamot (1886-1963), ed è stata distrutta durante il bombardamento di Ashiya, durante la Seconda guerra mondiale:

    1. Vaso con tre girasoli, 1888, olio su tela, 73 x 58 cm, Collezione privata, luogo di conservazione ignoto;

    2. Vaso con cinque girasoli, 1888, olio su tela, 98 x 69 cm, opera distrutta, Giappone;

    3. Vaso con dodici girasoli, 1888, olio su tela, 91 x 72 cm, Alte Pinakotheke, Monaco;

    4. Vaso con quindici girasoli, 1888, olio su tela, 92,1x73 cm, National Gallery, Londra (fig. 1) 38.


    C) Dicembre 1888-gennaio 1889, le cd tele successive, realizzate durante il soggiorno-ricovero a Saint Remy, momento in cui il maestro torna al felice progetto con la realizzazione di ulteriori tre tele:

    1. Vaso con dodici girasoli, 1889, olio su tela, 91 x 72 cm, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia;

    2. Vaso con quindici girasoli, 1889, olio su tela, 100,5x76,5, Sompo Japan Building, Tokyo;

    3. Vaso con quindici girasoli, 1889, olio su tela, 95x73 cm, Van Gogh Museum, Amsterdam (fig. 2).

La seconda invenzione in analisi è l'Autoritratto con orecchio bendato (Fig. 4),

Fig. 4 - Autoritratto con orecchio bendato, 1889, olio su tela, 60.5 x 50 cm. The Courtauld Institute Of Art, Londra. Foto cortesia di Giorgia Duò
Fig. 4 - Autoritratto con orecchio bendato
1889, olio su tela, 60.5 x 50 cm.
The Courtauld Institute Of Art, Londra
Foto cortesia di Giorgia Duò

è un dipinto realizzato dopo l'incidente del “taglio dell'orecchio” perpetrato, si ritiene, dallo stesso Vincent, a seguito del crollo emotivo causato dalla decisione di Gauguin di tornare a Parigi 39. Da poco meno di due mesi, per via delle insistenti richieste da parte del maestro e di suo fratello Théo 40, Gauguin ha iniziato, nella “casa gialla”, una faticosa convivenza con il pittore olandese; giunto il 23 ottobre del 1888, il Francese è tutto ciò che Van Gogh non è 41: un uomo vissuto, ricercato dalle donne, piacente e piacevole. Nel giro di poco tempo Paul ottiene quanto Vincent brama da mesi, le differenze e contraddizioni tra i due emergono rapidamente, la situazione si fa tesa e conflittuale, i rapporti peggiorano, la collaborazione è quasi impossibile, le divergenze di visione sono sempre più profonde. Iniziano quasi subito a litigare, Gauguin mal sopporta lo stile creativo e il frenetico modus operandi dell'Olandese 42, il quale, a sua volta, per via del successo sociale del primo, sviluppa sentimenti di invidia nei suoi confronti 43. All'ennesima discussione, in un'escalation di eventi, il 23 dicembre, il Francese, uscendo di casa, comunica la sua decisione di partire. Vincent reagisce male, dopo solo nove settimane, il sogno di creare una comunità di artisti nel mezzogiorno è infranto 44. Tenta, inizialmente, senza successo di convincere l'amico a ripensarci, quindi, di fronte alla determinazione di quest'ultimo azzarda un'aggressione con un rasoio, ma desiste quasi subito e, in preda ad una probabile crisi psicotica, rivolgere verso sé stesso gli impulsi lesivi, procurandosi con un coltello una ferita al lobo sinistro.

Dopo aver incartato in un giornale l'orecchio, si reca nella cd “via delle ragazze gentili”, dove si trovano i bordelli, e porta il macabro trofeo a Rachel, la prostituta di cui è innamorato, che preferisce, però, Gauguin e che sviene all'apertura dell'orrendo presente 45.

Il motivo per cui Vincent abbia voluto omaggiare la donna del proprio lobo, ipotizza il documentarista esperto d'arte Waldemar Januszczak, potrebbe derivare da una tradizione popolare legata allo svolgimento delle corride 46. Ad Arles, infatti, si è mantenuta l'antica arena romana, al cui interno, la domenica, si allestiscono spettacolari combattimenti, di cui il pittore diventa un habitué. L'opera Les Arènes (1888, olio su tela, 73.5 cm × 91.5 cm, Hermitage Museum, St. Petersburg), ritrae una tipica manifestazione domenicale all'interno dell'anfiteatro e testimonia della frequentazione del luogo da parte del pittore. Al matador capace e vittorioso è consegnato l'orecchio del toro vinto, lo stesso, poi, è mostrato al pubblico con fierezza dal “macho latino” che termina l'esibizione con il lancio dell'organo ai convenuti. L'Olandese nel recapitare il proprio orecchio a Rachel, l'amata che non corrisponde, potrebbe aver voluto replicare il rito, impersonando, però, non il ruolo del torero orgoglioso, piuttosto, quello dell'animale sconfitto 47. Il pittore, quindi, si identifica come vittima sacrificale e soccombente alla pugna d'amore.

Vincent è giunto ad Arles con la speranza di trovare il calore e l'affetto di una compagnia femminile, la sua arlesienne, ma vi trova solo sofferenza e sconfitta, e l'atmosfera di mestizia del dipinto in questione lo confermerebbe (fig. 4).

Dopo il tragico evento l'artista, anziché cercare aiuto e cure, si rinchiude in camera sua, la polizia, allertata dai padroni del postribolo, lo cerca e lo trova, la mattina seguente, nella “casa gialla” in una pozza di sangue. Viene, inizialmente, soccorso dal dott. Felix Rey, poi divenuto amico, del nosocomio cittadino, l'antico Hotel-Dieu, il quale, come documentato dalla lettera al fratello Théo del 17 gennaio 1889, è ritratto dal pittore (Ritratto del Dott. Felix Rey, 1889, olio su tela, 64 cm x 53 cm, Pushkin Museum of Fine Arts , Mosca) 48. Rimane presso il reparto psichiatrico dell'ospedale per circa due settimane. Anni dopo, il Rey, raggiunto, nell'agosto del 1930, da Irving Stone, scrittore e biografo del maestro, alla ricerca di notizie di prima mano sull'artista, realizza uno schizzo della dinamica della mutilazione del padiglione sinistro 49 (Fig. 5).

Fig. 5 - Schizzo a mano realizzato  nel 1930 da Félix Rey, The Bancroft Library, University of California, Berkeley. Foto cortesia di Giorgia Duò
Fig. 5 - Schizzo a mano realizzato nel 1930 da Félix Rey
The Bancroft Library, University of California, Berkeley
Foto cortesia di Giorgia Duò

Durante la degenza il maestro si autoritrae in diverse tele, con il dettaglio dell'orecchio bendato, anche l'opera in analisi, dunque, apparterrebbe ad una serie 50. Nella versione londinese (fig. 4), giocata su un accordo di colori freddi, l'artista si raffigura di ¾, in modo da offrire al pubblico il dettaglio vistoso del bendaggio 51; smagrito, quasi irriconoscibile, ha lo sguardo spento e sembra non riuscire a sostenere quello curioso ed indagatore dello spettatore. La pennellata, rapida, materica e spezzata, ha un andamento essenzialmente verticale 52. Sullo sfondo, alle spalle del protagonista, appoggiati su un muro dipinto di verde, sono visibili i due dettagli alla base dell'interpretazione iconologica del Januszczak, la parte alta di un cavalletto da pittore, su cui è appoggiata una tela appena iniziata, e una stampa giapponese, riconoscibile come una xilografia di Hiroshige.

Il pittore è stato cresciuto secondo una rigida educazione di tipo calvinista, in un ambiente fortemente condizionato dalla religione, il padre, un ministro della chiesa riformata olandese, lo ha edotto, tra le altre cose, sulla condizione di sofferenza, penitenza e dolore che si respira nel dipinto in analisi.

Dopo essere stato dimesso dall'ospedale, la vita in paese diventa ancora più pesante e difficile, è costantemente oggetto di rumors, è deriso e dileggiato dagli adulti, nonché canzonato dai ragazzini e, come se non bastasse, gli abitanti di Arles organizzano una petizione per allontanare quello stravagante personaggio dalla città 53. Firmano tutti, anche coloro che lui ritiene amici. La circostanza è vissuta dal Nostro con intenso pathos, che traferisce nel quadro attraverso la rappresentazione della sua metaforica crocifissione: come Cristo è stato deriso, rifiutato e disprezzato, così l'autoritratto allude alla condizione di abbandono, dolore e solitudine vissuta dal pittore.

Attraverso la raffigurazione di un cavalletto da lavoro, a forma di croce, l'artista vuole alludere alla sua sofferenza nonché assimilarla a quella provata da Gesù sulla croce, il paragone è particolarmente ardito ed ambizioso, non scevro da connotazioni poco ortodosse, ma non animato da intenti di natura sacrilega. A ribadire questo comune sentire di angoscia e malessere qualche mese più tardi realizza una copia della Pietà di Delacroix e dà al Cristo morto il proprio volto (Pietà, 1890 ca., olio su tela, 41,5 x 34 cm, Musei Vaticani, Pinacoteca d'Arte Contemporanea, Città del Vaticano)!

E se il cavalletto rappresenta lo strumento di tortura, il “sudicio” bendaggio di lino potrebbe simboleggiare il panno del medesimo materiale indossato tradizionalmente da Cristo durante la Passione.

La stampa sulla destra, una raffigurazione del maestro Hiroshige, del 1880, mostra tre soggetti femminili davanti all'onnipresente Monte Fuji delle xilografie giapponesi. In questa esegesi, le tre donne potrebbero assumere il ruolo delle “tre Marie” o “pie donne”, coloro che presenziano alla crocifissione di Cristo secondo i racconti evangelici 54. Prosaicamente, la Maddalena e la Vergine sono interpretate da due geishe con un'amica e il monte sullo sfondo diventa il mistico Monte Golgota.

L'opera, dunque, si configurerebbe come la personale crocifissione dell'artista, che in un'ottica di assonanza paragona la propria e tormentata vicenda personale a quella di Gesù, ossia, una dichiarazione universale e laica della condizione di condivisione di un destino tragico e comune.




      

NOTE

1 Fonte imprescindibile di studio e conoscenza e ricostruzione della vita e delle opere del maestro olandese sono le Lettere a Théo (cfr. n. 2 infra), da queste, apprendiamo che, nel 1886, il pittore, senza preavviso (cfr. VAN GOGH 2023, p. 407), si presenta a Parigi a casa del fratello, che da sette anni vive nella metropoli francese, alla guida della Maison Bousson-Valadon. I due dividono a fatica il piccolo appartamentino sito nel quartiere di Montmartre. I ritmi e la frenesia della Ville Lumière non sono adatti all'indole fragile e nevrotica dell'Olandese che quindi, nel febbraio del 1888, si trasferisce nel Sud della Francia

2 L'eccezionale epistolario, più di 860 lettere, scambiate, tra il 1872 e il 1890, anno in cui Vincent muore, tra i due fratelli Van Gogh, conservato da Théo e rinvenuto, in un armadio, dalla moglie di quest'ultimo, Johanna Bonger (1865-1925), alla morte del marito, è pubblicato, la prima volta, nel 1914 con il titolo Brieven aan zijn broeder o Lettere a Théo (cfr. VAN GOGH 2023 (1863-1890)). Alle lettere scambiate tra i due fratelli l'archivio del Museo Van Gogh di Amsterdam affianca e conserva altri documenti epistolari relativi alla vita del maestro che, digitalizzati, sono di libera consultazione sul sito del museo stesso: https://vangoghletters.org/vg/letters.html.

3 https://vangoghletters.org/vg/letters/let577/letter.html, Br 577, lettera a Théo, Arles 21 febbraio 1888.

4 “La morale qui (Arles) pare meno disumana e meno contro natura che a Parigi, ma con il mio carattere, non potrei in alcun modo conciliare di darsi ai bagordi con il lavoro e nelle circostanze attuali devo accontentarmi di dipingere. Non è vivere questo, ma che cosa di può fare? Questa vita artistica, pur non essendo la vita reale, mi pare così viva che sarebbe da ingrati non accontentarsene. Ero sulla buona strada per rischiare una paralisi quando ho lasciato Parigi. C'ero dentro un bel po'! (… ) Il lavoro in questo magnifico ambiente naturale mi ha sollevato il morale, ma anche ora alcuni sforzi sono troppo per me” (cfr. VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 425).

5 La provinciale e poco accogliente cittadina, lontana dall'essere l'attuale, elegante ed attraente centro storico-turistico, è caratterizzata dalla presenza di donne bellissime, l'artista si riferisce diffusamente nelle lettere sia al paese che alle arlesiane: “Le donne qui sono bellissime, non sto scherzando …” (cfr. Ivi, p. 416); “Le arlesiane di cui si parla tanto – è così, non è vero? – non sono più come dovevano essere un tempo, perché stanno sfiorendo, ma questo non impedisce loro di essere belle” (cfr. Ivi, p. 427); “Penso che la città di Arles fosse un tempo infinitamente più gloriosa, quanto alle sue donne e allo splendore dei suoi costumi.” (Ivi, p. 487).

6 Nella lettera, inviata da Arles al fratello Théo, del 21 Febbraio 1888 (cfr. https://vangoghletters.org/vg/letters/let577/letter.html, Br 577) Vincent comunica di essere in viaggio; in una successiva lettera di Théo alla sorella Willemien, del 24 e 26 Febbraio, l'uomo riferisce che il pittore è partito “domenica scorsa” (quindi il 19/02) per il sud della Francia, ed informa che il viaggio avrebbe richiesto “un giorno ed una notte”. Vincent arriva ad Arles il 20/02, pertanto la meta non è ancora raggiunta. Théo, inoltre, spiega i motivi per cui il fratello si ferma nella cittadina, è alla ricerca di paesaggi dai colori più chiari, rispetto a quelli che si trovano al nord, e vuole recuperare le forze fisiche. Lo spirito del soggiorno arlesiano, dunque, sarebbe dovuto essere di carattere temporaneo in quanto nelle intenzioni originarie del maestro la meta finale sarebbe dovuta essere Marsiglia (cfr. https://vangoghletters.org/vg/documentation.html#2426February1888, lettera del 24 e 26 Febbraio 1888, da Parigi, da Theo van Gogh a Willemien van Gogh. (FR b914)).

7 Chiamata così dallo stesso pittore nelle lettere (VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 423).

8 “Una scuola del mezzogiorno”, riporta Argan, “che avrebbe dovuto rinnovare, portando alle ultime conseguenze le premesse dell'Impressionismo” (cfr. Van Gogh 2003, p. 10).

9 CRISPINO 2010, p. 93.

10 “Quando si fa il pittore – scrive, infatti, il maestro – o si passa per pazzi oppure per ricchi. Una tazza di latte ti costa un franco, una fetta di pane e burro due, e intanto i quadri non si vendono. Ecco perché dobbiamo unirci come facevano gli antichi monaci, i Fratelli della Vita Comune delle nostre brughiere olandesi [...] Non chiederei di meglio, ma poiché si tratta della vita in comune di diversi pittori, io dichiaro che anzitutto ci vorrebbe un abate per mantenere l'ordine e che naturalmente questi dovrebbe essere Gauguin” (“If you're a painter, you're taken either for a madman or for a rich man. A cup of milk costs you one franc, a slice of bread and butter two, and paintings don't sell. That's why we have to join together as the old monks did, the Brethren of the Common Life of our [...]”, cfr. https://vangoghletters.org/vg/letters/let660/letter.html, Br 660, lettera a Théo, 13 agosto 1888).

11 VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 491.

12 Ivi, p. 413.

13 Le convenzioni classiche dell'onomastica giapponese prevedono che il cognome preceda il nome, pertanto, "Utagawa" è il cognome ed Hiroshige il nome.

14 Nella seconda metà dell'Ottocento si diffonde in Europa, e, in particolare, in Francia, il fenomeno noto come Japonisme, o Giapponismo, per il quale artisti, intellettuali e, più in generale, la società alto-borghese e aristocratica subiscono il fascino dell'oggettistica e soprattutto delle stampe che in quegli anni raggiungono l'Occidente in grande quantità, determinando un'influenza sensibile nelle opere d'arte e nello stile artistico praticato dai grandi pittori e scultori del tempo. Van Gogh nel suo epistolario cita frequentemente il giapponismo come atteggiamento estetico, finalizzato non solo alla produzione artistica, ma anche criterio guida per arredare la famosa “casa gialla di Arles (cfr. VAN GOGH 2023, pp. 424, 475 e 479). Fino al 1853, il Giappone si richiude nel cd Sakoku (letteralmente “paese incantato”). Nel 1641, infatti, il terzo Shōgun della dinastia Tokugawa, Iemitsu (1604–1651), emana l'editto a seguito del quale il paese, per circa due secoli, vive un periodo di isolamento quasi totale: gli scambi culturali sono ridotti al minimo e il commercio con l'estero è severamente limitato, la possibilità di accesso per le navi straniere si riduce a pochi porti di un “paese chiuso”. Nel 1853, poco prima della fine dell'Epoca Edo (1603-1868), il Sakoku è interrotto da uno degli avvenimenti più controversi della storia giapponese: le navi da guerra del commodoro statunitense Matthew Perry (1794–1858) attraccano il paese attraverso la baia di Tōkyō, sancendo l'inizio di una politica di pressioni e di insistenti trattative volte alla riapertura del Giappone alla politica estera. Questo ha, ovviamente, determinato l'arrivo di merce nipponica in tutta Europa e negli Stati Uniti: dalle suppellettili, alle stoffe, fino alle “immagini del mondo fluttuante”, le ukiyo-e, che affascinano talmente tanto alcuni artisti da influenzare significativamente la loro arte (cfr. Ukiyo-e 1972, p. 10).

Durante il Periodo Edo, nelle grandi città si afferma un nuovo ceto sociale, il cittadino borghese, abitante dei centri urbani, colui che conduce un'esistenza dissipata, rincorrendo ai piaceri della vita, nella bolla illusoria ed effimera della città. La nuova figura sociale diventa protagonista delle stampe del “mondo fluttuante”. Le xilografie Ukiyo-e sono concepite per rappresentare i vizi e la bellezza di questa nuova società. Le ambientazioni sono le più varie: i quartieri proibiti delle grandi città, dove si possono frequentare geishe, cortigiane e vedere attori di teatro impegnati nelle loro performance; paesaggi invernali innevati; scene primaverili con la spettacolare fioritura dei ciliegi; vedute centrate sulla potenza superiore del mare o sulla forza incontrastabile della natura contro cui l'uomo può nulla; semplici episodi di vita quotidiana con samurai e gente comune.

15 Raccolte a partire dal 1886 assieme al fratello Théo, che ha iniziato la collezione prima dell'arrivo di Vincent, i due si forniscono presso la Maison Bing, guidata da Siegfried “Samuel” Bing (1838-1905), come testimoniato diffusamente nelle Lettere a Théo, (cfr. VAN GOGH 2023, passim, in part. pp. 436 479). Alla partenza da Parigi, Van Gogh è costretto a malincuore a lasciare l'intera raccolta nella capitale, salvo poi scrivere al fratello di non averne più bisogno, perché i colori del Giappone li ha ritrovati nel sud della Francia, “Vecchio mio – scrive - mi sembra di essere in Giappone” (cfr. Ivi, p. 415).

16 Ukiyo-e 1972, p. 28.

17 NAIFEH – WHITE-SMITH 2012 (1994), p. 551.

18 VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 408.

19 Ivi, p. 414.

20 Gauguin accetta di raggiungere l'Olandese a condizione che Théo acquisti e venda le sue opere (cfr. Ivi, p. 436, p. 445, p. 490 e p. 491).

21 Ivi, p. 414.

22 Una decorazione in cui si assiste all'esplosione di gialli su sfondi blu, dal più pallido veronese al blu reale, incorniciati da sottili listelli dipinti in piombo arancione (cfr. https://vangoghletters.org/vg/letters/let665/letter.html, Br. 665, lettera a Emile Bernard, Arles 21 agosto 1888).

23 Ibidem.

24 VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 474.

25 Una serie integrata, scrive di un "insieme" e di "un tutto", che decori la “casa gialla” e che possa anche essere esposta negli ambienti della Revue Indépendante (cfr. https://vangoghletters.org/vg/letters/let665/letter.html, Br. 665).

26 Della produzione artistica relativa ai Girasoli, nelle Lettere a Théo, Vincent testimonia diffusamente della sua impresa e del suo impegno (cfr. VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 462 e p. 467).

27 Per una ricostruzione dell'evoluzione della decorazione e possibili fonti di ispirazione cfr. DORN 1990.

28 A cui lavora tra la metà di agosto e la fine di dicembre del 1888 (cfr. https://vangoghletters.org/vg/letters/let665/letter.html, Br. 665)

29 https://vangoghletters.org/vg/letters/let596/letter.html#n-1, Br 596, lettera a Emile Bernard, Arles. 12 aprile 1888).

30 https://vangoghletters.org/vg/letters/let673/letter.html, Br 673, n 16, lettera a Théo, Arles 6 settembre 1888).

31 https://vangoghletters.org/vg/letters/let776/letter.html, Br 776, lettera a Théo, St. Remy, 23 maggio 1889.

32 Si tratta di un pensiero estremamente moderno, nessuno fino a questo momento ha messo ciò che si prova al centro della produzione artistica, né l'agire pittorico è ancora diventato motore espressivo di sentimenti. Più tardi lo fa Edvard Munch (1863-1944), che, non a caso, in visita a Parigi, entra in contatto con gli ambienti impressionisti, simbolisti e cromo-luministi, e rimane particolarmente affascinato dall'espressività violenta della pittura emotiva di Vincent. L'Olandese, ritiene Munch, ha saputo imprimere alla propria arte una forza espressiva inedita ed emotivamente impattante, nonché realizzare tele dalla potenza e dal temperamento inediti (cfr. DUO' 2023). Nello sviluppare una pittura dal carattere violento ed incisivo, in grado di accendere le corde emotive del pubblico, Van Gogh anticipa Munch e gli Espressionisti tedeschi (Ibidem). Senza spingersi agli esiti radicali e sperimentali raggiunti dal Norvegese, Vincent è stato in grado di creare una pittura, dall'espressività prepotente, quasi brutale, che lo rende oggetto di ammirazione di un giovane Edvard, che, pur non avendolo conosciuto direttamente il maestro, ne subisce l'influenza sia dal punto di vista coloristico che del linguaggio pittorico. Munch avrebbe forse potuto essere l'amico che Van Gogh non ha mai incontrato, in grado di comprenderlo (Ibidem). Entrambi fanno delle proprie creazioni un mezzo di espressività radicale ed urgente e sono accumunati da un'arte che esprime un'intensità particolare nell'uso e nell'interpretazione del colore. Inoltre, i due realizzano opere dove la pittura e stesura sono parte del processo artistico, caricando i quadri di una forza emotiva inedita e straordinaria, affidata in massima parte alla palette cromatica. Ma mentre l'Olandese irradia i suoi quadri di una luce dorata, consolante anche nella paura, a tratti intollerabile, ma comunque di speranza, la produzione del Norvegese si carica di un esistenzialismo dilaniante e insostenibile (Ibidem). E come fa Vincent, anche Edvard, ad un certo punto della sua esistenza si rinchiude in un mondo poetico e solitario: la natura diventa per entrambi una presenza simbolica più grande, ostile e nemica per il Norvegese, consolatoria ed incoraggiante per l'Olandese, che cresciuto in solitudine tra i boschi dei d'intorni di Zundert, vede nella natura un'alleata consolatoria (cfr. Ibidem).

33 GOVIER 2009, p. 39.

34 La pervicacia con cui il maestro presenta opere caratterizzate in abbondanza dal giallo, in toni diversi, è diventata oggetto di studio da parte degli esperti. Tra le motivazioni addotte per cui il pittore faccia uso sovrabbondane, quasi compulsivo del colore c'è la convinzione che abbia sofferto di un disturbo, la xanthopsia (ossia, la visione gialla degli oggetti bianchi e la conseguente visione violetta dei colori e degli oggetti scuri), che combinato ad una vita dura e frugale, come quella testimoniata nelle lettere, e all'abuso di medicinali e assenzio, nonché in presenza di un temperamento malinconico-depressivo, abbia fatto percepire il mondo circostante come velato da una tinta gialla, la medesima riproposta nelle sue opere del periodo arlesiano e di quello successivo.

35 All'arrivo in Provenza, l'artista, che aveva lasciato le stampe giapponesi a Parigi, dichiara di non averne più bisogno in quanto “mi sembra di essere in Giappone” e dunque può godere degli stessi colori delle xilografie collezionate che lo hanno in precedenza ispirato (cfr. VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 415). A proposito dei Girasoli, nelle lettere, il maestro riferisce che sono la “manifestazione (malinconica) dei suoi stati d'animo”, mentre il colore giallo è fonte di gioia (“Com'è bello – afferma - il giallo” (cfr. VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 462)).

36 Sappiamo dalle lettere che a Parigi Van Gogh e Gauguin si sono incontrati, frequentati e apprezzati, in un'occasione si scambiano anche delle opere: Vincent riceve una visione di Martinica, mentre Paul riceve due tele con i Girasoli spezzati e recisi. La circostanza ci fa comprendere che in quel momento il Francese è già più affermato, non è un caso che a fronte di una sola opera ne riceva in cambio due.

37 Una firma che si armonizza con la composizione attraverso il colore, solo il nome, privo di cognome, “per il semplice fatto che qui (in Francia) non sanno come pronunciare il mio cognome”, così il pittore diventa semplicemente Vincent (cfr. VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 416).

38 Il quadro, di proprietà di Johanna, è emblema dell'instancabile lavoro, ereditato dal marito Théo, portato avanti indefessamente e strategicamente dalla donna alla ricerca della consacrazione del nome del cognato. L'iconica rappresentazione è venduta, con una certa riluttanza da parte di Jo che non l'avrebbe voluta alienare, nel 1924, alla National Gallery, primo museo pubblico in assoluto ad acquistare ed esporre una tela dell'Olandese. A fronte della vendita la donna, che muore l'anno successivo, si dice soddisfatta e contenta di aver finalmente immortalato il nome di Vincent, nonché di aver riscattato la memoria del marito Théo che ha sempre creduto, a dispetto delle apparenze e degli insuccessi, nell'arte del fratello (sulla Bonger cfr. SANCHEZ 2016).

39 La questione della mutilazione o automutilazione è tuttora una tematica aperta ed irrisolta: nel 2009, due

studiosi tedeschi, accademici dell'Università di Amburgo, Hans Kaufmann e Rita Wildegans, annunciano la nuova teoria secondo cui il taglio è stato perpetrato non dall'Olandese, ma dall'amico Gauguin, che in quelle settimane è ospite di Van Gogh nella famosa “casa gialla”. Lo studio L'orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio (cfr. KAUFMANN –WILDEGANS 2009, pp. 392 e seg.), riporta che al termine di una lite per motivi non meglio definiti, forse di natura artistica o passionale, “sembra, infatti, che entrambi corteggino «una prostitu­ta» di nome Rachel” (cfr. Ibidem), il Francese possa aver reciso il lobo di Vincent. I ricercatori, a riprova della tesi, spiegano che «l'automutilazione di Van Gogh non è mai stata provata» (Ivi, p. 23) e non casualmente, dopo la tragica vicenda, Paul sarebbe precipi­tosamente ritornato a Parigi, per poi fuggire a Tahiti. Il taglio, secondo gli autori, è avvenuto con una scia­bola, poi gettata nel Rodano. Van Gogh poi, per questioni forse di lealtà o meramente caratteriali avrebbe taciuto il fatto, per proteggere l'amico; nelle settimane seguenti i due hanno, infatti, ripreso i contatti e si sono scritti delle lettere (cfr. https://vangoghletters.org/vg/letters.html).

Tacere per lealtà, amicizia o propensione caratteriale è una dinamica che ritroviamo sette mesi più tardi in occasione dell'incidente che ha provocato la morte del pittore; anche in quel frangente lo svolgersi dei fatti non è mai stato del tutto chiarito e l'affermazione del maestro “non accusate nessuno” rimane sibillina rispetto alle contraddizioni rilevate nella dinamica dell'incidente (cfr. NAIFEH – WHITE-SMITH 2012 (1994), passim; JAEGLE' 2018, passim).

Secondo gli accademici amburghesi, dunque, «La versione tradizionale, quella finora accre­ditata, è basata solo su affermazioni senza prove e sul racconto di Gauguin, che non sarebbe nemmeno stato presente al fatto, un racconto pieno di contraddizioni e di punti oscuri. Non esiste un'inchiesta uffi­ciale e nemmeno un testimone indipen­dente. Van Gogh, per parte sua, non ha mai confermato niente» (cfr. KAUFMANN –WILDEGANS 2009, pp. 392–seg.). La tesi degli storici, non avvallata da documenti o testimonianze, è, però, respinta dal comitato scientifico del Museo Van Gogh di Amsterdam, attorno al quale gravitano i massimi esperti del maestro olandese.

Dello stesso periodo, è una seconda teoria, di sapore più sensazionalistico e poco scientifico, proposta dal giornalista, scrittore Martin Bailey, specializzato nel campo storico-artistico. Secondo l'autore, il motivo per cui il pittore si sarebbe tagliato l'orecchio non è la lite con l'amico Gauguin, ma la notizia, appena ricevuta, del fidanzamento del fratello con Johanna. La tesi è, inizialmente pubblicata sul numero di gennaio di The Art Newspaper (2009), quindi inclusa nel libro Studio of the South, Van Gogh in Provence (cfr. BAILEY 2016), e si basa sul timore provato dal pittore di «perdere l'appoggio finanziario e psicologico di Théo» (cfr. BAILEY 2016, passim). Lo storico sostiene di avere la prova che il maestro abbia ricevuto una lettera dal fratello, datata 21 dicembre del 1888 (non risultante dall'epistolario digitalizzato dal Museo di Amsterdam), in cui si annuncia il matrimonio. La lettera sarebbe arrivata il 23 dicembre; nella medesima data, in serata, si sarebbe svolto il litigio con Gauguin. A causa della pioggia, i due artisti hanno lavorato tutta la giornata nella casa-studio che condividono. I problemi già in essere tra i due, nonché il disagio di trovarsi in spazi confinati e ristretti, ha, secondo il giornalista, innescato un diverbio, che, cresciuto rabbiosamente, ha portato il Francese ad uscire di casa minacciando la partenza per Parigi. La lite unita alla notizia, ricevuta la mattina stessa, del matrimonio di Théo, devono aver procurato nel Nostro non poca ansia, che, poi, avrebbe indirizzato contro sé stesso con l'atto di autolesionismo. Fino a questo momento, riporta Bailey, non si è messa in connessione la vicenda con la notizia delle imminenti nozze, poiché, si è sempre creduto che Vincent abbia ricevuto l'annuncio solo nel gennaio successivo. In realtà, rincalza l'autore, l'epistola del fratello, giunge appena prima di Natale e contiene, oltre all'annuncio delle nozze, anche 100 franchi, e altre notizie sulla sua vita dell'uomo trentunenne che, finalmente, comincia ad affermarsi come mercante d'arte presso la Galleria d'arte Bousson-Valadon, erede della Maison Goupil, per la quale ha lavorato lo stesso Vincent all'inizio della sua carriera, quando nel 1869, terminato il collegio, è inviato prima nella sede dell'Aja e poi in quella di Londra per interessamento dello zio paterno, detto Cent (1820-1888), già mercante d'arte, che per motivi di salute, cede la sua parte della ditta dell'Aja (cfr. CRISPINO 2010, p. 22). Nello scritto Théo racconta di aver re-incontrato Jo, la giovane olandese che, in precedenza, lo ha rifiutato, e che, dopo il loro secondo incontro, ha accettato di sposarlo.  Bailey, inoltre, avrebbe stabilito che sia Théo che Jo, in quella data, hanno già informato le rispettive famiglie dell'intenzione di convolare a nozze.

40 Si veda supra n. 15.

41 Nelle lettere riporta che “Gauguin è più in buona salute di me” (cfr. VAN GOGH 2023 (1863-1890), p. 490), e che “sta avendo molta fortuna con le arlesiane” (cfr. Ivi, p. 493).

42 Gauguin lavora lentamente con metodo a memoria, Vincent, invece, lavora a gran velocità e nel tempo in cui il primo realizza un'opera, il secondo ne produce tre!

43 JAEGLE' 2018, passim.

44 Si veda supra n. 8.

45 MORICCIONE 2021, p. 257. Di questo episodio cominciano a parlare tutti gli abitanti di Arles, Van Gogh è sempre più l'artista pazzo, giornali di cronache e chiacchiere cittadine amplificano la già significativa vicenda, e gli arlesiani si convincono a firmare una petizione per allontanare il pittore folle dalla propria città.

46 VINCENT 2004

47 VINCENT 2004.

48 “Nonostante ciò, ho ripreso a lavorare e ho già 3 studi pronti in studio più il ritratto del Dott Rey, che gli ho dato come ricordo” (“Nevertheless, I've started work again and I already have 3 studies done in the studio plus the portrait of Mr Rey, which I gave him as a keepsake”, cfr. https://vangoghletters.org/vg/letters/let736/letter.html, Br 736, Lettera a Théo, Arles, 17 gennaio 1889). L'opera è realizzata verosimilmente nelle prime due settimane di gennaio del 1889, mentre è ricoverato, si tratta di un quadro connotato fortemente dal giapponismo dilagante negli ambienti artistici di riferimento del Nostro. Il Rey, però, non lo apprezza molto e consente alla madre di utilizzarlo per tappare un buco nella rete del pollaio o forse di un granaio (Van Gogh 2003, p. 128).

49 Il disegno, poi passato nell'archivio dello stesso Stone, è utilizzato per la realizzazione della biografia sul pittore del 1934 (cfr. STONE 1949 (1934)), ed è oggi conservato presso la Berkeley University (CA).

50 L'opera, assieme alle altre tele di medesimo soggetto, realizzate dal maestro in nosocomio, potrebbe rappresentare, anche solo inconsciamente, il desiderio di Vincent di riparare alla situazione che ha visto l'allontanamento di Gauguin: i dipinti, infatti, in particolare, la versione su sfondo rosso in collezione privata (Autoritratto con orecchio tagliato, 1889, olio su tela, 51 x 45 cm, collezione privata), nelle ampie zone di colore stese uniformemente, à la plat, e nella spessa linea di contorno di stampo cloissoniste, potrebbero rivelarsi come un ossequio alle soluzioni sintetiste del pittore francese.

51 Van Gogh 2003, p. 130.

52 Sebbene Vincent non sia interessato alle teorie scientifiche, in voga e seguite, per esempio da George Seurat (1859-1891), per cui la linea verticale riconduce a stati d'animo e sensazioni di tristezza, è interessante notare che in quest'opera il tratto essenzialmente verticale si accompagna ad un'atmosfera sensibilmente di mestizia.

53 MORICCIONE 2021, p. 257.

54 I quattro Vangeli ufficiali raccontano che sono presenti alla Crocifissione di Gesù tre figure femminili: Matteo (27,55-56) riporta di tre donne ai piedi della croce (due di esse si chiamano Maria (Maria di Màgdala e Maria la madre di Giacomo e Giuseppe), della terza non viene riferito il nome; Maria madre di Gesù non è ricordata).

Marco (15,40-41) riferisce di tre donne: due si chiamano Maria (Maria di Màgdala e Maria madre di Giacomo il minore e Ioses); la terza si chiama Salome. Neanche Marco ricorda la madre di Gesù. La sostanziale identità tra i racconti di Marco e Matteo si spiega con il fatto che (secondo la nota teoria delle due fonti) Matteo avrebbe usato Marco come fonte per la stesura del proprio testo.

Luca (23,49) ricorda semplicemente che delle donne assistono alla scena, ma non riferisce né il loro numero, né il loro nome.

Infine, Giovanni (19,25) riporta un elenco di tre donne di nome Maria: la madre di Gesù, Maria di Cleofa e Maria di Màgdala.



      

BIBLIOGRAFIA

BAILEY 2016 (2009)

Martin BAILEY, Studio of the South, Van Gogh in Provence, Londra, France Lincoln limited, 2016.

BAILEY 2024

Martin BAILEY, The Sunflowers are Mine; the story of van Gogh's Masterpiece, Londra, France Lincoln limited, 2024.

CRISPINO 2010

Enrica CRISPINO, Van Gogh, il colore dell'anima, Firenze Giunti, 2010.

DORN 1990

Roland DORN, Décoration Vincent van Goghs Werkreihe für das Gelbe Haus ad Arles, Hildesheim, Zurigo e New York 1990.

DUO' 2023

Giorgia DUO', Edvard Munch: consapevolmente in bilico tra genialità, follia e spiritualità, in “Bollettino Telematico dell'Arte” (ISSN 1127-4883, 21 Maggio 2023, n. 938, https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00938.html).

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Louise GOVIER, The National Gallery, Londra, Louise Rice, 2009,

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Marianne JAEGLE', Giallo Van Gogh, traduzione a cura di Maria Letizia Fanello, Roma, L'Asino d'Oro Ed., 2018.

KAUFMANN - WILDEGANS 2008

Hans KAUFMANN - Rita WILDEGANS, Van Gogh Ohr. Paul Gauguin und der Pakt des Schweigens, Berlino, Osburg Verlag, 2008.

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Alessandro MORICCIONI, I pittori maledetti, Roma, Newton&Compton, 2021.

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Steven NAIFEH - Gregory WHITE-SMITH, Van Gogh: The Life, New York, Random House, 2012 (1994).

SANCHEZ 2016

Camilo SANCHEZ, La vedova Van Gogh, Milano, Marcos y Marcos, 2016.

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Ukiyo-e, Mostra di stampe giapponesi a colori dal XVII al XIX secolo, catalogo a cura di Maurizio Bonicatti, Roma, Japan Cultural Institute in Rome, 1972.

Van Gogh 2003

Van Gogh, I classici dell'arte, il Novecento, con presentazione di Giulio Carlo Argan, Milano, Rizzoli– Skira, Corriere della Sera 2003.

VAN GOGH 2023 (1863-1890)

Vincent VAN GOGH, Lettere a Theo (1863-1890), ed. integrale, traduzione a cura di D. Ciccone e M. Rosario, Binasco (Milano), Liberamente ed., 2023.


      

SITOGRAFIA

I siti, consultati nel Dicembre del 2024, sono presentati in ordine di citazione


https://vangoghletters.org/vg/letters.html

(progetto di digitalizzazione delle lettere del maestro ad opera del Museo Van Gogh di Amsterdam. Contiene tutte le lettere al fratello Theo, agli artisti e amici Paul Gauguin e Emile Bernard e a molti altri destinatari).

https://www.corriere.it/...09_maggio_05/gauguni_orecchio_van_gogh_bucci

https://www.repubblica.it/...van_gogh_risolto_giallo_orecchio_mozzato

https://www.corriere.it/...09_dicembre_27/marchetti-orecchio-vangogh

https://sole24ore.com/...vincent-che-strano-fratello

https://www.nationalgallery.org.uk/...sunflowers-symbols-of-happiness

https://www.nationalgallery.org.uk/...vincent-van-gogh-sunflowers

https://www.sammlung.pinakothek.de/.../vincent-van-gogh/sonnenblumen

https://web.archive.org/...vangoghmuseum.nl/

https://www.philamuseum.org/collection/object/59202?



     

FILMOGRAFIA

VINCENT 2004

Vincent: The Full Story (Channel 4, 2004) about Vincent van Gogh. (Three-episode series), regia di Mark James, con Waldemar Januszczak, serie tv documentario ZCZ Films production

SIMON 2006

Simon Schama's Power of Art, episodio 6 (2006), serie tv BBC scritta e presentata da Simon Schama

VAN GOGH 2010

Van Gogh - Lettere dalla follia, regia di Andrew Hutton (2010), film tv

VAN GOGH 2018

Van Gogh - Tra il grano e il cielo, regia di Giovanni Piscaglia (2018) - documentario

BBC 4 2020

BBC 4 – The Art Mysteries with Waldemar Januszczak, Series 1, Van Gogh's Self-Potrait with Bandaged Ear.

VAN GOGH 2021

Van Gogh - I Girasoli (Sunflowers: From The Van Gogh Museum Amsterdam), regia di David Bickerstaff (2021) - documentario della serie "Exhibition on Screen".

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