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Riscoprire Michelangelo come artista universale: una recensione

 

Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 19 Giugno 2014, n. 717
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Area Mostre

A 450 anni dalla sua scomparsa, Roma dedica all’artista aretino una mostra che, lungi dall’aver pretese di universalità, propone chiavi di lettura interessanti, per contrapposti, dell’attività del Buonarroti.

Più di 150 opere, di cui una settantina del maestro, sono giunte nel cuore dell’Urbe per rendergli omaggio. Così la piazza del Campidoglio, alla cui ridefinizione il toscano lavora sin dal 1536, rappresenta il suggestivo inizio, e al contempo degna conclusione, dell’esposizione, celebrante il genio michelangiolesco, che si spiega nelle stanze dei Palazzi dei Conservatori e Caffarelli. Non ci sono, e non potevano esserci, i capolavori “intrasportabili”, ma lavori significativi e notevoli possono essere visti, ammirati, studiati e confrontati gli uni accanto agli altri. La curatrice, Cristina Acidini, in 9 sezioni, ha saputo rendere tematiche cruciali della poetica artistica dell’aretino, nonché proporre chiavi di accesso interessanti alla lunga e variegata attività lavorativa di quest’artista titanico, che amava definirsi scultore, ma che eccelleva in tutte le arti maggiori e non solo.

Pannelli didattico-esplicativi guidano il visitatore nella piena comprensione di ogni singola articolazione espositiva.

La prima sezione ha natura biografica e ci restituisce un ritratto di Michelangelo principalmente diviso tra Roma e Firenze 1 . Un ricco corredo documentario di carte autografe e lettere di risposta testimonia in maniera vivida e intima il pensiero e le tribolazioni che affliggevano l’animo agitato del Buonarroti. La curatrice ricostruisce con dovizia e ricchezza l’ambiente intellettuale e i personaggi centrali con cui il nostro è entrato in contatto (Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Girolamo Savonarola, Pico della Mirandola, Pier Soderini, papa Giulio II, papa Leone X, papa Clemente VII, papa Paolo III, papa Paolo IV…). Del genio conosciamo non solo il risultato della sua attività artistica, ma anche le fattezze: un suo ritratto (fig. 1), proveniente da Casa Buonarroti, e realizzato da Jacopino del Conte apre magnificamente il settore della mostra dedicato al “destino” dell’uomo-artista. Tra le altre opere esposte segnaliamo il bellissimo ritratto di Giulio II (fig. 2, Raffaello e bottega, Firenze Galleria degli Uffizi), cosiddetto “secondo originale” rispetto all’esemplare conservato a Londra. L’urbinate raffigura il pontefice, caratterizzato insolitamente da una soffice e lunga barba 2 , in una posa, al contempo, ufficiale ed informale: non veste gli abiti solenni religiosi, bensì, il camauro e la mozzetta, simboli del potere laico e giudiziario 3 . Da non perdere il suggestivo ritratto di Paolo III Farnese e il nipote Ottavio (?) di Sebastiano del Piombo (Parma, Galleria Nazionale). Si tratta di un’opera su ardesia, ancorché non finita, di forte impatto visivo, in cui l’artista realizza “una magistrale idealizzazione di un tipo senile – pur non rinunciando a indugiare in minuti grafismi di carattere naturalistico – che comunica un senso di ieratica monumentalità quasi un’icona nella sua stereometria piramidale di ascendenza michelangiolesca” 4 .

La seconda sezione propone i modelli cui l’artista ha attinto. Si tratta di un dialogo antitetico tra antico e moderno. La mostra indaga e indica come punti di riferimento i maestri del Trecento e del primo Quattrocento (Giotto, Masaccio e Donatello), ma anche il percorso che ha portato il toscano ad eleggere l’arte classica modello di ispirazione.

Suggeriamo di fermarsi qualche istante sul cosiddetto Busto Platonico del Bargello (fig. 3), di ambito di Donatello, forse di mano di Bertoldo di Giovanni 5 . Il Busto bronzeo, un ritratto idealizzato all’antica, reca, sul petto, la rappresentazione allegorica dell’anima, come riporta da Platone nel Fedro. L’aggiunta di questo complemento rinvia direttamente al circolo neoplatonico fiorentino, dedito a discussioni filosofiche sulla questio neoplatonica e frequentato dal nostro, che si sviluppa attorno alla figura di Marsilio Ficino.

Sul fronte dell’arte antica si segnala l’Erote dormiente (arte romana, II sec. d.C., marmo bianco, Firenze, Galleria degli Uffizi), scultura raffigurante un fanciullo nudo alato, addormentato su di una clamide con fibula a fiore, su di un piano roccioso. Le fonti documentano che, verso il 1496, il Buonarroti realizza un Cupido dormiente (attuale ubicazione sconosciuta) che probabilmente prende ispirazione da un pezzo simile a quello esposto in mostra: la figura dell’erote addormentato, infatti, è introdotta a Roma in epoca ellenistica e conosce, fin da subito, una grande fortuna, si pensi che sono note più di 180 repliche!. In particolare la scultura degli Uffizi appartiene ad un gruppo di repliche di un prototipo del III sec. a.C. noto come “New York”, dalla collocazione presso il Metropolitan Museum dell’esemplare, in bronzo, maggiormente significativo 6 .

Il terzo momento della mostra è dedicato ai temi della vita e della morte: le tematiche della nascita, della creazione, della redenzione e del trapasso sono al centro della arte del maestro e l’esposizione ci guida nel tentativo di comprendere come questi concetti, non astratti né universali, siano stati indagati, elaborati e comunicati dal toscano. La sola visione della Madonna della Scala (fig. 4), capolavoro giovanile dell’artista solo quindicenne, merita la visita 7 . L’opera è esposta magnificamente, isolata entro un’ampia teca di pannelli verdi, consente al visitatore di percepire le seppur minime variazioni di rilievo della potente lastra marmorea che, memore dell’insegnamento di Donatello e del suo “stiacciato” 8 , già indica, però, la personale visione michelangiolesca qualificata dalla sua esclusiva forza plastica.

I diversi crocifissi esibiti rivelano un’inedita, forse eccessiva, attenzione anatomica, volta probabilmente a specificare la personale riflessione sulla sofferenza umana. La precipua caratterizzazione fisica del corpo di Cristo è il frutto dello studio atteso sui cadaveri riparati nell’Ospedale degli Agostiniani a Firenze. Né minor riguardo palesano i volti del Salvatore. Per il loro tramite, ma non solo 9 , Michelangelo comunica concetti espressivi di autentica partecipazione alla fede religiosa, senza, però, cadere in rappresentazioni patetiche o melodrammatiche: il tono affranto, tipico dei Compianti di Niccolò dell’Arca, non interessa l’artista il cui fine è quello di una genuina e sincera espressione di devozione privata, e non quello di suscitare in altrui contrastanti sentimenti di passione. Ecco perché le figure sacre del toscano, prive di tragicità, sono, al contrario, avvolte da una vera ed ideale bellezza corporea, immagini in cui i concetti di idealità e sacralità si integrano nella concezione di un Dio Vivente (fig. 5) 10 .

La quarta sezione affronta la tematica della battaglia, e più in particolare la condizione dei vincitori e dei vinti. Una dialettica particolarmente sentita dal maestro che, nell’arco della sua vita, ha modo di sperimentare alternativamente sentimenti vittoriosi o di sconfitta. Nelle sue opere si individuano esempi di umanità trionfante (David conservato nella Galleria dell’Accademia) 11 , ma anche prototipi di vinti (i Prigioni o gli Schiavi), simboli di un’emblematica e personale fatica spirituale.

Sorprendente la visione ravvicinata del Bruto marmoreo del Bargello (fig. 6) 12 , che la curatrice ha voluto in suggestivo dialogo con prototipi classici, cui, evidentemente, il maestro si è ispirato: il Bruto bronzeo dei Musei Capitolini, e il Caracalla dei Musei Vaticani 13 . La scultura è spesso associata alla vicenda storica di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino e uccisore del duca Alessandro, despota e ultimo discendente del ramo principale della famiglia Medici, che libera Firenze dalla tirannia del consanguineo. Michelangelo, considera Lorenzetto un personaggio positivo e lo raffigura nelle fattezze del tirannicida; il suo sguardo suggerisce la forza morale, il coraggio e la determinazione di un uomo che si “sacrifica” in nome della libertà.

La lotta intima e personale del toscano per il conseguimento della redenzione è simboleggiata magnificamente dagli Schiavi o Prigioni, scolpiti per decorare la Tomba di Giulio II. Si tratta di esempi di sconfitti o di uomini che hanno saputo liberarsi dalle catene della corporeità. La spinta verso la salvezza è, dunque, per il maestro uno sforzo immane che l’anima compie per vincere la prigionia della materia.

La successiva articolazione analizza l’operato architettonico del Buonarroti da un punto di vista in bilico tra tradizione e invenzione. L’esordio di Michelangelo come architetto avviene a Firenze, nel 1507, sul più importante monumento cittadino: Santa Maria del Fiore 14 . Gli studi cartacei e modelli lignei (fig. 7) presenti in mostra dimostrano come il l’aretino abbia considerato l’architettura del Brunelleschi un documento da studiare e comprendere al fine di redimere la questione del completamento. I progetti michelangioleschi testimoniano intendimenti di natura filologica ed esegetica dell’architettura preesistente, lontani dal decorativismo del ballatoio, realizzato successivamente da Baccio d’Agnolo su disegni del maestro! Nella città toscana il Buonarroti lavora anche al compimento della facciata di San Lorenzo, ancora oggi grezza. Diversi disegni e il modello ligneo di Casa Buonarroti comunicano la capacità innovativa del toscano che, chiamato a intervenire su una sagoma a capanna digradante, indicante la divisione interna in 3 navate, idea una facciata rettangolare su due ordini, divisi da un piano ammezzato, che non ha più nulla a che vedere con gli spazi interni.

Nella sesta parte si affrontano i temi della notte e del giorno: la Sagrestia Nuova in San Lorenzo è proposta al visitatore in una veste insolita. Ai disegni e progetti preparatori si affianca una serie di versi autografi dalla quale si evince che la tematica del “tempo che consuma il tutto" 15 , non sia intesa dall’artista in senso strettamente religioso, piuttosto cosmologico: lo scorrere dei giorni allude, cioè, alla ciclicità della vita e della morte, simboleggiate dalla luce e dall’oscurità, come le statue da lui realizzate per la Sagrestia (il Giorno, la Notte, l’Aurora e il Crepuscolo).

Segue una sezione in cui si spiega la filosofia dell’amore celeste contrapposto all’eros terreno. L’essenza dell’amore è duplice: spirituale o celeste e sensuale o terrena. Michelangelo si è formato nell’ambiente neoplatonico fiorentino, dove la contrapposizione tra il desiderio di bellezza e l’impulso erotico non genera quella tensione che l’artista vive negli anni successivi al trasferimento a Roma. La sempre maggior preoccupazione per l’aspetto erotico sfocia in una condizione quasi tragica ed è trasposta dal maestro sia nelle sue sculture che nelle sue composizioni poetiche. Nei suoi sonetti racconta di aver ricevuto per grazia divina una vocazione alla bellezza, predisposizione che non deriva, come nemici e detrattori sostengono, da gusti di natura sessuale, ma che sono il frutto di una sana e spirituale competenza artistica, i bei corpi disegnati o scolpiti sono, cioè, il dono che il suo Dio gli ha concesso.

Leggiamolo direttamente dai suoi versi:


Per fido esemplo alla mia vocazione /

Nel parto mi fu data la bellezza /

Che d’ambo l’arti m’è lucerna e specchio.

S’altro si pensa, è falsa opinione.

Questo sol l’occhio porta a

quella altezza

c’a pingere e scolpir qui m’apparecchio.

S’e’giudizi temerari e sciocchi

al senso tiran

la beltà, che muove

e porta al cielo ogni intelletto sano,

dal mortale al divin non vanno gli occhi

infermi, e fermi sempre pur là d’ove

ascender senza grazia è pensier vano”


La penultima partizione della mostra tratta del tema del potere miracoloso e salvifico del Redentore, il solo che può vincere la morte. Nell’ultima parte della sua vita Michelangelo vive un rapporto sempre più totalizzante con la fede cristiana e con la figura di Gesù Cristo. A questa concentrazione spirituale-apocalittica si affianca un’incessante meditazione sulla morte e sulla salvezza dell’anima, testimoniata dalle sue ultime sculture come la Pietà Rondanini (Milano, Castello Sforzesco) e il piccolo crocifisso ligneo di Casa Buonarroti (fig. 8). La Pietà è stata concepita con l’intendimento di mettere il mondo difronte all’uccisione di Cristo, voluta e perpetrata da una comunità consapevole e colpevole, perché distratta. Le forme scabre, asciutte, prive della bellezza ideale a cui il Buonarroti ci ha abituati, sono funzionali al messaggio che l’artista vuole inviare: indurre, cioè, nella stessa umanità, che ha contribuito alla morte di Gesù, sentimenti di pietà e di vergogna per la colpevole condotta.

Il piccolo crocifisso ligneo, scolpito forse per devozione privata, mostra una potenza comunicativa sconosciuta ed emozionante; espressione estrema dello spiritualismo del maestro esso rivela sentimenti di sofferenza, affiancati, però, da una tristezza di sapore quasi apocalittico. è un supremo esempio di “non finito”, le cui motivazioni, come scrive Pina Ragionieri, direttrice della Fondazione Casa Buonarroti : “si intravedono solo se lo si interpreta come impossibilità esistenziale di procedere oltre” 16 .

L’ultimo momento della mostra ci racconta di un artista completamente assorbito dagli impegni che, a partire dal 1534, si moltiplicano e non gli lasciano quasi più tempo per sé stesso 17 . Si tratta di una fase particolarmente gravosa, dal punto di vista fisico e lavorativo, della vita del nostro, impegnato su più fronti (Affresco del Giudizio Universale, Cantiere di San Pietro, Porta Pia, Piazza del Campidoglio, Cappella Paolina …). Alla sua morte il Buonarroti lascia un quantitativo eccezionale di disegni e progetti per opere che hanno cambiato il volto della città di Roma, ma che verranno condotte a termine solo dopo la sua scomparsa. Si tratta, come afferma Pietro Ruschi, di: “elaborazioni ideali (i disegni) divenute elaborati, (…….) quasi impossibili da capire sotto il profilo tecnico” 18 . Di questa impossibilità tecnica si accorge presto Tiberio Calcagni 19 , allievo ed epigono del maestro, cui spetta l’onore e l’onere della loro esecuzione.

L’eccezionale numero di schizzi e di disegni preparatori presentati è capace di celebrare l’inventiva del toscano nonché di evocare in chi guarda il processo creativo percorso dall’artista tra il momento della nascita dell’idea, il successivo sviluppo e la definitiva realizzazione dell’opera ultimata (fig. 9, Studio per la scala nel ricetto della Biblioteca Laurenziana).

Una mostra importante, di natura non solo celebrativa, ma anche didattica che aiuta il grande pubblico a superare la conoscenza superficiale di un artista che tutti credono di conoscere.




Il catalogo
A cura di Cristina Acidini, con Elena Capretti e Sergio Risaliti e pubblicato da Giunti Editore, il catalogo in brossura esibisce un’apprezzabile cura editoriale.

Le prime venti pagine sono costituite dalla tradizionale parte introduttiva di ringraziamenti di coloro che hanno reso possibile questa impresa espositiva (istituzioni, partner ed organizzatori), a seguire una ricca e notevole unità saggistica, di circa 150 pagine, suddivisa, come la mostra, in 9 sezioni: uno o più scritti, di illustri storici, critici e studiosi d’arte, concretano il “capitolo” intitolato come le ripartizioni dell’esposizione. Precede il catalogo stricto sensu un’articolazione definita “Tavole”, relativa ad immagini cui si riferisce la parte saggistica.

Il corpus delle opere è presentato secondo il criterio espositivo, 9 sezioni raggruppano tematicamente gli oltre 150 pezzi. L’impostazione delle schede è quella classica (autore, titolo, datazione, supporto/tecnica, dimensioni, provenienza e data di acquisizione, numero di riferimento, analisi storico-critica, bibliografia).

Segue un bellissimo “capitolo”, intitolato “Obiettivo Michelangelo”, di scatti fotografici di opere del maestro di due importanti fotografi: Massimo Listri e Aurelio Amendola.

Le ultime pagine del volume riportano i cosiddetti apparati, utili strumenti per studiosi e studenti di arte: una breve sezione sul Polo Tattile Multimediale di Catania, prestatore del plastico tattile Basilica e colonnato di San Pietro (2012); una dettagliata biografia del Buonarroti: “Michelangelo, vita e opere”; infine, un’aggiornata bibliografia sull’artista toscano.

I crediti fotografici, come ormai di consueto, si trovano nelle prime pagine del catalogo.


DOVE

Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli, Sala Orazi e Curiazi, Roma
Quando: 27 maggio - 14 settembre 2014





NOTE

1 La sua lunga e fortunata carriera artistica si svolge perlopiù tra l’amata Firenze e la Roma dei papi, poche le eccezioni: i sopralluoghi alle cave di marmo tra Carrara e Pietrasanta ed i viaggi a Bologna, Ferrara e Venezia. Nel 1494, a causa del violento clima politico, Michelangelo lascia per la prima volta la città medicea; ripara prima a Venezia quindi a Bologna dove trova la protezione di Giovan Francesco Aldovrandini, che introduce il giovane scultore, non ancora ventenne, in San Domenico, per lavorare al completamento dell’Arca della chiesa, contenente le spoglie del fondatore dell’Ordine Domenicano, lasciata incompleta da Niccolò dell’Arca, morto proprio in quell’anno. L’opera, di concezione ancora medievale, è quasi ultimata, mancano solo alcune statue di “corredo”, il toscano scolpisce tre pezzi: l’Angelo reggicandelabro, pendant dell’altro scolpito da Niccolò, il San Procolo e il San Petronio. Soprattutto dal confronto dei due Angeli si percepisce il definitivo superamento dell’estetica tardogotica, caratterizzata da ritmi e andamenti leziosi, riscontrabili nel lavoro del suo predecessore; le sculture del giovane, infatti, sono solide e compatte, avvolte da un ampio e dinamico panneggio di stampo classico.

2 Giulio II, tra il 1511 e il 1512, a causa degli insuccessi politici e bellici nel conflitto contro i francesi e per la perdita della città di Bologna, si lascia crescere, in segno di lutto, alla maniera degli antichi, una lunga barba (cfr. 1564/2014 Michelangelo, incontrare un artista universale, catalogo della mostra Roma Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli, 27 maggio-14 settembre 2014, acd C. Acidini, Roma 2014, p. 232).

3 M. Rohlman, “I ritratti di Giulio II e Leone X”, in Rafael i jegospadkobiercy, atti del convegno Torun 24-25 ottobre 2002, acd Sebastian Dudzik, Torun 2003, pp. 185-203, passim.

4 C. Cinelli, in C. Acidini, Roma 2014, p. 235.

5 Bertoldo di Giovanni, l’ultimo allievo vivente di Donatello (del quale in mostra si presenta un bronzo Rilievo di battaglia (Museo Nazionale del Bargello), è colui che indirizza il giovane Michelangelo allo studio della scultura antica, ma è anche il tramite attraverso cui entra in contatto con gli artisti della fine del Trecento e del primo Quattrocento, le cui opere sono visibili pubblicamente nelle chiese fiorentine. Il Buonarroti per il tramite di Francesco Granacci accede al cosiddetto “Giardino mediceo di San Marco”, luogo dove giovani artisti dotati, istruiti e seguiti dell’anziano maestro, possono esercitarsi nella copia dall’antico e nelle arti in generale. Questi “incontri” si rivelano fondamentali per la formazione del giovane scultore.

6 A. Muscillo, in Acidini, Roma 2014, p. 245.

7 Il rilievo è scolpito da Michelangelo sotto la guida di Bertoldo di Giovanni nei giardini medicei di San Marco. Il magnifico pezzo è esposto nella Sala degli Orazi e Curazi.

8 Riporta il Vasari nelle sue vite: “volendo contrafare la maniera di Donatello, si portò che par di man sua, eccetto che si vede più grazia e più disegno” (cfr. G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Firenze 1568, nell’edizione acd M. Marino, Milano 1991, p. 1205).

9 Basti pensare alla Pietà Vaticana, alla Madonna Bruges, al Tondo Doni … opere in cui l’artista ha manifestato il proprio apporto alla cristianità in termini di personale spiritualità; un’arte, cioè, caratterizzata da un’inedita forza vitale e da un profondo senso religioso, innervate di sincera devozione.

10 C. Acidini, Roma 2014, passim.

11 David, antenato di Cristo, è rappresentato in uno stato di intima ed assoluta concentrazione, sta per affrontare e vincere in duello l’incarnazione del male: Golia. Michelangelo non scolpisce solo una figura leggendaria, ma gli attribuisce un significato attuale: è l’eroe della fede, un modello di virtù morali e civiche, colui, cioè, che sconfigge il gigantesco filisteo.

12 Il pezzo celebra Marco Giunio Bruto, il figlio adottivo di Cesare che alza il pugnale contro la tirannide per restituire Roma al popolo.

13 La suggestiva messinscena è visibile nella Sala degli Orazi e Curazi.

14 Alla morte di Filippo Brunelleschi il tamburo della cupola rimane allo stato grezzo. La vexata questio sul completamento dell’opera all’epoca di Michelangelo infiammava gli animi, e a fronte di svariate proposte la città decide di affidare i lavori al genio toscano.

15 A. Condivi, Vita di Michelangelo Buonarroti scritta da Ascanio Condivi suo discepolo, Pisa, 1823, p. 50.

16 P. Ragionieri, in (acd) C. Acidini, Roma 2014, p. 347.

17 L’artista si trova, suo malgrado, coinvolto nel programma politico e di rinnovamento urbanistico di Paolo III Farnese, di cui diviene, non senza resistenze, il vero protagonista.

18 P. Ruschi, in (acd) C. Acidini, Roma 2014, p. 349.

19 Ibidem.





Fig. 1
JACOPINO DEL CONTE, (Firenze 1510 - Roma 1598), Ritratto di Michelangelo 1535 circa
Tavola, cm. 98,5 x 68
Firenze, Casa Buonarroti, inv. Gallerie 1890, n. 1708

Fig. 2
RAFFAELLO SANZIO (Urbino 1483 - Roma 1520) e bottega, Ritratto di Giulio II, 1512 circa
Tavola, cm. 108,5 x 80
Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890, n. 1450

Fig. 3
Ambito di Donatello, Busto di giovane con cammeo con la raffigurazione del carro dell'anima (“Busto platonico”), 1475 circa
Bronzo a fusione, cm. 39
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Bronzi n. 8

Fig. 4
MICHELANGELO BUONARROTI, Madonna della scala, 1490 circa
Marmo, cm. 56,7 x 40,1
Firenze, Casa Buonarroti, inv. 190

Fig. 5
MICHELANGELO BUONARROTI (?), Crocifisso, 1495 circa
Legno (tiglio?) policromato, cm. 44,3 x 42,8
Parigi, Musée du Louvre, Département des Sculptures, inv. RF 2013.04
(Dono M.me Kathleen Onorato - M. Peter Silverman, 2013)

Fig. 6
MICHELANGELO BUONARROTI con la collaborazione di TIBERIO CALCAGNI (Firenze 1532-Roma 1565), Bruto, post 1539
Marmo, altezza complessiva cm. 95, base cm. 21
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. Sculture n. 97

Fig. 7
MICHELANGELO BUONARROTI (attribuito a), Modello del tamburo e del ballatoio della cupola di Santa Maria del Fiore, 1507 circa
Una tavola di gattice (pioppo) con pittura a tempera verde-blu e bianca, cm. 96 x 71,5 x 10,5
Firenze, Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore, inv. 2005/495 (ex 143)

Fig. 8
MICHELANGELO BUONARROTI, Crocifisso, 1563 circa
Legno, altezza cm. 26,5
Firenze, Casa Buonarroti, inv. 195

Fig. 9
MICHELANGELO BUONARROTI, Studi per la scala nel ricetto della Biblioteca Laurenziana, prospetto di una finestra o di un tabernacolo, profili di basi, sagome di profili e disegni di figura, 1525
Pietra rossa, pietra nera, penna e inchiostro, su carta, mm. 386 x 280
Firenze, Casa Buonarroti, inv.92 A




	

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