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Mario Sironi. 1885-1961. Roma, Complesso del Vittoriano: una recensione  

Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 12 Ottobre 2014, n. 735
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Area Mostre
È da circa vent’anni, dalla “monumentale ed irripetibile”1 antologica dedicata a Sironi2, che Roma aspetta una mostra sull’artista, “notissimo sconosciuto”3, che ha interpretato le ansie e le speranze del suo tempo con forza drammatica, e ha tradotto in immagini tragiche, ma “positivamente costruttive”, l’ambiente e il mondo che lo circonda. Sul maestro ha fin troppo pesato l’adesione al fascismo e il non aver mai rinnegato, per coerenza, la sua scelta; dopo la fine della guerra, infatti, sull’uomo e sul pittore si è abbattuta un’ingiusta damnatio memoriae, critici e storiografi lo hanno relegato ai margini della cultura artistica della prima metà del ‘900. Evidentemente il clima intransigente postbellico non può accettare che il passato regime, seppure travolto e sepolto politicamente, il cui ricordo, però, è ancora vivido e intenso nelle menti di molti, abbia potuto esprimere un artista di qualità ai vertici della sua civiltà. E così il pittore è esiliato e dimenticato in un limbo ideologico, pochi si ricordano di lui e il già tormentato maestro passa anni in solitudine tra la disperazione, per il suicidio della figlia Rosanna, appena diciottenne, e il disorientamento per il tracollo di tutte le sue convinzioni politiche.


“Avete un grande artista, forse il più grande del momento, e non ve ne rendete conto”4 scrive Pablo Picasso parlando di Mario Sironi, talento dimenticato ed ignorato. L’oblio dura fino agli anni Ottanta del secolo scorso, quando Jean Clair sceglie come immagine simbolo della mostra parigina,“Les réalismes. 1919-1939”5, proprio una sua opera: l’Allieva (1924)6.


Sironi ha conosciuto, poi, negli anni Novanta una nuova fortuna critica che ha consentito di valutare con obiettività la sua lunga attività sfociando nell’articolata ed eccezionale, se non altro per il numero di opere esposte, ben duecento, divise in sei sezioni, rassegna della Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma7. Ma la strumentalizzazione ideologica, nascosta dietro l’angolo, ha dichiarato Romana Sironi, nipote del maestro, ha spesso indotto l’erede a rifiutare proposte di esposizioni dal taglio “troppo politico”. Finalmente, dopo ben vent’anni, il Complesso del Vittoriano, con una proposta in controtendenza rispetto agli orientamenti percepiti da Romana, celebra il vilipeso pittore con una retrospettiva, curata da Elena Pontiggia ed organizzata da Comunicare Organizzando, che ci restituisce il grande e tormentato maestro italiano, testimone indiscusso dei suoi tempi8.


L’esposizione consente, con circa 90 opere, cui si aggiunge un regesto di lettere, riviste e bozzetti, provenienti dall’Archivio Sironi9, di aprire una finestra sulla vicenda umana ed artistica di quest’uomo, altamente rappresentativo dei primi sessant’anni di cultura italiana ed europea del secolo breve, che ha interpretato con originalità le contraddizioni di quell’epoca complessa. Il carteggio inedito, esposto in mostra, testimonia l’apprezzamento manifestato dal di lui contemporaneo mondo della cultura e delle lettere, si trovano, infatti, epistole a firma, per esempio, del Cardinal Montini, futuro papa, o del Presidente Sandro Pertini.

Il visitatore, in questo cammino, è accompagnato dalla preziosa ed accurata assistenza di pannelli esplicativo-didattici, che restituiscono il clima storico-culturale, nonché le informazioni biografiche necessarie a comprendere questo titanico e drammatico protagonista del XX secolo.

L’itinerario è appassionante, rigoroso, completo e per certi versi inedito, ci restituisce un uomo, un maestro che ha saputo continuamente rinnovarsi nel suo linguaggio pittorico e nelle scelte operate, dando vita ad una drammatica e forte visione del mondo, contraddistinta, in tutte le sue fasi artistiche, da coerenza ed intensità inusuali.

Si parte dal poco noto esordio simbolista, si espongono, per la prima volta, opere realizzate da un giovanissimo e già provato Sironi (a soli 13 anni perde il padre e la famiglia vive in ristrettezze economiche) che guarda all’imperante moda liberty, la stessa contro cui, in seguito, il pittore si scaglia tenacemente perché non aderente alla verità10. Parlando di questi primi lavori, la curatrice afferma di poterli ricondurre al nostro autore solo per via della firma: lo stile e la tecnica sono, infatti, così lontani dal modus operandi di Sironi che se non fossero stati firmati e datati probabilmente sarebbero dispersi nel mercato antiquario come anonimi. Suggeriamo di soffermarsi qualche istante sul bellissimo olio Il pascolo (1902-1903, Collezione privata). Apparentemente potrebbe sembrare un tipico paesaggio naturalistico, l’opera, invece, si rivela intrisa di simbolismo: la pecora e l’agnello alludono, infatti, al tema segantiano della maternità cosmica, mentre il fusto al centro evoca l’albero della vita11. Qui il maestro guarda al paesaggio panico di Segantini e al simbolismo europeo. Indichiamo anche il toccante foglio intitolato, La sorella Cristina al pianoforte (1905 ca, Collezione privata) e realizzato a penna e inchiostro acquarellato. L’intenso contrasto tra le parti bianche e quelle scure preannuncia l’avvicinamento alla ricerca luministica avviata da Balla e diffusa tra gli artisti gravitanti attorno alla sua cerchia12. Si noti, già in questi primi lavori, quell’inclinazione a “costruire”, caratterizzante quasi tutta la sua opera, che definisce Sironi come pittore-architetto. L’artista stesso nel 1931, rivolgendosi ai detrattori della corrente Novecento, di cui fa parte, afferma: “costruire perché necessario” 13.

L’antologica poi riferisce dell’incontro con il Divisionismo: il pittore riflette in maniera assolutamente autonoma sul movimento artistico e ci consegna un’interpretazione originale e insolita; pur cedendo al colore diviso, la sua visione positivamente costruttiva della pittura non risulta minata. La sua innata vena architettonica e la sua sensibilità plastica, infatti, impediscono al giovane di dissolvere i volumi nella luce, come fanno gli artisti divisionisti, con il sorprendente risultato di un linearismo di tipo aggregativo14.

A questo periodo appartiene la piccola tela La madre che cuce (1905-1906, Collezione privata): il tema della donna che cuce in una stanza, tra Ottocento e Novecento, è piuttosto diffuso, ma il pittore non si allinea al clima confidenziale-intimista di fine secolo, piuttosto lo interpreta alla luce della propria vocazione costruttiva e realizza un piccolo teatro, con quinte architettoniche entro cui si inseriscono le masse poderose dei mobili e della donna15.

Il percorso continua con il racconto della tarda adesione al Futurismo: siamo tra il 1913 e il 1915, il movimento è nato già da qualche anno, ma la volontà iconoclasta della corrente non lo convince; il maestro si è formato sull’arte antica, ha visto e amato la Roma imperiale, e probabilmente il suo modus operandi gli deriva anche dalla visione della monumentalità classica. Non condivide, dunque, la litania futurista “distruggiamo i Musei, bombardiamo le Accademie”. Quando, però, l’amico Boccioni, che vi ha aderito sin dall’inizio, trasfigura il tipico dinamismo futurista in espressione plastica di solidità, l’artista si sente attratto e si avvicina alla corrente iniziando a concepire un futurismo di tipo volumetrico. Di questo momento suggeriamo la visione ravvicinata dell’olio Testa (1913, Collezione privata), dove è palese la meditazione sulla scultura di Boccioni. L’opera rivela un interesse per la rotazione delle masse, che, unito alla personale inclinazione a costruire e alla teoria del raddensamento dei volumi dell’amico Umberto, ha fatto parlare di futurismo solidificato16.

La mostra ci informa anche dell’interesse dimostrato verso l’Espressionismo; Sironi, attorno al 1916, comincia a riflettere sulle cromie accese e violente dei Fauve e sulle tendenze caricaturiste di alcuni movimenti tedeschi. Espressione di questo momento è la tela intitolata Borghese e tram rosso (1916, Collezione privata), in cui il maestro ritrae la figura negativa, antipatriottica ed egoista dell’uomo benestante, che continua a vivere comodamente in contrapposizione al soldato che eroicamente si sacrifica per la patria17. Un uso sapiente e strumentale del colore, appreso dalle correnti espressioniste europee, consentono al pittore di manifestare al meglio certi accenti di natura sarcastica ed ironica.

Il momento della Metafisica è documentato da una serie di quadri realizzati dal 1919: finita la guerra, che uccide il suo amico Boccioni, Mario decide di tornare a Roma dove frequenta l’ambiente metafisico gravitante attorno alla rivista Valori Plastici. I manichini di de Chirico e Carrà lo affascinano e le tele esposte indicano una meditazione assolutamente personale. La sua particolare indole, nonché sensibilità estremamente esistenziale, lo guidano verso una metafisica dai connotati umani: i suoi manichini non vanno oltre la fisica, ma mantengono un contatto con la quotidianità. L’esempio più rappresentativo della breve ed originale stagione metafisica è la lampada (fig. 2, 1919, Milano Pinacoteca di Brera), quivi, in un ambiente casalingo, compare una silouhette umanizzata dall’indossare tacchi a spillo, mentre compie un gesto domestico, quello dell’accensione della luce. Il mondo ortopedico e antisentimentale dei colleghi è piuttosto lontano dalla concezione ancora antropica e sentimentale riferita dal maestro18.

Nel settembre del ‘19 si trasferisce definitivamente a Milano, la città che trova non è più la metropoli euforica dal clima interventista del 1915, ma è una città prostata priva dei fermenti culturali che in passato lo hanno attratto. Dal trauma di questa visione nasce una delle pagine più alte della pittura italiana, l’artista concepisce i primi Paesaggi urbani, opere estremamente drammatiche in cui il maestro non vuole ritrarre il grigiore delle periferie, che diventa piuttosto lo strumento attraverso cui comunicare il senso di tragicità angosciosa. Sono raffigurati squallidi sobborghi, ma potentemente vivi, delineati attraverso volumi fermi e dirompenti. Ci troviamo, allora, ancora una volta, di fronte ad una volontà positiva di costruire, di opporsi all’inquietudine che lo attanaglia. Sironi è tragico, ma non disperato, e comunica al pubblico un messaggio di fiducia: reagire prima di tutto. Ecco perché i suoi Paesaggi urbani psicologicamente trasmettono un senso di solitudine, ma allo stesso tempo, le forme solide consegnano quell’idea di eternità laica, in cui il pittore crede fermamente, e invitano alla speranza (figg. 3-4).

A partire dalla metà degli anni Venti l’artista si dedica ai cosiddetti Miti; non opere mitologiche stricto sensu, anche se a volte ne è tentato19, ma visioni reali che si eternano. Nell’opera La famiglia (fig. 5, 1927-1928, Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale), per esempio, Sironi non intende rappresentare la classica idea patriarcale o matriarcale di stirpe, ma delinea piuttosto l’archetipo di una famiglia primordiale che esprima senso di eternità nello stare assieme. Così nei Lavoratori (fig. 6, 1936, Collezione privata), l’artista, attraverso figure titaniche e drammatiche, esprime quel concetto di nobilitazione che il lavorare perpetua. Sironi, dunque, anche in questo caso non è celebrativo, piuttosto con la sua arte cerca di eternare concetti veri, così i suoi umili e stoici Lavoratori rappresentano un invito a non cedere, ad andare avanti, nonostante tutto.

Il maestro aderisce al fascismo già nel settembre 1919, Marinetti, infatti, nei suoi diari annota di averlo incontrato il 5 ottobre in occasione di una riunione del comitato centrale dei Fasci di Combattimento20, il pittore però non ha una vera passione politica lo dimostra una sua lettera inedita alla Sarfatti (conservata presso l’Archivio Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), pubblicata dalla curatrice, dove descrive i primi momenti di collaborazione con il giornale di Mussolini: “Ripenso malinconicamente alle fatiche incredibili che ho fatto per penetrare un poco in una materia così indigesta per me come la politica, agli sforzi che nessuno conosce, ai giorni e alle notti sacrificati...” 21. Pur credendo fin da subito nel movimento e soprattutto nel duce, non ha mai assunto il ruolo di vate al suo interno; la vena drammatica che ha caratterizzato da sempre il suo lavoro, infatti, non lo consente, le sue opere portano il peso dello stare mestamente al mondo e non comunicano il procedere verso “le magnifiche sorti e progressive”, come vuole il regime. Non c’è celebrazione dove insiste la tragedia. Parafrasando Vittorini, afferma la Pontiggia, Sironi “non ha mai suonato il piffero della rivoluzione fascista perché la sua arte, intrisa di dramma, era più funzionale alla verità che alla propaganda”22, anche nelle opere più magniloquenti, infatti, si scorge un’incrinatura, una fragilità, appena nascosta dall’enorme impatto materico e dall’equilibrio delle forme, che fanno dell’artista un personaggio poco consono agli obiettivi propagandistici di una dittatura.

Mussolini, dunque, non lo sceglie e non lo celebra proprio perché la sua non è un’arte strumentale ai suoi intendimenti, i suoi lavori, tutt’altro che commemorativi, espressione piuttosto della tragedia che attanaglia l’umanità, non parlano all’intelletto, ma sussurrano al cuore. Sironi, sebbene in alcune circostanze abbia espresso contenuti fascisti, non può e non potrà mai essere il cantore del movimento del duce. La sua forza drammatica stride fortemente con le aspirazioni celebrative ricercate dal regime.

Gli anni Trenta danno inizio alla stagione della pittura murale, non una nuova tecnica artistica, ma un diverso modo di concepire l’arte, per comunicare con l’umanità intera. Il maestro, infatti, non vuole più limitare la sua comunicazione ai ricchi salotti dove si espongono piccole opere, per lui la pittura deve convertirsi ad una funzione di carattere sociale e questo modo monumentale di lavorare lo soddisfa. Il salone centrale del Vittoriano ospita i potenti ed imponenti cartoni e disegni preparatori delle grandi decorazioni murali attese dal pittore nella città eterna. Un invito ad andare oltre la mostra, alla ricerca della bellissima ed appena restaurata Vetrata del Palazzo delle Corporazioni (oggi Ministero delle Attività Produttive), dell’abside affrescata dell’Aula Magna della Città Universitaria e dell’affresco Rex Imperator per il sacrario della Casa Madre dei Mutilati di Guerra.

Quando cade Mussolini, Sironi non cerca un modo per rimanere a galla, come fanno altri suoi colleghi, ma con coerenza e convinzione rimane legato alla sua visione della vita: un’Italia nuovamente grande come lo è stata la Roma imperiale.

Quando, poi, il 25 aprile una pattuglia di partigiani lo cattura e cerca di giustiziarlo Gianni Rodari, appartenente anche lui alla ronda, impedisce la fucilazione rilasciandogli un lasciapassare che gli salva la vita. Più tardi lo scrittore afferma “Per me la sua pittura è una lezione di tragedia…”23 evidentemente la sua sensibilità di scrittore gli consente di cogliere il cuore dell’opera del maestro, la sua arte è una lezione di tragedia, è vera come l’esistenza. Con la fine della guerra e il suo accantonamento dalla scena istituzionale-ufficiale Sironi deve rinunciare alla pittura murale e dedicarsi, pur con gli stessi intendimenti, all’affresco di piccolo formato. In questi anni produce tele e quadri che mantengono l’idea formale e la spazialità della pittura murale. La sua è un’arte che va oltre lo spazio del quadro24, per comunicare potentemente e prepotentemente. Si osservi la piccola tela La penitente (Fig. 7, 1945, Rovereto MART), un’ingombrante figura sopraffatta dal senso di colpa, piegata in una dolorosa mortificazione, giudicata impietosamente da un giudice non compassionevole, forse malevolo. I tragici, ma dignitosi, eroi di un tempo lasciano lo spazio a individui prostrati e umiliati. Questi sono anni terribili e, dopo la caduta del regime e l’esperienza della figlia suicida, crolla in lui anche la fede nel costruire, le ultime opere, infatti, testimoniano un senso di impotenza: i Lavoratori non sono più le titaniche e drammatiche figure degli anni precedenti, ma dei miseri esseri, che non possono fare ciò a cui aspirano perchè osteggiati da forze esterne. Le ultime sue tele, che concludono in modo struggente anche la mostra, testimoniano lo stato emotivo dell’artista. Intitolate Apocalisse, non hanno nulla di mistico, ma documentano il crollo universale che seppellisce “l’uomo faber”. Questi ultimi lavori riportano la perdita di quell’idea dello stare al mondo non per soccombere, ma per costruire, attraverso l’uso di terra e pietra. La visione plastico-architettonica, fatta di tragedia e di alte aspirazioni, di solitudine e malinconia, ma innervata dal senso etico dell’esistere, del lavorare e dell’educare attraverso l’arte e le radici della propria cultura, lascia il posto alla rassegnazione; il carattere del maestro perisce sotto le forze che lo hanno travolto, ma, seppur piegato, ci lascia un ultima lezione positiva: l’uomo non può più costruire, né opporsi, ma la natura, anche se devastata, sopravvive comunque.



Il catalogo


A cura di Elena Pontiggia e pubblicato da Skira, il catalogo in brossura esibisce una cura editoriale significativa.
Le prime venti pagine sono dedicate ai tradizionali ringraziamenti di coloro che hanno reso possibile la mostra: istituzioni e privati. Ricca e notevolmente sostanziosa la parte saggistica che si svolge nelle successive 70 pagine. Sei testi scientifici di studi aggiornati sul maestro a firma di studiosi ed esperti (Luigi Cavallo, critico d’arte e specialista del Novecento italiano; Elena Pontiggia, storica dell’arte tra i massimi esperti del pittore; Virginia Baradel, storica e critica d’arte; Mariastella Margozzi, in forze alla Galleria d’Arte moderna di Roma ed esperta del maestro; Roberto Dulio, ricercatore in storia dell’architettura e dell’arte contemporanea del Politecnico di Milano; Lea Mattarella, docente di storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Napoli). Il primo saggio di Cavallo ci racconta piacevolmente del dialogo culturale attivo negli anni Venti, del fermento attorno alla definizione del ruolo dell’artista e della vicenda storica relativa alla pubblicazione del Manifesto sulla pittura murale. Indugia, quindi, in notazioni di carattere biografiche sul maestro alla luce degli eventi vissuti dopo il 1948, anno della morte della figlia. Segue lo scritto, ricco di particolari, di natura biografica della curatrice. Il saggio della Baradel ci riferisce del rapporto di amicizia che ha legato Sironi a Boccioni. Segue il testo della Mengozzi che ci parla della vocazione dell’artista alla pittura murale. Dulio si concentra sulla partnership tra l’architetto Piacentini e il decoratore Sironi. Infine, l’ultimo testo, racconta il rapporto particolare che lega il pittore alla città di Roma.

Segue, per le successive 180 pagine, secondo il criterio espositivo, il catalogo delle opere esposte: bellissime fotografie a tutta pagina ritraggono i quadri nella loro interezza, e, in alcuni casi, con particolari ingranditi. Le schede delle stampe, tutte a cura della Pontiggia, sono impostate secondo la tipica struttura: titolo, datazione, supporto/tecnica, dimensioni, provenienza, analisi storico-critica e bibliografia.

Le ultime 20 pagine del volume recano i cosiddetti apparati, utili strumenti per studiosi e studenti di arte: le schede tecniche delle opere; un elenco delle abbreviazioni per le esposizioni cui ha partecipato il pittore; un elenco delle abbreviazioni relative alle citazioni bibliografiche a cura di Irene Cafarelli; una biografia organizzata cronologicamente a cura di Lorella Giudici.

I crediti fotografici, come ormai di consueto, si trovano nelle prime pagine del catalogo.







NOTE

1 Mario Sironi, (a cura di) Elena Pontiggia, catalogo della mostra (Roma, Complesso del Vittoriano, 04 ottobre 2014 – 08 febbraio 2015), Ginevra-Milano, 2014, p. 31.

2 Mario Sironi, (a cura di) Augusta Monferini e Fabio Benzi, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’arte moderna, 10 dicembre 1993– 8 febbraio 1994).

3 G. Cerronetti, Un viaggio in Italia, Torino, 1983, passim.

4 Pontiggia, 2014, passim.

5 Les réalismes. 1919-1939, (a cura di) J. Clair, catalogo della mostra (Parigi, Centre Georges Pompidou, 17 dicembre 1980 – 20 aprile 1981), Parigi 1980.

6 Nel 1924 Sironi partecipa alla Biennale di Venezia con il gruppo “Novecento” ed espone due opere irripetibili: l’Allieva, appunto, e l’Architetto (fig. 1). I due lavori, purtroppo, passano quasi inosservati (cfr. Pontiggia, 2014, p. 51).

7 Si veda nota n. 2.

8 Le esposizioni nelle gallerie private, afferma ancora Romana Sironi in conferenza stampa, per loro natura, non illustrano il maestro “nel modo giusto”.

9 L’Archivio Mario Sironi di Romana Sironi è un istituto fondamentale, raccolto prima dal fratello dell’artista e dalla compagna Mimi e ora da Romana, per chi voglia approfondire la storia e la cultura artistica della prima metà del ‘900, esso, infatti, conserva carte non solo relative al nostro artista, ma, avendo lui intrecciato e tessuto rapporti con il mondo culturale lato sensu della sua epoca, si possono trovare documenti interessanti, spesso inediti, relativi ad artisti, mecenati, galleristi, politici, religiosi … del tempo.

10 La sua arte matura, infatti, ricerca la verità e non sofisticatezze estetiche di fine secolo XIX.

11 Pontiggia, 2014, p. 104.

12 Ibidem, p. 108.

13 M. Sironi, Scritti e pensieri, E. Pontiggia (a cura di) Milano 2000, pp. 103-105.

14 Pontiggia, 2014, p. 34.

15 Ibidem, p. 110.

16 Ibidem, pp. 37 e 118.

17 Ibidem, p. 128.

18 Ibidem p. 136.

19 Si pensi alla Venere (1923-1924, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea).

20 F.T. Marinetti, Taccuini 1915-1921, a cura di A. Bertoni, Bologna 1987, p. 446.

21 Pontiggia, 2014, p. 47.

22 Ibidem, p. 30.

23 M. Argilli, Gianni Rodari: Una biografia, Torino 1990, p. 14.

24 È interessante notare come oltreoceano questa stessa ricerca spaziale, che comporta il concetto di spazio del quadro superato sia affrontato da un giovane Pollock.






LA MOSTRA

Dove: Complesso del Vittoriano, Roma

Quando: 04 ottobre 2014- 08 febbraio 2015





BIBLIOGRAFIA

  • Mario Sironi, (a cura di) Elena Pontiggia, catalogo della mostra (4 ottobre 2014 – 8 febbraio 2015), Ginevra-Milano, 2014.
  • E. Pontiggia (a cura di) M. Sironi, Scritti e pensieri, Milano 2000.
  • Mario Sironi, (a cura di) Augusta Monferini e Fabio Benzi, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’arte moderna, 10 dicembre 1993– 8 febbraio 1994), Roma 1993.
  • M. Argilli, Gianni Rodari: Una biografia, Torino 1990.
  • F.T. Marinetti, Taccuini 1915-1921, a cura di A. Bertoni, Bologna 1987.
  • G. Cerronetti, Un viaggio in Italia, Torino, 1983.
  • Les réalismes. 1919-1939, J. Clair (a cura di), Parigi, 1980.







Fig. 1
MARIO SIRONI, L'architetto, 1922-23 olio su tela, cm. 87 x 75
Collezione privata


Fig. 2
MARIO SIRONI, La lampada, 1919,
olio su carta applicata su tela, cm. 96 x 78
Pinacoteca di Brera, Milano


Fig. 3
MARIO SIRONI, Paesaggio urbano, 1926,
olio su tela, cm. 34 x 50
Fondazione Musei Civici di Venezia
Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Ca' Pesaro
2014 © Archivio Fotografico, Fondazione Musei Civici di Venezia


Fig. 4
MARIO SIRONI, Paesaggio urbano, 1920,
olio su tela, cm. 44 x 60
Pinacoteca di Brera, Milano


Fig. 5
MARIO SIRONI, La famiglia, 1927-1928,
olio su tela, cm. 73 x 97
Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale
© Roma Capitale


Fig. 6
MARIO SIRONI, Il lavoratore, 1936,
olio e tempera su carta intelata, cm. 329 x 206
Collezione privata


Fig. 7
MARIO SIRONI, La penitente, 1945,
olio su tela, cm. 50 x 60
MART, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione Augusto e Francesca Giovanardi





Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

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