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Un architetto perseguitato dalla fortuna.
Il MAXXI celebra Gio Ponti

Bibiana Borzì
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 12 Febbraio 2002, n. 886
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00886.html
Articolo presentato il 6 Febbraio 2020, Approvato il 10 Febbraio 2020 e pubblicato il 12 Febbraio 2020
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È un clima di amore e dedizione per l’architettura quello che si respira aggirandosi tra i numerosi disegni, schizzi, maquettes, oggetti, fogli e appunti di una vita, quella di Gio Ponti. Un pilastro del panorama architettonico novecentesco, un maestro per intere generazioni, artista, visionario, intellettuale, in una parola umanista, che ha creduto fortemente nel proprio mestiere, quello dell’architetto, tanto da farne una sorta di credo laico. Innamorato del suo lavoro l’ha affrontato con grande vocazione, da vero missionario dell’architettura, senza retorica né fasti, ma con leggerezza e (apparente) semplicità, le stesse che caratterizzano quel “vivere alla Ponti”, del quale solo oggi, quasi a distanza di sicurezza, si riesce a cogliere la portata. «Vivevamo alla Ponti, in stanze senza porte, fra i quadri e i libri suoi, in totale incanto, e dove solo la sua imperterrita Giulia rompeva il bel disegno con bei disordini suoi, invenzioni sue, e lo teneva, irritandolo all’erta. Incollava fotografie sui muri, fuori dalle “pareti organizzate”, introduceva piatti scompagnati nella perfetta tavola alla Ponti»1.

Sono queste parole della figlia Lisa a presentare l’architetto fuori dai riflettori, nella sua dimensione più intima, forse più vera, quella di uomo e di padre, che amava ospitare nella propria dimora artisti, poeti, critici d’arte, tra tutti Edoardo Persico, gradito habitué dei convivi in casa Ponti. Eppure i suoi contemporanei - forse spaventati dal vigore del ciclone pontiano, che ha fagocitato energicamente architettura, arte, design, decorazione, editoria, filosofia, con allure sempre evocativa - hanno stentato a comprendere il valore delle sue opere, e circostanza ancor più grave, del suo pensiero. Amare l’architettura non è solo il titolo della retrospettiva che il capitolino MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, dedica all’architetto milanese, ma è forse il monito che meglio racchiude, nella sua immediatezza, lo spirito pontiano, messo a nudo nel suo celebre breviario, o ideario d’architettura2, scritto nel 1957, il cui sottotitolo recita «l’architettura è un cristallo».

Lo stesso autore fornisce la chiave per leggere questo assunto, partendo dalla forma autonoma ed incontaminata del cristallo, pura, perfetta, finita. Del resto, quando abbiamo tra le mani un cristallo, lo guardiamo con attenzione, ammiriamo il suoi riflessi, lo maneggiamo e custodiamo con cura. Una cura che Gio Ponti ci invita ad estendere all’architettura, con sguardo vigile e consapevole, ben lontano da quell’osservatore distratto egregiamente descritto dalla penna di Benjamin3.

Se la sterminata bibliografia dedicata al genio pontiano, fiorita in epoca recente, attraversa la sua parabola concentrandosi di volta in volta sui vari aspetti che hanno riguardato il lavoro dell’architetto, ciò che manca, forse, è una prospettiva a volo d’uccello. Eppure, nelle opere del maestro è sempre molto difficile, se non impossibile, scindere il linguaggio architettonico da quello artistico, del disegno industriale, o più semplicemente da un pensiero, il suo, profondamente etico e poetico.
Alberga in lui la consistenza dell’impalpabile, per dirla con Germano Celant, una naturale propensione che ancora oggi lo rende unico, perché «Ponti lavora sul “misto”, là dove i limiti sono vaghi, transita da un linguaggio all’altro, dalla grafica al design, dall’architettura all’organizzazione culturale, dalla produzione artigianale a quella industriale, dalla ceramica all’arredo…come se si muovesse in un paesaggio dalle molteplici figure o giocasse con un caleidoscopio»
4.
Un caleidoscopio ricco di trame e sfaccettature, la sua vita e il suo lavoro, cosicché, ripercorrendo la mostra a lui dedicata, si respira un’energia vibrante, frenetica, trascinante. Basta alzare lo sguardo per ammirare, nella
hall del museo, una suggestiva installazione sospesa: grandi insegne in Alcantara rievocano prospetti colorati ed immaginari, preannunciando il viaggio nelle architetture di Ponti.
Un viaggio scandito dai colori, quelli tipici della
palette pontiana, perché, come avrebbe detto l’architetto, tutto al mondo deve essere coloratissimo. Ecco spiegata la bizzarra presenza del giallo “fantastico” sulla rampa di accesso che conduce al salone espositivo: lo stesso cromatismo che ritroviamo nella pavimentazione in linoleum del Grattacielo Pirelli.
Questa sorta di spazio-limbo, che anticipa la mostra vera e propria, è costellato di parole, o meglio di motti d’effetto, un modo leggero, ma non per questo meno efficace, per entrare in confidenza con il lessico e la poetica dell’architetto.
L’esposizione, articolata in otto sezioni - Verso la casa esatta, Classicismi, Abitare la Natura, Architettura della superficie, L’architettura è un cristallo, Facciate leggere, Apparizioni di grattacieli, Lo Spettacolo delle Città – riprende emblematicamente concetti chiave espressi dal maestro e, tralasciando un ordine cronologico, suggerisce piuttosto un attraversamento libero e dinamico, per nuclei tematici.
Si scopre così che Gio Ponti è stato manifesto di una stagione felice per l’architettura, quando realizzare plastici, disegnare, schizzare, scrivere, costituivano le basi della formazione architettonica. Ecco perché, la precisione dei modelli tridimensionali, la chiarezza dei lucidi, le acute e secche descrizioni che spesso accompagnano i suoi progetti, sono di una bellezza disarmante, e incutono quasi un timore reverenziale ai più giovani colleghi.

Ardua impresa racchiudere un excursus così sterminato in uno spazio circoscritto, eppure, anche per l’osservatore inesperto, la retrospettiva romana si rivela un’occasione preziosa. In esposizione, tra una moltitudine di opere, capolavori come la Concattedrale di Taranto, il grattacielo Pirelli, il Palazzo Montecatini, fino alla serie delle domus tipiche, lì a ricordarci quanto ingiustamente Ponti sia stato sottovalutato nella veste di progettista, fino a ieri grande assente nella manualistica di riferimento, con un vuoto inaccettabile.
Forse, l’aver rivestito ruoli diversi -
art director per Richard Ginori, direttore di Domus e di Stile, designer di fama internazionale - ha offuscato la grandezza e la portata delle sue soluzioni progettuali, un prezzo troppo alto da pagare per un architetto che è stato pioniere di una dimensione dell’abitare, innovativa fino all’osso, proprio come la compianta Zaha Hadid, vincitrice nel 1998 del concorso per la realizzazione del MAXXI.

Gli spazi fluidi del museo romano ospitano l’incontro magico e “impossibile” tra i due architetti, geograficamente e cronologicamente distanti, poeticamente affini. Un valore aggiunto, certamente non secondario ma poco sottolineato, all’egregio lavoro dei curatori, di concerto con i più noti archivi pontiani (Centro studi e archivio della comunicazione dell’Università di Parma, Gio Ponti Archives), che rende questa esposizione di per sé unica.
Fautori di un nuovo modo di concepire e vivere lo spazio, Ponti e Hadid lo hanno liberato da muri e divisori, il primo con la pianta libera, la seconda approdando ad una dimensione propriamente sua, quella liquida.
Un binomio perfetto: entrambi visionari e rivoluzionari, hanno attraversato, con la medesima cura progettuale, l’architettura e il design, passando con
nonchalance, con un piglio da fuoriclasse, dalla grande alla piccola scala, dal cucchiaio alla città, come avrebbe detto in nostro Ernesto Nathan Rogers. Questa celebre espressione, che ha assunto la potenza mediatica di uno slogan, racchiude il principio della trasversalità, capitale nel modus operandi pontiano e hadidiano: una straordinaria capacità di abbracciare l’etica progettuale nella sua complessità, senza mai perdere di vista il fine ultimo dell’architettura, il benessere, la felicità dell’uomo.

È chiaro e senza indugi Gio Ponti, quando scrive che la massima lode alla quale un architetto deve aspirare è che i suoi committenti gli dicano «Architetto, in questa casa che lei ha fatto per noi, noi viviamo, (o abbiamo vissuto) felici: essa ci è cara. Essa è un episodio felice della nostra vita»5. Ecco perché, la piccola teca che ospita la prima edizione di Amate l’architettura, uno di quei testi che non dovrebbe mai mancare nella biblioteca di un architetto o meglio, degli incantati dell’architettura, ci invita ancora una volta a seguire, tra pagine colorate, il pensiero pontiano, incredibilmente moderno nella sua concezione che tutto rientra nell’architettura: sociologi, medici, industriali, ingegneri, politici, «tutti debbono pensare Architettura, sentirne il dovere, cooperare ad essa, partecipare all’Architettura»6.

Un libro che sembra scritto tutto d’un fiato, con un linguaggio semplice e schietto, lo stesso che l’architetto mostra nelle sue interviste, nei suoi interventi pubblici, persino quando parla in francese, con un garbo d’altri tempi. Tempi che l’hanno visto in prima linea nei gloriosi anni Cinquanta, quando l’Italia, in sella alla Vespa o a bordo della Topolino, esportava in tutto il mondo la grande lezione del made in Italy.
Di quella lezione Ponti è stato, ed è tuttora, indiscusso protagonista: è grazie ad una sua intuizione che nel 1954 nasce il concorso Compasso d’oro, che premia da allora le eccellenze del design. Un alto riconoscimento che racconta molto del nostro Paese nel periodo del
boom economico, quando i più noti progettisti daranno vita ad oggetti evergreen, gli stessi che ci hanno accompagnato, e ancora ci accompagneranno, per intere generazioni, a dispetto del tempo che passa.

Così, quasi alla fine del percorso espositivo, il visitatore è colto di sorpresa, l’ennesima, non ultima di questa mostra: la possibilità di attraversare, di sedersi, perché no di toccare con mano, una living room pontiana, delimitata da mattonelle a fasce bianche e gialle (De Maio Ceramiche), le stesse che avremmo trovato in Via Dezza 49 a Milano. Quest’ultima residenza dell’architetto, vera e propria casa manifesto, non ha pareti ma tende, ingegnoso escamotage che dilata la percezione spaziale e permette di immaginare i flussi, i percorsi, liberi ca va sans dire, dei suoi inquilini. E ancora, poltrone, pouf, il coffee table D.555.1 (Molteni), le lampade Bilia, Pirellina e Pirellona (Fontana Arte), icone del design che funzionano come incredibili dispositivi della memoria.
Sicché, se l’osservatore più
âgée sentirà stranamente familiari questi oggetti, appartenuti forse alla sua infanzia felice, il giovane fruitore, guardando sbalordito le date di produzione, si chiederà se sono gli stessi che fino a ieri ha visto in una vetrina del centro, o nella più nota rivista d’interior design. Magia di Ponti.
Chi ha avuto la fortuna di tenere tra le mani una
Superleggera (Cassina), disegnata dall’architetto nel 1955, saprà che la celebre réclame del bambino che solleva la sedia con un dito non è solo una trovata pubblicitaria, è pura realtà. Ed eccola lì, sospesa per aria come una star, la seduta che riassume par excellence, in due parole, non una di più, la poetica del maestro: leggerezza e semplicità.
Basta voltare l’angolo e il carosello di oggetti continua: le maniglie
Lama, Cono e Anello disegnate per il Pirellone e prodotte da Olivari, i sanitari, finalmente colorati, per Ideal Standard, i piatti, dalla rinnovata classicità, per Richard Ginori.

Da questa giostra pontiana non si vorrebbe mai scendere, perché Ponti, in primis, era uno uomo allegro ed ottimista, “perseguitato dalla fortuna”, così amava definirsi. È la preziosa, ed affollatissima, lectio magistralis di Fulvio Irace (MAXXI, 29-11-2019) dal titolo emblematico Gio Ponti. Elogio della leggerezza, a rivelare questo volto meno noto dell’architetto, insieme alle sue fortune. La prima, considerare un hobby il proprio lavoro, la seconda, avere sposato Giulia Vimercati, la terza, essere stato ingaggiato dalla Richard Ginori (dietro segnalazione di Ugo Ojetti), la quarta, incontrare colui che diventerà editore di Domus, Gianni Mazzocchi.

Una vita costellata da incontri fortuiti e fortunati, complice la figura dell’angelo, ricorrente nell’iconografia pontiana, finanche nei sogni, dove diviene messaggero di spiritualità. Così, se nella Concattedrale di Taranto la grande vela aperta sul cielo si configura come rifugio per gli angeli, il monolitico Grattacielo Pirelli, viene descritto da Ponti come un angelo con l’aureola staccata, per quella pensilina di coronamento sospesa che imprime alla struttura il segno della leggerezza, soprattutto di notte. Ma, la sintesi strutturale e formale dei progetti pontiani è diretta conseguenza di una leggerezza ben più radicata, quella poetica, con il quale il maestro ha affrontato ogni aspetto del suo lavoro, preannunciando nelle note profezie7, quale sarebbe stato il futuro dell’architettura. Tra i primi a considerare la natura come parte integrante della casa, Ponti prevede sempre spazi in grado di accoglierla, anche in assenza di veri e propri giardini: altane, patii, balconi, diventano luoghi dove il verde è protagonista, anticipando così un tema diffuso nello skyline metropolitano, quello del bosco verticale.
Ancora, è l’architettura che vive di notte e si veste di luce, fino a diventare illusiva, un’altra delle sue profezie divenuta reale, a darci la misura di un nuovo modo di intendere il costruire, a partire dal concetto di comfort abitativo, avveniristico e moderno, perfettamente in linea con le sue opere, fuori dal tempo.

È grazie all’obiettivo di sette fotografi, in una sorta di coinvolgente mise en abyme all’interno della mostra, se queste arcinote architetture continuano a stupire con tagli e prospettive inedite, un focus diretto e immediato sul presente.
La sezione, curata da Paolo Rosselli, autore degli scatti per il Grattacielo Pirelli, è frutto di un impegno corale, con fotografie di:
Delfino Sisto Legnani  (Concattedrale di Taranto), Allegra Martin (Hotel Parco dei Principi, Sorrento), Giovanni Chiaramonte (Villa Planchart, Caracas), Filippo Romano (Grandi magazzini de Bijenkorf, Eindhoven), Giovanna Silva  (Liviano e Rettorato di Palazzo Bo, Università di Padova) Michele Nastasi (primo e secondo Palazzo Montecatini, Milano), Stefano Graziani  (Scuola di Matematica, Sapienza, Università di Roma).

La carrellata di immagini che accompagna il visitatore lungo il tutto percorso è un viaggio ulteriore e parallelo nei luoghi e nello spirito di Ponti, che ha sempre creduto nella potenza della stampa, della riproduzione, del mezzo fotografico, quali modalità democratiche per diffondere l’arte senza distinzioni di classe.
Al confine con l’etica, la didattica, l’estetica, il più grande insegnamento che da lui abbiamo ricevuto, riguarda proprio il ruolo complesso e delicato dell’architetto, portatore sano di bellezza, in grado di poter intervenire, o meglio agire, sul gusto e sull’educazione collettiva.
E a noi non resta che far tesoro di questa lezione, guardando con fiducia ai giovani architetti, certi che «da essi e dai loro compagni di tutte le scuole d’architettura del mondo ci verranno opere pure e bellissime»
8. Parola di Gio Ponti.


LA MOSTRA

Gio Ponti. Amare l’architettura, dal 27 novembre al 13 aprile 2020, a cura di Maristella Casciato, Fulvio Irace, Margherita Guccione, Salvatore Licitra, Francesca Zanella, MAXXI, Roma.




NOTE

1 Licitra Ponti 1990, p. 22

2 Cfr. Ponti 1957.

3 Cfr. Benjamin 1936.

4 Licitra Ponti 1990, p. 14.

5 Ponti 1957, p. 113.

6 Ivi, p. 15.

7 Ivi, p. 210.

8 Ivi, p. 296.



BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Benjamin 2000

Walter BenjaminL’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, (prima ed. 1936), Torino, Einaudi, 2000. 

Bojani, Piersanti, Rava 1987

Gio Ponti. Ceramica e architettura, a cura di Giancarlo Bojani, Claudio Piersanti, Rita Rava, catalogo della mostra tenuta a Faenza e Bologna, 1987, Firenze, Centro Di, 1987.

Bossaglia 1980

Rossana Bossaglia, Omaggio a Gio Ponti, Milano, Decomania, 1980.

Casciato, Irace 2019

Gio Ponti. Amare l’architettura, a cura di Maristella Casciato, Fulvio Irace, Firenze, Forma Edizioni, 2019.

Chiesa 2012

Rosa Chiesa, Gio Ponti, Milano, Hachette, 2012.

Falconi 2004

Laura Falconi, Gio Ponti. Interni. Oggetti. Disegni 1920-1976, Milano, Electa, 2004.

Irace 1997

Fulvio Irace, Gio Ponti. La casa all’italiana, Milano, Electa, 1997.

Irace 2011

Fulvio Irace, Gio Ponti, Milano, Il Sole 24 ore, 2011.

Irace, Leoni 2013

Gio Ponti, saggio e schede a cura di Fulvio Irace, Manuela Leoni, Milano, Fondazione dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Milano, 2013.

Irace, Romanelli 1997

Gio Ponti, a cura di Fulvio Irace, Marco Romanelli, catalogo della mostra in occasione del Salone Internazionale del Mobile, 1997, Milano, Cosmit, 1997.

La Pietra 1988 a

Gio Ponti, a cura di Ugo La Pietra, Milano, Rizzoli, 1995.

La Pietra 1988 b

Ugo La Pietra, Gio Ponti. L’arte si innamora dell’industria, Milano, Coliseum, 1988.

Licitra Ponti 1990

Lisa Licitra Ponti, Gio Ponti. L’opera, prefazione di Germano Celant, Milano, Leonardo, 1990.

Matteoni 2011

Gio Ponti, il fascino della ceramica, a cura di Dario Matteoni, catalogo della mostra tenuta a Milano, 2011, Cinisello Balsamo, Silvana, 2011.

Mendini 1980

Alessandro Mendini, Gio Ponti, in Il design italiano degli anni 50, a cura di Centro Kappa, Milano, Domus, 1980.

Ponti 2010

Gio PontiAmate l’Architettura. L’Architettura è un cristallo, (prima ed. 1957), Rizzoli, Milano, 2010.

Portoghesi, Pansera 1982

Gio Ponti alla manifattura di Doccia, testi di Paolo Portoghesi e Anty Pansera, Milano, Sugarco Edizioni, 1982.

Roccella 2009

Graziella Roccella, Gio Ponti, 1891-1979: maestro della leggerezza, Hong Kong, Taschen, 2009.

Romanelli 2003

Gio Ponti: a world, a cura di Marco Romanelli, catalogo della mostra itinerante tenuta a Milano, Rotterdam, Londra, 2002-2003, Milano, Abitare Segesta, 2003.




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Fig. 1 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019 Fig. 1 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019. Photo Bibiana Borzì, Courtesy Fondazione MAXXI

Fig. 2 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019 Fig. 2 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019. Photo Bibiana Borzì, Courtesy Fondazione MAXXI

Fig. 3 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019 Fig. 3 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019. Photo Bibiana Borzì, Courtesy Fondazione MAXXI

Fig. 4 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019 Fig. 4 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019. Photo Bibiana Borzì, Courtesy Fondazione MAXXI

Fig. 5 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019 Fig. 5 - Allestimento della mostra Gio Ponti. Amare l'architettura, MAXXI, Roma, 2019. Photo Bibiana Borzì, Courtesy Fondazione MAXXI

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