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Giovanni Volpato: un imprenditore ante litteram  
Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 3 Giugno 2012, n. 650
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Area Artisti

Passeggiando lungo le strade di Roma, approssimandoci ai più importanti monumenti e siti archeologici ci imbattiamo in numerosi chioschetti turistici che vendono tipici souvenirs per tutti coloro che vogliono portare a casa un ricordo della visita. Alle tipiche magliette e cartoline si affiancano piccole statuette in gesso riproducenti le opere d’arte maggiormente significative  della città: il Colosseo, la Basilica di San Pietro, la Fontana di Trevi, la Fontana dei Fiumi, la Colonna Traiana …….. Molti sono i turisti che acquistano per sé o per amici e parenti manufatti del genere; c’è a chi piace farne mostra su mensole in cucina, chi preferisce decorare il proprio camino, chi ancora crea l’angolo dei viaggi per mostrarlo orgogliosamente ai propri cari. A chiunque, davanti ad una statuina raffigurante il David di Michelangelo o il Pantheon romano,  sarà capitato di pensare: “ma come avranno fatto anticamente le persone a serbare ricordi durevoli dei propri viaggi?, avranno dovuto affidarsi completamente alla propria memoria o alle personali capacità disegnative o saranno esistiti prodotti artigianali equiparabili?”.

Diversamente da quanto si crede questo tipo di industria non si sviluppa in tempi recenti, con l’avvento del turismo di massa, ma ha origini  ben più lontane, legate al famoso Grand Tour, il viaggio formativo che, a partire dalla fine del ‘600, i rampolli delle case aristocratiche, prima, e borghesi, poi, intraprendono come tappa fondamentale del processo educativo del tempo.

Il “Bel Paese” è la meta preferita, la ricchezza di opere d’arte e di reperti archeologici classici costituiscono per la cultura europea un’attrattiva indiscussa. Si entra dai varchi alpini sul confine franco-svizzero, una breve sosta a Torino, Genova e Milano e poi una lunga permanenza a Venezia, il viaggio quindi prosegue, passando per Bologna, alla volta di Firenze, successivamente Siena e finalmente Roma, la città eterna. Da qui il tour avanza verso il Sud Italia: Pompei e Napoli da dove ci si imbarca per la Sicilia. Al ritorno in patria i touristes godono di un considerevole prestigio sociale, invitati nei salotti privati o nei caffè cittadini raccontano delle meraviglie visitate e delle stupefacenti esperienze vissute. Molto è affidato al racconto verbale e ai diari  personali, ma non solo, incisioni e dipinti con vedute monumentali o paesaggistiche sono acquistati ed esibiti con orgoglio.

A metà Settecento, grazie anche ad un diverso tipo di flusso “migratorio”, più specificatamente intellettuale [1] , a questo tipo di souvenir si affianca un nuovo genere, prettamente scultoreo, legato alla ceramica: ci riferiamo al cosiddetto biscuit [2] che, con il suo colore bianco, ben si presta ad imitare il candore dei marmi classici propugnato dalla teorizzazione di Johann Joachim Winckelmann [3] .

Artisti e abili artigiani danno vita ad una stagione in cui la foggia all’antica invade le residenze nobiliari, e successivamente anche quelle borghesi, con una variatissima gamma di oggetti. Si assiste alla diffusione di una vera e propria moda classicizzante che ripropone in piccolo capolavori celebri, non solo di monumenti accessibili, ma anche di statue conservate in collezioni private (Borghese, Medici, Farnese).

Attorno a queste correnti di visitatori si sviluppa un vivace mercato di ritrovamenti archeologici: i reperti sono indefessamente ricercati, restaurati ed inevitabilmente copiati [4] .

Alla smaniosa domanda degli agguerriti touristes l’Urbe risponde con un esercito di produttori di ricordi: scultori e artigiani, creativi e di talento, dotati di scaltrezza e spirito imprenditoriale, appagano i compratori con un’offerta diversificata di prodotti, dei veri e propri must. È nata l’industria dell’antico e del bello, un curioso fenomeno di domanda e offerta di ricordi della città eterna, al cui servizio si mette l’arte nelle sue molteplici declinazioni.

In questa temperie culturale, caratterizzata da un clima di fervida ossessione verso le antichità, si inserisce l’esperienza prodigiosa di Giovanni Trevisan detto Volpato (1735/1803) [5] , che, nel 1771, al seguito del mecenate Girolamo Zulian, ambasciatore veneziano presso la Santa Sede (1779 /1783), giunge a Roma dopo l’apprendistato presso la più grande stamperia italiana: la Remondini [6] di Bassano del Grappa sua città natale (1760/62). La fondamentale collaborazione con la Remondini, in particolare la partecipazione alla realizzazione di prestigiose pubblicazioni (tra le sue prime incisioni a firma Jean Renard troviamo opere da Giovan Battista Piazzetta, Jacopo Amigoni, Antonio Zucchi) gli fa acquisire la notorietà che gli consente di farsi notare da mecenati importanti.

Nella capitale, oltreché i salotti dell’Ambasciata veneziana, in fondo a via del Corso, dove si incontrano artisti e intellettuali accomunati dalla visione dell’antico come sola via per la rinascita delle arti,  frequenta i circoli della famiglia Rezzonico [7] . Il Zulian, archetipo del collezionista di antichità di pregio, non fa solo gli onori di casa nel favorire il cenacolo, ma si dimostra attento e accorto nel saper sfruttare le possibilità che il mondo romano offre: il commercio antiquario rappresenta, infatti, l’opportunità per accrescere la propria collezione personale, ma anche l’occasione per intraprendere una lucrosa attività antiquariale.

Giovanni, intanto, si dedica allo studio diretto del grande “museo all’aperto” che sono le rovine di Roma antica; realizza per Gavin Hamilton, antiquario e dilettante pittore inglese, la Schola Italica picturae sive Selectae quaedam summorum e schola italica pictorum tabulae aere incisae cura et impensis Gavini (1773, Londra) una trascrizione incisoria dei capolavori del classicismo romano. Il suo interesse giunge anche alle opere dei grandi maestri, e, tra il 1774 e il 1776, realizza  46 tavole di grande formato raffiguranti le raffaellesche Logge Vaticane,  poi si dedica alla trascrizione della Galleria di Palazzo Farnese.

In questi primi momenti del soggiorno romano germoglia, dunque, la sua passione per l’antico, vocazione che combinata alla mentalità pragmatica, quella dei “mercanti veneziani”, gli consente di avviare diverse attività economiche tutte a carattere vincente: apre e dirige una fiorente scuola di bulinisti specializzata nel  ritratto inciso, ma non solo, vede, infatti, nei touristes una possibilità di guadagno ed offre loro riproduzioni a stampa di capolavori della città eterna come souvenir. Secondo i Diari di Roma editi da Cracas, a partire dal 1779, intraprende apprezzate campagne di scavo, per conto del pontefice Pio VI Braschi (1755-1799), ma anche di privati antiquari e collezionisti di tutto il mondo [8] : scava le Terme di Caracalla, la Basilica di Santa Balbina, il Monastero di Camaldoli di Frascati,  l’Arco di Tito, piazza Venezia e la zona del Quadraro fuori porta San Giovannni.  L’attività di scavo è ulteriore occasione di sviluppo in termini di lavoro, appronta un atelier di restauro, in cui gravitano artisti modellatori e scultori di fama, come Bartolomeo Cavaceppi (1715-16/1799), il laboratorio è luogo di “ricostruzione-ricomposizione” di opere d’arte con pezzi antichi recuperati nelle sue imprese di scavo. Veste, quindi, i panni dell’antiquario, mediatore ricercato di antichità, finanziatore di scavi e mercante di reperti antichi.

Nel 1785 avvia, in via Pudenziana presso la basilica di Santa Maria Maggiore una fabbrica di piccole statuine modellate in candido biscuit a imitazione delle celebri sculture classiche delle collezioni romane [9] . L’idea di per sé non è nuova, esistono in città  laboratori di bronzisti (Righetti e Valadier), che offrono al pubblico il medesimo prodotto, l’innovazione è costituita dal materiale, la ceramica costa assai meno del bronzo e soprattutto si conforma meglio alle teorie del Winckelmann, che ritiene l’arte classica sinonimo di abbacinante candore. Argutamente, poi, realizza un compendio incisorio, un vero e proprio catalogo inciso, che affianca e sostiene la vendita delle statuette esposte nel negozio, appositamente aperto in Via dei Greci, per esibire e vendere la produzione. L’inedito listino inciso si configura come uno strumento eccezionale di marketing, destinato a consolidare la fama, o come diremo oggi il brand, presso viaggiatori e collezionisti di tutta Europa. L’esercizio commerciale ottiene un immediato e positivo riscontro presso compratori e amatori: il materiale offerto, infatti, incontra subito il gusto dei collezionisti poiché soddisfa le esigenze della riproduzione delle statue antiche [10] . Il Volpato, inoltre, si avvale di artisti e modellatori noti (i veneti Giovanni Folo, Pietro Fontana e Pietro Bonato, solo per citarne alcuni), il che rende il prodotto agli occhi della committenza qualitativamente migliore e, dunque, più appetibile. In pochi anni di attività il bassanese, abile uomo d’affari, grazie anche al favore del pontefice Pio VI [11] che gli concede una privativa di 15 anni, riesce a creare attorno alla manifattura un circuito di riproduzioni di statue e monumenti dall’antico il cui business si estende addirittura all’Inghilterra [12] . Nell’intercettare, dunque, il florido mercato dell’arte per gli stranieri che giungono a Roma per il Gran Tour, desiderosi di portare a casa un pezzo della storia antica della città, il Trevisan crea una realtà economica affermata, affatto funzionante, in grado di soddisfare importantissime commissioni .

La manifattura diviene rapidamente un punto di riferimento per l’elegante e cosmopolita società del tempo che frequenta l’Urbe, ad un certo punto, adeguandosi alle esigenze del mercato, la produzione viene diversificata con maioliche e terraglie crema o all’inglese (1801), l’attività continua ad operare anche dopo la morte del Volpato (1803), inizialmente sotto la direzione del figlio Giuseppe, poi del secondo marito della moglie-vedova, nel 1826 la fabbrica è trasferita a Civita Castellana, dalle cui cave provengono la maggior parte delle terre lavorate nello stabilimento, e alla fine degli anni Trenta, purtroppo, chiude i battenti.

 

 

 

NOTE

[1] Proveniente da Oltralpe, la comunità internazionale di studiosi, infatti, sviluppa un atteggiamento, che declina in koinè, di stampo classicistico o meglio neoclassico, se l’auctoritas è rappresentata dalla civiltà greco-romana, Roma, evidentemente, diviene il centro di attrazione principale per tutti coloro che vi si rispecchiano (storici, pittori, letterati, scultori…).

[2] Un tipo di ceramica, o porcellana, di prima cottura dal colore bianco zuccherino, leggermente opaca, in grado di rendere la forza e la plasticità della grande statuaria greca e romana e di interpretare la grazie dei soggetti galanti. Dall’aspetto marmoreo, non è  invetriata, né coperta di smalto, è cotta una sola volta e pronta per essere eventualmente pitturata. Riflette alla perfezione la visione del candore abbacinante delle sculture antiche propagata dal Winckelmann, da qui il grande successo incontrato.

[3] Oggi sappiamo che i marmi antichi erano colorati, anche in maniera vivace, nel Settecento, invece, ancora non si aveva questa conoscenza e si riteneva che le statue greco-romane fossero assolutamente di colore bianco. 

[4] La ricerca ossessionata di reperti archeologici comporta da parte del governo papale tentativi di arginamento del fenomeno: è prevista una precisa licenza per coloro che intraprendono attività di scavo alla ricerca di vestigia classiche, e, allo stesso modo, si richiede una licenza per esportare e/o vendere all’estero.

[5] Il Volpato (dal cognome della nonna materna) dopo la formazione a Basano, nel 1762, chiamato da Francesco Bartolozzi, si reca a Venezia per lavorare alle tavole di Paesti quod Poseidoniam etiam dixere rudera (Roma 1784), nella città veneta entra poi in contatto con l’autorevole bottega calcografica di Giuseppe Wagner. Tra le sue prime incisioni da opere di artisti contemporanei troviamo stampe da Giovan Battista Piazzetta, da Jacopo Amigoni, da Antonio Zucchi firmandosi Jean Renard. Il periodo veneziano, grazie anche e soprattutto alle collaborazioni di prestigio, accresce la sua fama di incisore e gli consente di avviare, nel 1767, un’attività in proprio dedicandosi alla pubblicazione di incisioni dedicate alle antichità di Pozzuoli, Cuma e Paestum.

[6] Famiglia di tipografi ed editori di Bassano attiva dalla metà del XVII secolo a tutto il 1860. È nel corso del ‘700 la maggior casa editrice italiana ed una delle più importanti in Europa. Giuseppe Antonio avvia l’attività verso il 1640 con la produzione e il commercio di almanacchi e altre stampe a carattere popolare. Il successore Giuseppe sviluppa la produzione di libri illustrati fondando la celebre scuola di calcografia che, dal 1758, sotto la direzione del Volpato, diviene uno dei maggiori centri europei di questa tecnica artistica. La casa Remondini conosce le sue maggiori fortune con Giovanni Battista successore di Giuseppe, sotto di lui si cerca di realizzare prodotti di qualità ma che siano economicamente compatibili con una diffusione su larga scala. Al tempo dà lavoro a circa un  migliaio di dipendenti!. Ultimo dei Remondini, prima della cessione della ditta, è Francesco. (cfr. Mostra dei Remondini, Calcografi e stampatori bassanesi. Catalogo della mostra (a.c.d.) G. Barioli, Bassano (VI), 1958, passim).

[7] Ludovico e Abbondio Rezzonico, nipoti di papa Clemente XIII (1758/1769).

[8] Tra i suoi acquirenti figura Gustavo III di Svezia che, a Roma tra il 1783 e il 1784, acquista una versione ricomposta con pezzi antichi di spoglio dell’ Apollo e le Muse del Museo Pio Clementino.

[9] Nel 1826  la manifattura , si trasferisce, ad opera dei discendenti di Giovanni, a Civita Castellana per chiudere definitivamente negli anni Trenta del XIX secolo.

[10] Pochi  materiali come il biscuit  riescono a rendere la forza, la maestà e la plasticità della grande statuaria greca e romana.

[11] La benevolenza dimostratagli da papa Braschi è forse testimoniata da un biscuit di soggetto moderno, uno dei pochi usciti dalla sua manifattura, in cui è raffigurato il pontefice: una sorta di captatio benevolentiae o ringraziamento per l’appoggio che gli frutta fama e ricchezza.

[12] Abbiamo notizia della circolazione dei cataloghi di vendita e listini prezzi, relativi ai prodotti della manifattura, nel Regno Unito con note e postille in lingua inglese.








 

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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