Presso
lo spazio espositivo delle Scuderie
del Quirinale a
Roma si
è aperta un'importante
mostra dedicata al celeberrimo artista Henri Matisse ,
noto ai più per essere il caposcuola del gruppo di artisti che si
denominarono Fauves ,
ma che, all’interno della sua produzione, dimostra uno spiccato
interesse nei confronti delle forme di arti applicate provenienti dai
Paesi orientali e di vari manufatti scultorei provenienti
principalmente dal continente africano, allora denominati
primitivisti .
È
lo spirito del confronto che ci offre la chiave di lettura di questo
percorso espositivo: davanti alle opere di Matisse, artista
occidentale, troviamo, all’interno di teche in vetro, manufatti di
ogni genere, dalle stoffe alle piastrelle, dalle maschere lignee ai
tappeti, per arrivare alle stampe del famoso artista giapponese
Utagawa Hiroshige ,
provenienti dall’oriente, che sono determinanti per il
riconoscimento dei modelli decorativi che presenziano all’interno
delle composizioni dell’artista francese: certamente emblematico è
il caso delle tappezzerie che decorano le pareti e i complementi
d’arredo nell’opera Il
pavimento moresco,
le quali, se raffrontate a delle piastrelle siriane o a un pannello
turco in mostra, esemplificano i forti punti di influenza delle forme
artistiche orientali sui dipinti di Matissse.
Partendo,
in seconda istanza, dal significato del termine che accompagna il
nome dell’artista nel titolo della mostra, ovvero
arabesque,
si giunge un nuovo ed ulteriore punto di contatto tra i due mondi: se
la rappresentazione di un motivo vegetale, ripreso dalla natura, e
mescolato a dei motivi geometrici a fine puramente decorativo, viene
utilizzato nel caso delle forme di arte orientale, come motivo
ornamentale dominante di un’unità decorativa, come ad esempio una
maiolica o un pannello, nel caso dei quadri di Matisse, può valere
sì come disegno presente in un elemento decorativo o di arredamento,
ma può essere anche utilizzato come tracciato grafico basilare per
le composizioni pittoriche. Ne sono un esempio le opere raffiguranti
brani di nature morte floreali o paesaggi di stagni o giardini, in
pieno taglio
giapponese.
L’artista,
proveniente da una famiglia di tessitori, aveva una acuta sensibilità
nei confronti del decorativismo della tradizione tessile della
Francia del Nord, che esprimeva suggestioni orientali filtrate dagli
occhi dei filatori europei: è per questo che, dopo aver frequentato
lo studio di Gustave Moreau
e l’Ecole des Beaux-Arts, volgendo maggiormente e in modo sempre
crescente lo sguardo verso l’oriente, nel 1906 decide di viaggiare
in Algeria, un anno dopo aver partecipato al Salon
d’Automne,
aprendo la strada alla pittura Fauve.
Questo viaggio e i seguenti in vari Paesi del Mediterraneo, oltre ad
una visita nel 1910 presso l’Esposizione
d’arte maomettiana a
Monaco di Baviera, lo impressioneranno particolarmente,
consentendogli di avvicinarsi alla scultura africana, al fine di
elaborare un nuovo linguaggio disegnativo: un esempio molto evidente
di questa ricerca emerge da alcuni ritratti, in particolare dal
Ritratto
di Yvonne Landsberg,
per quanto riguarda l’influenza delle maschere africane, e dalla
Marocchina
in giallo e
dal Marocchino
in verde,
per ciò che concerne gli influssi della cultura orientale.
Analizzando
il panorama artistico europeo contemporaneo a Henri Matisse si può
riscontrare una forte tendenza orientalista
e
primitivista
da parte dei maggiori artisti in attività.
L’influenza
del Giappone aveva già fatto il suo ingresso nell’arte europea a
partire dalle Esposizioni Universali ed Internazionali, prima fra
tutte quella del 1851 a Londra, presso le quali gli artisti ebbero
modo di apprezzare stampe e manufatti del Sol
levante,
che assunsero come punto di partenza dal quale trarre degli input
grafici,
compositivi e decorativi da riutilizzare in opere originali e, per
così dire,
di maniera.
In
tal senso risulta interessante registrare le frequentazioni
dell’artista francese, che si recava presso le gallerie
dell’avanguardia per osservare ed acquistare opere d’arte:
emblematiche sono le vendite di Ambroise Vollard
a Matisse di un disegno di Van Gogh ,
di un busto in gesso di Rodin
e di due quadri, l’uno di Gauguin ,
l’altro di Cézanne ,
artista che egli riteneva aver influenzato la sua arte molto più di
Giotto, dell’Angelico, dei mosaici bizantini e dell’arte
persiana.
All’interno
del percorso espositivo, che si snoda lungo dieci sale, il visitatore
è accompagnato non solo dalla visione delle opere matissiane e di
arte orientale, ma anche dai pensieri dell’artista sul suo lavoro,
espressi nei contesti più disparati.
A
proposito del legame molto stretto con l’arte primitiva, nella
seconda sala vi è un’interessante affermazione estrapolata da
un’intervista con Tériade del 1952, che riporta una affascinante
esperienza vissuta da Matisse in prima persona:
Andavo
spesso da Gertrude Stein
in rue de Fleurus, e nel tragitto passavo ogni volta davanti a un
negozietto d’antichità. Un giorno notai in vetrina una piccola
testa africana, scolpita in legno, che mi ricordò le gigantesche
teste di porfido rosso delle collezioni egizie al Louvre. Sentivo che
i metodi di scrittura delle forme erano gli stessi nelle due civiltà,
per quanto estranee l’una all’altra per altri aspetti. Acquistata
dunque per pochi franchi quella testina, l’ho portata a casa di
Gertude Stein. Là ho trovato Picasso che ne fu molto impressionato.
Ne discutemmo a lungo: fu l’inizio dell’interesse di noi tutti
per l’arte africana – interesse testimoniato, da chi poco e da
chi molto, nei nostri quadri.
Quello
era un tempo di nuove conquiste. Non conoscendo ancora molto bene
neppure noi stessi, non sentivamo il bisogno di proteggerci dalle
influenze straniere, perché queste non potevano che arricchirci e
renderci più esigenti in rapporto ai nostri individuali mezzi
d’espressione.
Fauvisme,
esaltazione del colore; precisione del disegno dovuta al Cubismo;
visite al Louvre e influenze esotiche filtrate attraverso il museo
etnografico del vecchio Trocadéro: tutte cose che hanno modellato il
paesaggio in cui vivevamo, dove viaggiavamo e da cui siamo usciti
tutti. Era un’epoca di cosmogonia artistica.
In
questo breve passaggio, Henri Matisse descrive la sensazione di
immersione nel proprio contesto culturale che un artista del primo
Novecento percepiva, che lui denomina paesaggio,
una vera e propria condizione in cui viaggiare
per scoprire nuovi linguaggi, nuovi segni, nuove forme espressive con
le quali comunicare sulla tela le proprie idee sull’arte.
Matisse
stesso, con il riferimento a Pablo Picasso ,
offre un utile termine di confronto attraverso questa sua
affermazione, attorno alla quale ruota tutta la disposizione della
sala: a sinistra, delle teche conservano i manufatti primitivisti
dai quali gli artisti estrapolavano elementi disegnativi da riportare
nelle loro opere, a destra i quadri di Matisse, tutti databili agli
anni Dieci del Novecento, che ritraggono vari soggetti, ma che
ricordano, nei loro tratti, la geometricità e la spigolosità delle
maschere africane. Importante punto di snodo che manca visivamente
nel percorso, ma che non sfuggirà al visitatore leggendo il nome di
Picasso, è sicuramente l’icona dell’arte novecentesca Les
Demoiselles d’Avignon,
opera del 1907, che apre la stagione delle influenze extra europee
sull’arte occidentale.
Molto
significativa è l’espressione utilizzata da Matisse al termine di
questa testimonianza, ovvero cosmogonia
artistica:
queste due parole rendono perfettamente l’idea che gli artisti
percepivano del loro periodo storico e della loro arte, ovvero una
fase artistica primordiale, quasi un novello big
bang
culturale, dove l’artista si sente realmente creatore
di un nuovo linguaggio, e dove fenomeni, apparentemente molto
distanti tra loro, avevano delle matrici comuni. È singolare la
consapevolezza con cui Henri Matisse sente forte l’impegno della
creazione
di un nuovo linguaggio e la piena immersione in questo brodo
primordiale rappresentato
dalla sua contemporaneità, da cui tutti gli artisti hanno
estrapolato i loro tratti caratteristici, che si proponevano di
riprodurre sulla tela.
La
produzione matissiana proposta in mostra, pur rispecchiando a pieno
l’idea di arte espressa dal pittore francese, risulta brillante,
innovativa e, a tratti, inaspettata: immagini come quelle de La
Danza
o La
Musica
vengono immediatamente soppiantate da una cromia variegata, dai toni
caldi, mediterranei, e da tratti disegnativi che, pur delineando un
oggetto ben definito, alludono ad una funzione strettamente
decorativa.
In
tal senso risulta veramente illuminante la visione dei disegni
raffiguranti alberi, nudi e varie figure femminili, degli studi per
le acqueforti che dovevano accompagnare una serie di poesie di
Mallarmé, del 1932, di uno studio per l’Ulisse
di
Joyce, del 1940, e dei bozzetti per la realizzazione dei costumi e
delle suppellettili che sarebbero stati utilizzati per la messa in
scena del balletto del poema sinfonico di Igor Stravinsky
Le
Chant du rossignol,
del 1920.
Nelle
ultime sale si trovano proprio gli abiti realizzati per il balletto
appena citato e, anch’essi, ci aprono un vasto panorama sulle due
matrici della formazione artistica di Henri Matisse: la provenienza
da una famiglia di tessitori e da una zona con una notevole
concentrazione di attività tessile e il fascino per i costumi
primitivisti
e per i motivi decorativi orientali.
Il
catalogo, che come la mostra è curato da Ester Coen, giocato sui
colori giallo e bianco, è strutturato anch’esso in base allo
spirito della comparazione: ai tradizionali saggi si alternano delle
schede tematiche, contraddistinte appunto dal colore giallo, in cui
si riportano le parole di Matisse relative ai grandi argomenti
trattati all’interno della mostra. Le opere esposte non sono
analizzate singolarmente, ma inserite all’interno del corpo
testuale saggistico.
Al
termine, tre apparati: l’elenco delle opere esposte, un glossario
di termini-chiave e una bibliografia generale.
NOTE
LA MOSTRA
A
cura di Ester
Coen
Scuderie
del Quirinale, Roma , Via XXIV Maggio, 16.
4
marzo 2015 – 21 giugno 2015.
http://www.scuderiequirinale.it
Catalogo
Skira.
Matisse
arabesque
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