A
42 anni dalla sua scomparsa, Roma dedica all’artista olandese una
mostra interessante e insolitamente divertente; con oltre 150 opere
l’esposizione, curata da Marco Bussagli, è in grado di coinvolgere
in maniera molto particolare lo spettatore a cui, attraverso
espedienti giocosi e pratici, sono proposte sperimentazioni dirette e
curiose .
Alcuni accorgimenti interattivi mettono il fruitore in condizione di
capire, osservare, verificare il punto di vista di quest’artista,
squisitamente intellettuale, che amava ed esplorava continuamente il
mondo della matematica, restituendo, attraverso il proprio lavoro,
una personale interpretazione di piano, spazio e prospettiva.
L’allestimento,
estremamente attuale, invita i visitatori a divertirsi e a mettersi
in gioco, rendendoli partecipi della mostra ;
lungo il percorso, inoltre, si incontrano postazioni, inviti a
fotografarsi e a condividere sui social
network
le immagini scattate, con elementi significanti e riconducibili senza
alcuna riflessione al maestro nordico, facile pubblicità per gli
organizzatori, ma anche un modo per rendere accessibile un artista
raffinato come l’incisore olandese.
L’esposizione,
introdotta e illustrata da pannelli esplicativi ,
ci guida alla scoperta di questo talentuoso grafico introverso e
riservato, forse incapace di comunicare tradizionalmente la sua
particolare visione del mondo, il suo diverso punto di vista, ma in
grado di esprimersi magnificamente attraverso le tecniche artistiche
della xilografia e della litografia.
A
dispetto di ciò che si crede comunemente il corpus
delle opere dell’artista non è composto dalle sole, stupefacenti
ed ingannevoli illusioni del periodo maturo, ma comprende immagini
concepite durante il piacevole periodo trascorso in Italia: accurati
ed arditi paesaggi, riflessioni personali di fenomeni naturali .
Con
questa mostra il curatore ha voluto demolire quei cliché
che, dagli anni ’60 del secolo scorso, hanno reso famoso il maestro
olandese. Bussagli ha saputo ideare e costruire un percorso che
conduce oltre la conoscenza apparente che il pubblico medio vanta su
Escher, geniale incisore noto ai più solo per le “stranezze
grafiche prive di significati allegorici”. L’esposizione,
infatti, ha il merito di andare oltre l’estetica, i luoghi comuni,
l’apparente e superficiale conoscenza, uscito dal Chiostro
del Bramante
il visitatore potrà certamente affermare: ”conosco Escher e il suo
mondo!”.
Il
percorso si apre con la presentazione della prima attività
dell’incisore: Escher
e l’Italia. Dalla natura alla geometria.
A Dimostrazione del fatto che temi centrali della ricerca matura del
genio siano già presenti in età giovanile, sono esposte circa 40
opere che raccontano le riflessioni ed i pensieri che hanno
accompagnato l’olandese nel suo soggiorno italiano. Una sub-sezione
(Escher
a Siena)
ci documenta come alle origini del futuro concetto di tassellatura
vi potrebbero essere suggestioni senesi: il tappeto marmoreo della
pavimentazione del Duomo
o la decorazione della Biblioteca
Piccolomini.
Il
viaggio dell’incisore nella città toscana è ampiamente
documentato da epistole ,
taccuini con disegni e interviste, tutto ciò avvalora il fatto che
il “secondo Escher” non sia il frutto di una “folgorazione
sulla via dell’Alhambra”,
bensì una meditazione che inizia sin dagli anni Venti del ‘900.
Sulla
scorta anche di affermazioni del maestro, che liquida il corpus
grafico degli anni 1922-1935 come “stampe di poco valore (…) più
che altro esercizi grafici” ,
e per il fatto che dopo il raggiungimento della cosiddetta maturità
Escher non concede più spazio alla forma espressiva precedente, in
taluni casi negandole il valore spettante ,
per anni si è parlato, troppo semplicisticamente, della sua attività
artistica riferendosi a “ante 1936” e “post 1936”. A lungo si
è considerato il secondo soggiorno a Granata e lo studio meticoloso
della sua decorazione palaziale un momento di svolta o di cesura
nella vita del maestro, in realtà, non si ravvisa quella soluzione
di continuità proclamata dalla critica, poiché il nuovo linguaggio
del “post ’36” altro non è che lo sviluppo delle meditazioni e
delle ricerche iniziate precedentemente .
L’incontro con l’arte andalusa, dunque, si porrebbe come momento
definitivo di una riflessione avviata in età giovanile. Senza quei
momenti “di poco valore”, infatti, probabilmente il linguaggio
maturo del fine incisore non sarebbe stato lo stesso .
Bussagli
con questa prima sezione riesce a far comprendere al pubblico che non
c’è un dopo senza il prima e che le suggestioni incontrate nella
nostra penisola sono alla base dei futuri esiti espressivi. Si noti
la stampa esposta raffigurante il paese di Vitorchiano
(xilografia, 1926, Collezione
Federico Giudiceandrea),
quantunque sia evidente che l’interesse del maestro sia per il
paesaggio, una potenza naturale impressionante, il modo in cui rende
il piccolo massiccio, sebbene strumentale alla resa della volumetria
e della plasticità della collina, ha in
nuce
quel concetto di tassellatura sviluppato, dal punto di vista teorico,
solo dopo il 1936. Anche la piccola xilografia intitolata Madonna
(1921, Collezione
Federico Giudiceandrea),
già propone atteggiamenti futuri di divisione ritmica del piano.
Avvisaglie
delle conquiste della maturità si hanno anche nell’ex
libris
(fig. 1),
ideato, nel 1922, per il fratellastro Berend George; apparentemente
semplice stilizzazione del Vesuvio, in linea con la grafica italiana
del ventennio, è in realtà una sofisticata rappresentazione di uno
spazio pensato in modo complesso. Il piccolo cartellino, dunque,
contiene archetipi che attendono gli sviluppi successivi: partendo
dall’osservazione dell’oggetto nel mondo reale, Escher, su uno
sfondo periodicamente diviso, delinea il vulcano e il fungo di lava
come figure contrapposte, ma complementari, l’una il negativo
dell’altra. L’incisore medita su spazio e misura e giunge a
concepire un palindromo grafico: la montagna, infatti, si riflette
perfettamente nella nube lavica, come se si specchiasse in se stessa.
All’interno
di questa prima parte della mostra incontriamo un interessante ed
esemplificativo pannello indicante, tappa per tappa, il Grand
Tour
intellettuale compiuto dal nostro che ha trovato nel “bel paese”
una dimora nonché una forte ispirazione. Per quattordici anni il
maestro risiede in Italia, vi incontra la sua futura moglie, Jetta
Umiler, con la quale vive prima a Frascati e poi a Roma ,
e vi nascono i suoi primi due figli, Arthur e George. In Italia si
trova bene, è affascinato dal sole, dal mare, dai paesaggi montuosi,
dai piccoli paesini arroccati, tutto per lui, attento osservatore, è
stimolante e riempie i suoi diari di notazioni positive riguardo al
suo lungo soggiorno italiano .
Tra queste prime 40 incisioni consiglio di soffermarsi qualche
istante in più su uno dei capolavori che ha reso famoso il maestro:
Mano
con sfera riflettente
(fig. 2, litografia, 1935, M. C. Escher Foundation) il tema della
superficie convessa che riflette il mondo esterno è riconducibile
sia alla pittura fiamminga del XV secolo (J. Van Eyck, Ritratto
dei coniugi Arnolfini,
1434, National
Gallery,
Londra) che al Parmigianino (Autoritratto
allo specchio,
1524, Kunsthistorische
Museum,
Vienna). L’artista probabilmente conosce entrambe le opere e
potrebbe aver voluto omaggiare le sue due patrie, quella di nascita e
quella di adozione. Se così fosse si sfaterebbe il diffuso cliché
secondo il quale l’attività artistica del maestro sia meramente
puro esercizio formale e/o matematico, attenta, esclusiva e
meticolosa ricerca del ritmo, della forma, del colore, superamento
della realtà oggettiva e resa di costruzioni impossibili; un gioco
estetico, cioè, privo di qualsiasi tipo di rimando a significati
allegorici.
D’altra
parte l’innata ironia dell’artista e alcune sue dichiarazioni
(Escher è morto solo nel 1972), aiuterebbero questa riflessione. A
tal proposito Bussagli scrive: ”pensare che Escher usi figure, come
il drago che si morde la coda, senza conoscerne le implicazioni
simboliche, o senza considerare i rimandi di significato sarebbe un
insulto alla sua intelligenza”
, inoltre, una lettera autografa del maestro corrobora questa
posizione: ”Penso di non aver mai fatto nessun lavoro con lo scopo
di simboleggiare qualcosa di specifico (…)” ,
la doppia negazione indica chiaramente che l’artista è ben conscio
del fatto che le sue opere simboleggiano qualcosa di preciso e che
producono riverberi e riflessioni che vanno oltre la pura godibilità
estetica.
La
litografia Mano
con sfera
introduce ad uno degli espedienti ideati per coinvolgere il
visitatore: una parete di sfere metalliche riflettenti, concave e
convesse ,
consente al pubblico di intuire quell’intrigante effetto distorsivo
della legge fisica della riflessione che ha condotto l’olandese
alla realizzazione di questo indimenticabile capolavoro.
La
seconda sezione (Dall’Art
Nouveau alla Tassellatura)
ci racconta, con circa 34 opere, il passaggio compiuto dal maestro da
un modus
operandi
ancora figurativo ai primi esempi di tassellatura: il foglio è
completamente e meticolosamente ricoperto da forme giustapposte
(geometriche o naturali stilizzate), ottenendo un tipico effetto di
horror
vacui.
L’originalità della nuova forma espressiva ha indotto
frettolosamente la critica a parlare di unicum;
si è creduto erroneamente che il suo lavoro fosse “un caso
isolato”, decontestualizzato dal tessuto artistico della sua epoca
o delle epoche precedenti, in realtà il curatore dimostra
efficacemente come Escher, sebbene non inquadrabile in nessuna
corrente artistica, sia ben inserito nel operare contemporaneo. Egli
si forma presso il maestro modernista Samuel Jessum de Mezquita
(1868-1944), l’educazione artistica ricevuta è certamente
all’origine della riflessione sulla tassellatura del giovane
Maurits. La stilizzazione di elementi naturali, la divisione regolare
e simmetrica di un piano e l’accostamento di motivi semplificati
sul foglio fanno certamente parte del bagaglio culturale fornito da
un apprendistato di tipo liberty.
Il contatto con l’Art
Nouveau,
dunque, è da considerarsi imprescindibili ai fini dello sviluppo del
suo modus
operandi
maturo. A sostegno di questa forte assonanza con la cultura dello
Jugendstil
sono esposte opere del de Mezquita e di Koloman Moser (1868-1918) .
Quest’ultimo è da considerarsi un autorevole precedente dell’opera
dell’incisore nordico, nelle sue stampe, infatti, si anticipa il
criterio della tassellatura come viene successivamente teorizzato ed
applicato dall’olandese. Esistono tra i due consonanze sorprendenti
e spiegabili, senza parlare di influenze dirette ,
con la koinè
culturale del decorativismo tipico del Liberty,
di cui Kolo è un rappresentante di primo piano ed Escher un
nostalgico attardato. Ma l’olandese trova ispirazione anche nelle
avanguardie: suggestioni simboliste, divisioniste, futuriste sono,
infatti, chiaramente individuabili nel suo lavoro. Infine, è bene
sottolineare che nell’opera di Maurits si ritrovano anche elementi
mutuati dalla storia dell’arte del passato: Brughel, Bosch, Dürer,
l’arte medievale italiana ... Dunque, Escher a differenza di quanto
si creda non rappresenta un caso isolato nel panorama della storia
dell’arte, piuttosto un artista non catalogabile, ma ben aggiornato
sulle vicende passate e presenti.
La
terza sezione, “L’occhio
di Escher. Dalla percezione visiva alla geometria dei cristalli”,
ci
informa, attraverso 22 opere, dell’attività di Escher alla luce
della cosiddetta Gestalttheorie,
«teoria della forma», ossia le modalità con cui cervello e occhio
umani interagiscono fra loro per organizzare una visione coerente del
mondo. Le opere dell’artista che hanno a fondamento queste norme di
conoscenza visiva sono esposte e spiegate secondo le leggi che ne
spiegano la comprensione: legge della prossimità, legge della buona
forma, legge dei pieni e dei vuoti (il triangolo di Kanizsa), legge
della continuità, legge del concavo e del convesso.
Nel
percorso della mostra, si incontrano diversi giochi, di tipo ottico,
utili al pubblico per inquadrare i “trucchi visivi” impiegati dal
maestro nel suo lavoro.
L’esposizione
evidenzia anche l’interesse dell’incisore per la
cristallografia ,
alcune delle sue opere, infatti, rivelano distintamente legami con i
suoi principi. Si sottolinea, inoltre, che ancor oggi alcune
applicazioni grafiche dell’olandese sono utilizzate da scienziati e
geologi per rendere più accessibili e comprensibili le norme che
regolano questa disciplina. In questa sezione si incontra anche
l’entusiasmante “sala degli specchi”: il pubblico è
letteralmente immerso in un’esperienza tridimensionale illusoria,
dal soffitto pendono numerose sagome identiche di pesci, che, assieme
al visitatore, sono riflesse infinite volte negli specchi presenti
sulle 4 parete; si vive così in maniera diretta la suggestione
infinita che ha condotto l’artista a concepire una stampa come
Profondità
(fig. 3, 1955, xilografia, Collezione
Federico Giudiceandrea).
Lo spazio, dilatato all’infinito verso un punto di stazionamento o
nadir, è riempito da un numero illimitato di peschi volanti
costruiti lungo tre assi che si intersecano ad angolo retto .
Per suggerire la profondità l’artista ha dovuto riprodurre le
forme in modo molto preciso e in maniera sempre più piccola, ha
saputo, quindi, servirsi della “prospettiva aerea” ai fini di una
suggestione spaziale sempre più complessa .
Nella
sala accanto alla mirror
room
è esposto “l’opera più ammirata” ,
una stupefacente illusione, Metamorphosi
II
(1940,
xilografia, Collezione
Federico Giudiceandrea),
un fregio di circa 4 metri che è un racconto di trasformazioni. Si
parte dalla parola metamorfosi e si conclude con lo stesso lemma, in
mezzo una serie di mutazioni coerenti e convincenti: la parola si
evolve in tessere musive quadrate bianche e nere, queste in rettili,
le lucertole diventano esagoni, che assimilate a cellette di un favo,
sviluppano progressivamente prima larve, quindi di api, queste
gradualmente diventano ombre che fanno da sfondo a peschi bianchi,
inizialmente poco definiti, che si muovono in senso inverso, quindi
le sagome nere delle api evolvono in uccelli mentre le silhouette
dei pesci degradano a fondale che presto lascia il suo posto ad altri
uccelli di colore rosso e bianco che si muovono secondo il verso
contrario, i profili colorati dei volatili subitamente diventano le
tre facce visibili dei cubi che evolvono precocemente in un paesaggio
di case, la tipica cittadina del mezzogiorno con la torre di guardia,
che intuitivamente è associata ai pezzi degli scacchi posti su una
scacchiera 3D, che torna ad essere un piano bidimensionale di tessere
musive che trasmutano nel vocabolo metamorfosi.
Segue
la sezione dedicata alle stravaganze inattuabili (“I
paradossi di Escher: matematica dell’impossibile”),
una ventina di opere testimoniano lo step
successivo della ricerca del maestro che non si ferma alla divisione
regolare del piano e allo studio delle leggi della percezione visiva,
ma evolve verso la rappresentazione dei cosiddetti “oggetti
impossibili”: costruzioni, apparentemente verosimili, ma
irrealizzabili nella realtà materiale. Si assiste al superamento
delle regole prospettico-scientifiche, che dall’età dell’Umanesimo
governano la resa dello spazio, quei principi, cioè, che l’incisore,
esposto in mostra, Gian Battista Piranesi (1721-1778) ,
nelle sue ardite Invenzioni
e Prospettive,
spinge all’estremo, senza, però, metterne in discussione la
validità. Evidentemente Escher riflette a lungo sulla produzione
piranesiana, traendo quelle sollecitazioni che lo conducono alla
visione di un nuovo spazio illusorio, non più scientificamente
dimostrabile, ma caratterizzato da aberrazioni inattuabili .
Contro ogni legge matematica introduce la simultaneità dei punti di
vista e la mutazione temporale delle immagini che risultano ad un
occhio scientifico arbitrarie ed incoerenti. A questa sezione
appartiene il famoso capolavoro: Relatività
(fig.5, litografia, 1953, Collezione
Federico Giudiceandrea).
L’opera è popolata da 16 figure appartenenti a tre mondi distinti.
Riconosciamo l’agire contemporaneo di tre forze di gravità
perpendicolari e discordi, che portano i 16 personaggi a vivere lo
spazio in maniera autonoma: seppur vicini si ignorano, perché
appartenenti a dimensioni, coesistenti convincentemente sul piano, ma
non comunicanti. Le tre realtà spaziali, sebbene autonome ed
incomunicabili, sono, però, popolate dai medesimi oggetti, per i
quali cambia solo il punto di vista. Ciò che è il pavimento per
uno, per un altro rappresenta la parete o il soffitto, ma per lo
spettatore è il medesimo muro sul foglio. È impossibile assumere un
punto di vista neutrale, di volta in volta, si è partecipi dell’uno
o dell’altra dimensione .
Un’altra
stampa, particolarmente affascinante, è la litografia, del 1947,
intitolata: Su
e giù
o Un
altro mondo II
(fig.6 , Collezione
Federico Giudiceandrea).
Le incisioni degli anni Venti, rappresentanti ardite prospettive di
borghi italiani già introducono quella particolare sensibilità
spaziale e quell’idea di volume scorciato che qui raggiungono la
piena maturità. Escher, all’interno di una struttura cubica, con
finestre ad arco che si aprono su tre paesaggi differenti, introduce
tre punti di vista tra loro sconnessi: dalle due finestre superiori
si vede il mondo sottostante, da quelle centrali si vede l’orizzonte,
da quelle inferiori si vedono le stelle. Così facendo l’artista
combina assurdamente le linee dell’orizzonte, dello zenit e del
nadir in un’unica costruzione con apparente logicità .
Qui il salto di qualità nella resa dello spazio è evidente, esso è
delineato assurdamente, ma con estrema coerenza, grazie
all’introduzione di una prospettiva curvilinea, in luogo di quella
rettilinea: ne deriva che soffitto e pavimento di un medesimo
ambiente possano essere osservati allo stesso tempo. Le scene
convivono illogicamente sul foglio, ma prese singolarmente hanno
validità scientifica .
In
questo lavoro, a mio avviso summa
della sua arte, Escher mostra di aver rielaborato suggestioni diverse
alla luce della propria attitudine e visione dello spazio, non
nasconde la propria predilezione per le prospettive estreme di
matrice piranesiana, ed allo stesso tempo si nota simpatia per un
artista nordico come Mantegna ,
e si ravvisa una certa empatia con il clima culturale del futurismo,
che incita ad un mondo moderno, in movimento, con spazi arditi e
avanzati.
Lungo
la visita di questa parte della mostra incontriamo la terza
sperimentazione, forse la meno significativa ed accattivante, che si
realizza nell’osservazione di una parete optical:
il riguardante, preso da un senso di profondità e movimento
illusori, dato dalle strisce giustapposte di bianco e nero secondo
schemi e andamenti diversi, non riesce a mettere a fuoco se stesso se
fotografato.
Infine,
affrontiamo la sezione dedicata all’influenza esercitata
dall’autore sulla società contemporanea: L’Eco
di Escher.
L’arte del maestro ha prodotto una eco nel tessuto
artistico-sociale dell’epoca e delle età successive documentata in
un’intera parte dell’esposizione. A partire dagli anni ’60 del
secolo scorso si è diffuso un vero e proprio «fenomeno Escher» che
appassiona individui di ogni estrazione sociale. L’esposizione
testimonia con manufatti di vario genere come il suo mondo sia uscito
dall’atelier
lavorativo andando a decorare scatole da regalo, francobolli,
biglietti d’auguri, schede telefoniche, magliette, piastrelle per
pavimenti, edifici pubblici
, vignette dei fumetti, copertine dei 33 giri di importanti pop
band ,
riviste scientifiche internazionali e perfino grandi opere
letterarie .
Ma la sua influenza non si limita alla cosiddetta «Escher-mania»,
pur non potendo parlare di scuola stricto
sensu,
in campo artistico si è registrato una tendenza volta a citare il
nostro, parliamo allora di epigoni come Victor Vasarely
(1906/1997) ,
Oscar Reutersvärd (1915/2002), e di una lunga schiera d’imitatori,
che in qualche modo hanno “imparato” il “metodo-Escher”
(David Hop, pubblicitario e grafico statunitense; Dominique Ribault,
scultore che ha impiegato la tassellatura; Hans Kuiper, grafico che
ha trasformato Donald Duck in un pattern
escheriano ).
Un’esposizione
completa che ci fa conoscere veramente un artista noto a tutti.
Il
catalogo
A
cura di Marco Bussagli e pubblicato da Skira, il catalogo in brossura
esibisce una cura editoriale pregevole.
Trattandosi
di un’impresa espositiva prevalentemente “a capitale privato”
manca la tradizionale parte introduttiva di ringraziamenti delle
istituzioni. Ricca, interessante e significativa la parte saggistica
che si svolge nelle prime 90 pagine. Sei testi scientifici a firma di
studiosi ed esperti dell’incisore (Marco Bussagli storico dell’arte
e curatore della mostra; Federica Pirani, responsabile mostre della
sovrintendenza capitolina; Federico Giudiceandrea collezionista e
studioso di Escher; Luigi Grasselli professore ordinario di geometria
all’Università di Modena e Antonio F. Costa professore di
geometria e topologia all’Università di Madrid). Il primo saggio
del Bussagli (Escher:
paradossi grafici e memoria dell’arte)
ha natura introduttiva, piacevole a leggersi ci parla del perché
della mostra in relazione alla diffusa conoscenza dell’incisore.
Segue lo scritto della Pirani (Un
olandese a Roma. Studi, incontri, visioni di Escher tra il 1923 e il
1935)
di natura biografica, quindi, il divertente e curioso testo del
Giudiceandrea (Dai
matematici agli hippies, lo strano percorso dell’opera di Maurits
Cornelis Escher)
che ci notizia di fatti personali che vanno al di là delle nozioni
puramente biografiche. Molto più tecnici e specialistici i tre saggi
finali: Le
forme della simmetria: dai mosaici dell’Alhambra ai mondi di Escher
(di Luigi Grasselli e Antonio Costa), la
Gestalttheorie e le leggi dell’ottica
e i
cristalli di Escher
(entrambi del Bussagli).
Segue,
per le successive 100 pagine, secondo il criterio espositivo, il
catalogo delle opere esposte: bellissime fotografie a tutta pagina
ritraggono le opere nella loro interezza, e, in alcuni casi, con
particolari ingranditi. Le schede delle stampe, volutamente ed
efficacemente separate dalle immagini che possono così essere godute
senza distrazioni, sono a cura del Bussagli, di Maria Catalano, di
Federica Pirani e di Francesca Rinaldi. La loro impostazione è
abbastanza tipica (titolo, datazione, supporto/tecnica, dimensioni,
provenienza, analisi critica), ma al posto della classica
bibliografia, avverte il curatore, è riportato il numero del
catalogo ragionato sull’autore del 1981 di F. H. Bool.
Le
ultime pagine del volume riportano i cosiddetti apparati, utili
strumenti per studiosi e studenti di arte: una dettagliata
biografia-cronologia dell’incisore in relazione agli eventi storici
contemporanei, una selezionata bibliografia completata dagli scritti
di Escher e dai suoi libri illustrati.
I
crediti fotografici, come ormai di consueto, si trovano nelle prime
pagine del catalogo.
NOTE
BIBLIOGRAFIA
Escher,
(a cura di) Marco Bussagli, catalogo della mostra, Milano, 2014.
M.
C. Escher, Le
magiche visioni,
Colonia 2003
B.
Ernst, Lo
specchio magico,
Colonia, 1996 (rist. dell’ed. 1978).
M.
C. Escher, Grafica
e Disegni,
Colonia 1992.
M.
C. Escher, Esplorando
l’infinito,
Milano 1991.
F.
H. Bool, J. K. Kist, J. L. Locher, F. Wierda, Levon
en werk von M. C. Escher,
Meulenhoff, Amsterdam, 1981.
LA MOSTRA
Dove:
Chiostro del Bramante, Roma
Quando:
20 settembre 2014- 22 febbraio 2015
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