A
450 anni dalla sua scomparsa, Roma dedica all’artista aretino una
mostra che, lungi dall’aver pretese di universalità, propone
chiavi di lettura interessanti, per contrapposti, dell’attività
del Buonarroti.
Più
di 150 opere, di cui una settantina del maestro, sono giunte nel
cuore dell’Urbe per rendergli omaggio. Così la piazza
del Campidoglio,
alla cui ridefinizione il toscano lavora sin dal 1536, rappresenta il
suggestivo inizio, e al contempo degna conclusione, dell’esposizione,
celebrante il genio michelangiolesco, che si spiega nelle stanze dei
Palazzi
dei Conservatori e Caffarelli.
Non ci sono, e non potevano esserci, i capolavori “intrasportabili”,
ma lavori significativi e notevoli possono essere visti, ammirati,
studiati e confrontati gli uni accanto agli altri. La curatrice,
Cristina Acidini, in 9 sezioni, ha saputo rendere tematiche cruciali
della poetica artistica dell’aretino, nonché proporre chiavi di
accesso interessanti alla lunga e variegata attività lavorativa di
quest’artista titanico, che amava definirsi scultore, ma che
eccelleva in tutte le arti maggiori e non solo.
Pannelli
didattico-esplicativi guidano il visitatore nella piena comprensione
di ogni singola articolazione espositiva.
La
prima sezione ha natura biografica e ci restituisce un ritratto di
Michelangelo principalmente diviso tra Roma e Firenze .
Un ricco corredo documentario di carte autografe e lettere di
risposta testimonia in maniera vivida e intima il pensiero e le
tribolazioni che affliggevano l’animo agitato del Buonarroti. La
curatrice ricostruisce con dovizia e ricchezza l’ambiente
intellettuale e i personaggi centrali con cui il nostro è entrato in
contatto (Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Girolamo Savonarola,
Pico della Mirandola, Pier Soderini, papa Giulio II, papa Leone X,
papa Clemente VII, papa Paolo III, papa Paolo IV…). Del genio
conosciamo non solo il risultato della sua attività artistica, ma
anche le fattezze: un suo ritratto (fig. 1), proveniente da Casa
Buonarroti,
e realizzato da Jacopino del Conte apre magnificamente il settore
della mostra dedicato al “destino” dell’uomo-artista. Tra le
altre opere esposte segnaliamo il bellissimo ritratto
di Giulio II
(fig. 2, Raffaello e bottega, Firenze Galleria
degli Uffizi),
cosiddetto “secondo originale” rispetto all’esemplare
conservato a Londra. L’urbinate raffigura il pontefice,
caratterizzato insolitamente da una soffice e lunga barba ,
in una posa, al contempo, ufficiale ed informale: non veste gli abiti
solenni religiosi, bensì, il camauro e la mozzetta, simboli del
potere laico e giudiziario .
Da non perdere il suggestivo ritratto
di Paolo III Farnese e il nipote Ottavio
(?) di Sebastiano del Piombo (Parma, Galleria
Nazionale).
Si tratta di un’opera su ardesia, ancorché non finita, di forte
impatto visivo, in cui l’artista realizza “una magistrale
idealizzazione di un tipo senile – pur non rinunciando a indugiare
in minuti grafismi di carattere naturalistico – che comunica un
senso di ieratica monumentalità quasi un’icona nella sua
stereometria piramidale di ascendenza michelangiolesca” .
La
seconda sezione propone i modelli cui l’artista ha attinto. Si
tratta di un dialogo antitetico tra antico e moderno. La mostra
indaga e indica come punti di riferimento i maestri del Trecento e
del primo Quattrocento (Giotto, Masaccio e Donatello), ma anche il
percorso che ha portato il toscano ad eleggere l’arte classica
modello di ispirazione.
Suggeriamo
di fermarsi qualche istante sul cosiddetto Busto
Platonico
del Bargello
(fig. 3), di ambito di Donatello, forse di mano di Bertoldo di
Giovanni .
Il Busto bronzeo, un ritratto idealizzato all’antica, reca, sul
petto, la rappresentazione allegorica dell’anima, come riporta da
Platone nel Fedro.
L’aggiunta di questo complemento rinvia direttamente al circolo
neoplatonico fiorentino, dedito a discussioni filosofiche sulla
questio
neoplatonica e frequentato dal nostro, che si sviluppa attorno alla
figura di Marsilio Ficino.
Sul
fronte dell’arte antica si segnala l’Erote
dormiente
(arte romana, II sec. d.C., marmo bianco, Firenze, Galleria
degli Uffizi),
scultura raffigurante un fanciullo nudo alato, addormentato su di una
clamide con fibula a fiore, su di un piano roccioso. Le fonti
documentano che, verso il 1496, il Buonarroti realizza un Cupido
dormiente
(attuale ubicazione sconosciuta) che probabilmente prende ispirazione
da un pezzo simile a quello esposto in mostra: la figura dell’erote
addormentato, infatti, è introdotta a Roma in epoca ellenistica e
conosce, fin da subito, una grande fortuna, si pensi che sono note
più di 180 repliche!. In particolare la scultura degli Uffizi
appartiene ad un gruppo di repliche di un prototipo del III sec. a.C.
noto come “New York”, dalla collocazione presso il Metropolitan
Museum
dell’esemplare, in bronzo, maggiormente significativo .
Il
terzo momento della mostra è dedicato ai temi della vita e della
morte: le tematiche della nascita, della creazione, della redenzione
e del trapasso sono al centro della arte del maestro e l’esposizione
ci guida nel tentativo di comprendere come questi concetti, non
astratti né universali, siano stati indagati, elaborati e comunicati
dal toscano. La sola visione della Madonna
della Scala
(fig. 4), capolavoro giovanile dell’artista solo quindicenne,
merita la visita .
L’opera è esposta magnificamente, isolata entro un’ampia teca di
pannelli verdi, consente al visitatore di percepire le seppur minime
variazioni di rilievo della potente lastra marmorea che, memore
dell’insegnamento di Donatello e del suo “stiacciato” ,
già indica, però, la personale visione michelangiolesca qualificata
dalla sua esclusiva forza plastica.
I
diversi crocifissi esibiti rivelano un’inedita, forse eccessiva,
attenzione anatomica, volta probabilmente a specificare la personale
riflessione sulla sofferenza umana. La precipua caratterizzazione
fisica del corpo di Cristo è il frutto dello studio atteso sui
cadaveri riparati nell’Ospedale degli Agostiniani a Firenze. Né
minor riguardo palesano i volti del Salvatore. Per il loro tramite,
ma non solo ,
Michelangelo comunica concetti espressivi di autentica partecipazione
alla fede religiosa, senza, però, cadere in rappresentazioni
patetiche o melodrammatiche: il tono affranto, tipico dei Compianti
di Niccolò dell’Arca, non interessa l’artista il cui fine è
quello di una genuina e sincera espressione di devozione privata, e
non quello di suscitare in altrui contrastanti sentimenti di
passione. Ecco perché le figure sacre del toscano, prive di
tragicità, sono, al contrario, avvolte da una vera ed ideale
bellezza corporea, immagini in cui i concetti di idealità e
sacralità si integrano nella concezione di un Dio Vivente (fig. 5) .
La
quarta sezione affronta la tematica della battaglia, e più in
particolare la condizione dei vincitori e dei vinti. Una dialettica
particolarmente sentita dal maestro che, nell’arco della sua vita,
ha modo di sperimentare alternativamente sentimenti vittoriosi o di
sconfitta. Nelle sue opere si individuano esempi di umanità
trionfante (David
conservato nella Galleria
dell’Accademia) ,
ma anche prototipi di vinti (i Prigioni
o gli Schiavi),
simboli di un’emblematica e personale fatica spirituale.
Sorprendente
la visione ravvicinata del Bruto
marmoreo del Bargello
(fig. 6) ,
che la curatrice ha voluto in suggestivo dialogo con prototipi
classici, cui, evidentemente, il maestro si è ispirato: il Bruto
bronzeo dei Musei
Capitolini,
e il Caracalla
dei Musei
Vaticani .
La
scultura è spesso associata alla vicenda storica di Lorenzo di
Pierfrancesco de’ Medici, cugino e uccisore del duca Alessandro,
despota e ultimo discendente del ramo principale della famiglia
Medici, che libera Firenze dalla tirannia del consanguineo.
Michelangelo, considera Lorenzetto un personaggio positivo e lo
raffigura nelle fattezze del tirannicida; il suo sguardo suggerisce
la forza morale, il coraggio e la determinazione di un uomo che si
“sacrifica” in nome della libertà.
La
lotta intima e personale del toscano per il conseguimento della
redenzione è simboleggiata magnificamente dagli Schiavi
o Prigioni,
scolpiti per decorare la Tomba
di Giulio II.
Si tratta di esempi di sconfitti o di uomini che hanno saputo
liberarsi dalle catene della corporeità. La spinta verso la salvezza
è, dunque, per il maestro uno sforzo immane che l’anima compie per
vincere la prigionia della materia.
La
successiva articolazione analizza l’operato architettonico del
Buonarroti da un punto di vista in bilico tra tradizione e
invenzione. L’esordio di Michelangelo come architetto avviene a
Firenze, nel 1507, sul più importante monumento cittadino: Santa
Maria del Fiore .
Gli studi cartacei e modelli lignei (fig. 7) presenti in mostra
dimostrano come il l’aretino abbia considerato l’architettura del
Brunelleschi un documento da studiare e comprendere al fine di
redimere la questione del completamento. I progetti michelangioleschi
testimoniano intendimenti di natura filologica ed esegetica
dell’architettura preesistente, lontani dal decorativismo del
ballatoio, realizzato successivamente da Baccio d’Agnolo su disegni
del maestro! Nella città toscana il Buonarroti lavora anche al
compimento della facciata di San
Lorenzo,
ancora oggi grezza. Diversi disegni e il modello ligneo di Casa
Buonarroti
comunicano la capacità innovativa del toscano che, chiamato a
intervenire su una sagoma a capanna digradante, indicante la
divisione interna in 3 navate, idea una facciata rettangolare su due
ordini, divisi da un piano ammezzato, che non ha più nulla a che
vedere con gli spazi interni.
Nella
sesta parte si affrontano i temi della notte e del giorno: la
Sagrestia
Nuova
in San
Lorenzo
è proposta al visitatore in una veste insolita. Ai disegni e
progetti preparatori si affianca una serie di versi autografi dalla
quale si evince che la tematica del “tempo che consuma il tutto" ,
non sia intesa dall’artista in senso strettamente religioso,
piuttosto cosmologico: lo scorrere dei giorni allude, cioè, alla
ciclicità della vita e della morte, simboleggiate dalla luce e
dall’oscurità, come le statue da lui realizzate per la Sagrestia
(il Giorno,
la Notte,
l’Aurora
e il Crepuscolo).
Segue
una sezione in cui si spiega la filosofia dell’amore celeste
contrapposto all’eros
terreno. L’essenza dell’amore è duplice: spirituale o celeste e
sensuale o terrena. Michelangelo si è formato nell’ambiente
neoplatonico fiorentino, dove la contrapposizione tra il desiderio di
bellezza e l’impulso erotico non genera quella tensione che
l’artista vive negli anni successivi al trasferimento a Roma. La
sempre maggior preoccupazione per l’aspetto erotico sfocia in una
condizione quasi tragica ed è trasposta dal maestro sia nelle sue
sculture che nelle sue composizioni poetiche. Nei suoi sonetti
racconta di aver ricevuto per grazia divina una vocazione alla
bellezza, predisposizione che non deriva, come nemici e detrattori
sostengono, da gusti di natura sessuale, ma che sono il frutto di una
sana e spirituale competenza artistica, i bei corpi disegnati o
scolpiti sono, cioè, il dono che il suo Dio gli ha concesso.
Leggiamolo
direttamente dai suoi versi:
“Per
fido esemplo alla mia vocazione /
Nel
parto mi fu data la bellezza /
Che
d’ambo l’arti m’è lucerna e specchio.
S’altro
si pensa, è falsa opinione.
Questo
sol l’occhio porta a
quella
altezza
c’a
pingere e scolpir qui m’apparecchio.
S’e’giudizi
temerari e sciocchi
al
senso tiran
la
beltà, che muove
e
porta al cielo ogni intelletto sano,
dal
mortale al divin non vanno gli occhi
infermi,
e fermi sempre pur là d’ove
ascender
senza grazia è pensier vano”
La
penultima partizione della mostra tratta del tema del potere
miracoloso e salvifico del Redentore, il solo che può vincere la
morte. Nell’ultima parte della sua vita Michelangelo vive un
rapporto sempre più totalizzante con la fede cristiana e con la
figura di Gesù Cristo. A questa concentrazione
spirituale-apocalittica si affianca un’incessante meditazione sulla
morte e sulla salvezza dell’anima, testimoniata dalle sue ultime
sculture come la Pietà
Rondanini
(Milano,
Castello Sforzesco)
e il piccolo crocifisso ligneo di Casa
Buonarroti
(fig. 8). La Pietà
è stata concepita con l’intendimento di mettere il mondo difronte
all’uccisione di Cristo, voluta e perpetrata da una comunità
consapevole e colpevole, perché distratta. Le forme scabre,
asciutte, prive della bellezza ideale a cui il Buonarroti ci ha
abituati, sono funzionali al messaggio che l’artista vuole inviare:
indurre, cioè, nella stessa umanità, che ha contribuito alla morte
di Gesù, sentimenti di pietà e di vergogna per la colpevole
condotta.
Il
piccolo crocifisso ligneo, scolpito forse per devozione privata,
mostra una potenza comunicativa sconosciuta ed emozionante;
espressione estrema dello spiritualismo del maestro esso rivela
sentimenti di sofferenza, affiancati, però, da una tristezza di
sapore quasi apocalittico. è un supremo esempio di “non finito”,
le cui motivazioni, come scrive Pina Ragionieri, direttrice della
Fondazione Casa Buonarroti : “si intravedono solo se lo si
interpreta come impossibilità esistenziale di procedere oltre” .
L’ultimo
momento della mostra ci racconta di un artista completamente
assorbito dagli impegni che, a partire dal 1534, si moltiplicano e
non gli lasciano quasi più tempo per sé stesso .
Si tratta di una fase particolarmente gravosa, dal punto di vista
fisico e lavorativo, della vita del nostro, impegnato su più fronti
(Affresco del Giudizio Universale, Cantiere
di San Pietro, Porta Pia, Piazza del Campidoglio, Cappella Paolina
…). Alla sua morte il Buonarroti lascia un quantitativo eccezionale
di disegni e progetti per opere che hanno cambiato il volto della
città di Roma, ma che verranno condotte a termine solo dopo la sua
scomparsa. Si tratta, come afferma Pietro Ruschi, di: “elaborazioni
ideali (i disegni) divenute elaborati, (…….) quasi impossibili da
capire sotto il profilo tecnico” .
Di questa impossibilità tecnica si accorge presto Tiberio Calcagni ,
allievo ed epigono del maestro, cui spetta l’onore e l’onere
della loro esecuzione.
L’eccezionale
numero di schizzi e di disegni preparatori presentati è capace di
celebrare l’inventiva del toscano nonché di evocare in chi guarda
il processo creativo percorso dall’artista tra il momento della
nascita dell’idea, il successivo sviluppo e la definitiva
realizzazione dell’opera ultimata (fig. 9, Studio
per la scala nel ricetto della Biblioteca Laurenziana).
Una
mostra importante, di natura non solo celebrativa, ma anche didattica
che aiuta il grande pubblico a superare la conoscenza superficiale di
un artista che tutti credono di conoscere.
Il
catalogo
A
cura di Cristina Acidini, con Elena Capretti e Sergio Risaliti e
pubblicato da Giunti Editore, il catalogo in brossura esibisce
un’apprezzabile cura editoriale.
Le
prime venti pagine sono costituite dalla tradizionale parte
introduttiva di ringraziamenti di coloro che hanno reso possibile
questa impresa espositiva (istituzioni, partner ed organizzatori), a
seguire una ricca e notevole unità saggistica, di circa 150 pagine,
suddivisa, come la mostra, in 9 sezioni: uno o più scritti, di
illustri storici, critici e studiosi d’arte, concretano il
“capitolo” intitolato come le ripartizioni dell’esposizione.
Precede il catalogo stricto
sensu
un’articolazione definita “Tavole”, relativa ad immagini cui si
riferisce la parte saggistica.
Il
corpus
delle opere è presentato secondo il criterio espositivo, 9 sezioni
raggruppano tematicamente gli oltre 150 pezzi. L’impostazione delle
schede è quella classica (autore, titolo, datazione,
supporto/tecnica, dimensioni, provenienza e data di acquisizione,
numero di riferimento, analisi storico-critica, bibliografia).
Segue
un bellissimo “capitolo”, intitolato “Obiettivo Michelangelo”,
di scatti fotografici di opere del maestro di due importanti
fotografi: Massimo Listri e Aurelio Amendola.
Le
ultime pagine del volume riportano i cosiddetti apparati, utili
strumenti per studiosi e studenti di arte: una breve sezione sul Polo
Tattile Multimediale
di Catania, prestatore del plastico
tattile Basilica e colonnato di San Pietro
(2012); una dettagliata biografia del Buonarroti: “Michelangelo,
vita e opere”; infine, un’aggiornata bibliografia sull’artista
toscano.
I
crediti fotografici, come ormai di consueto, si trovano nelle prime
pagine del catalogo.
DOVE
Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli, Sala Orazi e Curiazi, Roma
Quando:
27 maggio - 14 settembre 2014
NOTE
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