Nel corso
del Quattrocento, la città di Roma, iniziò ad avere un rinnovamento sostanziale
poco per volta: i palazzi cardinalizi diventarono centri di potere delle ricche
corti con centinaia di servitori e decine di sbirri, centri di clientela e
beneficenza; territori di un potere assolutamente diverso da quelli dei baroni
medievali, ma come quelli fondati sul frazionamento, sulla divisione della
città sia topograficamente che per censo e potere.
Anche i papi
si affrettavano ad affiancare questo tipo di politica “abitativa” e in certi
casi ne dirigevano essi stessi la trasformazione favorendo risoluzioni nelle
varie zone della città.
La
sistemazione del Corso (denominato tale solo dopo il 1466, quando Paolo II vi
trasferì i ludi di Testaccio, tra cui la celebre corsa dei cavalli) fu
il primo passo per la definizione del Tridente, il tratto di strada di via
Flaminia che da Porta del Popolo congiungeva con le pendici del Campidoglio e
suddivisa in due zone dal cosiddetto Arco di Portogallo che fu fatto abbattere
da Alessandro VII nel 1662.
Suddetto
assetto urbanistico iniziò nella seconda metà del Quattrocento in concomitanza
con la costruzione di Palazzo Barbo e la Chiesa di Santa Maria del Popolo che costituivano
i due poli entro cui si estende il Tridente.
Parlo di
un tracciato importantissimo che si presentava, se così mi è lecito definirlo, con
una forma a “zampa d’oca” che, con ogni evidenza, aveva il semplice scopo di
progettazione pratica. È facilmente constatabile anche un aspetto edilizio poco
monumentale, file di case che comunemente oggi definiremmo quartieri.
Nel 1480
si assistette al decreto di Sisto IV in cui era dichiarata l’eliminazione degli
sporti, dei balconi, delle masse informi che intralciavano le vie e la chiusura dei portici. Tale esecuzione fu
commissionata ai Magistri viarum, un’antica
magistratura capitolina che aveva poteri giurisdizionali su tutte le strade di
Roma.
Sotto il
pontificato Sistino furono concesse aree fuori dell’abitato, nella zona del
mausoleo di Augusto, alle due comunità degli Schiavoni, che vi costruirono l’ospedale
di San Giacomo detto “degli Schiavoni” e dei Lombardi, che vi edificarono
invece l’ospedale di Sant’Ambrogio.
La
direzione è, quindi, nella pianura del Campo Marzio, lungo la via Ripetta che
al tempo era la principale tra le vie che partivano da Porta del Popolo: questa
conduceva attraverso via di Monte Brianzo, fatta ammattonare dal papa, a ponte
Sant’Angelo, lungo la sponda settentrionale dell’ansa.
Paolo II
si era occupato della zona a sud del Corso, il suo successore, Sisto IV,
s’interessò di quella a nord, in altre parole dell’assetto della piazza del
Popolo e avviò la riedificazione della Chiesa di Santa Maria del Popolo.
Inoltre lo stesso fece innalzare due torri quadrate ai lati della porta del
Popolo che furono in seguito demolite, nel 1879, per aprire le due fornaci
laterali e inoltre riconfermò la via del Corso come direttrice di sviluppo
della città.
La forma
che scorgiamo in questo momento fu definita solo nella prima metà del
Cinquecento con l’aggiungersi alla via del Corso i tracciati della via Leonina
(Ripetta) e della via Paolina (Babuino) secondo un progetto raffaellesco al
quale si congiunse in seguito via
Trinitatis (Condotti).
Queste si popolarono
solo tra la fine del ‘500 e il ‘700 grazie allo sviluppo edilizio che fu promosso
dai pontificati di Gregorio XIII e Sisto V.
La via
Leonina (via della Scrofa – via di Ripetta), unico intervento urbanistico di
papa Leone X, è un lungo rettifilo di 1200 metri e congiungeva
palazzo Madama a Porta del Popolo.
La strada
fu tracciata sotto la direzione dei Magistri
viarum Bartolomeo della Valle e Raimondo Capodiferro con la soprintendenza
di Raffaello e di Antonio da Sangallo il Giovane, che collaborò anche nella
fase esecutiva.
Essa fu
poi terminata sotto il pontificato di Clemente VII, che da piazza del Popolo
iniziava i lavori per aprire via Clementina (Babuino) che lo ambiva alla
collina del Pincio e che con i suoi 900 m.
di lunghezza arrivava fino all’incrocio con via Capo le case, dove si
arrestava.
Il tracciato
tra campi e orti fu effettivamente completato dopo la morte del pontefice.
La via,
già esistente nel XIV secolo, aveva in realtà due
nomi: via dell’Orto di Napoli e via del Cavalletto. Nel 1525, grazie ai lavori fatti eseguire da papa Clemente VII, assunse un nuovo volto
ed un nome nuovo: via Clementina, in onore del suo artefice. Divenne poi via
Paolina, perché vi mise mano Paolo III nel 1540. Su interessamento di Pio V nel 1571 fu installata una nuova
fontana ad uso dei cittadini, e per la sua realizzazione fu collocata la statua
del Sileno, divinità classica legata alle sorgenti ed alle fontane. Ben presto,
la statua divenne famosa agli abitanti del rione per la sua bruttezza, a tal
punto da paragonarne la figura ad una scimmia: nacque così Er Babuino, che divenne col tempo
il nome stesso della strada.
Piazza del
Popolo e la sua Porta sono un ottimo esempio di "stratificazione"
architettonica, un fenomeno usuale nella città eterna, che si è verificato per
i continui avvicendamenti di pontefici che imponevano cambiamenti e
rielaborazioni dei lavori edilizi e viari.
In
principio si ravvisava una piazza caotica che assumerà ben presto un aspetto di
spazio Barocco più espressivo.
La Chiesa di Santa Maria del
Popolo, a lato della Porta, si può considerare un po’ il simbolo di quest’area.
Questa fu eretta (sul luogo dove Nerone fu sepolto) nell'XI secolo da papa
Pasquale II, per poi essere ricostruita sotto papa Sisto IV da Baccio Pontelli
e Andrea Bregno tra il 1472 e il 1477, che le donarono un aspetto maggiormente
rinascimentale. Tra il 1655 e il 1660 papa Alessandro VII decise di far restaurare
la Chiesa
offrendole un aspetto più brioso; l’incarico fu affidato a Gian Lorenzo
Bernini, che restaurò di nuovo la
Chiesa, regalandole questa volta una chiara impronta Barocca
che si può ammirare tuttora.
La Chiesa ospita dei dipinti di
grandissima importanza. Sono presenti capolavori come la Conversione di San Paolo e la Crocefissione
di San Pietro, del Caravaggio, e diversi affreschi del Pinturicchio, L'Assunzione di Annibale Carracci, oltre
alle architetture di Raffaello e del Bramante e ad alcune sculture di Andrea
Bregno e di Gian Lorenzo Bernini, come il magnifico organo sorretto da due
angioletti di bronzo.
Veniamo
alla risistemazione di piazza del Popolo durante il Seicento. Alla svolta di
questo secolo, essa si presentava di forma irregolare, anche se il centro era
stato individuato dall’obelisco, alto 24 metri
senza considerare il basamento. Si tratta dell’obelisco più antico di Roma dopo
quello Lateranense. Questo proviene dal Tempio del Sole della città di Eliopoli
ed è databile alla metà del XIV secolo a.c. dalle iscrizioni che menzionano
Seti I e Ramesse II.
Possiamo
notare su di essa delle bellissime rappresentazioni del Dio Ra con la testa
sormontata da disco solare, scene di adorazione del sole da parte dei faraoni e
i faraoni in trono con la dicitura “protezione e vita dietro di lui”.
L’obelisco
era già presente a Roma, fu Augusto a volerlo in città per collocarlo al Circo
Massimo, infatti, possiamo vedere l’iscrizione del suo nome a nord e a sud
della base. Sugli altri due lati si legge invece il nome di Sisto V che affidò
a Domenico Fontana nel 1589 l’incarico di innalzarlo al centro della piazza.
La fontana
che oggi vediamo, fu aggiunta solo nel 1824 seguendo il progetto di Valadier
voluto da Papa Leone XII.
L’asse da
considerare è quello che va da Porta del Popolo a via del Corso.
Il
progetto di risistemazione dell’assetto urbanistico di tale piazza nel ‘600 fu
affidato a Carlo Rainaldi e risale esattamente al 1662: l’imbocco di via del
Corso e delle due vie adiacenti è regolato ed enfatizzato dalla costruzione
delle due chiese con cupola rialzata.
Complessivamente
posso dire che la forma della pianta può essere definita un trapezio con la
base minore verso il Tridente, fiancheggiata da case a est e a ovest e conserva
quella delineazione a imbuto che continua a essere forma della sua funzione di
accesso alla città da Roma nord.
Il 23
Dicembre del 1655 Cristina di Svezia, figlia del Re Gustavo Adolfo II, fervido
propugnatore del protestantesimo, varcò la soglia della Porta del Popolo come
novella convertita al Cattolicesimo, questo trionfo appariva di eccezionale
auspicio per il neo eletto papa Alessandro VII.
Il
pontefice, ben consapevole della portata dell’evento, ne eternò il ricordo
nell’epigrafe commemorativa sulla facciata interna di Porta del Popolo,
integrata in uno schema decorativo che incorniciava lo stemma del Papa e che,
in rilievo, fra le volute di un frontone spezzato, giungeva con l’apice sopra
l’attico, essendo parzialmente visibile anche dall’esterno. Il compito fu affidato
a Bernini che vi fece lavorare Felice della Greca.
E’ per
tale occasione che si apportarono anche le modifiche di ‘modernizzazione’ alla
facciata di Santa Maria del Popolo.
Al suo
ingresso Cristina di Svezia trovò davanti a se un tipo di situazione urbanistica
in fase di sviluppo, dove il fulcro della piazza era costituito dall’obelisco
che fungeva da punto di convergenza di via del Corso, via Ripetta e via del
Babuino.
Rainaldi,
nel suo progetto per dare slancio prospettico al Tridente, inserì le due Chiese
gemelle, Santa Maria dei Miracoli e Santa Maria Regina Coeli in Montesanto, che
avrebbero dovuto fungere da snodo e avrebbero inquadrato la piazza con funzione
urbanistica rendendo l’ingresso a Roma maestoso.
Le due
chiese gemelle furono costruite per volere di Papa Alessandro VII (Chigi), ma i
lavori terminarono solo dopo la sua scomparsa (1667), rinnovando profondamente
l'aspetto della piazza, e costituendo così i due poli del Tridente. I due
edifici furono iniziati da Carlo Rainaldi e completati da Gian Lorenzo Bernini,
con la collaborazione di Carlo Fontana.
L’inizio
della residenza romana di Cristina di Svezia, come già in precedenza detto,
coincise nel programma urbanistico di Alessandro VII, con la sistemazione di
Piazza del Popolo, cominciando con le due “isole” all’altezza del Tridente.
L’incarico,
come ben noto, fu affidato a Carlo Rainaldi che cercò per quanto possibile, di
coordinare le fronti non simmetriche dei due terreni.
L’inizio
fu rapido. Il 16 novembre 1661 il papa approvò con un chirografo il primo
progetto del Rainaldi per due chiese simmetriche destinate a due comunità
mariane. Il progetto prevedeva due edifici cruciformi, sormontati da cupole con
lanterna, su tamburo ottagonale. Le facciate rettilinee erano inquadrate da
colonne binate sostenenti il frontone e l’attico. Due compartimenti laterali
convessi, piegati all’indietro, dovevano agevolare la transizione alle strade e
contenevano portali laterali in aggiunta a quello centrale.
Le
critiche, in un ambiente dove a dominare era il Bernini, non si fecero di certo
aspettare, appuntandosi sulla sproporzionata altezza della facciata,
determinata dall’intenzione di impiegarvi le colonne del piano inferiore del
campanile berniniano per San Pietro. A rimediare vi erano le colonne del piano
superiore dello stesso campanile, alte trentasette palmi, che furono comprese
nell’immediata riconfigurazione.
Santa
Maria Regina Coeli in Montesanto prende il nome da una precedente chiesa dei
Carmelitani di Monte Santo in Sicilia.
La sua
costruzione fu sospesa alla morte del Papa e ripresa grazie ai finanziamenti
donati dal Cardinale Gastaldi da Gian Lorenzo Bernini e Fontana nel 1679.
Il
campanile di Francesco Navone è analogo a quello della chiesa gemella e risale
al 1761, la cupola è divisa in dodici spicchi dodecagoni e decorata nel 1825
per volere di Papa Leone XII con foglie di lavagna.
La
facciata presenta un portico in travertino con quattro colonne, la balaustra
invece è decorata da statue di Santi.
Sull’architrave
fu posta la scritta “Anno jubilaei
MDCLXXV” in ricordo del Giubileo del 1675.
All’interno
la Chiesa
presenta un profondo presbiterio e ha forma ellittica, inoltre è decorata con
stucchi, affreschi di Berrettoni e putti di Pietro Paolo Naldini.
Durante la
prima fase dei lavori (ancora sotto Alessandro VII), la facciata arrivò al
livello del cornicione. Quando i lavori ripresero nel 1671, grazie alla
generosa donazione di Gastaldi, il responsabile, a sorpresa, non fu più
Rainaldi ma, Carlo Fontana.
La sua
proposta, corredata da uno schizzo planimetrico con spiegazioni, che risale al
Generalato di Matteo Orlandi dei Carmelitani, si concentrava essenzialmente sui
punti seguenti: ridurre per quanto possibile lo spessore murario del tamburo in
corrispondenza dell’asse longitudinale e aumentarlo in direzione trasversale,
al fine di avvicinare otticamente la sua forma a una struttura circolare, come
si prevedeva per Santa Maria dei Miracoli.
Un inizio
così felice per il Fontana prese un corso diverso perché le “misure”, dal 24
gennaio al 12 maggio 1674, parlano di una mutazione del disegno, e le parti già
costruite dell’attico furono demolite per essere sostituite dalle attuali
balaustre, concepite più basse al fine di creare un contrasto al “frontespizio
e timpano” al centro.
Ciò era
semplicemente un metodo per distrarre l’occhio dal tamburo, che poi diventerà
dodecagonale.
La
cerimonia di apertura ebbe luogo il 3 settembre 1678, poco prima che i lavori
fossero completamente condotti a termine.
Quando i
Francescani furono trasferiti in Piazza del Popolo secondo le disposizioni del
chirografo di Alessandro VII, furono accomodati in maniera provvisoria nel
convento di Sant’Orsola. Dopo il primo tentativo, la ripresa dei lavori poté
avvenire con il giubileo del 1675.
S’iniziò a
costruire la chiesa di Santa Maria dei Miracoli come da progetto di Rainaldi,
su planimetria circolare che fu modificata soltanto nei particolari, come la
sostituzione delle colonne con paraste ai fianchi delle cappelle e
dell’ingresso del coro.
Il
progresso fu notevole: il 2 giugno 1677 si era già arrivati al livello della
Tribuna e Tamburo della cupola.
Il
completamento dell’edificio passò però poi nelle mani del Fontana. Rimaneva da
definire l’articolazione dell’interno sopra il cornicione, dove egli cercò di
introdurre una specie di secondo ordine che gli riuscì in maniera alquanto
improvvisata per mancanza di spazio. Dove invece c’era la possibilità di
ricorrere a tutti i suoi registri, il Fontana seppe sicuramente sfruttare
l’occasione.
Si
concentrò maggiormente sull’altare maggiore e sull’abside dotata di colonne
libere accoppiate, retrocedenti verso il centro per accentuare la venerata
immagine della Madonna col Bambino, opera dello scultore Antonio Raggi.
La chiesa
fu terminata nel 1679 e fu consacrata solo il 4 agosto del 1681 dal Cardinale
Carpegna.
Questa,
insieme alla gemella costituisce uno scenario indimenticabile per chi entra a
Roma da Porta del Popolo.
Le due
chiese con la loro posizione di fronte a porta del Popolo portavano a
compimento il concetto della piazza come “foro mariano”.
Costituivano
una forte presenza in senso urbanistico e questo in realtà è sempre stato
l’unico obiettivo cui si è guardato nel corso degli anni della loro
realizzazione.
Come
abbiamo visto, i momenti sfavorevoli non sono mancati: dopo lo sproporzionato
progetto del chirografo solo l’intervento di Bernini poté salvare l’aspetto
delle facciate, ispirando il Rainaldi a sviluppare le sue migliori capacità col
notevole risultato del progetto della medaglia del 1662.
Bernini,
sicuramente in maniera più violenta, è intervenuto nel 1674, opponendosi alla
proposta del Fontana che intendeva recuperare la simmetria tramite tamburi e
cupole analoghe solo in apparenza.
Bernini
introdusse ancora un’altra differenziazione fra il dodecagono di Santa Maria di
Monte Santo, più snello e quindi meno appariscente, e l’ottagono di Santa Maria
dei Miracoli, che al confronto appare analogo.
Naturalmente
la vicenda progettuale delle chiese, ma anche della piazza non finì nel ‘600,
questa riprese dopo la metà del ‘700 con la costruzione dei campanili e dei
conventi.
La forma
della piazza assunse la conformazione attuale solo alla fine del XVIII secolo.
Prima era come poco fa detto una modesta piazza di forma trapezoidale, che si
allargava verso il Tridente.
Al tempo
dell'occupazione napoleonica, il suo aspetto architettonico e urbanistico fu
rivisto da Giuseppe Valadier, autore della definitiva trasformazione della
piazza.
Grazie al
suo intervento, assunse una forma ellittica, nella parte centrale, completata
da una duplice esedra, decorata con numerose fontane e statue, che si
protendono verso la terrazza del Pincio e verso il fiume Tevere.
Il
Valadier continuò la sua opera di rinnovamento sistemando anche la zona delle
pendici del Pincio, raccordando Piazza del Popolo e il colle con delle ampie
rampe, adornate da alberi e carrozzabili, terminate nel 1834.
La
terrazza del Pincio diventerà una delle più celebri passeggiate di Roma,
frequentata dal popolo, dalla borghesia, dalla nobiltà, dall'alto clero e dagli
stessi pontefici.
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