Prefazione
In
questo scritto ho raccolto, per quanto mi è stato possibile
ricostruire, la catena di eventi che hanno contribuito alla nascita
della mia coscienza “sequenzialista”; sfociata, ad un certo punto
del mio percorso di vita, nella creazione artistica di una lingua
visiva evoluta in grado di rispecchiare i progressi comunicativi
della nostra epoca digitale.
Primi
ricordi (1978-1986)
Ricordo
bene i primi “segni” che mi affascinarono da bambino: erano le
forme slanciate delle astronavi dei cartoni animati. Mi stimolavano a
tal punto che – in preda all'eccitazione – le disegnavo,
incollato alla televisione, ancor prima che il programma terminasse.
Crescendo,
da adolescente, portai con me questa passione istintiva che ritrovavo
ancora più intensa nelle slanciate silhouette “a freccia” degli
aerei da combattimento più moderni. Contrariamente a quanto succede
nella maggior parte dei casi, non era la passione per il volo a
coinvolgermi, ma il fascino – per me allora indefinibile – di
quelle linee “direzionate”, appuntite.
Contemporaneamente,
cominciai anche ad avvertire il mistero del tempo che scorre. Oggetti
come l'orologio e il calendario, con le loro successioni numeriche
ricorrenti, riuscivano a farmi pensare a qualcosa di assoluto, al di
là della realtà contingente, a una dimensione razionale e
“calcolabile” che allora percepivo come insondabile.
Non
so fino a che punto queste esperienze embrionali abbiano contribuito
alla mia attuale inclinazione artistica per lo spazio-tempo – il
“contare-direzionato” – ma guardandomi indietro, non posso fare
a meno di pensare che abbiano comunque giocato un ruolo decisivo.
Il
computer: dai videogiochi alla programmazione (1986-2000)
Nello
stesso periodo in cui iniziai a frequentare la scuola superiore
d'arte, nacque in me l'interesse per il computer. All'inizio,
esclusivamente come strumento ludico per i videogiochi – la novità
di quegli anni. A sedici anni mi regalarono un pc semi-professionale
e cominciai a studiarne la programmazione. Ero letteralmente
affascinato dalla possibilità di creare programmi ed effetti grafici
da semplici righe di codice in sequenza: per me equivaleva all'essenza della
creazione. E, cosa più importante, questa lingua “sequenziale”
si sposava perfettamente con la progettualità dell'Architettura,
che allora mi stimolava enormemente. Però, alla luce dell'oggi,
quello era soltanto un giocattolo. La vera svolta avvenne alla fine
del periodo universitario (1997), quando cominciai a interagire con i
computer dell'ultima generazione. Mi si aprii un nuovo mondo, nel
quale decisi di formare la mia attività lavorativa: la grafica
digitale. Ben presto realizzai che le competenze informatiche
acquisite in questo ambito mi tornavano utili
nell'elaborazione della grammatica sequenzialista: erano due facce
della stessa medaglia.
Lo
stimolo della creazione: in principio l'Architettura,
successivamente l'Arte (1986-1997)
Sin
da giovane sentivo in me, molto forte, l'impulso alla creazione.
Nel periodo in cui dovevo scegliere quale scuola superiore
frequentare, vedevo nel “progetto-costruzione” il campo in cui
sviluppare questa vocazione ancora in divenire. Quindi, la scelta di
frequentare il quinquennio di Architettura all'Istituto d'Arte fu
un'ovvia conseguenza.
Quanto
amavo, allora, i grandi architetti – Walter Gropius, Le Corbusier,
Mies van der Rohe e Frank Lloyd Wright – che con la loro genialità
plasmavano dal nulla imponenti costruzioni. Li sentivo affini
spiritualmente, soprattutto per quel che riguardava la metodologia
creativa :
la progettazione. Durante quegli anni, all'Arte non davo alcun
peso, la consideravo una cosa accessoria, decorativa, all'opposto
della concretezza delle strutture architettoniche.
Questo
punto di vista cambiò radicalmente quando, studiando per l'esame
di Maestro d'Arte del terzo anno, scoprii gli Impressionisti. Non
fu il particolare impatto estetico dei loro quadri a conquistarmi, ma
la teoria pittorica
che li reggeva. Si risvegliò in me quello stesso senso di creazione
– ma incredibilmente più intenso – che fino ad allora avevo
provato soltanto per la progettazione architettonica.
La
fiamma che si accese in quel frangente, però, durò soltanto il
periodo dell'esame – non avendo ancora la forza necessaria per
imporsi. Solo successivamente, alla fine degli studi superiori, mi
resi conto che ciò che mi attraeva sia della progettazione
architettonica che della teoria pittorica era la comune scintilla
creatrice: una forza capace di generare uno scarto linguistico
evoluto, grazie al quale era possibile accrescere la conoscenza e
moltiplicare le esperienze.
Conoscevo
e avevo sperimentato, sia all'Istituto d'Arte che all'Accademia
di Belle Arti, i vari linguaggi dell'arte: dal disegno tecnico a
quello a mano libera, dalla pittura da cavalletto alle installazioni;
ma nessuna di queste esperienze aveva destato in me un serio
interesse per la professione dell'artista – infatti, durante gli
anni di studio non avevo mai, neanche per passatempo, realizzato
qualcosa al di fuori della scuola. Non mi sentivo ancora in grado di
materializzare le mie visioni. Vivevo l'arte sostanzialmente come
un compito affidatomi da portare a termine, cioè senza particolari
velleità creative che esulassero dall'ambito scolastico.
Tutto
cambiò nel 1997, durante l'ultimo anno di Accademia – quello che
avevo riservato esclusivamente per la tesi di laurea. Lì avvenne la
fusione tra le due dimensioni creative sulle quali mi ero formato:
quella razionale e metodica delle prime esperienze architettoniche e
quella artistica, più istintiva e tormentata, che avevo coltivato
negli ultimi anni. Successe, allora, qualcosa che cambiò per sempre
il mio rapporto con l'Arte.
Ricordo
con precisione che proprio quell'anno, il pensiero di cosa avrei
fatto delle esperienze artistiche maturate cominciò a risuonarmi in
testa in maniera insistente e pressante.
Ma
non era un pensiero pratico di tipo lavorativo nell'ambito delle
belle arti. Era qualcosa di simile a una voce, una eco lontana molto
difficile da mettere a fuoco, che pian piano provavo a materializzare
nella mia coscienza.
Il
mio interesse crebbe esponenzialmente. Cercai di capire cosa fosse
l'Arte nell'epoca in cui vivevo e dove mi avrebbe portato questa
rinnovata consapevolezza. Iniziai un periodo di riflessioni, studi e
ricerche che culminarono in due eventi che si sarebbero rivelati
determinanti per il futuro cammino che avrei intrapreso.
Il
primo accadde quando, studiando per l'ultimo esame di Storia
dell'Arte all'Accademia, mi imbattei nell'immagine di un
particolare quadro. Fu come se dentro la mia testa si fosse
ricollegato qualcosa. I mille pensieri fino ad allora confusi, da
quel momento trovarono un percorso chiaro e definito. Il quadro in
questione era Paulo vestito da Arlecchino, di Pablo Picasso
(Fig. 1).
Fig. 1 - Pablo Picasso, Paulo vestito da Arlecchino,
1924, olio su tela, 130 × 97,5 cm.
Musée National Picasso, Parigi (Francia),
https://deartibusblog.wordpress.com/2017/06/09/
unoalgiorno-picasso-paulo-vestito-da-arlecchino/ (03/08/2018)
Cortesia Angelo Calabria
A
colpirmi non fu il soggetto o la composizione delle forme e dei
colori, bensì le differenti zone della fattura pittorica che era
organizzata per fasi chiaramente leggibili. Questa caratteristica
distingueva questo quadro da tutti gli altri che avevo visto fino ad
allora. Non era certo un rivoluzionario quadro cubista, ma uno di
quelli intimi, familiari che l'artista aveva fatto per sé. Alcune
parti, come quella inferiore e le gambe della poltroncina, erano
appena disegnate con un segno leggero, nervoso; altre, come la seduta
e il costume da Arlecchino, erano campite e abbozzate con decisione;
infine, altre ancora, come il volto del bambino, erano perfettamente
rifinite.
Ragionando su questa “successione” delle parti,
balenò nella mia mente la visione di un universo espressivo carico
di possibilità, una dimensione comunicativa inedita che aspettava
soltanto di essere esplorata.
Il
secondo evento mi spinse con maggiore consapevolezza in questa nuova
direzione. Un giorno, sfogliando una rivista d'arte fui colpito da
un articolo che parlava di una mostra nella quale erano esposti alcuni disegni e quadri “non finiti” di Paul Cézanne. La
singolarità dell'evento consisteva nell'allestimento: le opere
erano collocate secondo una determinata sequenza che permetteva di
vedere e comprendere il processo di realizzazione che aveva adottato
l'artista (Figg. 2-5).
Fig. 2 - Paul Cézanne,
La Montagne Sainte Victoire vue des Lauves,
1900-1906, acquerello e grafite su carta, 31,9 x 47,6 cm.
Fondation Henry et Rose Pearlmann,
Princeton University Art Museum, Princeton, NJ (USA),
http://www.societe-cezanne.fr/2016/12/01/
deux-aquarelles-de-cezanne-de-la-fondation-jean-planque/ (03/08/2018),
Cortesia Angelo Calabria
Fig. 3 - Paul Cézanne,
La montagna Sainte Victoire vista da Les Lauves,
1904 circa, olio su tela, 54 x 64 cm.
Collezione privata, New York (USA),
http://www.deartibus.it/drupal/content/
la-montagna-sainte-victoire-vista-da-les-lauves-6
(03/08/2018), Cortesia Angelo Calabria
Fig. 4 - Paul Cézanne
La montagna Sainte Victoire vista da Les Lauves,
1904-1906, olio su tela, 54 x 73 cm.,
Collezione privata di Viktor e Marianne Langen, Neuss (Germania),
https://www.deartibus.it/drupal/content/
la-montagna-sainte-victoire-vista-da-les-lauves
(03/08/2018), Cortesia Angelo Calabria
Fig. 5 - Paul Cézanne,
Mont Sainte-Victoire,
1902-1904, olio su tela, 73 x 91,9 cm.,
Philadelphia Museum of Art (USA),
https://smarthistory.org/cezanne-mont-sainte-victoire/
(03/08/2018), Cortesia Angelo Calabria
Incrociando
ed elaborando analiticamente queste due esperienze, accadute a breve
distanza l'una dall'altra, misi a punto una precisa metodologia
creatrice: quella sequenzialità spazio-temporale (ancora a livello
embrionale, a quel tempo) dalla quale si sarebbe sviluppata tutta la
mia futura ricerca linguistica.
La
nascita del Sequenzialismo nell'Arte (1998-2000)
Concluse
le esperienze scolastiche, potevo dedicarmi seriamente e con tutto me
stesso all'Arte. Come succede spesso in questi casi, dentro di me
sapevo cosa fare, ma non come farlo.
Decisi
allora di riordinare i miei pensieri teorici attraverso la scrittura.
Iniziai a raccogliere, nei già citati diari, i vari spunti e le riflessioni che
fino ad allora avevo elaborato. In seguito, questo materiale sarebbe
stato canalizzato nel sito web e nelle pubblicazioni tematiche.
Scrivere, da un lato mi aiutava a scandire e focalizzare
introspettivamente le varie tappe del percorso
artistico-filosofico, mentre dall'altro – in simbiosi con la
realizzazione delle opere –, contribuiva a indirizzare la
dimensione espressiva “sequenzialista” verso l'esterno.
A
guidarmi in questo cammino furono – allora come oggi – gli
scritti di Wassily Kandinsky e Paul Klee. Di entrambi mi colpì
profondamente la metodologia creatrice e l'approccio innovativo ad
una lingua visiva capace di proiettarsi verso inedite speculazioni
espressive a discapito di finalità comunicative acquisite. Seguendo
Kandinsky, iniziai a codificare una grammatica segnica – sempre più
complessa e intelligibile – che spostava i valori significativi
dall'estetica formale e cromatica all'elaborazione
spazio-temporale. Klee, mi indicò la strada per strutturare la
lingua sequenzialista secondo le linee guida della “crescita”
organica dei segni; il mio obiettivo non era più l'immagine
espressiva risultante dal processo genetico, ma la leggibilità
emotiva dei percorsi sequenziali realizzativi, incarnazione diretta
della genesi creatrice.
Ripensavo
ai tempi della scuola superiore, quando avevo un'istintiva
attrazione per l'estetica delle opere di Piet Mondrian, così
affini alla concezione architettonica che tanto mi stava a cuore.
Ora, tutto ciò impallidiva davanti alla grandiosa prospettiva di
poter creare qualcosa di linguisticamente ampio ed organico, in grado
di evolvere i livelli comunicativi conosciuti.
Nonostante
gli studi artistici, soltanto grazie a questa “visione creatrice”
presi la decisione di dedicarmi al progresso dell'Arte nella mia
epoca, in mancanza della quale, forse, mi sarei accontentato di un'attività incline alla semplice creatività.
Riuscire
a materializzare un pensiero, facendolo “funzionare”
linguisticamente come Opera d'Arte, credo sia il compito più arduo
– e allo stesso tempo più stimolante – per l'Artista Creatore.
Un
giorno come tanti, completamente preso da uno dei tanti problemi
teorici che aspettavano risposta, il mio sguardo fu attratto da
qualcosa che inaspettatamente mi colpii intensamente. Era una
“figura” che avevo visto e rivisto centinaia di volte, ma che
adesso si era rivelata essere la soluzione ai problemi linguistici
che mi tormentavano incessantemente. Ebbene, qual era questa
rivelazione? Semplicemente la decorazione “floreale” di una
mattonella sulla parete di casa mia (Fig. 6).
Fig. 6 - foto: © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria
Dall'analisi
di questa particolare struttura compositiva, elaborai percettivamente
una serie di percorsi segnici spazio-temporali, sia regolari che
irregolari, affini alla funzionalità linguistica sequenziale che
stavo sviluppando. Partendo da questo modello, misi a punto la
codifica segnico-espressiva dalla quale sarebbero scaturiti i
percorsi freccia-numero, alfabeto di una lingua visiva evoluta ricca
di potenzialità (Figg. 7-10).
Fig. 7 - © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria
Fig. 8 - © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria
Fig. 9 - © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria
Fig. 10 - © ACA (Angelo Calabria).
Cortesia Angelo Calabria
A
questo punto, una cosa mi era molto chiara: l'immagine
significativa aveva perso il suo monopolio a favore di un contenuto
nuovo, un contenuto tutto da scoprire ed elaborare attraverso una
grammatica di vettori spazio-temporali, “creati-contati” per ogni
percorso espressivo individuato.
Si
disvelava ai miei occhi una nuova semantica visiva, affine alla
realtà digitale che scorre al di là dei monitor che ci circondano.
Non il prodotto estetico “simulato” di una realtà familiare e
coinvolgente, ma l'essenza dei processi sequenziali di calcolo che
generano quella stessa realtà attraverso gli schermi.
La
scoperta del codice: The Matrix (2001)
Il
film The Matrix,
uscito nel 1999, affronta il dualismo realtà apparente/realtà
digitale. Le macchine controllano l'umanità attraverso una
neuro-simulazione digitale – regolata in tutti i suoi aspetti dal
“codice” – che ricrea una quotidianità familiare atta a
nascondere la reale e devastata situazione post-nucleare. La storia
ruota attorno a diversi personaggi che si muovono – connettendosi e
disconnettendosi continuamente – tra queste due dimensioni cercando
di liberare dal giogo delle macchine quanti più esseri umani
possibile.
Due
scene, in particolare, catturarono il mio interesse quando vidi il
film per la prima volta.
Nella
prima, l'operatore che controlla lo scorrere del codice
dall'esterno di Matrix, rivela al protagonista che dopo tanto tempo
passato ad osservarlo, non vede più sullo schermo sequenze di
simboli in costante elaborazione, ma riesce a vedere, al loro posto,
la realtà simulata delle città, delle strade e delle persone che il
codice ricrea (Fig. 11).
Fig. 11 - Jack Skoda, (05/09/2013),
All I see is ... (The Matrix), [File video],
Tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=7-GTcHZkfCs (03/08/2018)
The Matrix, Regia di The Wachowski Brothers,
con Keanu Reeves, Laurence Fishburne. Warner Bros
Warner Home Video, USA, 1999, Cortesia Angelo Calabria
Nella
seconda – che è la scena clou del film –, il protagonista prende
coscienza delle sue accresciute capacità all'interno della realtà
codificata di Matrix, e acquisisce la capacità di “vedere” e
“manipolare” il codice per portare a termine la sua missione
(Fig. 12).
Fig. 12 - 30 Minutes movies. (28/11/2013)
30 Minutes movies: The Matrix, [File video],
Tratto da: https://www.youtube.com/watch?v=lPOXR4dXxDQ (03/08/2018)
The Matrix, Regia di The Wachowski Brothers,
Con Keanu Reeves, Laurence Fishburne.
Warner Bros, Warner Home Video, USA, 1999,
Cortesia Angelo Calabria
Il
Sequenzialismo nell'Arte, di riflesso, genera una “visione”
linguistica capace di penetrare la realtà ricostruita che vediamo
attraverso i monitor, arrivando a “manipolare” – in chiave
spazio-temporale – il codice dei segni al fine di creare una gamma
espressiva di sequenze significative frutto della simbiosi
comunicativa tra uomo e macchina.
La
scoperta della filosofia del sequenzialismo (2002)
In
quei primi anni di intense ricerche e sperimentazioni, sorse il
problema di come definire quello a cui stavo mirando. Prendendo
spunto dal concetto delle fasi in sequenza, che avevo analizzato nei
quadri di Picasso e Cézanne, mi focalizzai sull'idea di “progetto”
(che ben si adattava alla natura tecnico-progettuale dei miei studi
liceali), e per un po' di tempo sviluppai la parte teorica su
questa premessa.
Mi
resi conto ben presto, però, che il concetto di “progetto”
indicava principalmente la fase embrionale di qualcosa di futura
realizzazione. Questo termine non riusciva a descrivere l'essenza
linguistica che volevo comunicare. Ragionai quindi sulla funzionalità
espressiva che le mie opere dovevano possedere: la sequenzialità.
Il
termine “sequenzialismo” venne da sé. Chissà se esisteva già
qualcosa con quel nome. Google ,
ricerca… eccolo! Avevo trovato la filosofia del sequenzialismo del
prof. Achille C. Varzi .
Lo contattai subito esponendogli il frutto delle mie teorie. Lui fu
incuriosito dal mio lavoro e mi inviò alcune sue pubblicazioni
sull'argomento. Leggendole, mi accorsi subito che i paradigmi
sequenziali di questa particolare teoria filosofica ben si sposavano
con la funzionalità segnico-linguistica spazio-temporale a cui stavo
lavorando.
La
scoperta del contenuto spazio-temporale (2002-2006)
Dopo
un inizio ibrido, contaminato da strutture linguistiche già
acquisite, cominciai a elaborare il nocciolo semantico
sequenzialista. Procedendo sia analiticamente che sinteticamente,
tra teoria e sperimentazione, arrivai finalmente (talvolta con molti
sforzi del pensiero) all'essenza comunicativa a cui miravo: il
contenuto spazio-temporale espressivo-significativo. Mi trovai allora
– ne ebbi la chiara percezione – sulla soglia di una dimensione
che forse nessuno aveva mai oltrepassato, addentrandosi oltre questo
confine.
All'inizio
delle mie ricerche riscontravo, in opere di altri artisti, elementi
che potevano avere delle attinenze con i concetti di sequenza e
calcolo su cui stavo lavorando, esplicitati però, quasi sempre, in
maniera elementare e limitata, cioè non strutturati
linguisticamente. Io invece miravo a qualcosa di sintatticamente e
grammaticalmente intelligibile.
Cos'era
dunque questo contenuto inedito che mi sforzavo di far emergere dai
mie lavori? Era la linfa vitale dell'opera: il percorso
realizzativo-sequenziale dei segni. Ogni direzione che l'artista
elabora mentalmente/manualmente attraverso le diverse successioni
grafiche, può essere seguita-contata allo stesso modo
dall'osservatore, che condivide così la sensazione di
stratificazione sequenziale che pian piano, segno dopo segno,
consente di accedere ad una dimensione linguistica evoluta, oggi
ancora difficile da cogliere in tutte le sue potenzialità.
Il
corto circuito sequenziale tra gestualità e percezione – che
caratterizza questo sistema segnico spazio-temporale – genera una
precisa matrice espressiva “digitale” che, nelle sue infinite
combinazioni direzionabili, è in grado di rivelare un orizzonte di
nuove possibilità comunicative teoricamente illimitate.
La
capacità di “cogliere il numero che c'è in tutte le cose” in
chiave sequenzialista
(2007-2011)
Per
mettere a punto questa complessa parte teorica, mi esercitai a lungo,
e spesso intensamente, allo scopo di affinare la particolare capacità
eidetico-sequenziale che mi avrebbe consentito di “vedere” e
“contare” le direzioni spazio-temporali – statiche e dinamiche
– che la realtà disvelava alla mia coscienza visiva. Ci sono
voluti molti anni di intenso allenamento della concentrazione per
padroneggiare questa rinnovata facoltà espressiva, al fine di trasformarla, infine,
nella lingua visiva a cui aspiravo.
Mentre
procedo nell'elaborazione per fasi sequenziali di un'opera, sento
crescere in me una specifica sensazione “stratificata”, che non è
legata al risultato esteriore o interiore di quello che si va
formando sotto i miei occhi. È un particolare “ambito emotivo
spazio-temporale” che si sviluppa contando una sequenza dopo
l'altra, all'interno di specifiche dimensioni espressive messe in
funzione dai segni freccia-numero-unità e dalle studiate successioni
pittoriche. In passato, questa energia-informazione mi guidava quasi
inconsapevolmente, mentre col tempo è andata chiarendosi sempre più
fino a diventare la linfa sotterranea che oggi sostiene la mia prassi
creativa.
Credo
che per l'Arte della nostra epoca, sia venuto il momento di
considerare il rapporto tra l'Artista e la Natura (esteriore o
interiore che sia) come completamente “definito” in tutte le sue
sfaccettature, e di volgere lo sguardo in direzione di una nuova
interazione linguistica: quella tra l'Artista e la Dimensione
Digitale.
Il
problema del contenuto
I
percorsi spazio-temporali dell'opera veicolano “narrazioni
sequenziali”, discorsi (pittorici) racchiusi in un'inedita
dimensione emotiva del contenuto, fino ad oggi celata ai nostri occhi
e adesso accessibile alla nostra sensibilità più evoluta.
Più
questi percorsi risulteranno chiari e leggibili, più saranno dirette
e accessibili le sensazioni sequenziali che ci guidano attraverso di
essi (in questo caso avremo una categoria di opere chiamata “Contigua
/ Dimensionale”). Più questi percorsi risulteranno sottili e
strutturati, con una leggibilità articolata, più le sensazioni
sequenziali che produrranno saranno ricche e indefinibili (in questo
caso avremo una categoria di opere chiamata “Non Contigua /
Multidimensionale”).
Tali
percorsi potranno essere composti esclusivamente da singole direzioni
che si succedono ordinatamente, oppure da un'ampia gamma di
direzioni capaci di interagire tra di loro – accompagnandosi,
contrastandosi, ostacolandosi, implementandosi, etc. – e in grado
di creare, come conseguenza, una gamma illimitata di significati
spazio-temporali stratificati e complessi. Una
leggibilità non chiara e immediata dei segni (la “riconoscibilità”
linguistica), non va considerata un ostacolo verso il contenuto, ma
un'ulteriore possibilità espressiva di quel determinato percorso;
possibilità che conduce a ulteriori sfaccettature significative del
contenuto preso in esame.
Si
imparerà a guardare l'aspetto referenziale o estetico delle forme
e dei colori, non più soltanto come contrassegni di una realtà
espressiva riconoscibile o di una composizione di elementi sensibili,
ma si scoprirà che ogni singola parte tracciata – appartenente ad
un segno freccia, ad un segno numero, ad un segno unità, e di
conseguenza ad una o più successioni vettoriali – costituisce uno
snodo spazio-temporale a cui connettersi per accedere ad un nuovo
modo di esperire, attraverso l'Arte, la realtà digitale che ci
circonda, veicolo di una più evoluta conoscenza sensibile.
Tutto
il mio lavoro ha lo scopo di rendere accessibile quella dimensione
sequenziale spazio-temporale – del reale e del virtuale – così
peculiare della nostra epoca comunicativa. Un universo segnico
multilivello, in grado di rivelarci ulteriori e infinite esperienze
spirituali figlie della simbiosi linguistica con il codice digitale.
NOTE
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