È la mostra più pregevole
organizzata dalla BiASA dal lontano 1956, quando a Palazzo Braschi di Roma
furono esposti centinaia di disegni dell’Istituto Nazionale di Archeologia e
Storia dell’Arte (uno degli enti da sopprimere secondo le prime liste della manovra economica di Giulio Tremonti).
Nella manifestazione, visitabile
gratuitamente fino al 31 luglio 2010, ospitata nelle sale del pian terreno del
Museo Nazionale di Palazzo Venezia, concesse dalla Soprintendente Rossella
Vodret, sono esposti 60 disegni scelti fra l’enorme patrimonio del Fondo
Lanciani della BiASA (poco più di 17.000 esemplari fra incisioni, disegni e
fotografie).
L’attuale direzione di Maria
Cristina Misiti, ex ricercatrice universitaria, succeduta a Stefania Murianni
(dirigente dall’incredibile zelo burocratico-amministrativo), ha dato un
fortissimo incremento alla visibilità culturale cui una biblioteca deve mirare,
nonostante il periodo di grave crisi economica. La mancanza di fondi per gli
acquisti dei libri e la perdita del diritto, già da alcuni anni, di ricevere
una copia di ogni pubblicazione del settore per deposito legale, sta
impoverendo il patrimonio librario posseduto.
Il Fondo Lanciani costituisce
solo una grande sezione del materiale ancora più cospicuo custodito complessivamente
dalla BiASA, una Biblioteca piena di opere d’arte degne di un grande museo,
come sanno i suoi studiosi più affezionati e chi vi lavora.
Musealizzare una biblioteca è
impossibile o comunque è fortemente sconsigliabile (soprattutto nel caso di un’istituzione
specialistica per studiosi e studenti). Speriamo comunque che questa possa
essere la prima di numerose mostre, volte a promuovere la conoscenza delle collezioni,
non solo librarie, in una stretta collaborazione fra mondo accademico e
professionalità in organico.
La pergamena della Colonna
Traiana e alcuni fogli cartacei con il medesimo tema (schede di Arnold
Nesselrath), sono forse i primi capolavori su cui il visitatore si sofferma,
avanzando fra le sale (figg. 1 e 2). Gli autori del Cinquecento (la cui identificazione allo stato attuale degli studi è problematica) hanno trasformato radicalmente il racconto marmoreo della colonna: non più un evento
pubblicamente esposto, ma un episodio storico da leggere comodamente in un
interno domestico. È una lampante testimonianza di come il disegno sia uno dei
principali “atti interpretativi” e contemporaneamente un’azione conservativa,
rapida ed economica, che senza intervenire sull’oggetto ne tramanda contenuti e
forme, ad uso futuro di spettatori, studiosi e anche restauratori.
Proseguendo nel percorso, il visitatore
si rende conto sempre meglio di essere circondato da riproduzioni antiche di
originali architettonici che si trovano, nella realtà di Roma, a pochi passi. È
il caso di Veduta di Piazza del Popolo di Lievin Cruyl del 1664 (scheda
di Barbara Jatta), del disegno riproducente l’Arco di Costantino di un Anonimo
olandese del Seicento (scheda di Jörg Garms), dei notevoli progetti di
Ferdinando Fuga (schede di Elisabeth Kieven) per Palazzo Corsini e per la facciata della Chiesa di S. Maria
Maggiore.
Naturalmente non poteva mancare
in mostra uno degli elementi più caratteristici di Roma.
Roma è detta anche la “città
degli obelischi”, ma potrebbe essere definita etimologicamente “città degli
spiedini”. ‘Obelisco’, letteralmente dal greco significa “spiedino”, per la
somiglianza formale del corpo e della punta del monumento con l’utensile usato
in ambito culinario; quello stesso “spiedino egizio” usato per cuocere la carne
dai vari Kebabari mediorientali oggi onnipresenti nella Capitale.
Anche il Fondo Lanciani è pieno
di “spiedini” (alcuni disegni e varie stampe relative a trasporti e
innalzamenti), resoconti o progetti. Il tema dell’obelisco o della colonna
trionfale potrebbe costituire, data la ricchezza di materiale, l’occasione di
una prossima mostra della BiASA, usando magari sponsorizzazioni attinenti al
tema, su cui è meglio lasciare libera immaginazione.
Comunque, tornando alla mostra,
si è scelto di esporre e pubblicare in catalogo, fra i molti obelischi del
Fondo, due acquerelli di Giovanni Stern (schede di Elisabeth Kieven),
intitolati Progetto per l’innalzamento dell’obelisco Barberini (1788
ca.) fig. 3 e Progetto per l’obelisco di Montecitorio. Nell’ambito della
politica del Papa Pio VI Braschi (1775-1779), questi progetti sono probabilmente
legati alla collocazione davanti alla chiesa di Trinità dei Monti e in Piazza
Montecitorio. Spesso visibili al pellegrino fin da lontano, esprimono
chiaramente la necessità di “non smarrire il centro”, il centro della piazza,
il punto di raccordo delle strade e di raccolta dei fedeli, indicando
chiaramente il cielo.
Proprio l’atmosfera celeste
emerge delicatamente sulla carta dei due acquerelli come una leggera quinta
teatrale, alla quale è stata dedicata la stessa attenzione pittorica degli
obelischi, sfruttando le leggere variazioni celeste-grigio-bianco. Stern vuole
mostrare il soggetto senza alcuno sfondo architettonico retrostante che ne contamini
le forme, perché sia colta la purezza della sua verticalità, collocabile, a
richiesta papale, in qualsiasi scenario urbano.
Sarebbe quasi possibile lasciare
temporaneamente la mostra, andare a visitare le architetture urbane e poi
ritornare a Palazzo Venezia per un confronto, che grazie ai moderni telefoni
con fotocamere hd potrebbe essere non solo mnemonico, ma reale. Forse a questa
rilevante mostra, per essere più espliciti, poteva giovare un confronto fra i
progetti antichi e lo stato attuale delle architetture, attraverso l’uso di
vedute fotografiche.
È interessante confrontare,
infatti, il progetto (non ancora attribuito) intitolato Fantasia
Architettonica da Fontana di Trevi (scheda di Jörg Garms), con l’attuale stato
della fontana, cercando di capire il ruolo di quello spazio bianco, che
costituisce l’area maggiore del foglio, destinato a contenere magari un
capriccio poi non realizzato o forse un’alzata centrale più imponente di quell’avancorpo
sottilmente balaustrato presente nella realtà.
A pochi passi dalla fontana
progettata da Nicola Salvi, il turista trova la celebre fontana di Pietro
Bernini, ai piedi della Scalinata di Piazza di Spagna; scalinata raffigurata in
mostra (senza fontana) insieme alla sovrastante chiesa di Trinità dei Monti in
un famoso progetto attribuito ad Alessandro Specchi fig. 4 (più volte pubblicato
e databile ante 1721; scheda di Jörg Garms), non esteticamente inferiore, ma
più estremo e barocco della stupenda realizzazione di Francesco De Sanctis
(1723-26), nascosta dalla quotidiana seduta dei turisti.
Giuseppe Valadier (schede di
Elisa Debenedetti), presente nel Fondo Lanciani con centinaia di disegni, quasi
tutti in ottimo stato di conservazione, è uno dei protagonisti della mostra attraverso
i suoi progetti, che a volte nelle intenzioni di sistemazione socio-urbanistica
sembrano risentire degli utopisti francesi settecenteschi (si veda in catalogo Pianta
topografica del Nuovo Campo Marzio). In altri casi, come nei progetti di
sistemazione del Pincio, è evidente che il Valadier propone soluzioni che anche
se non vengono accolte nell’immediato costituiscono un riferimento, nei
movimenti lineari delle masse, per le sistemazioni posteriori. In mostra è
esposto anche lo schizzo per l’Arco in Onore di Pio VII, sicuramente
preparatorio a un dettagliato progetto conservato nel vicino Museo Napoleonico
di Roma, come indicato dalla Debenedetti, che rivela la velocità con cui Valadier
creava le sue masse architettoniche in modo dettagliato (questo degli archi
trionfali è un altro possibile tema di una futura grande mostra della BiASA).
È impossibile dar conto in breve
di tutte le opere presenti, ma in conclusione non si può evitare almeno di
citare: la celebre Pianta settecentesca di Giovanni Battista Nolli (sulla quale
ho visto alcuni turisti cercare invano Via dei Fori Imperiali); due Piante di
Pirro Logorio; un disegno inedito di Giovanni Battista Piranesi e i disegni per
le decorazioni della Galleria in Villa Borghese di Tommaso Maria Conca.
Il catalogo, edito da Daniela
Piazza, con il contributo della Fondazione Roma, ospita un saggio iniziale di
Maria Cristina Misiti, teso a delineare essenzialmente le vicende del Fondo
Lanciani, ulteriormente puntualizzate nel saggio di Simonetta Prosperi Valenti
Rodinò, grazie anche alle ricostruzioni documentarie di Luciano Arcadipane, Ida
Barberio e Francesca Zannoni (in organico alla BiASA), autori di interessanti
contributi in catalogo. Le schede, con differenti gradi di approfondimento e di
analisi, sono opera di vari esperti del settore (Mario Bevilacqua, Maria Teresa
Caracciolo, Elisa Debenedetti, Ursula Fischer Pace, Cristina Herrmann Fiore,
Giulia Fusconi, Jörg Garms, Erminia Gentile Ortona, Barbara Jatta, Elisabeth
Kieven, Arnold Nesselrath, Susanna Pasquali). Soprattutto nel caso di documenti
inediti o poco noti, come dichiaratamente espresso dalla curatrice, tali schede
costituiscono un punto di partenza e di stimolo per ulteriori analisi, rettifiche
e nuove attribuzioni, auspicabili per l’intero Fondo Lanciani e per altri fondi
della BiASA.
Agevolare lo studio dei
materiali, favorirne la pubblicazione a chiunque ne faccia motivata richiesta,
vuol dire esercitare, seppure indirettamente, una tutela a costo zero.
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