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Elaborazione di una lingua visiva.
All'origine del Sequenzialismo nell'Arte
 
Angelo Calabria in arte ACA
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 07 Gennaio 2025, n. 971
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00971.html
Articolo presentato il 24 Dicembre 2024, accettato il 06 Gennaio 2025 e pubblicato il 07 Gennaio 2025
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Area Artisti

Abstract

Questo saggio trae origine dagli appunti sparsi nei miei “Diari Sequenzialisti”, redatti a partire dai primi anni del nuovo millennio. Queste riflessioni sul linguaggio artistico mirano ad avvicinare e rendere accessibile l'inedita dimensione espressiva sequenzialista, in grado di rivelare specificità comunicative ancora in fase embrionale ma ricche di potenzialità latenti.

Dall'introduzione filosofica a questa lingua visiva, ci si incammina nel percorso di scoperta della dimensione comunicativa, fino ad arrivare alla piena consapevolezza e padronanza degli strumenti segnici spazio-temporali, peculiari del Sequenzialismo applicato all'Arte.

Alla luce della strada fin qui intrapresa, il prosieguo della ricerca sarà incentrato sulle caratteristiche analitiche e sintetiche della grammatica sequenziale dei segni pittorici, fino agli ulteriori sviluppi e alle svariate contaminazioni con altre discipline dell'ambito creativo.

Prefazione

In questo scritto ho raccolto, per quanto mi è stato possibile ricostruire, la catena di eventi che hanno contribuito alla nascita della mia coscienza “sequenzialista”; sfociata, ad un certo punto del mio percorso di vita, nella creazione artistica di una lingua visiva evoluta in grado di rispecchiare i progressi comunicativi della nostra epoca digitale.


Primi ricordi (1978-1986)

Ricordo bene i primi “segni” che mi affascinarono da bambino: erano le forme slanciate delle astronavi dei cartoni animati. Mi stimolavano a tal punto che – in preda all'eccitazione – le disegnavo, incollato alla televisione, ancor prima che il programma terminasse.

Crescendo, da adolescente, portai con me questa passione istintiva che ritrovavo ancora più intensa nelle slanciate silhouette “a freccia” degli aerei da combattimento più moderni. Contrariamente a quanto succede nella maggior parte dei casi, non era la passione per il volo a coinvolgermi, ma il fascino – per me allora indefinibile – di quelle linee “direzionate”, appuntite.

Contemporaneamente, cominciai anche ad avvertire il mistero del tempo che scorre. Oggetti come l'orologio e il calendario, con le loro successioni numeriche ricorrenti, riuscivano a farmi pensare a qualcosa di assoluto, al di là della realtà contingente, a una dimensione razionale e “calcolabile” che allora percepivo come insondabile.

Non so fino a che punto queste esperienze embrionali abbiano contribuito alla mia attuale inclinazione artistica per lo spazio-tempo – il “contare-direzionato” – ma guardandomi indietro, non posso fare a meno di pensare che abbiano comunque giocato un ruolo decisivo.


Il computer: dai videogiochi alla programmazione (1986-2000)

Nello stesso periodo in cui iniziai a frequentare la scuola superiore d'arte, nacque in me l'interesse per il computer. All'inizio, esclusivamente come strumento ludico per i videogiochi – la novità di quegli anni. A sedici anni mi regalarono un pc semi-professionale e cominciai a studiarne la programmazione. Ero letteralmente affascinato dalla possibilità di creare programmi ed effetti grafici da semplici righe di codice in sequenza: per me equivaleva all'essenza della creazione. E, cosa più importante, questa lingua “sequenziale” si sposava perfettamente con la progettualità dell'Architettura, che allora mi stimolava enormemente. Però, alla luce dell'oggi, quello era soltanto un giocattolo. La vera svolta avvenne alla fine del periodo universitario (1997), quando cominciai a interagire con i computer dell'ultima generazione. Mi si aprii un nuovo mondo, nel quale decisi di formare la mia attività lavorativa: la grafica digitale. Ben presto realizzai che le competenze informatiche acquisite in questo ambito mi tornavano utili nell'elaborazione della grammatica sequenzialista: erano due facce della stessa medaglia.


Lo stimolo della creazione: in principio l'Architettura, successivamente l'Arte (1986-1997)

Sin da giovane sentivo in me, molto forte, l'impulso alla creazione. Nel periodo in cui dovevo scegliere quale scuola superiore frequentare, vedevo nel “progetto-costruzione” il campo in cui sviluppare questa vocazione ancora in divenire. Quindi, la scelta di frequentare il quinquennio di Architettura all'Istituto d'Arte fu un'ovvia conseguenza.

Quanto amavo, allora, i grandi architetti – Walter Gropius, Le Corbusier, Mies van der Rohe e Frank Lloyd Wright – che con la loro genialità plasmavano dal nulla imponenti costruzioni. Li sentivo affini spiritualmente, soprattutto per quel che riguardava la metodologia creativa 1: la progettazione. Durante quegli anni, all'Arte non davo alcun peso, la consideravo una cosa accessoria, decorativa, all'opposto della concretezza delle strutture architettoniche.

Questo punto di vista cambiò radicalmente quando, studiando per l'esame di Maestro d'Arte del terzo anno, scoprii gli Impressionisti. Non fu il particolare impatto estetico dei loro quadri a conquistarmi, ma la teoria pittorica 2 che li reggeva. Si risvegliò in me quello stesso senso di creazione – ma incredibilmente più intenso – che fino ad allora avevo provato soltanto per la progettazione architettonica.

La fiamma che si accese in quel frangente, però, durò soltanto il periodo dell'esame – non avendo ancora la forza necessaria per imporsi. Solo successivamente, alla fine degli studi superiori, mi resi conto che ciò che mi attraeva sia della progettazione architettonica che della teoria pittorica era la comune scintilla creatrice: una forza capace di generare uno scarto linguistico evoluto, grazie al quale era possibile accrescere la conoscenza e moltiplicare le esperienze.

Conoscevo e avevo sperimentato, sia all'Istituto d'Arte che all'Accademia di Belle Arti, i vari linguaggi dell'arte: dal disegno tecnico a quello a mano libera, dalla pittura da cavalletto alle installazioni; ma nessuna di queste esperienze aveva destato in me un serio interesse per la professione dell'artista – infatti, durante gli anni di studio non avevo mai, neanche per passatempo, realizzato qualcosa al di fuori della scuola. Non mi sentivo ancora in grado di materializzare le mie visioni. Vivevo l'arte sostanzialmente come un compito affidatomi da portare a termine, cioè senza particolari velleità creative che esulassero dall'ambito scolastico.

Tutto cambiò nel 1997, durante l'ultimo anno di Accademia – quello che avevo riservato esclusivamente per la tesi di laurea. Lì avvenne la fusione tra le due dimensioni creative sulle quali mi ero formato: quella razionale e metodica delle prime esperienze architettoniche e quella artistica, più istintiva e tormentata, che avevo coltivato negli ultimi anni. Successe, allora, qualcosa che cambiò per sempre il mio rapporto con l'Arte.

Ricordo con precisione che proprio quell'anno, il pensiero di cosa avrei fatto delle esperienze artistiche maturate cominciò a risuonarmi in testa in maniera insistente e pressante.

Ma non era un pensiero pratico di tipo lavorativo nell'ambito delle belle arti. Era qualcosa di simile a una voce, una eco lontana molto difficile da mettere a fuoco, che pian piano provavo a materializzare nella mia coscienza.

Il mio interesse crebbe esponenzialmente. Cercai di capire cosa fosse l'Arte nell'epoca in cui vivevo e dove mi avrebbe portato questa rinnovata consapevolezza. Iniziai un periodo di riflessioni, studi e ricerche che culminarono in due eventi che si sarebbero rivelati determinanti per il futuro cammino che avrei intrapreso.

Il primo accadde quando, studiando per l'ultimo esame di Storia dell'Arte all'Accademia, mi imbattei nell'immagine di un particolare quadro. Fu come se dentro la mia testa si fosse ricollegato qualcosa. I mille pensieri fino ad allora confusi, da quel momento trovarono un percorso chiaro e definito. Il quadro in questione era Paulo vestito da Arlecchino, di Pablo Picasso (Fig. 1).

Fig. 1 - Pablo Picasso, Paulo vestito da Arlecchino, 1924, olio su tela, 130 × 97,5 cm., Musée National Picasso, Parigi (Francia). https://deartibusblog.wordpress.com/2017/06/09/unoalgiorno-picasso-paulo-vestito-da-arlecchino/ (03/08/2018) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 1 - Pablo Picasso, Paulo vestito da Arlecchino,
1924, olio su tela, 130 × 97,5 cm.
Musée National Picasso, Parigi (Francia),
https://deartibusblog.wordpress.com/2017/06/09/
unoalgiorno-picasso-paulo-vestito-da-arlecchino/ (03/08/2018)
Cortesia Angelo Calabria

A colpirmi non fu il soggetto o la composizione delle forme e dei colori, bensì le differenti zone della fattura pittorica che era organizzata per fasi chiaramente leggibili. Questa caratteristica distingueva questo quadro da tutti gli altri che avevo visto fino ad allora. Non era certo un rivoluzionario quadro cubista, ma uno di quelli intimi, familiari che l'artista aveva fatto per sé. Alcune parti, come quella inferiore e le gambe della poltroncina, erano appena disegnate con un segno leggero, nervoso; altre, come la seduta e il costume da Arlecchino, erano campite e abbozzate con decisione; infine, altre ancora, come il volto del bambino, erano perfettamente rifinite.
Ragionando su questa “successione” delle parti, balenò nella mia mente la visione di un universo espressivo carico di possibilità, una dimensione comunicativa inedita che aspettava soltanto di essere esplorata.

Il secondo evento mi spinse con maggiore consapevolezza in questa nuova direzione. Un giorno, sfogliando una rivista d'arte fui colpito da un articolo che parlava di una mostra nella quale erano esposti alcuni disegni e quadri “non finiti” di Paul Cézanne. La singolarità dell'evento consisteva nell'allestimento: le opere erano collocate secondo una determinata sequenza che permetteva di vedere e comprendere il processo di realizzazione che aveva adottato l'artista (Figg. 2-5).



Fig. 2 - Paul Cézanne, La Montagne Sainte Victoire vue des Lauves, 1900-1906, acquerello e grafite su carta, 31,9 x 47,6 cm, Fondation Henry et Rose Pearlmann, Princeton University Art Museum, Princeton, NJ (USA). http://www.societe-cezanne.fr/2016/12/01/deux-aquarelles-de-cezanne-de-la-fondation-jean-planque/ (03/08/2018) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 2 - Paul Cézanne,
La Montagne Sainte Victoire vue des Lauves,
1900-1906, acquerello e grafite su carta, 31,9 x 47,6 cm.
Fondation Henry et Rose Pearlmann,
Princeton University Art Museum, Princeton, NJ (USA),
http://www.societe-cezanne.fr/2016/12/01/
deux-aquarelles-de-cezanne-de-la-fondation-jean-planque/ (03/08/2018),
Cortesia Angelo Calabria



Fig. 3 - Paul Cézanne, La montagna Sainte Victoire vista da Les Lauves, 1904 circa, olio su tela, 54 x 64 cm, collezione privata, New York (USA).
http://www.deartibus.it/drupal/content/la-montagna-sainte-victoire-vista-da-les-lauves-6
(03/08/2018) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 3 - Paul Cézanne,
La montagna Sainte Victoire vista da Les Lauves,
1904 circa, olio su tela, 54 x 64 cm.
Collezione privata, New York (USA),
http://www.deartibus.it/drupal/content/
la-montagna-sainte-victoire-vista-da-les-lauves-6
(03/08/2018), Cortesia Angelo Calabria



Fig. 4 - Paul Cézanne, La montagna Sainte Victoire vista da Les Lauves, 1904-1906, olio su tela, 54 x 73 cm, collezione privata di Viktor e Marianne Langen, Neuss (Germania).
https://www.deartibus.it/drupal/content/la-montagna-sainte-victoire-vista-da-les-lauves (03/08/2018) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 4 - Paul Cézanne
La montagna Sainte Victoire vista da Les Lauves,
1904-1906, olio su tela, 54 x 73 cm.,
Collezione privata di Viktor e Marianne Langen, Neuss (Germania),
https://www.deartibus.it/drupal/content/
la-montagna-sainte-victoire-vista-da-les-lauves
(03/08/2018), Cortesia Angelo Calabria



Fig. 5 - Paul Cézanne, Mont Sainte-Victoire, 1902-1904, olio su tela, 73 x 91,9 cm, Philadelphia Museum of Art (USA).
https://smarthistory.org/cezanne-mont-sainte-victoire/ (03/08/2018) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 5 - Paul Cézanne,
Mont Sainte-Victoire,
1902-1904, olio su tela, 73 x 91,9 cm.,
Philadelphia Museum of Art (USA),
https://smarthistory.org/cezanne-mont-sainte-victoire/
(03/08/2018), Cortesia Angelo Calabria

Incrociando ed elaborando analiticamente queste due esperienze, accadute a breve distanza l'una dall'altra, misi a punto una precisa metodologia creatrice: quella sequenzialità spazio-temporale (ancora a livello embrionale, a quel tempo) dalla quale si sarebbe sviluppata tutta la mia futura ricerca linguistica.

La nascita del Sequenzialismo nell'Arte (1998-2000)

Concluse le esperienze scolastiche, potevo dedicarmi seriamente e con tutto me stesso all'Arte. Come succede spesso in questi casi, dentro di me sapevo cosa fare, ma non come farlo.

Decisi allora di riordinare i miei pensieri teorici attraverso la scrittura. Iniziai a raccogliere, nei già citati diari, i vari spunti e le riflessioni che fino ad allora avevo elaborato. In seguito, questo materiale sarebbe stato canalizzato nel sito web e nelle pubblicazioni tematiche. Scrivere, da un lato mi aiutava a scandire e focalizzare introspettivamente le varie tappe del percorso artistico-filosofico, mentre dall'altro – in simbiosi con la realizzazione delle opere –, contribuiva a indirizzare la dimensione espressiva “sequenzialista” verso l'esterno.

A guidarmi in questo cammino furono – allora come oggi – gli scritti di Wassily Kandinsky e Paul Klee. Di entrambi mi colpì profondamente la metodologia creatrice e l'approccio innovativo ad una lingua visiva capace di proiettarsi verso inedite speculazioni espressive a discapito di finalità comunicative acquisite. Seguendo Kandinsky, iniziai a codificare una grammatica segnica – sempre più complessa e intelligibile – che spostava i valori significativi dall'estetica formale e cromatica all'elaborazione spazio-temporale. Klee, mi indicò la strada per strutturare la lingua sequenzialista secondo le linee guida della “crescita” organica dei segni; il mio obiettivo non era più l'immagine espressiva risultante dal processo genetico, ma la leggibilità emotiva dei percorsi sequenziali realizzativi, incarnazione diretta della genesi creatrice.

Ripensavo ai tempi della scuola superiore, quando avevo un'istintiva attrazione per l'estetica delle opere di Piet Mondrian, così affini alla concezione architettonica che tanto mi stava a cuore. Ora, tutto ciò impallidiva davanti alla grandiosa prospettiva di poter creare qualcosa di linguisticamente ampio ed organico, in grado di evolvere i livelli comunicativi conosciuti.

Nonostante gli studi artistici, soltanto grazie a questa “visione creatrice” presi la decisione di dedicarmi al progresso dell'Arte nella mia epoca, in mancanza della quale, forse, mi sarei accontentato di un'attività incline alla semplice creatività.

Riuscire a materializzare un pensiero, facendolo “funzionare” linguisticamente come Opera d'Arte, credo sia il compito più arduo – e allo stesso tempo più stimolante – per l'Artista Creatore.

Un giorno come tanti, completamente preso da uno dei tanti problemi teorici che aspettavano risposta, il mio sguardo fu attratto da qualcosa che inaspettatamente mi colpii intensamente. Era una “figura” che avevo visto e rivisto centinaia di volte, ma che adesso si era rivelata essere la soluzione ai problemi linguistici che mi tormentavano incessantemente. Ebbene, qual era questa rivelazione? Semplicemente la decorazione “floreale” di una mattonella sulla parete di casa mia (Fig. 6).



Fig. 6 - foto: © ACA (Angelo Calabria) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 6 - foto: © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria

Dall'analisi di questa particolare struttura compositiva, elaborai percettivamente una serie di percorsi segnici spazio-temporali, sia regolari che irregolari, affini alla funzionalità linguistica sequenziale che stavo sviluppando. Partendo da questo modello, misi a punto la codifica segnico-espressiva dalla quale sarebbero scaturiti i percorsi freccia-numero, alfabeto di una lingua visiva evoluta ricca di potenzialità (Figg. 7-10).




Fig. 7 - © ACA (Angelo Calabria). Cortesia Angelo Calabria
Fig. 7 - © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria



Fig. 8 - © ACA (Angelo Calabria) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 8 - © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria



Fig. 9 - © ACA (Angelo Calabria) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 9 - © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria



Fig. 10 - © ACA (Angelo Calabria) - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 10 - © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria

A questo punto, una cosa mi era molto chiara: l'immagine significativa aveva perso il suo monopolio a favore di un contenuto nuovo, un contenuto tutto da scoprire ed elaborare attraverso una grammatica di vettori spazio-temporali, “creati-contati” per ogni percorso espressivo individuato.

Si disvelava ai miei occhi una nuova semantica visiva, affine alla realtà digitale che scorre al di là dei monitor che ci circondano. Non il prodotto estetico “simulato” di una realtà familiare e coinvolgente, ma l'essenza dei processi sequenziali di calcolo che generano quella stessa realtà attraverso gli schermi.


La scoperta del codice: The Matrix (2001)

Il film The Matrix, uscito nel 1999, affronta il dualismo realtà apparente/realtà digitale. Le macchine controllano l'umanità attraverso una neuro-simulazione digitale – regolata in tutti i suoi aspetti dal “codice” – che ricrea una quotidianità familiare atta a nascondere la reale e devastata situazione post-nucleare. La storia ruota attorno a diversi personaggi che si muovono – connettendosi e disconnettendosi continuamente – tra queste due dimensioni cercando di liberare dal giogo delle macchine quanti più esseri umani possibile.

Due scene, in particolare, catturarono il mio interesse quando vidi il film per la prima volta.

Nella prima, l'operatore che controlla lo scorrere del codice dall'esterno di Matrix, rivela al protagonista che dopo tanto tempo passato ad osservarlo, non vede più sullo schermo sequenze di simboli in costante elaborazione, ma riesce a vedere, al loro posto, la realtà simulata delle città, delle strade e delle persone che il codice ricrea (Fig. 11).



Fig. 11 - Jack Skoda. (05/09/2013). All I see is ... (The Matrix). [File video].
Tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=7-GTcHZkfCs (03/08/2018).
The Matrix. Regia di The Wachowski Brothers. Con Keanu Reeves, Laurence Fishburne. Warner Bros, Warner Home Video. USA. 1999  - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 11 - Jack Skoda, (05/09/2013),
All I see is ... (The Matrix), [File video],
Tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=7-GTcHZkfCs (03/08/2018)
The Matrix, Regia di The Wachowski Brothers,
con Keanu Reeves, Laurence Fishburne. Warner Bros
Warner Home Video, USA, 1999, Cortesia Angelo Calabria

Nella seconda – che è la scena clou del film –, il protagonista prende coscienza delle sue accresciute capacità all'interno della realtà codificata di Matrix, e acquisisce la capacità di “vedere” e “manipolare” il codice per portare a termine la sua missione (Fig. 12).



Fig. 12 - 30 Minutes movies. (28/11/2013). 30 Minutes movies: The Matrix. [File video].
Tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=lPOXR4dXxDQ (03/08/2018).
The Matrix. Regia di The Wachowski Brothers. Con Keanu Reeves, Laurence Fishburne. Warner Bros, Warner Home Video. USA. 1999 - Cortesia Angelo Calabria
Fig. 12 - 30 Minutes movies. (28/11/2013)
30 Minutes movies: The Matrix, [File video],
Tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=lPOXR4dXxDQ (03/08/2018)
The Matrix, Regia di The Wachowski Brothers,
Con Keanu Reeves, Laurence Fishburne.
Warner Bros, Warner Home Video, USA, 1999,
Cortesia Angelo Calabria

Il Sequenzialismo nell'Arte, di riflesso, genera una “visione” linguistica capace di penetrare la realtà ricostruita che vediamo attraverso i monitor, arrivando a “manipolare” – in chiave spazio-temporale – il codice dei segni al fine di creare una gamma espressiva di sequenze significative frutto della simbiosi comunicativa tra uomo e macchina.


La scoperta della filosofia del sequenzialismo (2002)

In quei primi anni di intense ricerche e sperimentazioni, sorse il problema di come definire quello a cui stavo mirando. Prendendo spunto dal concetto delle fasi in sequenza, che avevo analizzato nei quadri di Picasso e Cézanne, mi focalizzai sull'idea di “progetto” (che ben si adattava alla natura tecnico-progettuale dei miei studi liceali), e per un po' di tempo sviluppai la parte teorica su questa premessa.

Mi resi conto ben presto, però, che il concetto di “progetto” indicava principalmente la fase embrionale di qualcosa di futura realizzazione. Questo termine non riusciva a descrivere l'essenza linguistica che volevo comunicare. Ragionai quindi sulla funzionalità espressiva che le mie opere dovevano possedere: la sequenzialità.

Il termine “sequenzialismo” venne da sé. Chissà se esisteva già qualcosa con quel nome. Google 3, ricerca… eccolo! Avevo trovato la filosofia del sequenzialismo del prof. Achille C. Varzi 4. Lo contattai subito esponendogli il frutto delle mie teorie. Lui fu incuriosito dal mio lavoro e mi inviò alcune sue pubblicazioni sull'argomento. Leggendole, mi accorsi subito che i paradigmi sequenziali di questa particolare teoria filosofica ben si sposavano con la funzionalità segnico-linguistica spazio-temporale a cui stavo lavorando.


La scoperta del contenuto spazio-temporale (2002-2006)

Dopo un inizio ibrido, contaminato da strutture linguistiche già acquisite, cominciai a elaborare il nocciolo semantico sequenzialista. Procedendo sia analiticamente che sinteticamente, tra teoria e sperimentazione, arrivai finalmente (talvolta con molti sforzi del pensiero) all'essenza comunicativa a cui miravo: il contenuto spazio-temporale espressivo-significativo. Mi trovai allora – ne ebbi la chiara percezione – sulla soglia di una dimensione che forse nessuno aveva mai oltrepassato, addentrandosi oltre questo confine.

All'inizio delle mie ricerche riscontravo, in opere di altri artisti, elementi che potevano avere delle attinenze con i concetti di sequenza e calcolo su cui stavo lavorando, esplicitati però, quasi sempre, in maniera elementare e limitata, cioè non strutturati linguisticamente. Io invece miravo a qualcosa di sintatticamente e grammaticalmente intelligibile.

Cos'era dunque questo contenuto inedito che mi sforzavo di far emergere dai mie lavori? Era la linfa vitale dell'opera: il percorso realizzativo-sequenziale dei segni. Ogni direzione che l'artista elabora mentalmente/manualmente attraverso le diverse successioni grafiche, può essere seguita-contata allo stesso modo dall'osservatore, che condivide così la sensazione di stratificazione sequenziale che pian piano, segno dopo segno, consente di accedere ad una dimensione linguistica evoluta, oggi ancora difficile da cogliere in tutte le sue potenzialità.

Il corto circuito sequenziale tra gestualità e percezione – che caratterizza questo sistema segnico spazio-temporale – genera una precisa matrice espressiva “digitale” che, nelle sue infinite combinazioni direzionabili, è in grado di rivelare un orizzonte di nuove possibilità comunicative teoricamente illimitate.


La capacità di “cogliere il numero che c'è in tutte le cose” in chiave sequenzialista
(2007-2011)

Per mettere a punto questa complessa parte teorica, mi esercitai a lungo, e spesso intensamente, allo scopo di affinare la particolare capacità eidetico-sequenziale che mi avrebbe consentito di “vedere” e “contare” le direzioni spazio-temporali – statiche e dinamiche – che la realtà disvelava alla mia coscienza visiva. Ci sono voluti molti anni di intenso allenamento della concentrazione per padroneggiare questa rinnovata facoltà espressiva, al fine di trasformarla, infine, nella lingua visiva a cui aspiravo.

Mentre procedo nell'elaborazione per fasi sequenziali di un'opera, sento crescere in me una specifica sensazione “stratificata”, che non è legata al risultato esteriore o interiore di quello che si va formando sotto i miei occhi. È un particolare “ambito emotivo spazio-temporale” che si sviluppa contando una sequenza dopo l'altra, all'interno di specifiche dimensioni espressive messe in funzione dai segni freccia-numero-unità e dalle studiate successioni pittoriche. In passato, questa energia-informazione mi guidava quasi inconsapevolmente, mentre col tempo è andata chiarendosi sempre più fino a diventare la linfa sotterranea che oggi sostiene la mia prassi creativa.

Credo che per l'Arte della nostra epoca, sia venuto il momento di considerare il rapporto tra l'Artista e la Natura (esteriore o interiore che sia) come completamente “definito” in tutte le sue sfaccettature, e di volgere lo sguardo in direzione di una nuova interazione linguistica: quella tra l'Artista e la Dimensione Digitale.


Il problema del contenuto

I percorsi spazio-temporali dell'opera veicolano “narrazioni sequenziali”, discorsi (pittorici) racchiusi in un'inedita dimensione emotiva del contenuto, fino ad oggi celata ai nostri occhi e adesso accessibile alla nostra sensibilità più evoluta.

Più questi percorsi risulteranno chiari e leggibili, più saranno dirette e accessibili le sensazioni sequenziali che ci guidano attraverso di essi (in questo caso avremo una categoria di opere chiamata “Contigua / Dimensionale”). Più questi percorsi risulteranno sottili e strutturati, con una leggibilità articolata, più le sensazioni sequenziali che produrranno saranno ricche e indefinibili (in questo caso avremo una categoria di opere chiamata “Non Contigua / Multidimensionale”).

Tali percorsi potranno essere composti esclusivamente da singole direzioni che si succedono ordinatamente, oppure da un'ampia gamma di direzioni capaci di interagire tra di loro – accompagnandosi, contrastandosi, ostacolandosi, implementandosi, etc. – e in grado di creare, come conseguenza, una gamma illimitata di significati spazio-temporali stratificati e complessi. Una leggibilità non chiara e immediata dei segni (la “riconoscibilità” linguistica), non va considerata un ostacolo verso il contenuto, ma un'ulteriore possibilità espressiva di quel determinato percorso; possibilità che conduce a ulteriori sfaccettature significative del contenuto preso in esame.

Si imparerà a guardare l'aspetto referenziale o estetico delle forme e dei colori, non più soltanto come contrassegni di una realtà espressiva riconoscibile o di una composizione di elementi sensibili, ma si scoprirà che ogni singola parte tracciata – appartenente ad un segno freccia, ad un segno numero, ad un segno unità, e di conseguenza ad una o più successioni vettoriali – costituisce uno snodo spazio-temporale a cui connettersi per accedere ad un nuovo modo di esperire, attraverso l'Arte, la realtà digitale che ci circonda, veicolo di una più evoluta conoscenza sensibile.

Tutto il mio lavoro ha lo scopo di rendere accessibile quella dimensione sequenziale spazio-temporale – del reale e del virtuale – così peculiare della nostra epoca comunicativa. Un universo segnico multilivello, in grado di rivelarci ulteriori e infinite esperienze spirituali figlie della simbiosi linguistica con il codice digitale.












NOTE

1 Passando dall'organizzazione generale [l'urbanistica] all'edificio singolo, gli elementi essenziali che devono uniformarlo sono stati efficacemente considerati da Le Corbusier in cinque punti:

1) La casa deve essere sollevata su piloni (i pilotis), in cemento armato e perciò essere lontana dal terreno, con il giardino che le passa sotto.

2) Il giardino deve trovarsi anche al di sopra. Mentre per secoli il tetto è stato costruito a spioventi per eliminare rapidamente la pioggia evitando infiltrazioni e, accentuandone l'inclinazione (nei paesi settentrionali), anche la neve, il cemento armato permette il tetto piano, anzi concavo, perché sottoposto alla possibilità di “fessurazioni” per gli sbalzi climatici, ha bisogno di mantenere un'umidità costante, con la sola condizione che il lastrico solare sia protetto da sabbia ricoperta di spesse lastre di cemento a giunti allargati seminati di erba; così, sul tetto, fioriranno i giardini.

3) Poiché con il cemento armato la casa è costruita mediante pilastri, cessa la funzione dei muri portanti e quindi la necessità che i muri di ogni appartamento insistano su quelli sottostanti; ogni piano può essere strutturato spostando liberamente le pareti.

4) Per la stessa ragione le finestre possono correre da un capo all'altro, come una fascia continua, immettendo luce e aria.

5) E ancor per la stessa ragione la facciata è libera, può essere avanzata o arretrata rispetto ai pilastri di sostegno; non è che una membrana leggera di muro o di vetro.

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Piero Adorno, “Il Funzionalismo: Le Corbusier”, in
L'arte italiana. Le sue radici greco-romane e il suo sviluppo nella cultura europea, Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze, prima edizione gennaio 1986, vol. III (Dal Settecento ai giorni nostri), pp. 584-585.

2 La grande specificità del linguaggio pittorico impressionista sta soprattutto nell'uso del colore e della luce in quanto elementi principali della visione. La maggior parte della esperienza pittorica occidentale, tranne alcune eccezioni, si è sempre basata sulla rappresentazione delle forme e dello spazio. L'intento degli impressionisti è riprodurre l'intensità visiva che si ottiene da una percezione diretta della realtà e per far ciò adottano le seguenti tecniche:

1. utilizzano solo colori puri;

2. non diluiscono i colori per realizzare il chiaro-scuro, che nelle loro tele è del tutto assente;

3. accostano colori complementari per esaltare la sensazione luminosa;

4. non usano mai il nero;

5. anche le ombre sono colorate.
______________
Januarts, “Le rivoluzioni tecniche sul colore e sulla luce”, In
Impressionismo, 28/02/2011, p. 2, http://www.januarts.it/dis_arte/arte/TXT/impressionismo_schema.pdf (08/11/2020)


3 Google LLC è un'azienda statunitense che offre servizi online, con quartier generale a Mountain View in California, nel cosiddetto Googleplex. Tra la grande quantità di prodotti o servizi offerti troviamo il motore di ricerca Google, il sistema operativo Android, il sistema operativo Chrome OS e servizi web quali YouTube, Gmail, Play Store, Google Maps e molti altri.

__________
Wikipedia, s.v. “Google (azienda)”, in Wikipedia, l'enciclopedia libera, ultima modifica 28/10/2020, https://it.wikipedia.org/wiki/Google_(azienda) (14/11/2020).

4 Achille C. Varzi (Galliate, 8 maggio 1958) è un filosofo italiano. Esponente della filosofia analitica, in Italia è noto principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e ontologia.

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Wikipedia, s.v. “Achille Varzi (filosofo)”, in Wikipedia, l'enciclopedia libera, ultima modifica 20/06/2020, https://it.wikipedia.org/wiki/Achille_Varzi_(filosofo) (14/11/2020).  


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