A
Franca
Strana
la vita. Quando uno è piccolo, il tempo non passa mai.
Poi,
da un giorno all'altro ti ritrovi a cinquant'anni,
e
l'infanzia o quel che ne resta è in una piccola scatola, che è pure
arrugginita.
(Bretodeau
dopo aver ritrovato la scatola con i suoi "tesori")
Amélie
Le fabuleux destin d'Amélie Poulain è una “favola contemporanea in
pellicola” scritta e diretta da Jean Paul Jeunet nel 2001. Il destino di
Amélie, gioire della felicità di aiutare gli altri, è una missione che si
intreccia con il suo personalissimo modo di vedere il mondo, di assaporarlo, di
raccogliere in briciole l'essenza delle piccole cose. La paladina dei sogni si
camuffa da Zorro cercando di risolvere i problemi delle persone e di
contrastare le ingiustizie: è come una bambina che gioca prestando la massima
attenzione nel tentativo di non destare
sospetti poiché tutto deve sembrare una specie di dono quotidiano.
Non sempre i casi che si presentano all'attenzione di Amélie
sono facilmente risolvibili, ma la ragazza avrà un valido aiuto soprattutto
dall' “uomo di vetro”, un pittore del quartiere che resta sempre in casa a
causa della fragilità delle sue ossa. Amélie cresce nell'aiutare gli altri,
sviluppa una consapevolezza di sé fino a capire il suo sogno, le sue emozioni,
il suo ruolo.
La trama è un teatro dell'illusione: una favola
apparentemente semplice si scontra con la complessità narrativa di Jeunet,
fatta di paratassi di parole e minuzia di particolari descrittivi in un gioco
che sommerge lo spettatore con una cascata di note colorate, le sfaccettature
di ogni cosa, i particolari che nessuno riesce a cogliere.
L'eredità cinematografica è evidente: ci sono citazioni
esplicite di Jules et Jim di Truffaut, Ladri di biciclette, Cercasi
Susan disperatamente, Zazie dans le Metro di Malle, la Parigi di
Varda... I rimandi appartengono alla
“rimediazione”, un recupero consapevole da parte dei nuovi media di
mezzi precedenti come operazione incorporativa. L'arte di Jeunet è complessa e
sapiente, un assemblage di frammenti attinti al mondo del cinema e
ricontestualizzati attraverso una pluralità di codici eterogenei che spaziano
dal mondo del fumetto e dell'animazione alla fotografia, dalla poesia alla
letteratura, dalla pittura alla televisione.
Il pastiche creato dal regista è linfa perfetta per i
cercatori del frammento: ogni fotogramma è un serbatoio di citazioni. Il
favoloso mondo di Amélie può essere riletto ogni volta secondo un piano
diverso: è cinema che inscena se stesso attraverso molteplici registri.
L'idea che si propone è quella di distillare gli elementi
disseminati nel film che richiamano l'arte contemporanea e i suoi codici
espressivi.
Paris: “chance et liste”
La storia di Amélie è raccontata da una voce narrante fuori
campo che non manca di raccogliere gli eventi come tante voci parigine che si
intrecciano, si sovrappongono, echeggiano parallele. L'azione diventa un incrocio, una sovrapposizione di strade
diverse che convergono nel presente, nell'istante, come tanti viaggiatori che
si spostano ad ogni ticchettio dell'orologio de La Gare de Lyon.
“Il
3 settembre 1973, alle 18, 28 minuti e 32 secondi, una mosca della famiglia dei
Calliphoridi, capace di 14.670 battiti d'ali al minuto, plana su rue
Saint-Vincent, a Montmartre. Nello stesso momento, in un ristorante all'aperto
a due passi dal Moulin de la Galette, il vento si insinua magicamente sotto una
tovaglia facendo ballare i bicchieri senza che nessuno se ne accorga. In
quell'istante, al quinto piano del 28 dell'Avenue Trudaine, IX Arrondissement,
Eugène Koler, di ritorno dal funerale del suo migliore amico, Emile Maginot, ne
cancella il nome dalla sua rubrica. Sempre nello stesso momento, uno
spermatozoo con il cromosoma X del signor Raphaël Poulain, si stacca dal
plotone per raggiungere un ovulo della signora Poulain, nata Amandine Fouet.
Nove mesi più tardi, nasce Amélie Poulain”.
Il tintinnio degli ephemeras è musica ordinata in un carillon
d'altri tempi. É la magia della città che permette l'incontro tra oggetti,
storie, elementi, come in un collage surrealista [1] , in
una scatola cornelliana o in un photosequence di Michals [2]
alla Chance Meeting.
Ogni personaggio viene connotato dalla voce narrante secondo
un elenco, una lista che indica le abitudini, le preferenze, le repulsioni di
queste figure bizzarre. Una manciata di frammenti viene annotata del narratore:
la voce presenta allo spettatore delle personalità abbozzate che si riconoscono
attraverso quegli elementi, quasi epiteti, seguendo lo stile della fiaba. “A
Raphaël Poulain non piace: fare pipì accanto a qualcuno; sorprendere uno
sguardo di disprezzo sui suoi sandali; uscire dall'acqua e sentirsi il costume
appiccicato addosso. A Raphaël Poulain piace: strappare enormi pezzi di carta
da parati; mettere in fila le sue scarpe e lucidarle con cura; svuotare la
scatola degli attrezzi, pulirla bene, e riporre tutto, alla fine. La madre di
Amélie, Amandine Fouet, maestra originaria di Gueugnon, è sempre stata una
persona instabile e nervosa. Ad Amandine Poulain non piace: avere le dita
lessate quando fa il bagno; essere - da qualcuno che non le va - sfiorata con
la mano; avere il segno del cuscino stampato sulla guancia la mattina. Ad
Amandine Poulain piace: il costume dei pattinatori artistici in TV; far
brillare il parquet con le pattine; svuotare la borsetta, pulirla bene, e
riporre tutto, alla fine”.
Anche Amélie viene presentata attraverso un accumulo: è “una
giovane ragazza con un gusto pronunciato per i piccoli piaceri della vita:
immergere la mano in un sacco di legumi, spaccare la crosticina di una crème
brûlée con la punta del cucchiaino e far rimbalzare sassi sull'acqua del
Canal Saint Martin”.
La lista è una selezione, una scelta di elementi colti dal
narratore per connotare un personaggio attraverso le sue consonanze interiori:
è il filtro con cui dialoga con lo spettatore.
Non mancano gli elenchi numerati dei pensieri che si
susseguono nella mente di Amélie: “Nino è in ritardo. Per Amélie
ci sono due spiegazioni possibili. La prima: non ha trovato la foto. La
seconda: non ha ancora avuto il tempo di ricomporla, perché tre banditi,
multirecidivi, che assaltavano una banca, l'hanno preso in ostaggio. Seguiti da
tutti i poliziotti della zona, sono riusciti a seminarli, ma lui ha provocato
un incidente. Quando ha ripreso conoscenza, non ricordava nulla. Un camionista
ex detenuto l'ha raccolto, e credendolo in fuga l'ha messo in un container in
partenza per Istanbul. Là, è finito tra avventurieri afgani, che gli hanno
proposto di andare a rubare testate missilistiche sovietiche. Ma il camion è
saltato su una mina alla frontiera col Tagikistan. unico superstite, è stato
accolto in un villaggio di montagna, ed è diventato militante mujahiddin.
Perciò, Amélie non vede perché deve stare in quello stato per uno scemo che
mangia la minestra di cavolo per tutta la vita con uno stupido portavasi in
testa”.
Nel contemporaneo esistono moltissimi esempi di lista [3]
artistica soprattutto grazie alla compenetrazione di mezzi e registri diversi.
Duane Michals, per esempio, crea
ricettari [4] per
l'immaginazione [5] o liste di doni [6]
natalizi attraverso la fotografia e la scrittura a mano che si fondono in un collage
dell'espressione [7] .
L'attenzione magica dedicata alla cura del dettaglio
risponde a quella poetica della meraviglia che caratterizza il Novecento e
trova un suo spazio e una sua dignità artistica attraverso le tecniche
d'accumulo: il collage, l'assemblage [8] , il
found footage cinematografico.
Memo-scatola
Coincidenze e parallelismi
indicati dalla voce narrante sono sintomo della ricerca di una coincidenza, di
una corrispondenza cercata e voluta, come caccia al collegamento e alla
convergenza sulla scia cornelliana, ma anche come attesa dell'evento che
permetta un “incontro casuale” [9] .
L'annuncio della morte di Lady
D. coincide, nel film, con un momento di sussulto di Amélie e con la caduta del
tappo di una boccetta di profumo tra le sue dita che rotola sul pavimento
colpendo una piastrella: Amélie trova in modo assolutamente fortuito una
scatola nascosta anni prima da un bambino che voleva conservare i suoi piccoli
segreti. “Solo il primo uomo penetrato all'interno della tomba di
Tutankhamon potrebbe capire l'emozione di Amélie mentre apre la scatola di
tesori che un bambino ha assicurato di nascondere una quarantina di anni fa”. L'intenzione di restituire al
proprietario quel mucchietto di “tesori” sarà il motore che permetterà ad
Amélie di vestire i panni di benefattrice devota al prossimo.
La scatola di latta nascosta dal
piccolo Bretodeau altro non è che un accumulo di oggetti: Amélie capisce
l'importanza di quelle piccole cose nascoste con cura, ma solo il proprietario
sa esattamente quali siano i ricordi legati a quella manciata di ritagli del
passato. “Strana la vita. Quando uno è piccolo, il tempo non passa mai. Poi, da
un giorno all'altro ti ritrovi a cinquant'anni, e l'infanzia o quel che ne
resta è in una piccola scatola, che è pure arrugginita”. Nella capsula
temporale c'è la sua storia che rivive magicamente attraverso gli oggetti: “In
un istante tutto gli riaffiora alla mente. La vittoria di Federico Bahamontes al
giro di Francia del '59. Le sottane della zia Josette. E soprattutto quella
giornata tragica... la giornata tragica in cui vinse tutte le biglie dei
compagni”.
La scatola come custode della
memoria è un oggetto diffuso, ma anche una forma artistica specifica di Joseph
Cornell che, nella Shadow Box [10] ,
crea un piccolo mondo per sognatori: “usciva ogni giorno dalla porta del tempo
per esplorare le magiche prospettive dell’immaginazione associativa e, come un
bimbo che incolla le figurine la sera, lavorava sul tavolo della cucina della
modesta casa di Long Island sepolto in un mondo di piccoli oggetti, ritagli di
stampe, biglietti di viaggio scaduti, angeli di bisquit e di carta ricamata, bicchierini, palle di vetro colorate,
etichette, piccoli flaconi, carte del cielo e del mare, fotografie, frammenti
di specchio, rami secchi e infiniti relitti del tempo” [11] .
La poesia dell'oggetto come madeleine
evocativa richiama la caccia al tesoro contemporanea che riqualifica il
banale come pezzo prezioso: la scatola è una Wunderkammer in miniatura
per l'artista-collezionista.“Nous sommes
à une époque de curiosité esasperée qui fouille tout, hommes et choses; à
default de la grande histoire que nous ne savons plus faire, nous ramassons les
miettes de la petite avec un tel zèle que notre considération en est venue à
ouvrir ses grands yeux devant un collectionneur de timbres-poste” [12] .
Collezionisti
di “ephemeras”
L'attenzione al banale, alle
piccole cose insignificanti per l'uomo comune (ma non per i sognatori), è il
motore della ricerca. I personaggi del fantastico mondo di Amélie sono dotati
di una curiosità simile a quella di bambini-esploratori.
La piccola Amélie raccoglie
immagini con una macchina fotografica catturando eventi, attimi del presente in
istantanee dell'esistenza. Sono immagini-objet trouvés
raccolti in pellicola. La passione della ragazza per il frammento e la cattura
delle immagini non si limita alla fotografia: Amélie registra brevi sequenze di
fotogrammi dai programmi TV, come se si trattasse di un resoconto del suo zapping:
così facendo crea videocassette di frammenti che dona al vicino,
l'uomo di vetro. Questa pratica bizzarra appartiene ad un genere
cinematografico specifico, il found footage, di cui Cornell è
l'inventore. La passione collezionistica di Amélie segue quella dell'artista:
“Cornell giuntava immagini e spezzoni di vecchi film di Hollywood trovati nelle
botteghe dei rigattieri. Montava collage
cinematografici guidato solo dalla poesia delle immagini”.
Nella propria presentazione,
Amélie si rivolge direttamente allo spettatore in una specie di metateatro
spiegando la sua grande passione per il cinema e per quei particolari dei film
che nessuno coglie, come un piccolo insetto che appare nella proiezione, un ephemera.
La ragazza non ama solo la visione del film, ma la vive come un
evento-spettacolo: l'ambiente del cinema e le espressioni delle persone che
seguono i fotogrammi della proiezione sono una specie di spettacolo aggiunto.
“Mi piace molto voltarmi nel buio e osservare le facce degli altri spettatori”.
L'inquadratura della cinepresa del registra offre una panoramica sulle
poltroncine, sugli sguardi di chi assiste al film e sugli occhi attenti di
Amélie. La luce che illumina quei volti è data dalla proiezione: gli spettatori
diventano magicamente blu. É un monocromo che ricorda proprio il primo found
footage cornelliano del 1936, Rose Hobart. “La vita è solo
un'interminabile replica di uno spettacolo che non avrà mai luogo”.
Il padre di Amélie, invece, è
dedito al monumento funebre per la moglie, un accumulo di chincaglierie che si
raggruppano come in un assemblage su cui troneggia un nano da giardino.
L'eccessiva cura del nano da parte del padre infastidisce la ragazza che ruba
la statua e la affida ad un'amica hostess: quest'ultima, in versione
Biancaneve, porta il nanetto con sé per il mondo scattandogli delle polaroid di
viaggio e spedendole al padre di Amélie. Le fotografie vengono raccolte
dall'uomo come se fossero delle cartes-de-visiteda
collezione e allineate accuratamente in una parete della casa.
Nino, il ragazzo di cui si
innamora Amélie, è la sua anima gemella, un sognatore con la testa tra le
nuvole: prima si divertiva a fotografare i passi delle persone lasciate nel
cemento fresco o a registrare le risate più divertenti delle persone. Ora
lavora in un sexy shop come commesso, ma dedica il suo tempo libero a
collezionare manciate di scatti abbandonati nei cestini, per terra o vicino
alle macchinette per le fototessere.
Il ragazzo ha raccolto quegli
scarti in un album, un catalogo da collezionista del frammento,
ricomponendo con le pinze le foto
strappate proprio come un investigatore
surrealista. Sono oggetti trovati, pezzetti di carta ormai cestinati. “Tutto
ciò che la grande città ha gettato via, tutto ciò che ha perso, tutto ciò che
ha disprezzato, tutto ciò che ha schiacciato sotto i suoi piedi, egli lo
cataloga e lo raccoglie.. Egli classifica le cose e sceglie con accortezza;
egli accumula, come un avaro che custodisce un tesoro, i rifiuti che
assumeranno la forma degli oggetti utili o gratificanti tra le fauci della dea
industria” [16] .
Nino è un artista del reimpiego,
“esteta del rottame”,
come Cornell, Duchamp e molti esponenti del contemporaneo: “affascinato dai
rottami e dai relitti delle nostre vite – legni trovati sulla battigia,
ramoscelli secchi, francobolli, lustrini e pipe di terracotta- egli conservava
questi preziosi articoli con la stessa cura con cui un collezionista protegge
la sua raccolta” [18]. Sembra un
gioco tanto contenutistico quanto letterale: le fotografie scartate, ratées,
rappresentano l'anagramma delle foto ben riuscite, taréés. Questa è
fautographie [19] !
La passione per la colla è
comune ai due ragazzi: sono due esperti di collage d'eccezione. Se Nino
ricompone con cura le fototessere strappate, Amélie si dedica alle lettere. Nel
corso delle sue innumerevoli imprese da paladina del bene, la ragazza decide di
regalare alla portinaia del palazzo la notizia che aspetta da trent'anni, una
lettera dal marito. Leggendo un articolo di giornale scopre un immenso ritardo
di consegna delle poste per uno schianto aereo sul Monte Bianco avvenuto
trent'anni prima. Amélie progetta di montare un finto evento a fin di bene:
realizzare una lettera d'amore per la donna con la scusante della tragedia
aerea.
Dopo aver raccolto le lettere
dell'uomo, minuziosamente conservate dalla moglie, Amélie si rivolge allo
spettatore mostrando epistole e forbici come strumenti da lavoro per realizzare
la “poesia dadaista”: “Prendete un giornale/ Prendete le forbici./ Scegliete
nel giornale un articolo della lunghezza che desiderate per la vostra
poesia./Ritagliate l’articolo./Ritagliate accuratamente ognuna delle parole che
compongono l’articolo e mettetele in un sacco./Agitate delicatamente./Tirate
poi fuori un ritaglio dopo l’altro disponendoli nell’ordine in cui sono usciti
dal sacco./Copiate scrupolosamente./ La poesia vi somiglierà./Ed eccovi
divenuto uno scrittore infinitamente originale/ e di squisita sensibilità,
benché incompresa dal volgo”.
La scrittura dell'uomo viene conservata
dal ritaglio (è una prova, come nell'arte di Michals),
ma viene rimontata in nuove frasi: il foglio viene fotocopiato per parificare i
ritagli, come in un'opera surrealista,
e immersa nel the per invecchiarne la carta. Amélie segue gli stessi procedimenti
che appartengono alla creazione del collage e della scatola cornelliana.
La macchina delle meraviglie
La macchina per le fototessere
diventa, nel film, un luogo prediletto, un mondo magico, distributore di
oggetti trovati, trait d'union tra arte e tecnica: è fotografia ! I
ritagli abbandonati sono preziosità da collezione, come francobolli rarissimi
per l'album di Nino.
La cabina è un'eredità degli
anni Venti che ripropone due opposti utilizzi del ritratto fotografico
ottocentesco: “quello identitario, medico e poliziesco, e quello trasformativo
e d'evasione legato a certe esperienze dell'atelier di Disderi. Allo stesso
tempo, la cabina per le fototessere interpreta e riunisce in modo perfetto
alcuni concetti fondamentali per l'arte del Novecento: l'esaltazione
dell'automaticità meccanica, il progressivo esautoramento dell'autore, la
svalutazione dei tradizionali valori formali e pittorici dell'immagine”.
La macchina fotografica era già
stata vista come prodigio e meraviglia da Lewis Carroll che, nei suoi scritti,
la chiama Chimera: questo termine, in inglese, ha lo stesso suono
di camera, ovvero la macchina fotografica.
La cabina dei sogni è una stanza
dei segreti nascosti dalla tendina che si chiude per gli scatti: le immagini
realizzate all'interno sono pezzi di un puzzle, un mistero legato ad un
ritratto ricorrente che compare in diversi punti di Parigi proprio accanto a
queste macchine di immagini. Amélie pensa che quell'uomo sia una specie di
fantasma che faxa la sua immagine in questo mondo: solo la pellicola
fotosensibile è in grado di darne traccia. La metafora legata alla morte, allo
spettro, all'aldilà è legato allo stesso concetto di fotografia: “La morte del
soggetto, la sua resurrezione al di là del reale, l’arresto del tempo, la presenza
di ciò che è presente, tutti questi paradossi Carroll li ha vissuti un’infinità
di volte dietro il suo obiettivo”.
Il ritratto-objet trouvé
viene trovato ai quattro angoli della città come se si trattasse di una specie
di rituale. La curiosità è data proprio da quel numero, quattro, perché quattro
sono le versioni del volto che vengono catturate dalla macchina. È un numero
che indica la totalità, l'intero, come i quattro punti cardinali o i quattro
angoli del mondo.
Nelle opere cornelliane il
quattro è presente in diverse opere: le quattro scene di Monsieur Phot
(più epilogo) del 1933, i gruppi di quattro ritagli in Object (Hotel Theatricals by the Grandson of Monsieur Phot Sunday
Afternoons) [25] ,
i quattro cilindri del Soap Bubble
Set del 1936, le quattro immagini del cacciatore in Black
Hunter del 1939, in quattro
pappagalli di Habitat group for a
shooting Gallery del 1943 [27] .
Le Shadow Boxes sono
macchine per le immagini, risultati combinatori, giustapposizioni di frammenti,
slot machines. Non è un caso che il poeta Charles Simic ne Il
cacciatore di immagini. L'arte di Joseph Cornell accosti la scatola del
piccolo Medici ad una macchina per le fototessere descrivendo le componenti che
si assemblano all'interno dell'opera come una moderna favola underground
che si svolge nella metropolitana: “Il nome incanta, e così l'idea- la
giustapposizione del ragazzo rinascimentale, la slot machine da sala
giochi, e la cabina delle foto automatiche nella metropolitana; mondi che a
prima vista sembrano del tutto incompatibili ma, naturalmente, siamo nelle
'zone magiche' di Cornell, tra la Quarantaduesima Strada e Times Square. Il
ragazzo ha l'aria di chi, perso nelle fantasticherie, sta per appoggiare la
fronte al vetro della finestra. (…) Il suo ritratto è riprodotto dalla macchina
in formato tessere”.
L'automatismo della cabina per
le fototessere non esclude la necessità dell'interazione dell'utente che, con
un gesto, la mette in moto, in atto, in arte. La macchina è un assemblage
di ingranaggi, di pezzi, di parti diverse come le scatole cornelliane e la Chimera
carrolliana: “La macchina, come tutti i miti, è fatta di parti eterogenee.
Devono esserci ruote dentate, rotelle ed altri congegni ingegnosi connessi alla
leva. Devono essere ingegnosi. Il nostro sguardo affettuoso può metterli in
moto. Una slot machine poetica che offre un jackpot di
significati incommensurabili attivati dalla nostra immaginazione”.
La cabina è un giocattolo nelle
mani di sognatori come Amélie e Nino: quella macchina diventa una scatola speciale,
una mail box in cui scambiarsi messaggi e lasciarsi appuntamenti. Nino
attacca volantini per cercare di ritrovare il suo album o chiedere appuntamenti
mentre Amélie, travestita da Zorro, si fotografa nella cabina mentre mostra
cartelli di indizi e indicazioni. É una caccia al tesoro contemporanea, un
corteggiamento anomalo di due amanti degli ephemeras.
I due personaggi diventano
giocatori in un gioco che è Parigi stessa: sfruttano ogni cosa come bambini. La
città è lo spazio della partita: sono ammessi tutti gli oggetti, i mezzi, gli
stratagemmi. La raccolta degli indizi viene seguita come un'indagine poliziesca
di stampo surrealista: è una caccia agli oggetti trovati. Così Amélie prepara
l'appuntamento per restituire l'album a Nino invitandolo davanti alla giostra
di Montmartre e, attraverso la cabina telefonica più vicina, detta le mosse per
la pedina-Nino. Traccia per lui il percorso da seguire attraverso frecce
disegnate a terra o composte da mangime per uccelli, sfruttando la gestualità
degli artisti di strada immobili come statue (“Se il dito indica il cielo
l'imbecille guarda il dito”) e un visore per le panoramiche alte.
Amélie si comporta a sua volta
come fantasma aiutando Nino a riprendere l'album, ma anche a scoprire il
ritratto dell'uomo misterioso che compare in tante fototessere trovate: è il
tecnico di quegli apparecchi per sognatori, l'addetto alla manutenzione delle
macchine magiche.
Il tempo reale viene sconvolto:
gli appuntamenti, gli intervalli tra una foto e l'altra, lo scatto, la pianificazione,
le coincidenze temporali diventano le nuove costanti, strappi d'infinito. “È
il 28 settembre 1997, e sono le undici in punto del mattino. Alla Giostra del
Trono, a due passi dal trenino dei Carpazi, la macchina per impastare i dolci
impasta i dolci. Nello stesso momento, su una panchina di Place Villette, Félix
L'Herbier scopre che ci sono più connessioni possibili nel cervello umano che
atomi nell'universo. Nel frattempo, ai piedi del Sacre-Coeur, delle benedettine
migliorano il rovescio. La temperatura è di 24 gradi Celsius, il tasso di
umidità di 77, e la pressione atmosferica di 990 ettopascal”.
Intorno a Nino e ad Amélie il
mondo vive secondo il suo tempo, nel tentativo di rallentarlo e dilatarlo,
nella paura del ticchettio delle lancette, nel timore dell'attimo: “L'angoscia
del tempo che passa ci fa parlare del tempo che fa”.
R.
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