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Kounellis. Note sul fumo e l'oro  

Ettore Janulardo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 21 Settembre 2014, n. 728
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Lattività di Jannis Kounellis – nato al Pireo nel 1936, residente a Roma dal 1956 – si è intrecciata con lesplosione dellArte povera. Il movimento, sorto nel 1967 sotto gli auspici di Germano Celant, ha da un lato sollecitato artisti di diversa formazione ed estrazione provenienti, in particolare, da Torino e Roma a confrontarsi su alcuni punti nodali del rapporto che larte intreccia con la politica e con la vita e dallaltro ha costituito un momento di guerrigliaartistica in relazione/scontro con le tematiche del 68. Uno dei temi ricorrenti nel dibattito artistico, il nesso arte/vita, assume una particolare rilevanza alla fine degli anni 60 per la valenza politica che viene a rivestire. E lArte povera si nega come pratica autonoma, puntando, piuttosto, «allidentificazione azione-uomo, comportamento-uomo [...] per una focalizzazione di gesti che non aggiunge nulla alla nostra colta percezione, che non si contrappongono come arte rispetto alla vita, che non portano alla frattura e alla creazione del doppio piano io e mondo»1.

In una prima fase, quella delle opere povere, la ricerca dei poveristi conserva una notevole predilezione per una fisicizzazione rumorosa e “corposa”2, quasi neofuturista (e Neofuturismoera stata la prima denominazione pensata da Celant per lArte povera). In seguito, nella fase delle azioni povere, si arriverà ad una fisicizzazione diffusa e allutilizzazione di elementi che consentono un approccio mediato” allopera. In consonanza con questa svolta in senso smaterializzato e mentalistico, il problema del conflitto arte/natura stimolerà, a partire dagli anni 70, analisi e riflessioni più approfondite sia da parte degli artisti sia da parte dei critici. Al desiderio di compenetrazione dei due termini si viene a sostituire la coscienza del loro dissidio e separazione; da qui, la necessità di operare, come artisti, allinterno di tale frattura attraverso il linguaggio e i mezzi propri dellarte.

Dal 1970 circa, concentrandosi sulla coscienza storica del dissidio, Kounellis procederà in modo sempre più deciso allutilizzazione di materiali, anzi di oggetti, che non sono in senso proprio né primitivi né poveri e che implicano un certo grado di know-how (ciminiere, tavoli, strumenti musicali come il violino o il pianoforte, calchi in gesso); o produrrà opere in cui è esplicito il richiamo alla grande tradizione dellarte (Marina col nome Ensor del 1978; disegni a carboncino che si rifanno a Munch del 1980). In questo modo, egli segna uno scarto nella propria ricerca rispetto alla fase della cotoniera, del pappagallo, dei cactus nella struttura di ferro (tutte opere del 1967) o dei cavalli esposti allAttico di Roma nel 1969, periodo in cui la contrapposizione era unicamente presentata e si cercava di farla esplodere dallinterno, affidandosi, per esempio, alla imprevedibilità del pappagallo vivo. Kounellis, dunque, senza indulgere a impossibili fusioni tra dominio dellarte e divenire della vita, svolgerà la sua attività allinterno del linguaggio specifico dellarte, di volta in volta adoperando oggetti o costruendo opere come segni del passato incidenti sul presente. La sua ricerca, in evoluzione rispetto alle più vitalistiche e guerrigliereinterpretazioni dellArte povera, verterà piuttosto sulla tecnica dellopera, tanto da rievocare, in proposito, le parole di Walter Benjamin: «il concetto di tecnica offre il punto di attacco dialettico che consente di superare la sterile antitesi di forma e contenuto»3.

A partire dal 1975 circa, col cortocircuito delle pratiche analitiche allora vigenti operato da Salvo che tra gli oggetti da analizzare e “rifare” pone alcuni dipinti fondamentali della storia dellarte –, si apre il capitolo del ritorno alla pittura. Di grande complessità, il fenomeno richiederebbe specifiche analisi: interessa qui sottolinearne alcune implicazioni, come l’ “ideologia della manualità”, per comprendere quale significato abbiano delle opere manuali eseguite da Kounellis verso la metà degli anni 70.
Per i giovani artisti che si sono avvicendati sulla scena nazionale e internazionale in questo periodo, il ritorno alla pittura, ad una manualità in apparenza priva di ideologie e appagata unicamente del piacere della creazione e della visione, ha significato il rifiuto più o meno cosciente della mentalità artistica degli anni 60-70. Gli artisti della generazione precedente, invece, pur avvertendo anchessi lesigenza di nuove riflessioni e di nuove modalità artistiche, hanno in generale conservato una distanza di fondo dalla de-ideologizzazione delle nuove generazioni. Il caso di Kounellis è emblematico: avendo iniziato col dipingere lettere e numeri neri su grandi tele bianche, egli si è sempre considerato pittore e ha guardato alle sue opere come a dei quadri aventi un unico punto di visione. Così, proprio un artista dalle origini “manuali” e dalla ferma fede nella pittura, può esemplificare un certo atteggiamento di rifiuto nei confronti di una pittura facile”. La manualità pittorica esprime nel suo caso la capacità artigianale, limpiego di materiali che sono utilizzati per le loro possibilità combinatorie e stimolatrici nei confronti dello spettatore, ma non è mai una scelta di fondo, altrimenti sarebbe unopzione ideologica. E Kounellis fa la sua scelta escludendo lideologia della manualità disimpegnata: non concepisce una manualità destrutturata e decontestualizzata, che si presenti come valore unico cui far riferimento. Ad essa si può ricorrere allinterno di un discorso più ampio che includa gli altri mezzi, gli altri materiali, le altre scelte - esistenziali e politiche -, soltanto alla luce delle quali si può proporre, utilizzare e valutare la manualità. Tali considerazioni sono applicabili allinsieme della produzione di Kounellis e risultano valide anche per i suoi disegni, che meriterebbero però di esser esaminati a parte sia per le costitutive differenze legate alla specificità del mezzo (circolazione limitata, eventuale fragilità) sia per la peculiare considerazione che ad essi riserva Kounellis, valutandoli come un momento intermedio e collateraletra la prima idea di un lavoro e la sua successiva attuazione, su tela o attraverso allestimenti.

Fatte queste precisazioni, è possibile proporre la lettura “monografica” di un simbolo ricorrente nellattività di Kounellis. Il tema, nelle sue progressive concatenazioni e aperture, è quello della ciminiera-fumo-capelli, che, alla luce di quanto sopra ricordato, si può trattare esaminando sia oggetti che disegni, proprio perché la scelta di Kounellis attraversa liberamente le modalità di presentazione dellopera per sottolinearne invece la valenza linguistica. Si tratta di un tema particolarmente interessante in quanto si pone come punto di intersezione tra le pratiche “poveriste” di Kounellis e un suo territorio meno esplorato, quello appunto delle opere “manuali”.
Tra i simboli che hanno unimportanza fondamentale nella ricerca di Kounellis, la ciminiera è unopera che si presenta sotto diverse forme e in diversi momenti. Viene esposta per la prima volta nel dicembre 1976 alla Galleria Salvatore Ala di Milano (Senza titolo; tracce di fuliggine sui muri e sul soffitto; altezza cm. 440, base cm. 88 x 88). In seguito sarà presentata a Essen (1979), a Eindhoven (1981), a Londra e a Baden-Baden (1982). Eunopera che segna una nuova dominante nellattività artistica di Kounellis: lintrusione del nero che comincia a spezzare e a costruire su nuove basi i precedenti nessi sintattici del suo periodare. Gli stessi elementi classico-mitici di natura apollinea che erano stati i protagonisti di un gioco del mostrarsi/nascondersi nascondersi dietro i calchi in gesso, mostrarsi attraverso luniverso culturale sotteso alla mitologia , dopo aver già subito il trauma della frantumazione della statua-emblema della fissità e della stabilità di quel mondo - come si vedrà più avanti - sono da questo momento sovente associati al nero.
Nero che si presenta non come smalto lucido e brillante, ma come fuliggine, come traccia sporca, coinvolgendo in questo processo di negativizzazione della polarità anche lelemento fuoco. La ciminiera è il negativo della primitiva forza del fuoco, nella ciminiera si accumulano le scorie della combustione, ed essa inquina, spande il suo flusso mefitico nellambiente, diffonde corruzione e malattie. Se il fuoco è la possibilità di un intervento, la fuliggine che lo sostituisce è la fine di ogni azione, è restare soli con ciò che ha distrutto e distrugge.
Celant dà uninterpretazione politico-sociale di questopera: «nel 1976 Kounellis identifica linfiacchirsi del politico e lesplosione intimista con lo strato di morte e di restaurazione che ricopre, tramite la fuliggine emessa da una ciminiera, gli spazi pubblici dellarte. Prima in galleria e poi nel museo, il fuoco della mutazione corale lascia il posto allo sporco e allunto del privato, prodotto infatti “allinternodella ciminiera. Il nero richiama inoltre il vuoto e la passività assoluta, lo stato di immobilità, compiuto e invariante, nonché la perdita definitiva, senza futuro; per Kandinsky, esso è “un nulla senza possibilità, un nulla morto, dopo la morte del sole, un silenzio eterno, senza nemmeno la speranza di un avvenire”»4.

Il tema della ciminiera è ripreso in due piccoli disegni (Senza titolo, 1976) dalle linee sottili e precise, dove accentuato è il rapporto tra interno ed esterno. La ciminiera è posta in un angolo di uno stanzone vuoto, lesterno è suggerito da una finestra con i piccoli vetri racchiusi in unintelaiatura metallica: la ciminiera è quindi allinterno di un vano che si presenta come una fabbrica, è dentro la fabbrica. Nei due disegni si evidenzia linnaturalità del luogo, che si presenta come scena tragica per lultimo atto di un dramma. E la consapevolezza di un incontro col tragico permette di rapportare la ciminiera di questi disegni a quella di un Senza titolo del 1979, dove nel cielo stinto di una città banale campeggia una ciminiera che sembra esalare lo spirito degli abitanti, mentre due uccelli sono inanimati corpi trafitti.

Ritroviamo la stessa cubatura delle stanze in altri due disegni (Senza titolo, 1975) più particolareggiati, soprattutto quello che presenta una finestra con uno sfondo urbano ben definite, mentre il resto della stanza è trattato a grandi linee che evidenziano il regolare impiantito. Laltro disegno mostra una stanza profonda con un semplice letto in ferro sulla sinistra. Entrambi i lavori mostrano poi un uomo dalla fluente, irreale, chilometrica capigliatura (che è presente anche nel disegno della donna nuda davanti al villaggio, esposto da Pio Monti a Roma nel 1977), in primo piano luno, più indietro laltro, ad equilibrare la massa del letto.
La medesima capigliatura è in un Senza titolo del 1975 e in un Senza titolo del 1976. Nel primo c’è una figura che, per la contrazione spasmodica del corpo e la deformazione iperespressionistica del volto, ha parecchi tratti in comune con i difficili e disperati personaggi di Egon Schiele; la plastica, tentacolare capigliatura bilancia il suo corpo su uno sfondo assolutamente vuoto. Nel disegno del 1976 troviamo una figura ritta e nervosa da cui si diparte una poderosa scia di capelli neri.
Gli elementi che si impongono in questi sei disegni sono squadrate geometrie, ambienti vuoti, segni veloci e secchi, a volte al limite del graffitismo. Restano da sottolineare queste inquietanti scie di capelli, questoccupazione dello spazio attraverso compatte o sfilacciate, comunque sempre innaturali, capigliature: e lo stesso fumo che esce dalle due ciminiere è assimilabile alle capigliature (o viceversa).
Nella ricerca di Kounellis i capelli hanno avuto un posto di rilievo. Sono stati un momento di riconferma di certe presentazioni (natura/antinatura) e si sono posti come corrispettivo di materiali che sono apparsi spesso nelle sue opere: penso, in tal caso, alla lana. Nel 1969 Kounellis espone un Senza titolo composto da una lastra di ferro (cm. 100 x 70) su cui sono praticati due fori dai quali escono dei capelli veri riuniti a treccia. Lopera, come altre di quegli anni, sottolinea la tensione che si instaura tra due elementi radicalmente differenti ed è in esplicita polemica con la Minimal art5. La treccia di capelli può essere avvicinata alle opere con la lana: identica origine naturale, a volte identica presentabilità al pubblico. Unopera come il Senza titolo del 1968 composto da una struttura di legno di cm 250 x 200 su cui sono tese delle corde alle quali sono fissati, in verticale, dei bioccoli di lana – è visivamente e concettualmente molto simile a quella con la treccia di capelli. Ma la lastra di ferro contro cui sono posti i capelli, nella sua rigida, impenetrabile neutralità, permette un momento di maggior concentrazione, una pausa dedicata alla riflessione estatica: la reliquia si staglia sul materiale che la ospita e blocca la nostra attenzione. I capelli, a differenza della lana, ci riportano al mondo delluomo e dei suoi affanni, rimandano alluniverso di miti e riti sotteso allo spazio del quotidiano, autorizzando uno slittamento verso il territorio della cultura.
E lo slittamento si compie nel 1975. Un tavolo su cui sono sparpagliati frammenti di un calco in gesso è collegato alla parete attraverso unenorme coda di capelli, lunga otto metri. I capelli, nel loro matrimonio postumo col calco frantumato, testimoniano: sono ciò che resta di una vita e di ununità ormai dissolte, sono lallungarsi delle tracce di questa vita nel luogo che ha assistito al sacrificio.
Ed è necessario rifarsi al concetto di testimonianza anche per unopera del 1973, la prima nella quale compaia una statua in gesso frantumata. Su un tavolo sono i frammenti del calco e sul torace della statua è ritto un corvo impagliato; alla destra del tavolo un flautista suona un frammento da Mozart, mentre Kounellis è seduto dietro il tavolo con una maschera di gesso sul viso. Scrive in proposito Celant: «Ciò che appare immediatamente evidente è la catastrofe. Il frantumarsi dellinsieme statuario e quindi della cultura si accompagna alla morte del corvo, simbolo di intelligenza e di leggerezza. Allepoca assistiamo al graduale smantellamento delle unità culturali. I loro corpus, sottoposti a traumi drammatici, si scompongono. Così, se la forma compatta della statua poteva concepirsi quale substrato ideale di civiltà, il suo spezzarsi significava “disastro”. Sono passati pochi anni dal 1968 e lipotesi o la speranza di rinnovamento sembrano dissolte. Il bisogno di felicità e di gioia del pappagallo, con la sua ansia di nuova vita artistica, si trasforma in rovine e in corvo impagliato»6. Kounellis parla dellopera come del «sacrificio di un corpo in frantumi, rivissuto da me, con il corvo vicino perché simbolo della morte. Così rivivere non significa reincarnare, ma rivivere gli scopi. Al tempo stesso ho scelto il tavolo perché è un oggetto quotidiano, di vita, dove si consuma il cibo»7.
A sottolineare il legame che intercorre nellopera tra i capelli e la vita, è Maurizio Calvesi. Essa è un teatro insieme tragico e quotidiano, il luogo in cui la vecchia aristocrazia (rappresentata dalla statua e dallarte che lha realizzata) è sopra ma a diretto contatto con la cultura contadina del quotidiano. Come suggerisce lo stesso Kounellis, il tavolo, luogo stabile del cibo-vita, si oppone tenacemente al calco in frammenti, simbolo della fine di ununità culturale. Scrive Calvesi: « [...] il mito è uno solo, il ciclo della rinascita. Suadente il commento del flauto alla sospensione, o meglio allattesa che grava sulla scena: attesa della rigenerazione, della ciclica sconfitta della morte. Limmobilità è unovvia rappresentazione della morte e così la “separazionedel kouros smembrato [...] anche il nero è morte e al rintocco di colore del corvo tradizionale simbolo della nerezzaanche come umor malinconico rispondono i capelli corvini di Kounellis [...]. Quando il flauto smette, Kounellis cioè il kouros depone la maschera e si scioglie, si alza, ha creato, lascia vuota la sedia dellincubazione, e stampata sulla parete lombra del corvo, come un appuntamento, di nuovo, con la malinconia e la paralisi»8.
La sensazione suggerita dai capelli-fumo di Kounellis appare molto simile a quella che si prova di fronte ad alcune opere di Munch. In esse, le grandi e dense macchie scure che occupano il fondo del dipinto sono la rappresentazione dellombra della figura, ma nello stesso tempo percepite insieme ai volti angosciati dei personaggi , ne sottolineano la disperazione e la confusione mentale. I capelli-ombra sono, così, esagerazione fisica della capigliatura e suggerimento della debolezza psichica dellindividuo, sovrastato e quasi assorbito da questa nube oscura (si possono ricordare, a tal proposito, Pubertà e Gelosia). Ne Lurlo, la massa scura della costa e il cielo sinuoso e inquieto sembrano plasmati dalle onde sonore emesse dal personaggio, ma sembra anche si apprestino a serrarsi chiudendolo in una morsa. Le ombre, in Munch, non sono quindi elementi accessori, ma indispensabile caratterizzazione della scena, che solo in rapporto ad esse può essere letta nella sua esistenziale complessità.

Einoltre possibile proporre la lettura di alcuni disegni di Kounellis alla luce di un rapporto con gli artisti della Secessione viennese. Le relazioni con le opere che verranno citate appaiono, in questo caso, più lontane e forse esteriori, ma sono ugualmente importanti perché permettono di ricostruire in modo più completo il quadro di riferimenti culturali in cui opera Kounellis, contesto decisamente segnato dalla cultura dellespressionismo e da aspetti della Secessione9.
Di Schiele, già citato a proposito di un disegno del 1975, si possono ancora ricordare: Donna in piedi con un drappo (1911), con capelli neri che arrivano sino alle anche e che, alla sinistra della figura, sembrano saldarsi al drappo scuro aprendosi a campana ai piedi; Due donne (1912), dove le linee dei corpi e quelle del viso della figura a destra appaiono vicinissime a quelle tracciate da Kounellis nel suo disegno del 1975.
Si può rievocare anche un disegno del 1914, indicativo sin dal titolo (Donna dai capelli neri), dove la massa compatta dei capelli circonda il volto sul quale spicca il rosso delle labbra. In altri due disegni di Kounellis quelli in interni , anchessi del 1975, i tratti del volto sono vicini a quelli di alcuni disegni-ritratti di Schiele: si pensi a Robert Müller (1918), dallovale fortemente pronunciato. Sia in Kounellis che in Schiele, gli ultimi disegni citati si distinguono per una rappresentazione estremamente particolareggiata della persona e degli abiti.
La donna nuda del disegno di Kounellis del 1977 potrebbe ricollegarsi ad una galleria di figure femminili raffigurate dagli artisti austriaci. Ecco allora, in Schiele: Torso femminile (1913), Coppia (1914), Ragazza addormentata (1918), Due ragazze abbracciate (1918); immagini, queste, molto essenziali, alcune dinaspettata dolcezza rassegnata, prive sempre di quello sfondo che Kounellis suggerisce attraverso insistiti ghirigori. Parlando dellimmagine della donna nella Secessione non si può non citare Klimt. Nei suoi disegni i contorni che in Schiele avevano conservato una forte precisione lineare, segnando nettamente le figure rispetto allo spazio circostante si sfrangiano, si moltiplicano dando unidea di movimento e suggerendo una compenetrazione possibile tra le figure e lo spazio che le avvolge. E si osserva in proposito: «La figura, più spesso femminile, parte da un punto fisso, la testa, per subire in seguito una sorta di corruzione stilistica che la integra allo spazio circostante»10. Sotto questo aspetto, alcuni disegni di Kounellis fanno pensare a Klimt più che a Schiele11.

Sull’ “inquadraturae la costruzione dellimmagine tipicamente secessioniste scrive Achille Bonito Oliva: «Non è senza un motivo che nella Secessione viennese, a partire da Klimt, la profondità diviene uno spazio di superficie in cui la figura si estende nel senso orizzontale e in quello verticale, disincorporandosi completamente dal fondo sino a un protagonismo maniacale della figura appiattita e chiusa sulla sostanza bidimensionale dello spazio pittorico. Un vuoto, che ricorda larte grafica giapponese, corona limmagine antropomorfa, di uomo o di donna, di adulto o di bambino, ma sempre tutta distesa in una posa che ne esalta la presenza. La posa in Schiele è la conseguenza di unenfasi visiva che si serve di uninquadratura che sembra preconizzare il cinema, quanto allartificio e allassenza del naturale [...]. Il voltare la figura accentua il piano di attenzione verso i tratti del viso e verso le parti del corpo dipinte o disegnate»12. Eunanalisi che consente anche di cogliere il momento in cui non si può istituire un rapporto tra Kounellis e la Secessione. I disegni di Kounellis rifiutano pervicacemente lisolamento della figura in uno spazio indefinito; al contrario, essi si costruiscono per rapporti antinomici, così come le sue opere si fondano su una bipolarità. Le relazioni che si costituiscono nei suoi disegni danno origine alla metafora, in un continuo avanzare del significato che si oppone alla staticità di certi simboli riscontrabili in Klimt (La filosofia; Nuda veritas).

Kounellis, in questo vicino alla tradizione surrealista, riesce a creare rapporti tra un qui e un altrove, sia nel tempo che nello spazio, con un forte effetto di straniamento. Le sue immagini hanno sovente una valenza erotica fluttuante, indefinita, che contrasta con la fissità di certi disegni di Schiele, dove «lerotismo delle figure è costretto a ripiegare su se stesso, la mancanza di sfondo impedisce di trovare dei riferimenti alla carica erotica che contrae e piega il corpo del modello in pose che divengono una sorta di mutilazione: un autoerotismo che seziona le figure e le disarticola al punto da farne dei manichini o dei tronchi umani capaci di provare ancora dei languori o dei ricordi erotici»13.

Se fino ad ora è stata proposta una serie di raffronti formali, il momento in cui, con paradosso soltanto apparente, egli è più vicino alla grande arte di Klimt è in unopera del 1975. Con altri mezzi, Kounellis giunge a riproporre la magia astratta e suadente dellartista austriaco attraverso unopera-presentazione che si dà come unapparizione. Il lavoro presentato alla Galleria Lucio Amelio di Napoli consta di un muro ricoperto doro in fogli davanti al quale, spostato a destra, è un attaccapanni con cappotto e cappello; sulla parete destra è una lampada a petrolio accesa. Opera misteriosa e concentrata, quasi cartolina dallOriente europeo e dallAustria fin-de-siècle, omaggio alla tradizione della continuità culturale che, come indica la lampada a petrolio, è riuscita a mantenersi integra sino ai primi del Novecento, quando le tessere del mosaico erano ancora unite e con pazienza artigianale si potevano giustapporre una ad una queste lamine doro. Opera rarefatta e raffinata, schermo dorato per una vita che crede ancora in una dimensione oltre quella del quotidiano; iconostasi delle chiese bizantine, che separa lo spazio della galleria destinato ai visitatori immerso nella luce alienante del neon dal luogo sacro in cui si svolge lofficium (in tal caso, lo spazio privato interno). Il titolo dell’ “operazione, come scrive Ferdinando Bologna14, è Tragedia civile. Lopera viene racchiusa da Celant in una lettura politica: «Lepoca del riflusso artistico è vicina, tanto che alla scomparsa, vera tragedia civile, dellantico eroe, rivoluzionario e guerriero, nel 1975 Kounellis rende omaggio con un muro doro, la cui forza bizantina fa pensare al sacrificio dellessere sacro»15.

Il muro doro ci invita a ripercorrere le trame culturali che hanno attraversato nei secoli lOriente europeo, quella tradizione che da Bisanzio ha permeato di sé la Grecia, i Balcani, la Russia, sino a trovare la sua ultima incarnazione nel mito sovranazionale dellimpero asburgico.
Predomina allora la decorazione astraente, loro del fondo dei mosaici, la riduzione ai due piani dellorizzontale/verticale, come era in Klimt. Opera klimtiana («Serve la coscienza, il pathos e la visione di Klimt», afferma Kounellis16) dove la figura si annulla lasciando di sé solo tracce: alcuni bagliori riflessi dalloro quasi una presenza diffusa ma estenuata – e lelegante insieme, dallottimo contrasto cromatico sulla superficie dorata, costituito dal vecchio attaccapanni viennese e dal cappotto e cappello; forme insieme rigide e sottili, ma anche morbide nelle pieghe della stoffa e nelle curve levigate del legno su cui poggia il feltro.
E lopera si presenta come una visione: «Io amo gli artisti visionari del medioevo»17, dove la tragedia civile (di una civiltà) include quella dellartista privato della sua funzione: «Nel medioevo la figura dellartista era una figura pubblica»18. E Kounellis riesamina la storia dellarte, fornisce chiavi di lettura suggestive: « [...] Duchamp è medievale. Il grande vetro ha una struttura antica, con leroe in primo piano»19.
Il muro doro è un grande muro, è la scena di una storia avvenuta, colta ormai alla sua fine, quando leroe antico si è reso conto di aver ricoperto la sua funzione e si è defilato in silenzio, abbandonando il suo abito in quello che fu un luogo sacro.

Significative appaiono le parole di Fuchs: «Lo spazio di Kounellis è ancora uno spazio medievale [...] in un certo senso è estremamente mistico, persino animistico. Lo spazio è descritto attraverso ciò che vi ha luogo. Lo spazio è teatrale, ma non alla splendida maniera del barocco. La scena di Kounellis è più discreta ed è sempre molto vicina a noi spettatori, intima e calda [...] Sulla scena il mistero deve essere letto di libro in libro, di segno in segno, dolcemente, come una litania»20.
E di tassello in tassello leggiamo questo medievale e dorato libro dore scoprendo che qualcuno e qualcosa, un tempo, sono esistiti.






NOTE

1Impaginazione a cura di Maria Gabriella Matarazzo
G. Celant, Arte povera - Appunti per una guerriglia, "Flash Art", n. 5, Roma, 1967, p. 3.
2 Si pensi in particolare ai dodici cavalli vivi esposti da Kounellis alla Galleria L'Attico di Roma nel 1969.
3 W. Benjamin, L'autore come produttore, in Avanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura, trad. it. Torino, 1973, p. 201.
4 G. Celant (a cura di), Jannis Kounellis, Milano, 1983, p. 11.
5 L'opera è omologa, anche nelle dimensioni, a un altro Senza titolo del 1969, nel quale la lastra di ferro supporta una mensola ove è posto un uovo.
6 G. Celant, op. cit., 1983, p. 18.
7 G. Celant, Jannis Kounellis, intervista Genova, 1974, poi in G. Celant, op. cit., 1983.
8 M. Calvesi, Kounellis, l'immobili, "Corriere della Sera", 1° aprile 1973.
9 Cfr., per le opere citate in seguito, il catalogo a cura di S. Sabarsky, Klimt Kokoschka Schiele, Milano, 1984.
10 A. Bonito Oliva, Klimt une extase ornementale, "art press", hors-série n. 3, Paris, 1984, p. 20.
11 Si potrebbe ricordare, tra altri, un disegno di Klimt (Donna nuda incinta volta a sinistra, 1904-05), che sembra anticipare la versione "tridimensionale" del medesimo soggetto data da Kounellis il 28 e il 29 dicembre del 1970 alla Galleria L'Attico di Roma. In quella mostra ("Fine dell'alchimia - De Dominicis, Kounellis, Pisani"), Kounellis espone una donna nuda incinta con il capo coperto da un panno nero.
12 A. Bonito Oliva, La crise et les apparences de l'art, in Klimt Kokoschka Schiele, Milano, 1984, p. 20.
13 Ibid.
14 F. Bologna, Jannis Kounellis alla Modern Art Agency, "Il Mattino", 13 giugno 1975.
15 G. Celant, op. cit., 1983, p. 19.
16 J. Kounellis, Mostruosa sentenza per il mostro K., "Domus", n. 628, Milano, 1982, p. 84.
17 Kounellis in R. White, Interview at Crown Point Press, "View", Oakland, California, March 1979.
18 Ibid.
19 G. Celant, op. cit., 1974.
20 R. Fuchs, Terzo racconto, "Jannis Kounellis", cat. della mostra tenutasi allo Stedelijk Abbemuseum, Eindhoven, novembre 1981 - gennaio 1982.






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KOUNELLIS 2010 – Jannis Kounellis, La cultura è il sangue. Dialogo con Alfredo Pirri, alfabeta2, n. 1, luglio 2010.

SABARSKY 1984 – Serge Sabarsky (a cura di), Klimt Kokoschka Schiele, Milano, Mazzotta, 1984.







Fig. 1
KOUNELLIS, Senza titolo, 1977



	
Foto cortesia Studio Trisorio

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