Nel piccolo sobborgo di Padula,
posta nel sud dell’Italia, esiste uno fra i più splendidi complessi
architettonici della nostra penisola. Parlo della Certosa di San Lorenzo, che racchiude
in sé molteplici stili dell’arte medievale e moderna: Romanico, Gotico,
Rinascimento, Barocco, Roccocò. Fu fondata nel 1306 da Tommaso Sanseverino
conte di Marsico Nuovo con lo scopo di mostrare la devozione e la stima nutrita
per l’ordine Certosino. Il cenobio sorse su di una grancia detta di San
Lorenzo, sita a valle del paese di Padula, che Tommaso acquisì dall’abbazia di
Montevergine in cambio di alcuni suoi possedimenti che si trovavano nel
territorio del castello di Sanseverino. Il Conte che ancor prima della permuta si
era mantenuto in continuo contatto con i Certosini, il 28 Gennaio 1306, “a gloria e ad onore di Dio onnipotente e per
rimedio e salute dell’anima sua donò all’ordine di San Brunone, nella persona
di P. Michele, Priore di Trisulti, presso Agnani, delegato del Padre Generale
di Grenoble, quanto gli era pervenuto da Montevergine, aumentandolo con altri
beni propri, esistenti a Padula ed altrove.”
L’inaugurazione della Certosa,
avvenne in tempi brevi, sia perché si utilizzò una preesistente casa religiosa,
un monastero di Benedettini chiamato “Il San Lorenzo”, sia per la premurosa
energia di Tommaso.
Alla Certosa ben presto furono inviati
in gran numero, per stabilire l’osservanza della regola, i Padri di Casotta e
alcuni di Trisulti, sotto la dipendenza del Priore Giovanni Tommaso da Vico. ”E sembra di vederli questi Figliuoli di San
Brunone, bianco vestiti, modesti e silenziosi, aggirarsi tra le mura del
rinnovato monastero, intenti alla preghiera ed al lavoro manuale.”
La Certosa di Padula è la
prima in tutto l’ordine Certosino che si denomini da San Lorenzo, al Santo, ne
furono dedicate altre due, una a Firenze e l’altra in Svizzera, ma ciò avvenne
in seguito.
È lunga 370 m., larga 180, ha 32.000 metri quadrati
di area fabbricata: 320 camere, tredici cortili, 500 porte, cinquantuno scale,
quarantuno fontane, più di 100 camini, più di 550 finestre, 1120 metri di portici e
di logge sostenute da più di 300 archi maestosi, la recinge un’ampia distesa di
terreno adibita a fasce di armonioso rivestimento arboreo e floreale.
All’interno di tal edificio
possiamo vedere come gli spazi sono suddivisi in base all’organizzazione
religiosa e amministrativa. Il costruito e lo spazio verde sono circondati da
un lunghissimo muro conventuale interdetto, dove troviamo gli orti e i campi
coltivati. Il portale d’ingresso immette in una corte, dove si trovano granai,
stalle, la spezieria, le abitazioni dei conversi e l’alloggio dei pellegrini.
Esiste un secondo ingresso, sulla parete di fronte al primo, che conduce nella
zona conventuale dove, oltre agli ambienti di clausura, troviamo quelli di
rappresentanza e quelli destinati alla vita comunitaria. Dal chiostro della
foresteria nobile, il primo che incontriamo, si accede alla chiesa divisa in
due parti, l’una riservata ai Conversi e l’altra ai Padri. Dalla chiesa poi si
raggiunge sia il Capitolo dei Padri, luogo, dove erano prese le decisioni più
importanti, che il Tesoro, dove si conservavano le reliquie più preziose.
Ovunque nella Certosa, vediamo
nei fregi decorativi, il monogramma certosino CAR (Cartusia, termine latino di Certosa), e l’emblema della graticola,
strumento del martirio di San Lorenzo.
La Certosa di San Lorenzo
viene anche considerata figlia della Certosa di San Bartolomeo di Trisulti.
Facendo un confronto fra le due ci accorgiamo delle loro poche differenze e
delle innumerevoli somiglianze. Per quando riguarda le differenze, notiamo che la Certosa di Padula siede
tutta in piano, Trisulti invece fu edificata sul dorso di un monte. Altra
principale differenza sta nella magnificenza e nella grandezza: San Lorenzo
presenta i chiostri con bellissimi portici in pietra lavorata. La pietra
scalpellata è profusa dovunque nelle porte, nelle finestre, nelle balaustre,
nei pavimenti. Quanto alla Certosa di Trisulti, si dice che questa possa
entrare intera nel chiostro di San Lorenzo. Per il resto le due Certose sono
simili. Entrambe hanno due piani, quello inferiore e quello superiore; quasi
incredibili sono le somiglianze tra la chiesa e gli altri edifici del culto dei
due monasteri. Simile in tutto e per tutto sono le piante delle chiese,
rettangolari, divise in campate quadrate coperte a crociera inserite allo
stesso modo nel presbiterio, nel coro dei monaci, nel coro dei laici.
Il monumento ha avuto sempre il
suo ritmo di splendore e di prosperità, grazie alla benevolenza dei Pontefici e
alla protezione dei Monarchi.
Secondo una leggenda, Carlo V, di
ritorno da Tunisi nel 1535, visitò San Lorenzo e alloggiò lì per due giorni in
una semplice cella. Fu allora che, desiderando il Re fare colazione insieme al
suo seguito, fu preparata una colossale frittata di 1000 uova.
Dell’originaria costruzione
restano in questo momento l’impianto iconografico d’insieme e le volte della
chiesa, in più frammenti ed elementi architettonici sparsi ovunque: si tratta
per lo più di capitelli, che si allontanano però cronologicamente dall’epoca dell’inizio
dei lavori. Nel corso dei secoli sono stati fatti vari rifacimenti, in realtà
non è mai esistita un’immagine dell’edificio tutta intera. Un elemento di
sicura datazione trecentesca è la porta della chiesa, scolpita proprio in
caratteri gotici. Del 400 è il bassorilievo in pietra murato lungo le scale che
portano alla foresteria e forse alla seconda metà del secolo può collocarsi la
scala a chiocciola che conduce alla biblioteca.
Dopo il Concilio di Trento, sono
registrati i lavori più consistenti che diedero al complesso una radicale
trasformazione. Tutto ciò a proposito dell’aumentata potenza dei Certosini,
dovuta ai numerosissimi donativi ottenuti. A quest’epoca, inizi ‘500, può
risalire la costruzione del chiostro della foresteria con portico e loggia,
quella della loggia dell’appartamento del priore e del prospetto della chiesa
delle donne, quello della facciata principale della Certosa e l’impianto della
torre degli armigeri.
Nella metà del secolo XVI, iniziò
la trasformazione dell’area del chiostro grande. I lavori, intervennero ad
ampliare un preesistente chiostro già utilizzato come fulcro della zona di
clausura.
L’impostazione dell’impianto
ricorda le realizzazioni di Giovanni Antonio Dosio, ma la sua presenza a Padula
non è documentata nelle fonti bibliografiche. In queste però appare con
frequenza il nome di Michelangelo, quale autore di una fontana con i delfini,
di un crocefisso in avorio andato perduto e ideatore del progetto del grande
chiostro. Di fronte a questo dato, che non trova riscontro nella realtà, non si
può fare a meno di pensare che il nome del 'Maestro' desse ai Certosini
padulesi un vanto e legava la loro Certosa a quella romana di Santa Maria degli
Angeli, dove il Buonarroti aveva realmente lavorato. Come che sia, il rapporto
tra le due Certose, ricercato attraverso l’escamotage della presenza in San
Lorenzo di opere michelangiolesche, esiste effettivamente: il chiostro grande
della Certosa romana con le sue celle ricorda gli spazi della Certosa di
Padula.
Il chiostro grande di S. Maria
degli Angeli è a un sol piano, sormontato da un basso corpo finestrato, ed è
proprio così che doveva presentarsi il chiostro grande della Certosa di Padula
prima della seconda metà del 700. Per il Seicento non sono documentati altri
lavori architettonici se non quelli di prosecuzione del chiostro grande.
E’ curioso notare che per la
stragrande maggioranza delle chiese certosine le ristrutturazioni barocche non
furono tanto radicali da cancellare l’originaria struttura gotica. Il fatto non
è casuale se si tiene conto che gli architetti barocchi non andavano tanto per
il sottile nei loro interventi: non si ponevano il problema di risparmiare le
preesistenze, e il loro contributo era tanto più apprezzato quanto più riusciva
a cancellare le strutture originarie e a ridisegnare lo spazio. Viene dunque il
sospetto che i certosini, nonostante fossero molto aperti alle novità, rimanevano
restii a mutare l’aspetto delle loro chiese.
Una nuova fase costruttiva a
Padula avvenne nel corso del secolo XVIII: nella prima metà del secolo sono
registrati lavori che mutarono in parte l’impianto cinquecentesco del
monumento, interventi che comportarono la costruzione ex novo dell’odierno
refettorio e la rifunzionalizzazione di ambienti prima diversamente
utilizzati.
Con la realizzazione della
passeggiata coperta e dello scalone finisce il periodo d’oro della Certosa. I
francesi di Napoleone erano alle porte del Regno di Napoli, anche a Padula
piantarono l’albero della libertà e non a caso il luogo prescelto fu lo spazio
davanti al convento dei Certosini, padri e padroni del Vallo. Gli abitanti di
Padula, guidati da Don Francesco Netti portarono la statua di San Michele,
patrono del paese, sino al simbolo della libertà repubblicana piantato di
fronte la Certosa e lì fu dato l’incenso a entrambi. I rivoluzionari occuparono
il monastero e i monaci accusati di ‘lesa repubblica’ furono espulsi e arrestati.
Questo episodio si rivelò una catastrofe per il patrimonio d’arte che era
conservato all’interno dell’architettura, il quale fu trasferito in seguito in
vari luoghi d’Italia.
Dopo il decennio francese, i
Certosini, furono reintegrati a Padula, questi recuperarono in parte i loro
averi, ma non l’antico splendore. Nel 1882 la Certosa fu dichiarata monumento
nazionale con decreto del Ministero di Grazia e Giustizia e affidata al
Ministero dell’Istruzione Pubblica, tale proposta fu avviata nel 1867, da un
monaco certosino ma Giuseppe Fiorelli, Sovrintendente Generale e Direttore del
Museo Nazionale e degli Scavi di Antichità, si pronunciò negativamente poiché
non riteneva la Certosa padulese un edificio di quelli considerati monumentali.
Nell’attesa di decisioni le condizioni del cenobio si aggravarono poiché nel
1881 straripò nuovamente il torrente Fabbricato che già in passato aveva
causato danni alla costruzione, non ultimo un interramento, tutt’oggi visibile,
della corte esterna. Negli anni successivi le condizioni del monumento
continuarono a peggiorare anche a causa della mancanza di fonti per i restauri.
Prima di essere stata presa in consegna dalla Soprintendenza per i Beni
Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno nel 1982 si era
pensato di ridurla a carcere, a scuola, a caserma, addirittura si era pensato
di abbatterla dalle fondamenta. Fortunatamente non si è arrivato a tanto e così
noi siamo riusciti ad ammirare codesto esemplare, dove bellezza, gioia e
serenità si concentrano.
La Certosa, come detto ha uno
splendore unico, e allo stesso modo sfavillanti sono i giardini che essa
racchiude al suo interno. Il verde è parte integrante delle Certose e si
articola in numerosi spazi: il gran desertum, i chiostri e i giardini. Della
flora originale dei bellissimi giardini della Certosa di Padula, poco si sa. Il
monumento mostra però il legame che una volta c’era tra le aree verdeggianti
comprese nelle mura conventuali e le coltivazioni agricole. Il ruolo della
flora non è testimoniato solo dal numero e dalla qualità dei giardini, essa
emerge dai motivi ornamentali che si disperdono un po’ dovunque nell’edificio,
infatti, la flora sembra vivere un momento metamorfico per trasformarsi nelle
materie più varie: nel ferro sono lavorate le foglie che ornano le ringhiere
dei balconi e, le piante nei vasi dei portali, nella pittura murale sono
illustrati idillici paesaggi, nella pietra sono scolpiti fiori e frutti. Il
periodo migliore per visitarla è sicuramente la primavera, è possibile
entusiasmarsi per i mandorli e i peschi in fiore, le gemme sugli altri alberi e
l'erba nuova illuminata da un sole morbido che rende tutto il paesaggio
rilucente, profumati alberelli di lillà fioriti dappertutto insieme a
violacciocche. La bianca pietra delle cave locali domina la composizione dei
giardini interni: vi sono scolpiti cordoli delle aiuole e le lastre che unite
ai mattoni disegnano eleganti vialetti. Di pietra sono anche le croci poste, un
tempo negli incroci dei viali del grande giardino della clausura. A Padula ci
si accorge che il verde si articola su tre livelli che rispecchiano la regola e
la vita quotidiana dei monaci.
Il livello legato alla vita di
relazioni con l’esterno, il mondo dei conversi, con coltivazioni funzionali,
nell’ambito del desertum recintato, alla sussistenza e all’attività della
spezieria la quale funzionava come vero e proprio servizio sociale;
Il livello della vita cenobitica
nello spazio interno del complesso monumentale, nei chiostri delle cucine, del
refettorio, del chiostro dei procuratori;
Il livello della vita eremitica,
a proposito del grande chiostro e alle celle dei monaci, certamente il più
delicato per la sua valenza appunto simbolica e spirituale.
A differenza dei giardini e dei
chiostri interni, di forma regolare (rettangolare e quadrata), il desertum, in
parte sottoposto a un consistente strato alluvionale, presenta un duplice
impianto planimetrico. Pianeggiante e regolare è la parte ovest del monumento,
dove di sotto lo strato alluvionale è stato trovato il tracciato dei viali che
s’incrociavano ortogonalmente. Irregolarmente naturale è quella a est e a nord,
dove su un territorio collinoso dovevano impiantarsi grandi alberi di olivo.
Il desertum, l’area che si
estendeva ben oltre il gran muro di cinta, arrivava di sicuro fino al monumento
di San Bruno che era collegato a un vialone rettilineo, lungo circa 450 metri
all’asse principale della Certosa e ancora oltre il grande scalone prendendo il
corridoio principale e uno dei bracci del gran chiostro.
L’area tra il monumentino e la
Certosa era coltivata a olivi, a querceto e seminativi. L’area recintata era
coltivata a seminativi e alberi da frutta, e solo in parte a giardino. Siepi di
bosso e alberi da frutta si susseguivano lungo i viali, mentre ai crocicchi
erano piantati cipressi, elci, allori. Il terreno, entro le aiuole era
coltivato a vite e cereali. L’intera zona da un disegno del Racioppi è divisa
in larghi viali ortogonali, percorsi diagonalmente da tracciati minori,
raccordati tra loro da piccoli slarghi circolari nei punti d’intersezione. Il
disegno è però per versi infedele soprattutto per quanto riguarda la zona dei
cortili anteriori, della corte della foresteria, dei granai, dei lavatoi, dove
è segnalato un unico portico. Nulla vieta di pensare che tale disegno sia un
progetto e non un rilievo. Le planimetrie a volo d’uccello del Salmon e del
Tromby presentano le essenze ad alto fusto non situate in una maglia regolare,
viceversa inserite in una libera campagna coltivata, ciò, però è inattendibile.
Nella pianta invece che si è pensata, fu precedente a quest’ultime citate, lo
spazio verde che circonda la Certosa è diviso in grossi quadrati
dall’intersecarsi dei viali. Dunque la sistemazione a scacchiera è esistita
fino a prima del 1914, dopo tale data la Certosa fu adibita a campo di
concentramento e proprio nel parco furono sistemati i baraccamenti e i relativi
servizi del campo.
Il disegno dei viali lascia
intravedere, latamente, il motivo della graticola, legata al martirio di San
Lorenzo, ricorrente nell’architettura certosina. E forse non è un caso che la
graticola appare addirittura scolpita agli angoli del balcone del Priore che si
affaccia autorevolmente su questo grande giardino di clausura. Dunque, se così
fosse, ci troveremmo davanti ad uno straordinario spettacolo, interprete della
grandiosità del monumento certosino, dove l’arte dei giardini esprime valori
universali e più profondi significati.
Non meno importante è il chiostro
del cimitero antico, questo però perse la sua funzione di cimitero quando, in
un angolo del chiostro grande, nel punto, dove esiste tuttora ne fu realizzato
uno nuovo. Del chiostro del cimitero antico, solo la croce centrale ricorda
l’antica funzione: lo spazio del chiostro è stato mutato nell’ambito delle
ristrutturazioni settecentesche della Certosa. Il giardino centrale, con le
aiuole e le piante ornamentali, è separato dai bracci del portico da un ritmo
alternato di ampi archi e più stretti passaggi architravati arricchiti da
volute curve agli angoli e sormontati da una nicchia. L’antico cimitero si
trovava in un luogo più appartato, nel corridoio di tale chiostro si apre la
cappella con la tomba del fondatore, TOMMASO SANSEVERINO CONTE DI MARSICO E
CONNESTABILE DEL REGNO DI NAPOLI.
Il chiostro grande della Certosa
si distingue per la sua monumentalità, fondata sull’ampiezza delle dimensioni e
il ritmato e ordinato ripetersi d’identici elementi architettonici. Mancano
fonti sicure sulla costruzione di tale chiostro, è lungo 104 metri e largo 149,
si articola su ottantaquattro pilastri su cui corre una poderosa fascia in
pietra con metope e triglifi, decorate con scene ispirate al martirio dei Santi
e alla Passione del Redentore. La costruzione iniziò nel 1583, si trattava
molto probabilmente del rifacimento del vecchio chiostro grande esistente fin
dagli inizi della fondazione della Certosa poiché le trasformazioni non
cambiarono l’impianto iconografico originario. Gli autori di tale costruzione
non si conoscono, certo dovette trattarsi di più di un architetto giacché la
costruzione durò circa duecento anni, s’individuano però precise scelte di
gusto della committenza che seguivano le linee di tendenza della cultura del
proprio tempo. Dunque, nelle fasi iniziali della costruzione, si può
riconoscere l’impostazione architettonica di Giovanni Antonio Dosio, negli
interventi tardo-cinquecenteschi invece si notano motivi derivanti da abusati
lessici michelangioleschi, di qui la leggendaria attribuzione del chiostro al
Buonarroti stesso. La sistemazione attuale del chiostro grande, nasce probabilmente
nelle prime decadi del ‘700 con la costruzione del nuovo cimitero sul lato
occidentale. La fontana che si trova al centro del chiostro fu iniziata negli
anni 1640-MDCXLI, com’è inciso nell’ottagono di base, che apparteneva alla
sistemazione del giardino, ma che restò incompiuta. Essa rimandava al modello
di fontana a base ottagonale del chiostro della foresteria: due tazze sospese
su steli ornate e il basamento elevato su tre gradini, pavimentato a lastre di
pietra ottagonali composte a disegno con i mattoni. Questo modello di fontana a
calice, elevata su gradini, rivela una precisa scelta d’immagine. L’acqua tende
a elevarsi sottraendosi al riflesso per esprimere, nel sommesso gioco dei getti
e delle cadute, valori eterei più consoni alla spiritualità del luogo. Le
fontane della certosa, se ne ricordano quarantuno, nonostante l’abbondanza
delle acque non assumono mai toni superbi con le nicchie rivestite di
concrezioni calcaree e di conchiglie marine, devono la loro bellezza più alla
plasticità delle forme che alla forza espressiva dell’elemento naturale. Il
tono misurato con cui l’acqua si mostra non diminuisce l’importanza del suo
ruolo nello scenario del monumento. Nel percorso funzionale che collega i
mulini all’irrigazione dei campi coltivati le fontane, si presentano come un
episodio ludico, una pausa che provoca il piacere della sosta e della
contemplazione.
Le ventiquattro celle di San
Lorenzo, il cui parterre è sempre diviso in quattro aiuole da due viali
(simboleggianti i due fiumi del paradiso) che s’intersecano, sono poste lungo i
tre lati del chiostro di clausura, sono abitazioni confortevoli e bene attrezzate
spesso su due piani. Tali celle sono soprattutto emblemi del Paradiso, recinti
conquistati al desertum, luogo di tentazioni e di battaglie, di vittorie
spirituali. L’elemento fontana, fons
vitae, caratterizza i giardini della certosa, è la parte imprescindibile di
ogni luogo paradisiaco. Ogni cella ha la sua fontana, semplice con qualche
ornamento, spesso incrostata di conchiglie, emblema del godimento del cielo
spettante all’anima contemplativa. I giardini delle celle mostrano la personalità
dei monaci che ne furono gli stessi artefici, cogliendo aspetti del carattere
che essi, pur nell’identità degli spazi, avevano saputo imprimere al proprio
ambiente. I motivi che distinguono i giardini sono molto semplici: il disegno
delle aiuole, e dei vialetti pavimentati col battuto di calce e coccio pesto,
la posizione delle vasche e dei bacini, dei sedili, delle fontane ed anche il
diverso orientamento delle scale che dalle logge scendevano al giardino.
La residenza del Priore col giardino
aperto sulla clausura sfugge dall’impianto generale e diviene quasi una villa
di rappresentanza all’interno della certosa. Il lungo giardino aveva come
sfondo, ai lati della fontana, pitture di paesaggi inquadrati dalle
architetture di una loggia. Vasi ornamentali con piante scelte erano posti
all’origine lungo il bordo delle quattro aiuole, nelle sedi semicircolari
rientranti simmetricamente; quanto prima gli interventi di restauro
permetteranno di rimuovere le siepi che nascondono il disegno delle aiuole per
restituire alla vista la composizione di parterre e il raffinato motivo dei
cordoli in pietra che li cingono.
Ammirando i giardini della
Certosa, si ha un misto di percezioni, si passa dalla sensazione di pace
sicura, di pace vera, che si riscontra ad esempio nel Grande Chiostro,
semplice, monumentale e lineare che dà l’idea dell’incontro ravvicinato del
monaco con Dio, alla sensazione di meraviglia, di stupore, che ci accoglie nel
momento in cui entriamo nei giardini delle celle dove è possibile osservare con
incanto il risultato del lavoro degli “artisti” che l’hanno abitata.
Una struttura, la Certosa, che è
sorprendente agli occhi di chi la osserva, teatro di numerosi eventi e
iniziative fra cui quelle curate da Achille Bonito Oliva "le Opere e i
Giorni" e "Ortus Artis" che le hanno restituito il ruolo
d’importante centro culturale. Artisti internazionali hanno soggiornato,
operato e cooperato negli spazi del complesso dal 2002, confrontandosi con la
storia, con la condizione certosina, con la miscela unica di natura,
spiritualità e architettura offerta dal luogo creando opere e installazioni
poetiche, provocatorie e riflessive.
BIBLIOGRAFIA
ALLIEGRO G. La Reggia
del silenzio: Certosa di San Lorenzo in Padula, A.G.A.R. Napoli, 1976.
AMABILE F. (MONSIGNOR) La
Certosa di Padula, Tipografia Santos Cantelmi, Salerno, 1964.
BONITO OLIVA A. Le
Opere e i Giorni Ortus Artis, Skira editore, Milano, 2006.
COMITATO NAZIONALE PER LO STUDIO E LA CONSERVAZIONE DEI
GIARDINI STORICI Parchi e giardini
storici Conoscenza, tutela e valorizzazione, Leonardo-De luca editori,
Roma, 1991.
DE CUNZO M. e DE MARTINI V. La Certosa di Padula, Centro Di, Firenze, 1996.
SACCO A. DI SANT’ARSENIO La Certosa di Padula disegnata, descritta e narrata su documenti
inediti, Volumi IV, Roma, 1914.
TAGLIOLINI A. I
giardini della Certosa di S. Lorenzo, Pietro Laveglia Editore s.a.s. Nocera
Inferiore, 1990.
TAGLIOLINI A. L’arte dei
giardini nello spirito certosino: San Lorenzo di Padula, Da: Certose e
Certosini in Europa atti del convegno alla certosa di San Lorenzo Padula 22,
23, 24 settembre 1988, Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali
Soprintendenza ai Beni Ambientali, Artistici e Storici di Salerno e Avellino, Sergio
Civita Editore, Napoli, 1990, vol. II.
VENTURI FERRIOLO M. Il
monaco e il suo giardino: simbologia tradizionale e sua applicazione nella
Certosa di Padula Da: Rassegna
storica salernitana 11, Pietro La Veglia ed. s.a.s. Salerno, 1989.
ZAMPINO G. Atlante
dei parchi e giardini storici, Edizioni 10/17, Salerno, 1993.
NOTE
|