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Giovanni Bellini alle Scuderie del Quirinale  
Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 29 Ottobre 2008, n. 509
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Area Mostre

La mostra

A quasi sessant'anni dalla storica esposizione di Palazzo Ducale (1949), auspicata nel 1946 da Roberto Longhi 1, Roma rende omaggio a Zuan Bellin (1432 ca - 1516), detto il Giambellino, genio rivoluzionario della pittura veneziana che grazie a lui passa dalla staticità quattrocentesca al caldo tonalismo del '500. Uno dei pochi artisti che abbia saputo rappresentare con carattere il XV secolo e vivere il successivo lasciando con la sua arte un segno tangibile e duraturo.

L'antologica, curata da Mauro Lucco e Giovanni Carlo Federico Villa, presenta un'ampia selezione, sessantadue dipinti, circa i ¾ dell'intera produzione certa del maestro, provenienti dai più grandi musei del mondo (Firenze, Milano, Venezia, Parigi, Londra, Madrid, Washinghton, New York, Ottawa e San Paolo). I quadri, a carattere sacro e profano, sono allestiti da Mauro Zocchetta in ambienti che, per il colore adottato, restituiscono una sensazione di sontuosità 2. L'illuminazione è certamente suggestiva: i locali, in penombra, ricevono luce dai quadri stessi che, illuminati con efficacia da una propria fonte proveniente dal basso, si rivelano in tutto il loro splendore. Eccetto un pannello ai piedi della cordonata, in cui si sintetizza cronologicamente la vita dell'artista, è abolita ogni forma di didattica esplicativa, al visitatore, però, è consegnata, assieme al biglietto d'ingresso, una piccola guida della mostra che, in maniera sufficientemente compiuta, aiuta la fruizione della stessa 3. Peccato che la felice illuminazione dei dipinti non consenta una facile lettura dell'opuscolo, le sale, infatti, sono troppo buie, pochi i punti di luce più intensi.

Apre la rassegna la grandiosa composizione, di ampio respiro spaziale, qui eccezionalmente riunita, Pala di Pesaro (1472-74) divisa, in seguito alle requisizioni napoleoniche e successive restituzioni orchestrate da Antonio Canova 4, tra la Città del Vaticano (Imbalsamazione di Cristo - Musei Vaticani) e Pesaro (Incoronazione della Vergine - Musei Civici) 5. Con quest'opera Bellini, per la prima volta, abbandona la tempera per lavorare con il colore ad olio. La Pala documenta l'incontro con l'arte di Piero della Francesca, artista urbinate che suggerisce al maestro l'uso della prospettiva, della plasticità e della luce di impronta fiamminga. La lezione è, però, corretta, grazie anche al rapporto di amicizia con Antonello da Messina, in senso naturalistico; le sue sono si nobili e plastiche figure, ma sono anche persone vere, in carne ed ossa, tipi umani non idealizzati né qualificati in senso monumentale come quelli pierfrancescani.

I suoi personaggi, caratterizzati da un'inedita maestosità di forme, sono costruiti per  forza del colore, sono, invero, pure masse cromatiche definite dalla luce.
Ospite eccellente, esposto in IV sala, il fregio a monocromo, oltre tre metri di lunghezza, raffigurante la Continenza di Scipione (1507-08). Attribuito dal Berenson al veneziano l'allegoria, mai uscita, neanche per la memorabile retrospettiva dell'artista del 1949, dalla National Gallery di Washinghton, è stata commissionata da Francesco Corner per abbellire le pareti di una delle camere di rappresentanza del suo palazzo in San Polo a Venezia e raffigura soggetti simbolici di alto contenuto morale.

Tra le opere che hanno reso celebre il Bellini si indica, a chiusura del primo piano, l'imponente Battesimo di Cristo (1510) di Vicenza. L'oeuvre restituisce un equilibrio perfetto tra figure e natura: il paesaggio non è una quinta scenica, bensì l'ambiente entro cui si svolge l'azione. Unione sincretica tra due elementi che fa della rappresentazione non uno spettacolo dipinto, ma una scena reale a cui potrebbe capitare di assistere.

Al secondo piano non possiamo non segnalare le copiosa teoria di tele raffiguranti la Madonna con Bambino, che ha fatto dell'artista il più noto e amato pittore di Madonne. Grazie alla modulazione della luce e del colore, il tema dell'amore tra Madre e Figlio è reso in maniera straordinariamente spirituale ed allo stesso tempo lirico-sentimentale.

Nella Madonna con Bambino di Verona (1474), il Bellini riprende un cartone di quindici anni prima realizzato per la Madonna con Bambino di Amsterdam (1460), il rapporto tra i due è sublimato in un paesaggio che non c'è più, ma che è comunque presente nelle notazioni atmosferiche, intensificate dai valori luministici, che avvolgono, in un ideale abbraccio, il colloquio umano trai due personaggi. In altre tele la Madonna con Bambino di Detroit (1509) o quella della Galleria Borghese (1510) il pittore introduce l'espediente del sipario che divide in due la tela, al di là del tendaggio si dispiega un paesaggio fiammingo calato in un'atmosfera palpabile e abitata. La Presentazione al Tempio del 1465 (sala VII) è un'opera che, per la scelta dell'iconografia adottata 6, rivoluziona la tradizionale resa del soggetto sacro. Si tratta di una presentazione a mezzo busto che richiama l'attenzione di chi guarda sui sentimenti che nascono dall'evento e non sull'azione didascalica come succede nelle classiche raffigurazioni da lontano. La rappresentazione è fortemente umana e supera l'idealizzazione quattrocentesca imposta dal tema di carattere religioso.
Al di là dell'impianto compositivo, certamente inconsueto, Bellini fa un'altra operazione inedita: parte dall'omaggio di Mantegna al suocero, che lo ha effigiato nei panni di San Giuseppe, e realizza una sorta di ex voto della famiglia, si autocelebra affianco del fratello Gentile sulla destra dell'opera.

Nella stessa sala il mirabile e struggente Compianto sul Cristo morto degli Uffizi (1485), opera dal deciso valore sentimentale prodotto dalla modulazione delle luce e del chiaro scuro. Una sapiente stesura a monocromo, particolarmente efficace nella resa dei particolari, come si può vedere nei vaporosi capelli e nelle barbe degli astanti, orienta verso la meditazione e la riflessione sulla drammaticità del sacrificio.

Tra i quadri esposti nella sala successiva si segnala la misteriosa Allegoria Sacra degli Uffizi (1485-88), anche in questo caso assistiamo all'introduzione di un'inedita composizione iconografica, il dipinto sembra, infatti, una Pala d'altare, con sacra conversazione, girata di 90°. Il significato della tavola, pur studiatissima, rimane ancora criptico, le dimensioni dell'opera fanno pensare ad una destinazione privata di contenuto religioso-teologico. Ammirabile la fusione formale tra natura e personaggi vivi, in carne ed ossa, alcuni dei quali identificabili dai simbolici attributi, altri, invece, rimangono ignoti sospesi nell'enigma oscuro della medesima raffigurazione.

La mostra si chiude con la sala X dove sono due versioni del Cristo portacroce (Boston 1504 e Rovigo 1505) caratterizzate da un'intensa qualità pittorica e una cromia inedita, calda e corposa che evidenzia il rapporto con Giorgione, indicato dal Vasari come suo allievo.

A conclusione l'ultimo telero di Bellini la Derisione di Noè (Bresançon Musée des Beaux- Arts et D'Archéologie 1515-16), che segna il simbolico passaggio tra due epoche. È un'opera pregna di sentimenti, non ci sono eroi, solo la triste rappresentazione del quotidiano e della vita, senza edulcoranti. La spatola si sfrange, come nel più brillante dei suoi allievi, Tiziano; l'impaginazione prospettica, lontana dagli schemi tradizionali, si fa insolita, le quattro figure dominano e si impongono sulla scena; scompaiono i suoi paesaggi ariosi. L'ultima opera dell'artista veneto presenta Noè, sotto l'effetto del robusto vino rosso, scompostamente addormentato, in uno spazio ristretto ed angoscioso, concluso, come un hortus conclusus medievale, da una parete di pampini scuri, e deriso da Cam, il figlio degenere, che osserva e beffeggia il padre per la posizione assunta e per la nudità. I fratelli virtuosi, Sem e Jafet, interpellati dal primo, per unirsi allo scherno, cercano, invece, di coprire il padre per restituirgli una certa dignità. Una derisione amara, metafora della famiglia in senso stretto e lato sensu dello Stato. L'artista con questo dipinto proclama la sua condanna della società contemporanea, che indebolisce e minaccia il Governo del Doge, in cui lui ultranovantenne non si riconosce più !



Il catalogo

Il catalogo, stampato da Silvana Editoriale, dal titolo Giovanni Bellini, è a cura dei due critici autori della mostra. Tipograficamente pregevole, esibisce una apprezzabilissima attenzione editoriale.
Diversi gli studiosi di fama mondiale che hanno reso possibile la realizzazione del volume: Matteo Ceriana, Peter Humfrey, Alessandro Nova, Anchise Tempestini, Babet Trevisan, Stefan Weppelmann e Carolyn C. Wilson, oltre, ovviamente, i due curatori.
L'opera, grazie alla nuovissima ed inedita campagna di ricerca documentaria e ai saggi di approfondimento ivi contenuti, si configura, nel panorama bibliografico del maestro, non semplice catalogo di mostra, ma aggiornata e completa monografia dell'artista.
Agile la consultazione. Dopo una corposa e densa parte iniziale, le prime 150 pagine circa, costituita da introduzioni, ringraziamenti e considerevoli, nonché fondamentali, scritti di approfondimento su vari aspetti della vita artistica del pittore, elaborati da storici e critici d'arte di spessore internazionale, si svolge il catalogo delle opere in mostra: sessantadue schede di alto contenuto ad opera degli autori degl'importanti brani sul Bellini.

L'impostazione delle cartelle del catalogo è quella classica (autore, titolo, datazione, supporto, dimensioni, luogo di conservazione, scritte o firme, restauri (se ci sono stati), bibliografia e analisi storica, iconografica, attributiva dell'opera), la rilevanza consta nel nutrito e aggiornato esame dei dipinti, svolto non da ricercatori e/o assistenti della cerchia degli studiosi accreditati, ma direttamente da loro stessi. Un ricchissimo corredo fotografico, costituito da immagini delle opere e dei relativi particolari, svolti, nella maggior parte dei casi, a piena pagina, affiancano le note di catalogo, soddisfando le necessità visive di studiosi del Giambellino e di curiosi visitatori della mostra.

Dal punto di vista scientifico, dunque, saggi e schede rappresentano lavori preziosi e vitali alla comprensione delle dinamiche storico-culturali della Venezia di fine '400.

Indichiamo di seguito, in ordine di comparsa, i saggi:

  • ... la primavera del Mondo tuto, in ato de Pitura (Marco Boschini) di Marco Lucco, curatore della mostra. Sulla base dei documenti esistenti, l'autore affronta questioni più o meno conosciute relative alla biografia dell'artista: la, ancora discussa, data di nascita del pittore; la condizione di figlio nato da relazione extra- coniugale; il rapporto che lega il Bellini al cognato Andrea Mantegna; coraggiosamente, non senza supporto documentario, il Lucco mette in discussione l'influenza che Piero della Francesca abbia potuto esercitare sul nostro.

  • L'arte della ricerca, il primato del disegno. L'altra luce di Giovanni Bellini di Giovanni C. F. Villa, l'altro curatore, dove si analizza il percorso artistico-creativo del veneziano, focalizzandosi sulla tecnica adottata. A sorpresa, grazie alle recenti conquiste tecnologiche, si scopre che la tradizionale divisione, partorita dal Vasari, per cui la scuola veneta va ammirata per il colore e la scuola toscana per il disegno, nel caso del Bellini, non ha fondamento: le riflettografie hanno, infatti, svelato la presenza fondamentale di un "invisibile" disegno di base che, assieme al colore, concorre a dare vita all'opera. Bellini, dunque, disegnava !

  • Temi profani e pittura narrativa in Giovanni Bellini di Anchise Tempestini, uno tra i maggiori esperti del veneziano. Lo studioso si occupa di quella parte della produzione artistica del pittore che rientra nell'insieme della pittura narrativa. Si analizzano le opere maggiormente significative del catalogo del maestro, in particolare la vicenda decorativa dei teleri, persi nell'incendio del 1574, della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale che sostituiscono gli affreschi trecenteschi del Guariento rovinati dalla salsedine. Anche in questo caso le tesi sono supportate da documenti storici.

  • Giovanni Bellini e i suoi committenti di Peter Humfrey, professore alla Scuola d'Arte della St. Andrew University (Scozia). Lo storico dell'arte prende in esame la committenza del pittore attraverso i dipinti stessi. Ne viene fuori un artista di grande successo, della fine '400, che, sulla base dei propri gusti, può permettersi di rifiutare incarichi non di suo gradimeno: è il caso di Gianfrancesco Gonzaga duca di Mantova a cui il Bellini rifiuta una veduta di Parigi. Si esamina nuovamente, alla luce delle nuove scoperte, la vicenda tra il pittore e Isabella d'Este che, per il suo studiolo, avrebbe voluto un'allegoria profana da mettere a confronto con il Parnaso di Andrea Mantegna. Il maestro non ci sta e la duchessa per avere un'opera del veneziano deve sottostare alle regole di quest'ultimo.

  • A lunga memoria de gli aspetti e delle conoscenze loro. Giovanni Bellini pittore di ritratti privati di Stefan Wepplemann, illustre studioso di pittura italiana, curatore del Museo di Stato di Berlino. Il tedesco analizza Bellini come autore di ritratti di ¾ pratica pittorica, già consueta in Veneto, la cui diffusione in laguna è fatta risalire dal Vasari al nostro. I suoi non sono ritratti vivi, indaganti la psiche del committente, piuttosto opere volte a attestare lo status del raffigurato, sono immagini, quasi sacre, atemporali, ferme e distaccate. L'operazione che il veneziano attua è quella di inserire il genere pittorico nel contesto politico del momento: attraverso l'emblematica sacralizzazione della figura, infatti, l'artista elogia la virtus e la nobilitas della stirpe del rappresentato. A lui spetta, inoltre, l'introduzione del ritratto di gruppo come rappresentazione del ceto patrizio veneto, per l'affermazione dell'ideale di classe.

  • Bellini e le arti plastiche di Matteo Ceriana, storico dell'arte presso la sovrintendenza statale di Milano. Le opere del Bellini, maestose ed imponenti, indicano chiaramente una riflessione sulla scultura, si ritiene che la plastica veneta in generale e quella di Donatello in particolare, dopo la vicenda padovana del quinto e sesto decennio del Quattrocento, abbiano esercitato sul maestro un'influsso determinate per il superamento del repertorio figurativo gentiliano, elaborato nella bottega familiare guidata dal padre Jacopo.

  • Icona, racconto e dramatic close-up nei dipinti devozionali di Giovanni Bellini di Alessandro Nova. L'interessante scritto vuole rivalutare l'opera del finlandese Sixten Ringbom (1935-1992) che per primo si è occupato del nuovo taglio compositivo introdotto dal maestro veneziano nelle sue opere: il close-up (primo piano) come formato inedito dove i personaggi manifestano una forte carica emotiva per entrare in un dialogo diretto con lo spettatore. L'autore ritiene che la novità compositiva sia, però, legata al sentimento religioso diffuso nella cultura devozionale della fine del '400. Si tratterebbe, cioè, di una religiosità raccolta e bisognosa, precedentemente sconosciuta, che avrebbe determinato il desiderio di carica emozionale e conseguentemente avrebbe ispirato al maestro il nuovo formato.

  • Giovanni Bellini e il dipinto d'altare. Solennità dell'intento, "pièta" necessaria e devozione assoluta: la Natività e la Trasfigurazione di Carolyn C. Wilson, studiosa americana di arte italiana. Si esamina la profonda spiritualità delle opere religiose del Bellini e la dignità della loro espressione umana.

Le ultime 60 pagine si compongono dei cosiddetti Apparati: si comincia con i documenti raccolti ed ordinati cronologicamente da Manuela Barausse, quasi 130 carte d'archivio relative alla vita del Bellini ! Segue un'approfondita bibliografia dell'artista, a partire dall'imprescindibile Vasari (1550), attraverso i secoli fino ai recentissimi studi sul maestro del 2008.
Per terminare con le fondamentali, per gli addetti ai lavori, referenze fotografiche.

Il catalogo, stampato da Silvana Editoriale, dal titolo Giovanni Bellini, è a cura dei due critici autori della mostra. Tipograficamente pregevole, esibisce un'apprezzabilissima attenzione editoriale.
Diversi gli studiosi di fama mondiale che hanno reso possibile la realizzazione del volume: Matteo Ceriana, Peter Humfrey, Alessandro Nova, Anchise Tempestini, Babet Trevisan, Stefan Weppelmann e Carolyn C. Wilson, oltre, ovviamente, i due curatori. Sorprende, però, l'assenza di Agusto Gentili, uno dei massimi esperti belliniani, le cui interpretazioni iconologiche sono certamente indiscutibili a livello di critica.
L'opera, grazie alla nuovissima ed inedita campagna di ricerca documentaria e ai saggi di approfondimento ivi contenuti, si configura, nel panorama bibliografico del maestro, non semplice catalogo di mostra, ma aggiornata monografia dell'artista.



NOTE

1 Che spettacolo, quando si farà una mostra completa di Giovanni Bellini (cfr. R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946, pp. 9-10).

2 La scelta di una profonda tonalità di rosso bordeaux rimanda, infatti, al color porpora, dal greco porphyrion, usato ancor oggi dai cardinali, ma antico attributo bizantino di regalità: l'aggettivo porfirogenito, ossia generato nella (stanza) della porpora, indicava colui o coloro che nascevano da padre regnante, una sorta di dichiarazione di legittimità. Nel Palazzo imperiale di Costantinopoli, infatti, esisteva la cosiddetta Stanza della Porpora, il luogo dove avvenivano i parti legittimi dei figli destinati ad ereditare il titolo. Il cerimoniale bizantino, inoltre, prevedeva che solo gli imperatori potessero adottare abiti e accessori di color porpora, infine era prerogativa imperiale utilizzare inchiostro di quel colore come attestazione del proprio rango.

3 L'idea, già sperimentata dalle Scuderie del Quirinale in altre esposizioni, è vincente sotto diversi punti di vista: anzitutto evita l'accalcarsi dei visitatori di fronte a pannelli didattici, spesso troppo lunghi, letti frettolosamente e purtroppo in maniera disturbata, inoltre il libriccino costituisce di per sé uno stimolo all'approfondimento e rimane un ricordo della mostra stessa.

4 Con il trattato di Tolentino (1797) Napoleone, con l'intento di aprire un Museo dipartimentale centrale a Parigi, il primo nucleo del Louvre, attua un'operazione di razzia vera e propria nei confronti di tutti i maggiori musei italiani ed europei. Dopo la Restaurazione e il Congresso di Vienna (1815) Canova, Ambasciatore dello Stato Pontificio, è inviato a Parigi per ottenere la restituzione delle opere, tra queste v'è la cimasa della Pala di Pesaro che, perso ogni legame con l'oeuvre principale, rimane nella Pinacoteca del Vaticano.

5 Rappresenta una delle ultime storie riferite dai Vangeli Apocrifi che narrano della vita di Maria: dopo la morte (trànsito) la vergine è assunta in cielo, e prende posto alla destra del figlio che la incoronata regina coeli.

6 Anche se l'invenzione iconografica spetta probabilmente al cognato artista Andra Mantegna che qualche anno prima realizza una tela di identico soggetto. Sarebbe forse stato interessante mettere a confronto le due opere.





 

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