Si sta svolgento in questi giorni a Roma una mostra importante, quanto,
per certi versi, inedita: sessanta capolavori, dalla collezione permantente
della Solomon R. Guggenheim Foundation (New York), rappresentano per
Noi, che di arte si può dire “sappiamo”, un’occasione imperdibile per
approfondire un momento storico-artistico ancora poco conosciuto al grande
pubblico italiano, abituato ad espressioni artistiche affatto diverse rispetto
a quelle che si possono visitare fino al 6 maggio prossimo presso il Palazzo
delle Esposizioni.
Una bella opportunità, 50 artisti (Jackson Pollock, Willem de Kooning,
Mark Rothko, Arshile Gorky, Alexander Calder, Roy Lichtenstein, Robert
Rauschenberg, Andy Warhol, Richard Serra ......) ed altrettante opere presentano
i fondamentali passaggi del “fare arte” statunitense a partire dal secondo
dopoguerra fino agli anni Ottanta del secolo passato. Parallelamente il
percorso espositivo illustra il ruolo catalizzatore e propulsivo avuto dalla Fondazione
Guggenheim, fondata nel 1937, nell’ambito dello sviluppo e dell’evoluzione
dell’arte contemporanea americana. Un unico viaggio due declinazioni: storia
artistica statunitense, ovvero storia dell’istituzione culturale, che, nel
panorama mondiale, rappresenta un primato.
La rassegna, a cura di Lauren Hinkson, si apre con il “racconto”
dell’affermarsi dell’Espressionismo Astratto, come superamento della pittura
degli anni Trenta improntanta al Realismo Sociale. Nelle prime due sale si
dispiegano esperienze artistiche, assolutamente diverse tra loro, che hanno
fatto di New York la capitale dell’avanguardia artistica. Si delinea altresì il
compito svolto dal Guggenheim, al contempo vetrina statunitense della
pittura astratta europea e centro internazionale di riferimento per l’arte
contemporanea. La Galleria-Museo “Art of
this Century”, fondata nel 1942, dalla nipote di Solomon Guggenheim, Peggy, è
uno dei pochi centri ad esporre arte contemporanea in quel periodo, attorno ad
essa si sviluppa un vivace cenacolo di artisti, costituito da fuoriusciti
eurropei, sfuggiti al nazismo, e giovani americani entusiasti di fare nuove
esperienze, che prende il nome di New York School.
Segnaliamo Circumcision di Pollock (1946, Peggy Guggenheim
Collection, Venezia), opera fortemente dinamica, caratterizzata da moti
vorticosi, sviluppati in ogni direzione, che fanno da corona alla piccola
figura ammantata ravvisabile al centro dell’opera. Suggeriamo anche di
soffermarsi qualche istanti sul bellissimo Jamais di Clyfford Still
(1944, Peggy Guggenheim Collection, Venezia), opera estremamente
raffinata ed intensamente evocativa.
Nella seconda sala, la tela astratta Untitled di Rothko (1947, Solomon
R. Guggenheim Museum, New York, fig. 1), per la forte spiritualità che
trasuda, merita sicuramente la nostra attenzione. Invitiamo anche a godere del
“piccolo” quadro di Pollock, Number 18 (1950, Solomon R. Guggenheim
Museum, New York, fig. 2), caratterizzato dal suo tipico dripping,
espressione diretta della soggettività dell’artista, nonché della spontanea
improvvisazione generatrice.
La terza sala presenta le nuove tendenze artistiche che tra la fine
degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta si affermano a New York, dopo il
trasferimento di Peggy in Europa. La Hard Edge o post pittorica mostra
un progressivo e radicale abbandono dell’immediatezza della forza gestuale
dell’arte espressiva di Pollok o di de Kooning a vantaggio di una ricerca
incentrata sui valori fondamentali della pittura, quali linee, superfici, forme
della tela, colore e campiture. L’impulso della spinta espressionista della
scuola di New York si esaurisce e la logica del sistema preordinato guida il
processo creativo degli artisti: precisione e nettezza geometrica ricoprono le
tele bidimensionali, private della ricchezza estetica tipica della New York
School. Il vocabolario è ridotto all’essenziale, l’opera è concepita per
essere vista nel contesto architettonico occupato, l’artista manipola
l’attenzione dell’osservatore che risulta proiettata verso l’esterno del
manufatto. Significativo esempio Harran II di Frank Stella (1967, Solomon R.
Guggenheim Museum, New York, fig. 3), dove l’uso di colori puri e
dell’ordine rigoroso rende l’opera espressione autentica ed essenziale della
logica che attende al processo creativo.
Gli anni Sessanta sono caratterizzati da una fase di crescita
economico-sociale importante, la cultura del consumo si diffonde e influenza
altresì l’operare artistico del momento che, in risposta alla crescente
commercializzazione che permea la quotidianità, usa le immagini di quella
cultura di massa, mutuate dalla cartellonistica, dalle riviste, dai fumetti,
dalla pubblicità, dal cinema e dalla televisione, parodiando i processi
industriali che ne determinano il forte successo. Si sperimentano nuove
tecniche di produzione artistica, grazie alle quali si “celebrano” con
sfrontata e sferzante critica i miti della nascente società dei consumi. La
mostra del 1963 “Six painters and the object” curata da Lawrence Alloway,
critico e curatore del Guggenheim, costituisce il momento di legittimazione
della nuova arte Pop. La Barge di
Rauchenberg (1962-1963, Solomon R. Guggenheim Museum, New York), opera
serigrafica, in cui l’artista, operando direttamente su di una tela lunga ben
10 metri, trasferisce una serie di immagini fotografiche, tra cui anche dipinti
di maestri rinascimentali, e brani di prosa, combinati con ampie strisce di
pittura colata, è l’emblema di questa nuova tendenza. Si tratta di un vero
capolavoro visuale, caratterizzato da intensità e dinamismo.
Sculture minimaliste sono esposte nella quinta sala; in aperta rottura
con le sperimentazioni precedenti, e la connessa estetica, la corrente
minimalista predilige forme geometriche elementari realizzate con materiali
industriali sui quali l’artista deve lasciare tracce minime. Lo sguardo e il
sentimento dell’osservatore, in rapporto all’oggetto artistico, all’interno
dello spazio espositivo, diventano centrali. Donald Judd progetta cubi e volumi
quadrangolari accuratamente rifiniti e ne commissiona la realizzazione a
produttori industriali, questi oggetti, specific objects, sono poi
organizzati in configurazioni seriali che non hanno più nulla delle
tradizionali composizioni artistiche. Tutto si riduce all’essenziale e
all’incontro dello spettatore con l’oggetto prodotto.
Si introduce la figura del conte Giuseppe Panza di Biumo, varesotto,
nella cui residenza raccoglie una delle più importanti raccolte d’arte di
pittura e scultura minimalista, post-minimalista e di arte concettuale. Tra il
1991 e il 1992, attraverso donazioni ed acquisti, il Guggenheim entra in
possesso delle 389 opere della collezione Panza e qui presenta alcuni
esemplari.
La penultima sala mostra esempi di arte post-minimalista e di arte
concettuale. Si tratta di opere provocatorie, come critica implicita al sistema
dell’arte tradizionale e alle istituzioni che espongono (Musei e Gallerie);
l’arte deve esistere solo come idea immateriale, si realizzano, quindi,
manufatti di carattere effimero destinati a perire e/o alterarsi nel tempo. Al
fine di perseguire una sorta di complementarietà tra il momento della
produzione e quello della fruizione, gli artisti adottano di preferenza mezzi
espressivi nuovi e materiali non strettamente legati al mondo artistico. In
questo modo la responsabilità della realizzazione dell’opera passa direttamente
al pubblico e alle sue azioni. Si percorra l’invitante, dal punto di vista
fisico e psicologico, Live-Taped Video Corridor di Bruce Nauman (1970, Solomon
R. Guggenheim Museum, New York). L’opera artistica non è la mera struttura
lignea, bensì il concetto di percorribilità che la permea. Quando il visitatore
impegna lo spazio del corridoio e si vede mentre cammina, realizza
materialmente l’opera pensata e voluta dal Nauman. Questa interattività
sconfina evidentemente nella performance.
Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta si sviluppa la
pittura fotorealista. L’ultima sala della rassegna documenta come il Guggenheim
abbia fin da subito promosso una politica di acquisizione di opere appartenenti
a questo genere. Per gli artisti la fotografia è il medium principe
affinché si registrino tutte le informazioni che saranno successivamente
trasportate con virtuosismo ed estrema precisione su tela. Sono opere i cui
soggetti ricordano quelli della Pop Art, la resa, però, indica un distacco
emotivo totalmente nuovo. Dell’atteggiamento dissacratorio, della spontaneità e
dell’emotività degli artisti pop non rimane nulla, si persegue piuttosto
un’obiettività assoluta a vantaggio dell’idea di verosimiglianza. La Gum
Ball No. 10:”Sugar Daddy” di Charles Bell (1975, Solomon R. Guggenheim
Museum, New York, fig. 4) è una ripresa fedelissima del soggetto ritratto,
si noti, infatti, il virtuosismo nel rendere la luce riflessa sulla superficie
convessa del distributore di gomme.
Una serie di iniziative culturali fanno da cornice alla mostra:
- 7
incontri-lezioni sull’arte americana;
- un
percorso nell’America cinematografica, 15 film restituiscono un ritratto del
periodo storico interessato;
-
letture
guidate di singole opere offerte secondo un calendario scadenzato;
- laboratori
d’arte per bambini e ragazzi.
LA MOSTRA Il
Guggenheim. L'avanguardia americana 1945–1980
7 febbraio - 6 maggio 2012
Palazzo delle Esposizioni, Roma
http://www.palazzoesposizioni.it
Catalogo Il Guggenheim. L'Avanguardia americana 1945-1980 (a cura di Lauren Hinkson), 2012
28 x 30 cm, 140 pagine, 100 a colori, cartonato. ISBN 978-88-572-1234-0 € 45,00
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