Si è aperta lo scorso 22 febbraio
al Complesso del Vittoriano la
mostra, a cura di Guy Cogeval e Xavier Rey, che
vede il Musée d’Orsay lato sensu protagonista indiscusso.
Strutturata fondamentalmente su due fronti l’esposizione celebra da una parte
la storia del Museo come spazio artistico (splendido esempio di archeologia
industriale strappato alle demolizioni dei piani urbanistici del XX secolo), e,
dall’altra, la collezione stricto sensu
dell’istituzione parigina.
Una mini sezione dedicata
all’italiana Gae Aulenti, recentemente scomparsa, vincitrice negli anni Ottanta
del concorso per la sistemazione interna e il design della gare,
ricorda il lavoro fondamentale dell’architetto, prosecutrice delle concezioni
di Carlo Scarpa, che ha voluto la presentazione delle opere su pietra e luce
indiretta.
Pannelli didattici corredati da
affascinanti foto dell’epoca raccontano sinteticamente la vicenda storica del
contenitore-Museo, che prima di divenire la stazione ferroviaria Paris-Orléans, è
stato un edificio ottocentesco, distrutto dalla furia rivoluzionaria della fine
del XVIII secolo.
Una selezione di ben 63 quadri
scelti con criterio dai vertici dell’istituzione francese, ma non capolavori stricto sensu come introduce il titolo
della rassegna, educa il pubblico alla travolgente e impetuosa epoca
artistico-culturale che si sviluppa in Europa tra il 1848 e il 1914.
L’esposizione ci consegna un
coerente excursus
stilistico-culturale di un periodo fondamentale della vicenda artistica
europea; ci proietta dentro la storia dell’epoca facendoci percepire la voglia
di cambiamento in atto, il fervente clima culturale, e la rivoluzione pittorica
che sovverte la dirompente e tumultuosa società del tempo. La mostra,
articolata in 5 sezioni, è allestita con efficacia e misura: colori diversi
qualificano ogni singolo momento/movimento storico affrontato e introdotto da
contenuti, ma esaustivi pannelli didattici, a volte dimentichi del tempo
verbale.
Si parte con Accademia e nuova pittura: la stagione di rinnovamento della
pittura d’Accademia, la cosiddetta arte
ufficiale, la protagonista dei Salon
parigini (fig. 1), si confronta con il
nuovo realismo di Courbet.
Si presentano, dunque, opere che
hanno a lungo simboleggiato le due anime della seconda metà dell’Ottocento, due
percorsi contrapposti della storia dell’arte del periodo: la pittura di
accademia che, tra il 1860 e il 1870, si rinnova e trionfa, e la nuova pittura
di stampo realista che in quegli anni sconvolge e scompagina il pubblico delle
arti.
Per i protagonisti delle due correnti la rappresentazione del
corpo rappresenta il terreno preferito di confronto: da una parte
l’idealizzazione classica e la resa armonica, dall’altra, in contrapposizione
al paludato accademismo, una restituzione realistica e provocatoria del fisico
umano.
La seconda sezione, Il paesaggio e la vita rurale: dal
classicismo all’impressionismo, ci rivela come il paesaggio, considerato
nei periodi precedenti un genere cosiddetto minore, in questo momento acquisti
un’inedita considerazione e diventi protagonista dell’arte del periodo
elevandosi a genere nobile. La pittura di paesaggio subisce profondi
cambiamenti: la corrente naturalista celebra il mondo contadino; per la prima
volta, tra i soggetti dei dipinti, compaiono figure di lavoratori ai quali è
riconosciuta la dignità di essere rappresentati (fig. 2). Attraverso le opere
dei suoi protagonisti si racconta il movimento legato alla “Foresta di
Barbizon”, e si
riportano quei mutamenti che consentiranno lo sviluppo e l’affermazione della
stagione impressionista. Nonostante l’iniziale condanna del pubblico l’esperienza
di stampo impressionista continua e molti artisti si uniscono al “cenacolo di
luce e colore” (Pisarro, Sisley, Cézanne), non trovando spazio nei salon tradizionali gli impressionisti
espongono in luoghi non consoni riuscendo progressivamente ad affermarsi.
Merito della mostra è di riuscire a spiegare come l’impressionismo non possa
essere ricondotto ad uno stile univoco, evidenziando come partendo dalla comune
riflessione sulla luce ogni membro del “sodalizio” giunga ad esiti
personalissimi ed unici.
La terza sezione, Rappresentare la proprio epoca: la vita
contemporanea, dunque, illustra la parabola impressionista, gli artisti del
sodalizio di luce e colore ritraggono la vita moderna. Alcuni di loro si
dedicano a paesaggi rurali e attività di svago all’aperto, altri sono
interessati all’urbanizzazione (fig. 3) e ai progressi della tecnica (fig.4),
altri ancora sono attratti da soggetti, espressione di contemporaneità, come
ballerine (fig. 5), donne al bagno, scene galanti e cavalli.
La quarta sezione, Stati
d’animo: il simbolismo, è dedicata all’evolversi del linguaggio pittorico
nella sua declinazione simbolista. Si delinea quello strano stato d’animo
tipico dei pittori di questa corrente. Il simbolismo, movimento multiforme
dalle numerose declinazioni (paesaggio, ritratto, scene di genere), testimonia
alla fine dell’Ottocento, l’emergere di un forte sentimentalismo (fig. 6).
Insieme al realismo e all’impressionismo, rappresenta una chiave fondamentale
di lettura della pittura di fine XIX sec.
Si traccia la vicenda dei Nabis,
i pittori che seguono Gauguin a Pont-Aven, lontano dalle grandi trasformazioni
del secolo, che dopo aver a lungo meditato sulla lezione impressionista,
inventano un nuovo registro stilistico-formale e conferiscono alle loro opere il
segno di una emozione particolare e intima. I profeti, nel realizzare opere
silenziose e piene di significati, rappresentano un mondo interiore,
indecifrabile e complesso, e si interrogano sul destino dell’uomo facendo
emergere un immaginario onirico che sfugge al campo dell’osservazione diretta.
Questa tendenza si esprime al
meglio con il ritratto, che consente un’indagine psicologia del personaggio, lo
stato d’animo è rivelato anche attraverso il semplice arredo o la scelta di
certi elementi dell’interno.
In ultimo, Dopo l’impressionismo: verso le avanguardie del XX secolo, la
mostra si conclude con una sezione che spiega come alla fine dell’800 e nei
primi anni del ‘900 si attui il definitivo superamento dell’impressionismo con
sviluppi, quelli post-impressionisti, che
aprono già alle avanguardie del XX secolo. Siamo all’alba della modernità, il
vecchio secolo consegna al nuovo un terreno su cui le avanguardie storiche
cresceranno e si svilupperanno. Si sottolinea, dunque, il valore immenso
dell’eredità lasciata dall’impressionismo alle generazioni successive, senza la quale probabilmente non ci sarebbero
stati certi esiti artistici del XX secolo.
Una mostra che è allo stesso
tempo un pezzo di museo e un pezzo da museo.
Il catalogo
A cura di Guy Cogeval e Xavier
Rey e pubblicato da Skira, il
catalogo in brossura esibisce un’apprezzabile cura editoriale. Significativo e
degno di nota l’apparato fotografico,
a complemento della parte saggistica e del corpus
delle opere esposte, particolarmente ricco e studiato con una notevole quantità
di dettagli importanti.
Alla tradizionale parte
introduttiva di ringraziamenti di coloro che hanno reso possibile questa
impresa espositiva (istituzioni, partner ed organizzatori), segue un’unità
saggistica, di circa 25 pagine, di carattere meramente storico,
stupisce in questo contesto la mancanza di scritti a carattere
letterario-scientifico.
Secondo il criterio adottato in
mostra delle 5 sezioni, il catalogo presenta, poi, l’insieme delle opere della rassegna. Ogni
gruppo di dipinti è intelligentemente preceduto da una scheda introduttiva che
esplica al lettore il periodo artistico o il movimento culturale de quo.
Curiosa la scelta di dotare di schede di catalogo solo alcuni dipinti (i
medesimi che in rassegna esibiscono un cartellino didattico, evidentemente il
contenuto non cambia). L’impostazione delle cartelle è quella classica (autore,
titolo, datazione, supporto/tecnica, dimensioni, provenienza e data di
acquisizione, numero di riferimento, analisi storico-critica).
Dobbiamo infine rilevare l’assenza tout
court dei tradizionali strumenti di studio a completamento del volume:
nessuna appendice documentaria, e neppure la fondamentale, per gli studiosi,
bibliografia, mentre i crediti fotografici precedono i ringraziamenti
istituzionali.
LA MOSTRA Dove: Complesso del Vittoriano,
Roma Quando: 22 febbraio - 8 giugno 2014
NOTE
Negli anni Ottanta dell’Ottocento un gruppo di
giovani pittori, i puntillisti, convinto della capacità ottico-estetiche
dell’occhio umano di sintetizzate i colori, inizia a portare al limite il
processo di separazione delle macchie cromatiche sulla tela, come
estremizzazione del processo di divisione dei colori sperimentato dagli
impressionisti. Dal
1886 ogni artista intraprende un personale percorso di sperimentazione verso
una pittura sempre più moderna, Pisarro si dedica alla tecnica puntillista,
Monet interessato al cambiamento della luce e del colore con il passare del
tempo e ritrae uno stesso soggetto nei vari istanti della giornata. Le
sperimentazioni si moltiplicano: il neo-impressionismo di Seurat e Signac si
diffonde al di fuori dei confini nazionali. Il
personalissimo stile di Van Gogh, che parte dall’ammirazione per la resa della
luce impressionista, giunge a prefigurare l’espressionismo di inizio XX secolo
(fig. 7). Il cloisonnisme di Gauguin
e dei nabis, che attraverso l’uso di colori accesi ed autonomi , afferma la
dimensione puramente estetica della pittura (fig. 8). Le grandi composizioni decorative di Vuillard
e Bonnard denotano una ricerca di compostezza e grandezza quasi classiche.
Infine l’abbandono della prospettiva classica del puntinismo e il processo di
semplificazione delle forme, portato avanti da Bernard e Sérusier, prefigurano già le astrazioni del XX secolo.
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