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Architettura “statica” ed “enodinamica” a confronto: Petra Wine e Cité du Vin di Bordeaux
 

Francesca Fini
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 24 Ottobre 2017, n. 851
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00851.html
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Area Architettura

È interessante far riferimento e riflettere su una nuova e critica etichetta come quella di “architettura liquida”. In virtù delle ricerche svolte dal venezuelano Marcos Novak [1] il primo ad aver parlato di “architettura liquida” nel cyberspazio, nonché di quelle del sociologo Zygmunt Bauman nella società odierna, architetti e studiosi hanno cercato di sintetizzare le medesime tesi e di applicarle al mondo dell’architettura: ne è sicuramente un esempio, la monografia di Salvatore Rugino “Liquid box”. La nascita della rete e del mondo virtuale hanno modificato il tipo di comunicazione tra gli uomini in un rapporto di connettività che, a sua volta, ha trasformato la loro relazione con i luoghi. Ossia la società moderna, vivendo nella dialettica tra spazio virtuale e reale, secondo Bauman, è caratterizzata dalla «convinzione sempre più forte che l’unica costante sia il cambiamento e l’unica certezza sia l’incertezza» [2] . L’essere sottoposti a continui cambiamenti, vivere la temporaneità, la contingenza e precarietà degli eventi hanno fatto crollare una serie di credenze e punti di riferimento fissi, strutture “solide” che sono naufragate in quella “modernità liquida”, dove lo spazio non esiste più ed è sostituito dal concetto di luogo che si carica dei significati e dell’esperienza dinamica che investe gli uomini di oggi. Di fronte a ciò anche il ruolo dell’architetto è cambiato: se «precedentemente, come costruttore, si occupava di mettere insieme elementi dati dalle possibilità tecniche, oggi si trova a mettere insieme, quindi a divenire mediatore, non solo degli elementi dello spazio reale ma a miscelarli con gli elementi di quello virtuale, ecco chi è l’architetto dello spazio connettivo, è colui che attraverso la sua esperienza, reale e virtuale, trasforma i nuovi scenari e le nuove azioni in realtà abitabili […]» [3] . E Rugino, citando il testo di Paola Gregory “Territori della complessità. New scapes” (2003), considera l’architettura come «una superficie di comunicazione, sensibile, reattiva e interattiva […] si tratta di mediatizzare lo stesso significato dell’architettura, trasferendo dal piano tecnologico a quello epistemologico la fluidità e immaterialità dei media elettronici» [4] . Se lo spazio cibernetico ha trasformato la nostra società «[…] ciò di cui il pensiero ha bisogno oggi è una nuova architettura della complessità che lo rappresenti, e al contempo articoli, la logica incarnazione della rete» [5] . Quello che nell’architettura classica [6] era stabile, durevole, legato alla memoria, al suo tempo e contesto viene meno data l’esigenza di soddisfare una società sottoposta all’incessante mutamento: le nuove tecnologie multimediali offrono la possibilità di realizzare strutture dinamiche, flessibili, multisensoriali nelle quali lo spazio della rete e quello reale possono convergere in una dimensione “liquida”, dove ciò che è importante è proprio l’interazione tra i due mondi [7] . Quindi, parlare di architettura liquida, afferma Rugino, significa assistere a come l’uomo diventa attore avendo la possibilità di vedere proiettata la propria vita, la propria esperienza all’interno di uno spazio che è quello dell’informazione [8] . L’uomo diviene “soggetto” di una architettura “oggetto” che fa da sfondo: diventa protagonista di una struttura che acquisisce nella forma e funzione quella “liquida” del suo fruitore. Sulla base di tale affermazione, è fondamentale per l’architettura liquida la rottura degli schemi, dei parallelismi e delle simmetrie dell’architettura classica e l’ispirazione a geometrie non euclidee e alla matematica ed estetica dei frattali, che permette di generare con regole semplici forme spaziali complesse. Citando Novak, Salvatore Rugino sottolinea, come in questa architettura «si intende considerare non gli usi ma i processi dello sviluppo del pensiero che non è più legato alle tre dimensioni dello spazio euclideo ma, alla sfericità dello spazio liquido prodotto dal digitale» [9] . A questo proposito, non si può non riportare la posizione di Novak:

«L’architettura liquida è un’architettura la cui forma è contingente agli interessi dello spettatore; è un’architettura che si apre per accogliermi e si chiude per difendermi, è un’architettura senza porte né corridoi, in cui la stanza successiva è sempre dove mi occorre che sia e ciò che mi occorre che sia. L’architettura liquida produce, città liquide, città che cambiano al cambiare di un valore, in cui i visitatori con retroterra diversi vedono paesaggi diversi, in cui i dintorni cambiano con le idee in comune, e si sviluppano quando le idee maturano oppure si dissolvono» [10] .

Obiettivo dell’architetto, dunque, non è solo il progetto, ma il processo che lo sottende, una volta compreso che le strutture non sono più legate unicamente alle funzioni, ma soprattutto al desiderio di chi li vive e del suo progettista. Un passaggio che crea, senza dubbio, un marcato confine tra la “solida”, statica e strutturata architettura classica, fatta di certezze stratificate nello spazio e nel tempo e quella “liquida” connessa ad un pubblico che vive una società moderna, resa dinamica e altamente flessibile dalle tecnologie, e necessitante di luoghi dove il virtuale incontri il reale.

Ne è un esempio “La Città del Vino” (Fig. 1) inaugurata dal Presidente francese François Hollande a Bordeaux, nella località della Gironda: una struttura avveniristica completata in sette anni, che si sviluppa in 13.000 mq dedicati alla cultura enologica, al suo interno troveremo mostre permanenti e temporanee, strade del vino, degustazioni, un’enoteca con 800 etichette, installazioni teatrali, musica, una biblioteca, boutique e il ristorante L7 [11] . La struttura è di grande impatto visivo, il progetto, pensato nel 2009, è stato eseguito da XTU Architects [12] di Parigi: nelle forme complesse, sinuose e ‘liquide’ potrebbe ricordare l’immagine di un’ampolla per fare decantare il vino, o decanter, per usare un termine tecnico, ma l’allusione principale è più probabilmente alla sensualità connessa al vino, evocata sin dalle forme sinuose e arrotondate che danno la sensazione di movimento e di flusso ininterrotto. La struttura è alta 55 metri, le sue forme rotondeggianti sono esaltate da una copertura costituita da 900 pannelli (riflettenti) di vetro, 2.500 pannelli di alluminio placcato in oro, il tutto sostenuto da un possente scheletro di legno, creando un effetto che evoca il dolce scivolare della bevanda nel bicchiere e che allo stesso tempo è in tono con le pietre delle architetture neoclassiche circostanti, che sono il marchio della Gironda. Di conseguenza l’impatto ambientale è controllato. Un edificio eye-catching, al punto che qualcuno lo ha definito il “Guggenheim del vino”, evocando il capolavoro di Frank O. Gehry che ha cambiato il volto della non lontana Bilbao con l’eventualità che le due opere creino intorno a sé un pacchetto capace di incrementare il circuito del sempre più lanciato turismo enogastronomico in tutta l’area geografica [13] . La città del vino può essere definita sia come museo canonico che come parco tematico, prende il meglio da entrambe le entità, con l’obiettivo di stimolare i sensi e le emozioni in un percorso che attraversa la cultura del vino e lo esalta in tutte le sue sfaccettature (Fig. 2): culturali, storiche ed evocatrici di un prodotto che è nel DNA di Bordeaux e dei suoi abitanti, così come tutti i francesi e non solo. Non riguarda solo il vino francese, ma quello di 80 importanti territori del pianeta, Italia compresa. L’idea realizzata è quella di andare oltre non solo al tradizionale ruolo che tutte le strutture dedicate al vino forniscono per assumere, quello di centri di degustazione, ma anche all’idea stessa di museo. L’essenza di questo luogo è culturale, per far sì che il pubblico esca da questo luogo con un profondo rispetto per il vino e la sua arte, è stato fatto ampio uso di installazioni multimediali permanenti, progettate, come anche le scenografie interne, dallo studio londinese Casson-Mann Limited [14] . L’esposizione inizia a raccontare la storia del vino presso le antiche civiltà fin dal 6000 a. C. per giungere ai giorni nostri. Il percorso della mostra si sviluppa su un’area di 3.000 metri quadrati e affronta diverse tematiche: le leggende, i territori, le espressioni artistiche, le tecniche, la letteratura, il cibo, i riti, la convivialità e molti altri aspetti legati al mondo del vino. Ad un certo punto il pubblico viene imbarcato su una nave che attraversa gli Oceani e la Storia, a tratti si viene invitati ad assistere, in posizione semidistesa, a proiezioni di dipinti dedicati a Bacco e Venere [15] . Non manca l’auditorium con 250 posti a sedere per conferenze, spettacoli e concerti, in più ci sono tre aree per le degustazioni, un ponte di 90 metri fissato sulla riva del fiume per permettere l’attracco delle navi e consentire ai visitatori di partire con tour fluviali attraverso i vigneti situati lungo la Garonne, ristoranti, boutique, spazi per esposizioni temporanee e tanto altro ancora per un progetto costato 81 milioni di euro, dei quali il 19% provenienti da finanziamenti privati, compresi i consorzi dei produttori. La Cité du Vin è infatti proprietà della città di Bordeaux, che ne ha affidato alla Fondation pour la Culture et les Civilisations du Vin la gestione. Siamo quindi di fronte ad un progetto ambizioso, sul quale non solo Bordeaux, ma anche il dipartimento della Gironde e tutta la regione dell’Aquitaine (Aquitania) hanno investito molto in termini economici e di ritorno d’immagine per il territorio. Parte di questo stesso territorio è visibile direttamente dalla terrazza panoramica, situata a 35 metri di altezza, da cui si può godere di un’impareggiabile vista sulla città a 360 gradi con il suo centro storico, il fiume, il porto, e più in lontananza anche i vigneti e gli Château che l’hanno resa celebre nel mondo. È il solo allestimento al mondo che propone la possibilità di avvicinamento al mondo del vino per un ampio pubblico con strumenti tecnologici e multimediali in otto lingue per permettere a tutti di vivere la propria esperienza all’interno dell’edificio, dove l’accessibilità è pensata anche per disabili, famiglie, turisti internazionali [16] .

Evidenziamo, quindi, le differenze che intercorrono tra due importanti ed antitetiche architetture quali sono la cantina Petra e la Cité du Vin di Bordeaux. Parlando del progettista Mario Botta, Petra Wine (Fig. 3), risulta essere, senza dubbio, il prodotto di un razionale e pragmatico lavoro durante il quale l’architetto, commissionato dalla famiglia Moretti, realizza una vera e propria “opera d’arte” in grado di fondersi armoniosamente con la natura, la cultura e la storia di Suvereto e diventare una testimonianza concreta dell’impegno storico nella coltivazione e produzione del vino. Botta si impegna, affinché la rinomata cantina, diventi proprio lo “spazio della memoria” dove il territorio e le vigne sono considerate in base alle loro caratteristiche geologiche ed antropologiche, ma soprattutto in relazione all’umile e dignitoso lavoro umano. Motivo per cui decide di incastonare la cantina nel pendio della collina, creare un edificio monumentale che vigili sui vigneti ed ulivi che modellano le medesime colline e che conservi i frutti della terra. Un’architettura che trova la sua ragione d’essere nell’abilità di Botta, in grado di interpretare la sensibilità della cultura contemporanea senza tralasciare la storia e la memoria di un territorio, consapevole che ciò costituisce il vero patrimonio dell’identità dell’architettura europea. Uno spirito sorprendentemente tradizionale le cui costruzioni, seppur contemporanee, hanno una loro solidità, stabilità e sono destinate a durare nel tempo. La richiesta dei committenti era quella di costruire una sede prestigiosa, frutto sia del rapporto con la campagna circostante sia della mescolanza di strategie di marketing, necessarie a rappresentare le aspirazioni di una famiglia di produttori di vino. Botta nel soddisfare l’incarico crea uno spazio forte e geometrico, dove forme cilindriche ed ellittiche si affiancano a impianti rettangolari, archi rampanti o a tutto sesto si contrappongono a volumi squadrati e a pietre impilate, superfici oblique sovrastano perimetri a base rettangolare, coperture voltate fanno da contrappunto a murature traforate e colonnati [17] . Una struttura che, descritta in questi termini, può essere considerata sicuramente “solida” in virtù del tradizionale legame che mantiene con la storia del luogo, la produzione del vino, i suoi proprietari, i dipendenti e con tutti coloro che visitano Petra Wine. Un’ottica diversa è quella nella quale viene progettata e nasce la Cité du Vin a Bordeaux: ho fatto riferimento, all’inizio della trattazione, alla concezione “liquida” dell’architettura, supportata dalle ricerche di Salvatore Rugino che ripercorre quella serie di tappe giustificanti l’uso di questa etichetta, avanzando proprio da precursori come Novak e Bauman. Sottoposta a continui cambiamenti e scissa tra mondo reale e virtuale, la società odierna necessita di strutture dinamiche, flessibili e multisensoriali nelle quali lo spazio della rete e quello fisico possano convergere in una dimensione “liquida”, dove ciò che è importante è l’interazione tra i due mondi [18] . Questo tipo di architettura tende ad anteporsi a quella classica, caratterizzata da elementi stabili, durevoli, legati alla memoria, al suo tempo e contesto, proprio come la cantina Petra alla Cité du Vin nella sua accezione assolutamente “liquida”. Con le sue forme complesse, sinuose e altamente flessibili, l’edificio di Bordeaux va oltre il tradizionale ruolo che tutte le strutture dedicate al vino assumono per diventare centri espositivi e di degustazione. L’essenza di questo luogo è primariamente culturale: far conoscere e ammirare il vino nel suo essere un “liquido” e nella sua arte, attraverso un grande uso di installazioni multimediali permanenti e di strumenti tecnologici in otto lingue che permettano a turisti, provenienti da tutto il mondo, di vivere la propria esperienza all’interno dell’edificio. Fondamentale è sottolineare come l’elemento multimediale, parte integrante della struttura, sia stato fatto convergere, in modo unico, in un articolato spazio fisico che assume l’immagine di un’ampolla per far decantare il vino e ne evoca la sua sensualità mediante forme curvilinee e arrotondate che offrono la sensazione di movimento e flusso ininterrotto. Un concetto di “fluidità”, sul quale hanno riflettuto archistar del calibro di F. Gehry, S. Calatrava e Z. Hadid nel Nord della Spagna. Difatti, l’hotel e cantina Marquès de Riscal (Fig. 4), opera del primo architetto citato, non può non essere annoverata tra i contemporanei edifici “liquidi”: si staglia come una grande e flessuosa scultura nella quiete del paesino basco di Elciego, con le sue volute in titanio e acciaio sulla base di pietra arenaria; i nastri della copertura poggianti su pilastri occultati dalle pieghe, assumono colorazioni che richiamano le tonalità tipiche delle bottiglie di vino rosso Marquès de Riscal. Oltre ad essere un albergo ed un ristorante di altissima qualità, aspira ad essere una vera e propria città del vino, grazie al progetto di rafforzamento del settore turistico da parte dei committenti, una strategia comune a molte cantine spagnole [19] . Non è da meno la Bodegas Ysios (Fig. 5) di Calatrava, chiamato a realizzare un edificio che catturasse l’attenzione dei visitatori con effetti sorprendenti e tecnologicamente arditi. Il volume caratterizzato da un impianto semplice è eclissato da una complessa e appariscente copertura in legno, protetta da una lamina di allumino naturale, che crea effetti vibranti all’interno dei vigneti circostanti con i quali cerca di non perdere troppo i contatti. Altro dettaglio interessante è il perimetro spigoloso della copertura che sembra evocare il bordo frastagliato delle foglie di vite o un’onda in mezzo ad un mare di vigneti della Sierra Cantabria. Arditezza contemporanea in un luogo di tradizioni, di forme mosse spinte all’estremo pur di far diventare la materia “liquida”, quale il vino, un oggetto di grande attrazione internazionale. Ultima costruzione, non meno importante, è il piccolo padiglione realizzato dalla Zaha Hadid per la Fiera Alimentare di Barcellona, poi in un secondo momento montato ed affiancato agli edifici esistenti della cantina Viña Tondonia (Fig. 6). Il volume è composto da due parti, una interna che si deforma fino a diventare un grande decanter verso l’ingresso e una esterna che disegna una sorta di pensilina a L squadrata [20] . L’archistar ha concepito una simile struttura per richiamare l’attenzione del pubblico puntando sulla sorpresa e sugli effetti prodotti dallo sdoppiamento degli involucri [21] : un effetto di marketing attentamente studiato in base agli interessi e mutamenti della società. Sottolineata la differenza tra “architettura solida e liquida”, chiarito il concetto di “liquido”, a fronte delle mie ricerche, avanzo l’ipotesi di poter parlare di un’altra etichetta, affine a quella di “liquida”, che è “enodinamica”. Eno, poiché contenitore conservativo ed espositivo del vino, di per sé un liquido, sensuale e fluttuante come molte delle strutture che lo ospitano, che ha bisogno di essere decantato - il decanter, forma che ritorna spesso in architettura - e in trasformazione per essere consumato - concetto di mutamento in linea con il pensiero sociologico di Bauman-. Dinamica, come categoria dell’ε principio, che in antitesi a l’α principio, secondo il filosofo belga D. de Kerckhove, nel cyberspazio indica l’opposizione tra la realtà virtuale come implosione dei sensi e l’alfabeto come separazione dei sensi [22] . Mi spiego meglio: la società attuale, come ribadito ormai più volte, è divisa in uno spazio reale, statico, esplosivo, basato sulla memoria, l’α principio, l’architettura classica, “solida” e uno spazio digitale, dinamico, implosivo basato sull’intelligenza, l’ε principio, l’architettura “liquida”. Dunque, si potrebbe parlare di strutture “enodinamiche”, ovvero legate al vino, al suo essere in movimento e fluttuante, celebrato da forme architettoniche sinuose e flessibili, e dinamiche in quanto spazi multimediali, polisensoriali, implosivi dove far convergere quello reale del vino stesso. La Cité du Vin ne è una tangibile dimostrazione.





NOTE

[1] Artista poliedrico e architetto, Marcos Novak (1957) nasce a Caracas e studia architettura specializzandosi in programma di disegno industriale. Ricercatore presso l’Università di Austin in Texas, si dedica già dai primi anni Ottanta tra le scienze informatiche e le costruzioni. Protagonista dell’architettura “non tradizionale”, la sua riflessione progettuale nasce dalla ricerca delle possibilità spaziali date dalle nuove tecnologie digitali, dalle composizioni algoritmiche, dalla musica. Questo suo originale percorso professionale lo porta a coniare nuovi termini tra i quali “transarchitecture”, “liquid architecture”, “navigable music”, “habitable cinema”, “archimusic” e diversi altri lemmi che ben delineano la sua metodologia progettuale; ha progettato numerosi prototipi, laboratori e installazioni reali, che rimangono architetture liquide tramite accorgimenti di tipo meccanico, dando quindi l’impressione di essere poste tra il mondo fisico e quello virtuale (le transarchitetture), usate dall’utenza anche tramite sensori. Ha partecipato a numerose esposizioni internazionali in musei e gallerie di tutto il mondo, tra cui la 7.a e la 9.a Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (2000 e 2004) (si veda Floornature – Architecture & Surfaces, visitato in data 20/05/2016, http://www.floornature.com>.

[2] Z. BAUMAN, Modernità liquida, Roma - Bari, 2002, p. 132.

[3] S. RUGINO, Liquid box, Roma, 2008, p. 24.

[4] Ibidem, p. 24.

[5] M. TAYLOR, Il momento della complessità. L’emergere di una cultura a rete, (2005), p. 295.

[6] S. COLONNA, La dialettica di classico/ anticlassico tra Argan, Zevi e Novak per una definizione critico-estetica di “Architettura Liquida, in Bollettino Telematico dell’Arte, 16 giugno 2014, n. 715.

[7] S. RUGINO, Liquid box, Roma, (2008), p. 71 «Parlare di spazio liquido significa vivere un’esperienza spaziale viva, metaforica che sovrasta le frontiere delle categorie cognitive della fluidità. Lo spazio liquido in definitiva è uno spazio che si manifesta attraverso la ricezione di informazioni, che esse arrivino dal mondo reale o da quello virtuale no ha importanza. Quello che sembra interessante è l’interazione tra i due mondi».

[8] Ibidem, p. 71.

[9] Ibidem, p. 69.

[10] S. TAGLIAGAMBE, Abitare lo spazio liquido dell’architettura, <Spaziodelcontemporaneo, visitato in data 24/04/2016, http://www.spaziodelcontemporaneo.net>.

[11] Si veda La Cité du Vin – un monde de cultures, visitato in data 30/05//2016, http://www.laciteduvin.com.

[12] Studio francese di architettura fondato dai progettisti Anouk Legendre e Nicolas Desmazières. Tra i numerosi lavori firmati da loro abbiamo: il Padiglione Francia per Milano Expo 2015, il museo preistorico Jeangok in Corea del Sud e hanno lavorato sulla “Maison des Civilisation” a La Reunion (MCUR), il primo museo di energia positiva nell’Oceano Indiano. Gli architetti di questo studio portano avanti la convinzione che la loro disciplina debba prevedere il futuro e che la trasformazione biotecnologica costituirà la Terza Rivoluzione Industriale. Essi hanno infatti investito pesantemente nella ricerca sperimentale dell’agricoltura urbana, che si trova all’incrocio tra le scienze della vita, l’ecologia, l’architettura e l’urbanistica (si veda XTU Architects, visitato in data 30/05/2016, http://www.legnoonweb.com).

[13] Si veda La Cité du Vin – un monde de cultures, visitato in data 30/05/2016, http://www.laciteduvin.com

[14] Studio di scenografia inglese residente a Londra, fondato da Dinah Casson ad Roger Mann. La loro fama internazionale è legata ai lavori svolti per il Victoria and Albert Museum di Londra. Recentemente, oltre alla Cité du Vin, tra i lavori che più conosciuti ci sono: Lascaux IV Visitors’ Centre Montignac, France (2016), Benjamin Franklin Museum, Philadelphia (2013), MAST, Bologna 2013 (si veda Designe Case: Casson-Mann, visitato in data 13/03/2016, http://www.thecreativeindustries.co.uk).

[15] Si veda la voce, Repubblica - Bordeaux si celebra. Nasce la città del vino, visitato in data 30/05/2016, http://www.repubblica.it.

[16]   Si veda Il turista info - Visitare Città del vino di Bordeaux, visitato in data 30/05/2016, http://www.ilturista.info.

[17] Si veda Antelitteram - Biografia di Mario Botta (architetto), visitato in data 24/04/2016, http://www.antelitteram.com.

[18] S. RUGINO, Liquid box, Roma, 2008, p. 71.

[19] Si veda Marqués de Riscal, visitato in data 20/04/2016, http://www.marquesderiscal.com.

[20] F. CHIORINO, Architettura e vino, Nuove Cantine e il culto del Vino, Milano, (2008), p. 121.

[21] Si veda R. López de Heredia - Viña Tondonia, visitato in data 20/04/2016, http://www.lopezdeheredia.com.

[22] S. RUGINO, Liquid box, Roma, 2008, p. 23.




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La Cité du Vin – un monde de cultures, visitato in data 30/05/2016, http://www.laciteduvin.com

 

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R. López de Heredia - Viña Tondonia, visitato in data 20/04/2016, http://www.lopezdeheredia.com

 

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Marqués de Riscal, visitato in data 20/04/2016, http://www.marquesderiscal.com

 

SPAZIODELCONTEMPORANEO

Spaziodelcontemporaneo, visitato in data 24/04/2016, http://www.spaziodelcontemporaneo.net





Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA




PDF

Fig. 1
XTU Architects, Cité du Vin,
2016,
Bordeaux.

Fig. 2
Installazioni multimediali,
2016,
Cité du Vin, Bordeaux.

Fig. 3
Mario Botta, Cantina Petra,
2003,
Suvereto.

Fig. 4
Frank O’ Gehry, Hotel Marqués de Riscal,
2006,
Elciego.

Fig. 5
Santiago Calatrava, Bodegas Ysios,
2001,
Laguardia.

Fig. 6
Zaha Hadid, Padiglione, sala degustazione López de Heredia Viña Tondonia,
2006,
Haro.



Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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