È
interessante far riferimento e riflettere su una nuova e critica etichetta
come quella di “architettura liquida”. In virtù delle ricerche svolte
dal venezuelano Marcos Novak [1] il primo
ad aver parlato di “architettura liquida”
nel cyberspazio, nonché di quelle del
sociologo Zygmunt Bauman nella società odierna, architetti e studiosi hanno
cercato di sintetizzare le medesime tesi e di applicarle al mondo dell’architettura:
ne è sicuramente un esempio, la monografia di Salvatore Rugino “Liquid box”. La nascita della rete e del
mondo virtuale hanno modificato il tipo di comunicazione tra gli uomini in un
rapporto di connettività che, a sua volta, ha trasformato la loro relazione con
i luoghi. Ossia la società moderna, vivendo nella dialettica tra spazio
virtuale e reale, secondo Bauman, è caratterizzata dalla «convinzione sempre più forte che l’unica costante sia il cambiamento e
l’unica certezza sia l’incertezza» [2] .
L’essere sottoposti a continui cambiamenti, vivere la temporaneità, la
contingenza e precarietà degli eventi hanno fatto crollare una serie di
credenze e punti di riferimento fissi, strutture “solide” che sono naufragate in quella “modernità liquida”, dove lo spazio non esiste più ed è sostituito
dal concetto di luogo che si carica
dei significati e dell’esperienza dinamica che investe gli uomini di oggi. Di
fronte a ciò anche il ruolo dell’architetto è cambiato: se «precedentemente, come costruttore, si occupava
di mettere insieme elementi dati dalle possibilità tecniche, oggi si trova a
mettere insieme, quindi a divenire mediatore, non solo degli elementi dello
spazio reale ma a miscelarli con gli elementi di quello virtuale, ecco chi è
l’architetto dello spazio connettivo, è colui che attraverso la sua esperienza,
reale e virtuale, trasforma i nuovi scenari e le nuove azioni in realtà
abitabili […]» [3] . E
Rugino, citando il testo di Paola Gregory “Territori
della complessità. New scapes” (2003), considera l’architettura come «una superficie di comunicazione, sensibile,
reattiva e interattiva […] si tratta di mediatizzare lo stesso significato
dell’architettura, trasferendo dal piano tecnologico a quello epistemologico la
fluidità e immaterialità dei media elettronici» [4] .
Se lo spazio cibernetico ha trasformato la nostra società «[…] ciò di cui il pensiero ha bisogno oggi è una nuova architettura
della complessità che lo rappresenti, e al contempo articoli, la logica
incarnazione della rete» [5] . Quello
che nell’architettura classica
era stabile, durevole, legato alla memoria, al suo tempo e contesto viene meno
data l’esigenza di soddisfare una società sottoposta all’incessante mutamento:
le nuove tecnologie multimediali offrono la possibilità di realizzare strutture
dinamiche, flessibili, multisensoriali nelle quali lo spazio della rete e
quello reale possono convergere in una dimensione “liquida”, dove ciò che è importante è proprio l’interazione tra i
due mondi [7] . Quindi,
parlare di architettura liquida, afferma Rugino, significa assistere a come
l’uomo diventa attore avendo la possibilità di vedere proiettata la propria
vita, la propria esperienza all’interno di uno spazio che è quello dell’informazione [8] . L’uomo diviene “soggetto” di una architettura
“oggetto” che fa da sfondo: diventa protagonista di una struttura che
acquisisce nella forma e funzione quella “liquida” del suo fruitore. Sulla base
di tale affermazione, è fondamentale per l’architettura liquida la rottura
degli schemi, dei parallelismi e delle simmetrie dell’architettura classica e
l’ispirazione a geometrie non euclidee e alla matematica ed estetica dei frattali, che permette di generare con
regole semplici forme spaziali complesse. Citando Novak, Salvatore Rugino
sottolinea, come in questa architettura «si
intende considerare non gli usi ma i processi dello sviluppo del pensiero che
non è più legato alle tre dimensioni dello spazio euclideo ma, alla sfericità
dello spazio liquido prodotto dal digitale» [9] .
A questo proposito, non si può non riportare la posizione di Novak:
«L’architettura liquida è un’architettura la
cui forma è contingente agli interessi dello spettatore; è un’architettura che
si apre per accogliermi e si chiude per difendermi, è un’architettura senza
porte né corridoi, in cui la stanza successiva è sempre dove mi occorre che sia
e ciò che mi occorre che sia. L’architettura liquida produce, città liquide,
città che cambiano al cambiare di un valore, in cui i visitatori con retroterra
diversi vedono paesaggi diversi, in cui i dintorni cambiano con le idee in
comune, e si sviluppano quando le idee maturano oppure si dissolvono» [10] .
Obiettivo
dell’architetto, dunque, non è solo il progetto, ma il processo che lo
sottende, una volta compreso che le strutture non sono più legate unicamente
alle funzioni, ma soprattutto al desiderio di chi li vive e del suo
progettista. Un passaggio che crea, senza dubbio, un marcato confine tra la “solida”, statica e strutturata
architettura classica, fatta di certezze stratificate nello spazio e nel tempo e
quella “liquida” connessa ad un
pubblico che vive una società moderna, resa dinamica e altamente flessibile
dalle tecnologie, e necessitante di luoghi dove il virtuale incontri il reale.
Ne è un
esempio “La Città del Vino” (Fig. 1) inaugurata dal Presidente francese
François Hollande a Bordeaux, nella località della Gironda: una struttura
avveniristica completata in sette anni, che si sviluppa in 13.000 mq dedicati
alla cultura enologica, al suo interno troveremo mostre permanenti e temporanee,
strade del vino, degustazioni, un’enoteca con 800 etichette, installazioni
teatrali, musica, una biblioteca, boutique e il ristorante L7 [11] . La
struttura è di grande impatto visivo, il progetto, pensato nel 2009, è stato
eseguito da XTU Architects [12] di
Parigi: nelle forme complesse, sinuose e ‘liquide’ potrebbe ricordare l’immagine
di un’ampolla per fare decantare il vino, o decanter,
per usare un termine tecnico, ma l’allusione principale è più probabilmente
alla sensualità connessa al vino, evocata sin dalle forme sinuose e arrotondate
che danno la sensazione di movimento e di flusso ininterrotto. La struttura è
alta 55 metri, le sue forme rotondeggianti sono esaltate da una copertura
costituita da 900 pannelli (riflettenti) di vetro, 2.500 pannelli di alluminio
placcato in oro, il tutto sostenuto da un possente scheletro di legno, creando
un effetto che evoca il dolce scivolare della bevanda nel bicchiere e che allo
stesso tempo è in tono con le pietre delle architetture neoclassiche
circostanti, che sono il marchio della Gironda. Di conseguenza l’impatto
ambientale è controllato. Un edificio eye-catching, al punto che qualcuno lo ha
definito il “Guggenheim del vino”, evocando il capolavoro di Frank O. Gehry che
ha cambiato il volto della non lontana Bilbao con l’eventualità che le due
opere creino intorno a sé un pacchetto capace di incrementare il circuito del
sempre più lanciato turismo enogastronomico in tutta l’area geografica [13] . La città
del vino può essere definita sia come museo canonico che come parco tematico,
prende il meglio da entrambe le entità, con l’obiettivo di stimolare i sensi e
le emozioni in un percorso che attraversa la cultura del vino e lo esalta in
tutte le sue sfaccettature (Fig. 2): culturali, storiche ed evocatrici di un
prodotto che è nel DNA di Bordeaux e dei suoi abitanti, così come tutti i
francesi e non solo. Non riguarda solo il vino francese, ma quello di 80
importanti territori del pianeta, Italia compresa. L’idea realizzata è quella
di andare oltre non solo al tradizionale ruolo che tutte le strutture dedicate
al vino forniscono per assumere, quello di centri di degustazione, ma anche
all’idea stessa di museo. L’essenza di questo luogo è culturale, per far sì che
il pubblico esca da questo luogo con un profondo rispetto per il vino e la sua
arte, è stato fatto ampio uso di installazioni multimediali permanenti,
progettate, come anche le scenografie interne, dallo studio londinese
Casson-Mann Limited [14] .
L’esposizione inizia a raccontare la storia del vino presso le antiche civiltà
fin dal 6000 a. C. per giungere ai giorni nostri. Il percorso della mostra si
sviluppa su un’area di 3.000 metri quadrati e affronta diverse tematiche: le
leggende, i territori, le espressioni artistiche, le tecniche, la letteratura,
il cibo, i riti, la convivialità e molti altri aspetti legati al mondo del
vino. Ad un certo punto il pubblico viene imbarcato su una nave che attraversa
gli Oceani e la Storia, a tratti si viene invitati ad assistere, in posizione
semidistesa, a proiezioni di dipinti dedicati a Bacco e Venere [15] . Non
manca l’auditorium con 250 posti a sedere per conferenze, spettacoli e
concerti, in più ci sono tre aree per le degustazioni, un ponte di 90 metri
fissato sulla riva del fiume per permettere l’attracco delle navi e consentire
ai visitatori di partire con tour fluviali attraverso i vigneti situati lungo
la Garonne, ristoranti, boutique, spazi per esposizioni temporanee e tanto
altro ancora per un progetto costato 81 milioni di euro, dei quali il 19%
provenienti da finanziamenti privati, compresi i consorzi dei produttori. La
Cité du Vin è infatti proprietà della città di Bordeaux, che ne ha affidato
alla Fondation pour la Culture et les
Civilisations du Vin la gestione. Siamo quindi di fronte ad un progetto
ambizioso, sul quale non solo Bordeaux, ma anche il dipartimento della Gironde
e tutta la regione dell’Aquitaine (Aquitania) hanno investito molto in termini
economici e di ritorno d’immagine per il territorio. Parte di questo stesso
territorio è visibile direttamente dalla terrazza panoramica, situata a 35
metri di altezza, da cui si può godere di un’impareggiabile vista sulla città a
360 gradi con il suo centro storico, il fiume, il porto, e più in lontananza
anche i vigneti e gli Château che l’hanno resa celebre nel mondo. È il solo
allestimento al mondo che propone la possibilità di avvicinamento al mondo del
vino per un ampio pubblico con strumenti tecnologici e multimediali in otto
lingue per permettere a tutti di vivere la propria esperienza all’interno
dell’edificio, dove l’accessibilità è pensata anche per disabili, famiglie, turisti
internazionali [16] .
Evidenziamo,
quindi, le differenze che intercorrono tra due importanti ed antitetiche
architetture quali sono la cantina Petra e la Cité du Vin di Bordeaux. Parlando
del progettista Mario Botta, Petra Wine (Fig. 3), risulta essere, senza dubbio,
il prodotto di un razionale e pragmatico lavoro durante il quale l’architetto,
commissionato dalla famiglia Moretti, realizza una vera e propria “opera
d’arte” in grado di fondersi armoniosamente con la natura, la cultura e la
storia di Suvereto e diventare una testimonianza concreta dell’impegno storico
nella coltivazione e produzione del vino. Botta si impegna, affinché la
rinomata cantina, diventi proprio lo “spazio della memoria” dove il territorio
e le vigne sono considerate in base alle loro caratteristiche geologiche ed
antropologiche, ma soprattutto in relazione all’umile e dignitoso lavoro umano.
Motivo per cui decide di incastonare la cantina nel pendio della collina,
creare un edificio monumentale che vigili sui vigneti ed ulivi che modellano le
medesime colline e che conservi i frutti della terra. Un’architettura che trova
la sua ragione d’essere nell’abilità di Botta, in grado di interpretare la
sensibilità della cultura contemporanea senza tralasciare la storia e la
memoria di un territorio, consapevole che ciò costituisce il vero patrimonio
dell’identità dell’architettura europea. Uno spirito sorprendentemente
tradizionale le cui costruzioni, seppur contemporanee, hanno una loro solidità,
stabilità e sono destinate a durare nel tempo. La richiesta dei committenti era
quella di costruire una sede prestigiosa, frutto sia del rapporto con la
campagna circostante sia della mescolanza di strategie di marketing, necessarie
a rappresentare le aspirazioni di una famiglia di produttori di vino. Botta nel
soddisfare l’incarico crea uno spazio forte e geometrico, dove forme
cilindriche ed ellittiche si affiancano a impianti rettangolari, archi rampanti
o a tutto sesto si contrappongono a volumi squadrati e a pietre impilate,
superfici oblique sovrastano perimetri a base rettangolare, coperture voltate
fanno da contrappunto a murature traforate e colonnati [17] .
Una struttura che, descritta in questi termini, può essere considerata
sicuramente “solida” in virtù del
tradizionale legame che mantiene con la storia del luogo, la produzione del
vino, i suoi proprietari, i dipendenti e con tutti coloro che visitano Petra
Wine. Un’ottica diversa è quella nella quale viene progettata e nasce la Cité
du Vin a Bordeaux: ho fatto riferimento, all’inizio della trattazione, alla
concezione “liquida”
dell’architettura, supportata dalle ricerche di Salvatore Rugino che ripercorre
quella serie di tappe giustificanti l’uso di questa etichetta, avanzando
proprio da precursori come Novak e Bauman. Sottoposta a continui cambiamenti e
scissa tra mondo reale e virtuale, la società odierna necessita di strutture
dinamiche, flessibili e multisensoriali nelle quali lo spazio della rete e
quello fisico possano convergere in una dimensione “liquida”, dove ciò che è importante è l’interazione tra i due mondi [18] . Questo
tipo di architettura tende ad anteporsi a quella classica, caratterizzata da
elementi stabili, durevoli, legati alla memoria, al suo tempo e contesto,
proprio come la cantina Petra alla Cité du Vin nella sua accezione assolutamente
“liquida”. Con le sue forme
complesse, sinuose e altamente flessibili, l’edificio di Bordeaux va oltre il
tradizionale ruolo che tutte le strutture dedicate al vino assumono per
diventare centri espositivi e di degustazione. L’essenza di questo luogo è
primariamente culturale: far conoscere e ammirare il vino nel suo essere un “liquido” e nella sua arte, attraverso un
grande uso di installazioni multimediali permanenti e di strumenti tecnologici
in otto lingue che permettano a turisti, provenienti da tutto il mondo, di
vivere la propria esperienza all’interno dell’edificio. Fondamentale è
sottolineare come l’elemento multimediale, parte integrante della struttura,
sia stato fatto convergere, in modo unico, in un articolato spazio fisico che
assume l’immagine di un’ampolla per far decantare il vino e ne evoca la sua
sensualità mediante forme curvilinee e arrotondate che offrono la sensazione di
movimento e flusso ininterrotto. Un concetto di “fluidità”, sul quale hanno
riflettuto archistar del calibro di F. Gehry, S. Calatrava e Z. Hadid nel Nord
della Spagna. Difatti, l’hotel e cantina Marquès de Riscal (Fig. 4), opera del
primo architetto citato, non può non essere annoverata tra i contemporanei
edifici “liquidi”: si staglia come
una grande e flessuosa scultura nella quiete del paesino basco di Elciego, con
le sue volute in titanio e acciaio sulla base di pietra arenaria; i nastri
della copertura poggianti su pilastri occultati dalle pieghe, assumono
colorazioni che richiamano le tonalità tipiche delle bottiglie di vino rosso
Marquès de Riscal. Oltre ad essere un albergo ed un ristorante di altissima
qualità, aspira ad essere una vera e propria città del vino, grazie al progetto
di rafforzamento del settore turistico da parte dei committenti, una strategia
comune a molte cantine spagnole [19] . Non è da
meno la Bodegas Ysios (Fig. 5) di Calatrava, chiamato a realizzare un edificio
che catturasse l’attenzione dei visitatori con effetti sorprendenti e
tecnologicamente arditi. Il volume caratterizzato da un impianto semplice è
eclissato da una complessa e appariscente copertura in legno, protetta da una
lamina di allumino naturale, che crea effetti vibranti all’interno dei vigneti
circostanti con i quali cerca di non perdere troppo i contatti. Altro dettaglio
interessante è il perimetro spigoloso della copertura che sembra evocare il
bordo frastagliato delle foglie di vite o un’onda in mezzo ad un mare di
vigneti della Sierra Cantabria. Arditezza contemporanea in un luogo di
tradizioni, di forme mosse spinte all’estremo pur di far diventare la materia “liquida”, quale il vino, un oggetto di
grande attrazione internazionale. Ultima costruzione, non meno importante, è il
piccolo padiglione realizzato dalla Zaha Hadid per la Fiera Alimentare di
Barcellona, poi in un secondo momento montato ed affiancato agli edifici
esistenti della cantina Viña Tondonia (Fig. 6). Il volume è composto da due
parti, una interna che si deforma fino a diventare un grande decanter verso l’ingresso e una esterna
che disegna una sorta di pensilina a L squadrata [20] .
L’archistar ha concepito una simile struttura per richiamare l’attenzione del
pubblico puntando sulla sorpresa e sugli effetti prodotti dallo sdoppiamento
degli involucri [21] : un
effetto di marketing attentamente studiato in base agli interessi e mutamenti
della società. Sottolineata la differenza tra “architettura solida e liquida”, chiarito il concetto di “liquido”, a fronte delle mie ricerche,
avanzo l’ipotesi di poter parlare di un’altra etichetta, affine a quella di “liquida”, che è “enodinamica”. Eno, poiché
contenitore conservativo ed espositivo del vino, di per sé un liquido, sensuale e fluttuante come
molte delle strutture che lo ospitano, che ha bisogno di essere decantato - il decanter, forma che ritorna spesso in
architettura - e in trasformazione
per essere consumato - concetto di mutamento
in linea con il pensiero sociologico di Bauman-. Dinamica, come categoria
dell’ε principio, che in antitesi a
l’α principio, secondo il filosofo
belga D. de Kerckhove, nel cyberspazio indica l’opposizione tra la realtà
virtuale come implosione dei sensi e l’alfabeto come separazione dei sensi [22] . Mi
spiego meglio: la società attuale, come ribadito ormai più volte, è divisa in
uno spazio reale, statico, esplosivo, basato sulla memoria, l’α principio, l’architettura classica, “solida” e uno spazio digitale, dinamico,
implosivo basato sull’intelligenza, l’ε
principio, l’architettura “liquida”.
Dunque, si potrebbe parlare di strutture “enodinamiche”,
ovvero legate al vino, al suo essere in movimento e fluttuante, celebrato da
forme architettoniche sinuose e flessibili, e dinamiche in quanto spazi multimediali, polisensoriali, implosivi
dove far convergere quello reale del vino stesso. La Cité du Vin ne è una
tangibile dimostrazione.
NOTE
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R. LÓPEZ DE HEREDIA
R. López de Heredia - Viña Tondonia, visitato in data 20/04/2016, http://www.lopezdeheredia.com
MARQUÉS DE RISCAL
Marqués de Riscal, visitato in data 20/04/2016, http://www.marquesderiscal.com
SPAZIODELCONTEMPORANEO
Spaziodelcontemporaneo, visitato in data 24/04/2016, http://www.spaziodelcontemporaneo.net
Vedi anche nel BTA:
USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA
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