Sarà
visitabile fino al 24 maggio, ospitata dallaGalleria degli Uffizi di
Firenze, l’attesa retrospettiva su Gerrit van Honthorst, tra i
massimi protagonisti del Seicento pittorico. È, senza dubbio, un
appuntamento di notevole importanza nel calendario delle attività
espositive patrocinate dal Polo Fiorentino, trattandosi della prima
mostra mai dedicata al pittore, che si trova così ad inaugurare,
sotto fortunati auspici, un 2015 particolarmente ricco di proposte.
Per l’occasione, oltre alla direzione di Antonio Natali, al vertice
della stessa Galleria, la curatela è svolta da un veterano degli
studi sulla pittura caravaggesca, Gianni Papi, già autore, nel 1999,
della monografia di riferimento sul pittore olandese1,
da integrare, specie per l’attività in madrepatria, con gli studi
di Jay Richard Judson2.
E non è una casualità se lo Honthorst trovi proprio in Firenze la
sede, prestigiosissima, di una prima riflessione espositiva a lui
interamente dedicata. Indimenticabile resta, infatti, per gli addetti
ai lavori, la fondamentale mostra del 1970 “Caravaggio e i
Caravaggeschi”3,
curata da Evelina Borea ed allestita anch’essa nelle sale degli
Uffizi, che, in quei fortunati anni di fervide ricerche e
sensazionali scoperte, la stessa dirigeva. Una mostra, s’è detto,
nodale, in quanto avrebbe giustamente restituito a Firenze il ruolo,
sino ad allora ostinatamente ignorato, di vivace ganglio della rete
di diffusione europea del naturalismo caravaggesco, specie attraverso
l’attività mecenatizia del Granduca Cosimo II, che la
retrospettiva fiorentina ricostruì attraverso apporti inediti, ma
anche attraverso l’iniziativa privata di figure come Piero
Guicciardini, importante attore dell’innesto del caravaggismo in
territorio toscano. Fondamentale fu, peraltro, il ruolo di tramite
che questi giocò tra lo Honthorst e Firenze, attraverso la
commissione del 1619 che lascerà in Santa Felicita una delle cime
della produzione dell’olandese, la delicata quanto sfortunata
Adorazione dei Pastori,
oggi penosamente ridotta a misero relitto di se stessa. Al destino
tragico della tela è dedicato il saggio di apertura del catalogo
della mostra, edito da Giunti, strumento quanto mai utile, che
integra con intelligenza alcune lacune che, forse inevitabilmente,
emergono dall’articolazione dell’esposizione. Se, infatti, il
catalogo, ben strutturato e denso di spunti, rivela la serietà delle
finalità scientifiche della mostra, le buone intenzioni appaiono in
parte tradite nella messa in opera espositiva, per quanto gli
ambienti limitati impongano necessariamente una sintesi, spesso
drastica, dei discorsi argomentati per immagini.
Primo
aspetto di pregio da rilevare è l’impianto cronologico
dell’esposizione, che, nonostante la dichiarata predilezione per il
decennio di attività italiana, mira ad inquadrare lo sviluppo del
pittore dalla fase giovanile fino ai fortunati anni del ritorno ad
Utrecht, senza mancare di rilevare precedenti, lasciti e scambi. Un
merito, quello della restituzione lineare del percorso dell’artista,
da non ritenere scontato: mostre recenti hanno, infatti, prediletto
impostazioni tematiche o tipologiche che, se di certo mostrano la
propria utilità nel descrivere stagioni collezionistiche o generali
fenomeni figurativi, mal restituiscono la fisionomia coerente di un
pittore.
Densa
di suggestioni la prima sala, in cui sono illustrati i prodromi
dell’arte dello Honthorst. Se vagamente allogeno appare il bel
Paolo Guidotti lucchese, assai significativa è la presenza
dell’eccezionale Cristo
dinanzi a Caifa di
Luca Cambiaso, che, principiando il percorso espositivo, bene emerge
come riferimento in qualche modo archetipico della maniera dello
Honthorst, specie per quella propensione intimista al “lume di
notte”, oggetto di precoci quanto spericolate sperimentazioni da
parte del genovese e così intensamente radicato nei modi di Gerrit
da guadagnargli l’epiteto con cui l’artista è noto in ambito
italiano. Non meno apprezzabile la presenza dell’Adorazione
di Abraham Bloemaert, un vero patriarca della pittura olandese e
maestro del nostro, di cui certamente non avrebbe guastato ammirare
un numero più cospicuo di opere, per meglio discernere l’autentica
vena nordica di taluni stilemi, destinati pur tuttavia ad un decisivo
potenziamento, se non viraggio, in seguito al folgorante incontro col
Caravaggio romano. Questo viene immediatamente speso in tutta la sua
decisiva portata nelle sezioni successive, incentrate sull’arrivo
di Gerrit in Italia, tuttora sfumato nell’indeterminatezza
cronologica, che ha consentito a Gianni Papi di avanzare interessanti
ipotesi su un supposto soggiorno genovese dell’artista, di cui la
Santa Teresa incoronata
da Cristo e i
comprovati rapporti con la città, mediati in particolare dalla
protezione dei Giustiniani4,
dovrebbero costituire le testimonianze più solide.
Dopo
quelle che il curatore configura come le prime prove italiane,
ancorate al primo lustro del secondo decennio e ancora venate da
certe asprezze oltramontane, come l’Incoronazione
di Spine Getty,
sfilano gli anni più felici della produzione di Gerrit, attraverso
una selezione ben rappresentativa di dipinti di formato, soggetto ed
intonazione assai variati. Il filo dell’evoluzione stilistica si
intreccia allora con la trama dei rapporti di committenza, da cui
emerge, imprescindibile, il ruolo giocato dai fratelli Giustiniani
nel patrocinio dell’artista, di cui lo splendido Cristo
dinanzi a Caifa,
prestito eccezionale della National Gallery di Londra, è forse la
testimonianza più alta. Il profilo monumentale ed austero di Cristo,
la penetrante lettura dell’effetto della luce sull’epidermide
delle cose, finanche sul pulviscolo della stanza, che si accende di
tonalità calde e pastose, configurano la tela come uno dei momenti
di più intima adesione dello Honthorst a Caravaggio, alla quale,
per sobrietà d’intonazione, può essere accostato l’intenso
Cristo negli orti degli
ulivi di San
Pietroburgo.
Si
succedono, poi, a ritmo serrato, quei “quadri bizzarrissimi e cene
allegre”, secondo la felice formula di Luigi Lanzi, che tanta parte
ebbero nella fortuna collezionistica del pittore, e che, offrendo un
ricco campionario di tipi umani, di situazioni emotive e di
consistenze oggettuali senz’altro costituirono per il pittore
l’occasione di vagliare possibilità timbriche e rese pittoriche
fortemente sperimentali. È nelle scene di genere, infatti,
unitamente ai dipinti di devozione privata, di ben più intensa
vocazione, che si misura la profonda intelligenza figurativa di
Gerrit, ed è proprio la ripetitività, talvolta spinta fino alla
standardizzazione, di caratteri e situazioni ad offrire un terreno
fertile di dialogo e confronto con i contemporanei, con cui
l’olandese condivise la parabola caravaggesca. E se il rapporto con
le coeve vicende di Bartolomeo Manfredi, Domenico Fiasella, Simon
Vouet, solo per citare alcuni nomi, è ben intrecciato nel catalogo,
con riferimenti puntuali e confronti ben argomentati, la trama delle
consonanze e delle dissonanze risulta smagliata in mostra, dove la
netta cesura tra le opere dello Honthorst e quelle dei contemporanei
richiama solo vaghi rimandi tipologici ed iconografici, senza offrire
la possibilità di confrontare con immediatezza le differenti
personalità stilistiche5.
Si tratta, senza dubbio, della sezione meno riuscita della mostra,
specie perché collocata dopo il rientro del nostro in Olanda,
segnato da un tono diverso, più fresco, spensierato, chiaro, ben
testimoniato dall’ Allegro
violinista con bicchiere di vino
di Amsterdam: è ormai tramontata la mordace tensione emotiva che
aveva permeato gli anni italiani.
Nel
percorso espositivo un posto di rilievo particolare è assegnato alla
succitata Adorazione
dei Pastori, alla
quale è dedicata una sala a sé, che, attraverso un peculiare
allestimento filmico e sonoro, mira a rievocare il tragico episodio
mafioso del 1993, la cui esplosione, interessando una sezione
consistente della Galleria degli Uffizi, determinò la perdita di
importanti tele della collezione. Forse non occorreva una così
ricercata scenografia per aumentare il gradiente drammatico
dell’esposizione della tela: della violenza di quell’attentato
esplosivo parla già lo stato disperato del dipinto, ridotto a brevi
lampi di colore che baluginano attraverso la trama grezza della tela.
E fa riflettere la riproduzione, nel saggio di Antonio Natali in
catalogo, della locandina della mostra del 1966 sui Dipinti
salvati dalla piena dell’Arno,
dove è ben riconoscibile l’Adorazione,
fortunosamente salvata dalle acque: dove non arrivò la furia della
natura, poté la ferina ignoranza della mafia.
NOTE
1
G. Papi, Gherardo
delle notti. Gerrit
Honthorst in Italia,
Soncino 1999.
2
J. R. Judson e R. E.O. Ekkart, Gerrit van Honthorst 1592 – 1656,
Doornspijk 1999.
3
E. Borea, Caravaggio e
caravaggeschi nelle Gallerie di Firenze,
catalogo della mostra, Firenze 1970.
4
Sul mecenatismo dei Giustiniani si veda S. D. Squarzina (a cura di),
Caravaggio e
Giustiniani. Toccar con mano una collezione del Seicento,
catalogo della mostra (Roma, Palazzo Giustiniani, 26/01/2001 –
15/05/2001) Milano 2001.
5
Per un quadro generale sulla pittura caravaggesca si veda A. Zuccari
(a cura di), I
Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti,
Milano 2010.
BIBLIOGRAFIA
E.
Borea (a cura di), Caravaggio
e caravaggeschi nelle Gallerie di Firenze,
catalogo della mostra, Firenze 1970.
J.
R. Judson e R. E.O. Ekkart, Gerrit van Honthorst 1592 – 1656,
Doornspijk 1999.
G.
Papi, Gherardo delle
notti. Gerrit Honthorst in Italia,
Soncino 1999.
S.
D. Squarzina (a cura di), Caravaggio
e Giustiniani. Toccar con mano una collezione del Seicento,
catalogo della mostra (Roma, Palazzo Giustiniani, 26/01/2001 –
15/05/2001) Milano 2001.
A.
Zuccari (a cura di), I
Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti,
Milano 2010.
LA MOSTRA
Gherardo
delle Notti - Quadri
bizzarrissimi e cene allegre
Firenze,
Galleria degli Uffizi
10
febbraio – 24 Maggio 2015
http://www.unannoadarte.it/Mostre/gherardo-delle-notti/
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